Il ruolo del Partito comunista nella storia d'Italia

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La guerra contro il nazifascismo
e la politica di unità nazionale
1943-1945

Premessa

Prima di andare a considerare nello specifico la politica del PCI dal 1943 al 1945, culminata con l'insurrezione del 25 aprile e la formazione del governo Parri espressione del CLN, occorre inquadrare i passaggi che hanno determinato le scelte di quel periodo e i punti di partenza.

   Nella parte del nostro lavoro dedicata all'Internazionale Comunista abbiamo già documentato a questo proposito alcuni momenti salienti del periodo che va dal 1934 al VII congresso dell'IC, che si svolge nell'anno successivo, sia in termini di politica generale che di scelte di azione concreta in rapporto specialmente alla Spagna e alla Francia.

   La storiografia tradizionale nel definire il passaggio storico che stiamo considerando, cioè quello dal cosiddetto terzo periodo (anni '30 e crisi economica mondiale) ai fronti antifascisti, mette strumentalmente in evidenza la discontinuità e soprattutto la contraddittorietà tra le due fasi, ma lo può fare perchè evita di considerare i dati oggettivi e l'evoluzione del contesto storico. Basti pensare alla situazione in Germania, che nel 1930 era ancora aperta; Hitler sarebbe andato al potere solo tre anni dopo modificando sostanzialmente la situazione in Europa.

   Anche in l'Italia l'evoluzione della situazione e di conseguenza le scelte del Partito comunista seguono la stessa direzione. Nel 1930, in relazione alla crisi economica mondiale, l'Internazionale definisce la situazione potenzialmente rivoluzionaria e spinge i partiti comunisti ad accelerare l'iniziativa verso la prospettiva del potere. Si veda in questo senso la posizione espressa dal Partito comunista al IV congresso di Monaco, che abbiamo riportato nel precedente capitolo [1]. Con l'avvento al potere del nazismo in Germania però la situazione cambia radicalmente. Lo sviluppo del movimenti fascisti dilaga in Europa e tende a diventare una prospettiva continentale. E' a questo punto che all'interno del movimento comunista si apre il dibattito su come reagire tenendo conto che il fascismo accelerava la corsa a una nuova guerra mondiale che avrebbe avuto come obiettivo anche l'URSS.

   Le direttive espresse dal VII congresso dall'IC raccolgono quindi le analisi svolte nelle rispettive relazioni da Dimitrov [2] e da Togliatti [3] che individuavano nel fascismo il nemico principale da battere. I fronti popolari in Spagna e in Francia sono la prima grande risposta che il movimento comunista sa dare in quelle circostanze storiche.

   Anche per l'Italia si apre un percorso politico nuovo. Il primo passaggio è la firma, dopo anni di polemiche, del patto di unità d'azione tra comunisti e socialisti siglato in Francia il 17 agosto del 1934 [qui], in cui si dice che, pur mantenendo una differenza sostanziale su problemi di dottrina, di metodo e di tattica, si conviene sulla necessità di convergere su punti precisi, concreti, attuali della lotta proletaria contro il fascismo e la guerra.

   Dal '34 allo scoppio della seconda guerra mondiale la situazione si fa però più confusa in rapporto alla caduta del fronte popolare in Francia e alla sconfitta del governo repubblicano in Spagna. I successi fascisti con la conquista dell'Etiopia e col il patto di Monaco che disgrega la Cecoslovacchia e successivamente il patto di non aggressione tra URSS e Germania [4] bloccano lo sviluppo del movimento unitario contro il fascismo che riprende solo con l'inizio della seconda guerra mondiale.

   In Italia, in coincidenza con questi eventi, la situazione organizzativa del Partito comunista si era fatta più difficile e confusa anche se la guerra civile in Spagna aveva dimostrato la sua vitalità e la sua forza con la partecipazione alle brigate internazionali di 1819 comunisti (di cui 356 caddero in combattimento), tra i quali figurano dirigenti come Luigi Longo, Giuliano Pajetta, Giuseppe di Vittorio, Vittorio Vidali.

   Sulla base dell'esperienza della partecipazione comune alla guerra civile in Spagna, a cui partecipa anche Pietro Nenni, si rafforzano i rapporti tra comunisti e socialisti e il 26 luglio del 1937 viene stipulata la Nuova Carta di unità d'azione [qui] nella quale si dichiara che:

   "Il Partito socialista italiano e il Partito comunista d'Italia, avendo come fine comune l'abbattimento del fascismo e del capitalismo e l'avvento di una società socialista, decidono di consolidare i legami che li uniscono, tanto sul terreno dell'azione politica generale quanto sul lavoro pratico quotidiano. Essi considerano l'esistenza di un solido legame di fronte unico tra il Partito comunista e il Partito socialista come una delle principali condizioni dell'unità di tutte le forze antifasciste e della creazione in Italia di un movimento di fronte popolare."

