La destabilizzazione kruscioviana
delle democrazie popolari

Premessa

Nikita Kruscev, molti mesi prima che aprissero le danze del XX congresso del PCUS, aveva ben chiara la strategia su cui doveva puntare per creare una situazione irreversibile. Difatti, il 26 maggio del 1955 sbarca, a sorpresa e senza una preliminare discussione nel movimento comunista internazionale, con una delegazione sovietica a Belgrado, rovesciando completamente il giudizio che fino allora era stato dato su Tito e attribuendo le decisioni del Cominform del 1948 alle 'macchinazioni di Beria' (sulla decisione del Cominform rimandiamo al lavoro di Vincenzo De Robertis "1948 - Il Cominform, l'URSS e la Jugoslavia" di cui riportiamo un capitolo [qui]).

Il commento, che riportiamo [qui], sull'arrivo di Kruscev a Belgrado e sulla sua dichiarazione appena sceso dall'aereo è tratto dal diario di Kurt Gossweiler ("Contro il revisionismo", Zambon Editore 2009), il quale mette in evidenza, giustamente, che la condanna di Tito era stata approvata non solo da Stalin, ma anche da dirigenti del calibro di Togliatti, di Thorez, di Dimitrov.

L'enorme bestialità di attribuire a Beria la 'macchinazione antijugoslava', oltre che per la falsificazione della vicenda [1], sorprende per il silenzio dei protagonisti non sovietici che pure avevano condiviso la direzione del Cominform, con l'eccezione della sola Albania, che non accetta la svolta filotitina e che peraltro non era stata chiamata, a suo tempo, a far parte del Cominform, probabilmente proprio per il ruolo egemonico che Tito voleva avere nei Balcani proponendo, tra l'altro, l'incorporazione dell'Albania nello Stato federale jugoslavo. Un brutto segno questo silenzio, che annunciava la disponibilità di molti partiti comunisti ad accettare quelle che sarebbero state le decisioni del XX congresso, di cui appunto il viaggio di Kruscev a Belgrado era una deliberata anticipazione.

La scelta di riallacciare i rapporti con Tito non riguardava però solo l'Unione Sovietica e la Jugoslavia: il progetto kruscioviano era di più ampia portata. Kruscev aveva già in mente la mossa antistaliniana del XX congresso del 1956 e a questa era collegata la 'destalinizzazione' in tutte le democrazie popolari, che in effetti prende slancio proprio dal viaggio in Jugoslavia.

Nella RDT la possibilità di manovra di Kruscev fu molto limitata e Walter Ulbricht, nonostante i tentativi di contestazione, rimase alla guida del partito e dello Stato fino alla sua morte, nel 1973. Diversa e molto più destabilizzante fu invece la sorte dell'Ungheria. Matyas Rákosi segretario generale del partito viene affiancato da altri due segretari e rinuncia alla carica di presidente del governo a favore proprio di Imre Nagy il quale si allinea immediatamente al nuovo corso aprendo un processo di 'liberalizzazione' della vita politica, liberando i prigionieri politici e decidendo una controriforma dell'agricoltura. Nel 1955 però, proprio mentre Kruscev si apprestava a riconciliarsi con Tito, il CC del Partito dei Lavoratori nella riunione del 9 marzo, denuncia la linea di destra di Nagy che viene sostituito da Andrea Hegedus e in seguito espulso per la seconda volta dal partito. La macchina della controrivoluzione però si era messa in moto da tempo e, dopo un anno, colta la situazione favorevole, fu dato il via alla rivolta.

Anche in Polonia ci furono modifiche sostanziali nel gruppo dirigente del Partito operaio polacco e nelle cariche di stato. Segretario del partito rimase Bierut, ma la presidenza del consiglio fu affidata a Cyrankiewicz. Anche qui ci fu la liberazione dei detenuti politici tra cui Gomulka, l'antico segretario del POP e la promessa di rivedere i processi politici. Eravamo nel 1954 e in questo clima si stavano preparando gli avvenimenti di Poznan del giugno 1956.

Ma il programma di Kruscev non si limitava alla 'destalinizzazione'. Il suo obiettivo era anche la jugoslavizzazione delle democrazie popolari, introdurre cioè un programma di riforme e di aperture all'occidente, che erano appunto la caratteristica dell'autogestione jugoslava. Anzi, la riconciliazione con Tito era un pegno in questa direzione, per dimostrare all'occidente che i comunisti stavano attraversando una mutazione genetica.