   Siamo quindi ormai sui binari su cui si muoverà successivamente la prospettiva italiana, ma prima di arrivare all'attivazione del fronte antifascista e alla materializzazione della sua capacità d'azione occorreranno ancora alcuni anni in cui si determineranno avvenimenti come il patto di non aggressione tra URSS e Germania, lo scatenamento della seconda guerra mondiale con l'invasione della Polonia e, nel 1940, l'entrata in guerra dell'Italia a fianco dei tedeschi. Lo sconvolgimento dell'Europa è enorme. La Francia viene sconfitta in poche settimane e occupata; le truppe inglesi devono ritirarsi dall'Europa; Belgio, Olanda, Danimarca e Norvegia vengono occupate a loro volta, mentre Spagna e Portogallo sono governate da regimi fascisti. L'Italia occupa gran parte della Jugoslavia e parte dall'Albania per l'avventura in Grecia; in Nord Africa le truppe di Rommel dominano la situazione costringendo gli inglesi alla ritirata. In questo contesto saltano tutti gli schemi organizzativi del Partito comunista italiano, in particolare rispetto alla Francia dove i comunisti vengono messi fuori legge e quelli italiani vengono anche consegnati al governo fascista di Mussolini, come è il caso, per esempio, di Luigi Longo. Dopo i successi nazisti contro Francia e Inghilterra, l'invasione dell'URSS nel giugno 1941 e la penetrazione delle truppe tedesche sul suolo sovietico fino a Mosca, a Leningrado e in Ucraina, lo scenario si allarga e con l'entrata in guerra anche degli Stati Uniti, si apre il fronte del Pacifico e la guerra diventa davvero mondiale.

   Qual era il compito immane che spettava in quegli anni all'URSS e al movimento comunista? Come seppero farvi fronte?

   Il VII congresso dell'IC aveva già indicato la strada da percorrere, sostenendo che per il movimento comunista l'obiettivo era battere il nemico principale, il fascismo e su questo dunque andavano calibrate le scelte tattiche di ciascuna forza in campo. L'URSS aveva creato, dopo l'aggressione nazista, l'alleanza militare con Inghilterra e Stati Uniti, i partiti comunisti, dalla Cina all'Europa, andavano organizzando la lotta armata secondo le condizioni esistenti in ciascun paese, ma tutti muovendosi nella stessa direzione: battere la macchina da guerra fascista come condizione preliminare per andare avanti.

   Questo spiega le scelte fatte dal Partito comunista con l'organizzazione della guerra partigiana e con la svolta di Togliatti al suo arrivo in Italia. Erano o no queste scelte in linea con l'obiettivo che il movimento comunista si era dato a livello internazionale? Per darne un giudizio bisogna partire da questo interrogativo, non da considerazioni di altro tipo che non attengono alle scelte da fare in quel contesto storico.

   La situazione italiana si presentava però divisa in due. Al centro Nord, da Cassino alle Alpi, c'era l'occupazione tedesca e la repubblica fantoccio di Mussolini; al Sud c'era Vittorio Emanuele e il suo governo diretto da Badoglio, il cosiddetto regno del Sud nato dopo la fuga del re da Roma e il rifugio a Brindisi sotto la protezione anglo-americana. Un governo che aveva possibilità d'azione limitate, dal momento che l'armistizio firmato a Cassibile dal generale Castellano prima dell'8 settembre imponeva all'Italia la resa senza condizioni e quindi il totale controllo alleato. Insomma, di fatto, avevamo in Italia due occupazioni, quella tedesca e quella angloamericana la quale pur presentandosi come forza liberatrice era in realtà una vera e propria occupazione militare e come tale si comportava. Tenendo conto di tutto ciò, il Partito comunista riorganizza le sue forze sia sul piano politico nel meridione che con la resistenza armata al centro-nord occupato dai tedeschi, e soprattutto calibrando l'azione in modo unitario e deciso al punto di divenire un riferimento essenziale delle vicende storiche di quegli anni.

   A dirigere la resistenza armata ci sono i dirigenti comunisti di maggiore esperienza, in particolare Luigi Longo e Pietro Secchia, ma anche migliaia di altri militanti ritornati dal carcere, dal confino e dall'estero dopo il 25 luglio del '43. Come è organizzata la resistenza? Il punto di riferimento politico è il Comitato di Liberazione Nazionale costituitosi a Roma dopo l'8 settembre ed entrato nella clandestinità, in cui operano dirigenti comunisti come Scoccimarro e Amendola assieme ad esponenti del Partito d'Azione, dei demolaburisti, dei liberali, dei repubblicani, dei socialisti e dei democristiani diretti da Alcide De Gasperi. Sostanzialmente le direttive politiche, al centronord come al Sud, partono da qui.