La visita di Kruscev, Bulganin e Mikoyan a Belgrado accelera quindi tutti i processi che già si erano avviati dopo la morte di Stalin. Dopo la fucilazione di Beria, i Servizi occidentali, che non avevano mai mollato la presa sull'est europeo ([qui] una nota sull'organizzazione del nazista Gehlen, subito riciclato al servizio degli americani), capiscono che è il momento di agire ed è così che già nel giugno 1953 a Berlino si verificano le prime manifestazioni di piazza contro il governo con assalti agli edifici pubblici che costringono i sovietici a intervenire e si registrano morti, feriti e numerosi arresti.

Lo scontro politico attraversa successivamente tutti i partiti comunisti al potere nell'est europeo tra l'area 'riformatrice' e i quadri dirigenti formatisi alla scuola di Stalin. Questo scontro, negli anni cinquanta e con Stalin ancora vivo, aveva comportato l'allontanamento di personaggi della destra 'riformista' come Gomulka (Polonia), Nagy (Ungheria) e alla fucilazione del segretario del partito comunista cecoslovacco Slanski per alto tradimento.

Dopo il XX congresso la lotta si riapre e, con l'azione convergente di Kruscev e di Tito riabilitato, si impone il 'rinnovamento' nelle democrazie popolari. Gomulka ritorna al vertice del partito operaio polacco (riportiamo [qui] la critica di Kurt Gossweiler, corredata da ampie citazioni, del discorso tenuto da Gomulka il 20 ottobre 1956 all'VIII Plenum del Partito Operaio Unificato Polacco). In Cecolovacchia con la morte di Gottwald si cambia la direzione e Novotny è il nuovo leader. In Ungheria Imre Nagy ritorna alla direzione del partito e dello stato. I nuovi leader portano avanti nei loro discorsi la critica feroce contro gli 'stalinisti', il progetto di revisione delle strutture socialiste nelle campagne e la nuova gestione dell'economia.

La 'revisione' operata dal PCUS e dalla nuova dirigenza delle democrazie popolari si cala in un contesto non solo di difficoltà economica, ma di ripresa delle forze antisocialiste che in particolare in Ungheria e in Polonia, in nome dell'antistalinismo ritentano, dopo Berlino, l'avventura. Si crea quindi una situazione di instabilità permanente che a distanza di alcuni anni porterà agli avvenimenti cecoslovacchi del 1968 e allo stato d'emergenza in Polonia.

Nell'immediato il risultato della destabilizzazione kruscioviana furono i fatti di Poznan (su cui riportiamo [qui] i giudizi significativamente opposti espressi da Togliatti e da Gomulka) e la rivolta controrivoluzionaria in Ungheria. Sui fatti di Ungheria riportiamo, [qui], la ricostruzione dei fatti dello storico statunitense Herbert Aptheker, pubblicata negli USA a ridosso degli avvenimenti, nei primi mesi del 1957, e in Italia nel 1958 dalle edizioni Parenti. Aptheker non sembra cosciente del ruolo destabilizzante della svolta kruscioviana, mette però bene in evidenza lo scatenamento del terrore contro­rivoluzionario, sostenuto dall'imperialismo e dalle vecchie classi possidenti, e la portata dell'attacco, portato nel punto ritenuto a ragione più debole, all'insieme dei paesi socialisti, in parallelo con l'attacco anglo-franco-israeliano contro l'Egitto.

Nel 1956 l'incendio fu domato, ma da allora URSS e le democrazie popolari procederanno in parallelo fino alla conclusione finale, la dissoluzione del socialismo. Nagy, dopo i moti controrivoluzionari del '56 fu giudicato e impiccato assieme ai suoi complici. Ma nessuno si è sognato di far pagare a Kruscev il prezzo per ciò che stava avvenendo nelle democrazie popolari per le sue scelte.


[1] Da notare che Grover Furr, nel suo lavoro sul 'rapporto segreto' di Kruscev al XX Congresso, documenta come in realtà Kruscev avesse accusato Beria nel 1953 di aver cercato di migliorare le relazioni con la Jugoslavia.