   Ma al centro Nord e in particolare al Nord dopo la riorganizzazione dei tedeschi sulla linea gotica, che tiene fino all'aprile del '45, l'azione del Partito comunista va in profondità sia sul piano militare che su quello politico e dei rapporti con la classe operaia. Lotta armata, ma anche scioperi e capacità di gestione del tessuto unitario della resistenza secondo le indicazioni che vengono dal CLN.

   Per dare un'idea di come i comunisti organizzano la lotta armata e il lavoro politico nelle zone occupate dai tedeschi riportiamo alcuni testi pubblicati nel volume I Comunisti e l'Insurrezione, curato da Pietro Secchia nel 1954, e in particolare:

   a) La mobilitazione generale, apparso nel n.2 del quindicinale clandestino La nostra lotta dell'ottobre del 1943 [qui] in cui si dice:

   "L'Italia ha dichiarato guerra alla Germania. E' una guerra giusta, sacrosanta, necessaria... è la guerra di liberazione nazionale nel senso più largo e completo della parola... con questa guerra gli italiani conquisteranno la libertà, getteranno le basi per la realizzazione di una democrazia popolare che abbatterà per sempre il potere politico dei ceti reazionari e imperialistici, responsabili della rovina del nostro paese".

   b) Il partito forza motrice dell'insurrezione, La nostra lotta n. 19-20 del novembre 1944 [qui] che riassume il rapporto organizzativo dei triunviri insurrezionali in cui oltre a fare un bilancio dello sviluppo della lotta armata e del ruolo centrale che i comunisti vi stanno svolgendo, si illustra anche il lavoro politico parallelo che il PCI svolge sul territorio e il modo in cui organizza in particolare l'attività nelle fabbriche e nelle campagne.

   c) Il Fronte unico di tutte le forze nazionali, La nostra lotta n.7-8 aprile 1944 [qui]. L'articolo cita Togliatti con queste parole:"E' combattendo con tutte le forze che la classe operaia adempie alla sua funzione liberatrice... essa deve combattere con tutte le sue forze per una unità larga e solida di tutte le forze nazionali per la guerra di liberazione".

   Le posizioni che qui documentiamo, espresse dal Partito comunista nella zona occupata dai tedeschi, dimostrano che la linea seguita corrispondeva alla posizione espressa alla fine del marzo 1944 da Palmiro Togliatti al suo arrivo in Italia, dove però nel Sud le vicende politiche prima del suo arrivo avevano preso una piega diversa. La differenza non stava nella linea generale che il CLN seguiva sull'unità nella lotta antifascista, ma riguardava il rapporto con la monarchia e il governo Badoglio. Prima dell'arrivo di Togliatti in Italia le forze antifasciste presenti al Sud avevano scelto una linea di non collaborazione e nel congresso di Bari del 28 gennaio 1944 avevano ribadito con forza questa posizione.

   Gli angloamericani e soprattutto Churchill consideravano questa posizione utile al mantenimento dello status quo finalizzato al rafforzamento del rapporto tra gli alleati e la monarchia. Essi non erano affatto interessati al cambiamento, al contrario.

   Diversa era però la posizione dei sovietici che non potevano condividere l'idea che l'Italia divenisse una base d'appoggio esclusiva degli angloamericani e pertanto avevano posto in sede di commissione internazionale alleata il problema dell'ingresso dei partiti antifascisti nel governo Badoglio. In un articolo apparso sul quotidiano Izvestija il 30 marzo, in coincidenza proprio con l'arrivo di Togliatti in Italia, si poteva leggere:

   "Non si può prescindere dal fatto che, col suo attuale carattere, il governo Badoglio, nella persona dei suoi rappresentanti più in vista, ha dichiarato più volte di essere pronto a includere nel suo seno nuovi elementi capaci di esercitare un'azione più efficace nei riguardi dell'unità di tutti gli italiani. Non si vede allora perchè una decisione tendente a modificare il governo Badoglio debba trovare dinanzi a sé ostacoli insormontabili..."

   I sovietici erano già andati oltre questa sollecitazione perchè due settimane prima (il 14 marzo del 1944) avevano deciso il riconoscimento diplomatico del governo Badoglio.

   Le due cose, il riconoscimento diplomatico e l'arrivo di Togliatti, ovviamente apparvero collegate e questo è un elemento in più per comprendere una correlazione di fatti che indubbiamente partiva da Stalin. Appare dunque evidente che quella che fu definita poi la 'svolta di Salerno' veniva da lontano, ma non nel senso deteriore di una imposizione, bensì di una convergenza politica sugli obiettivi del momento.

   Che cosa cambia dunque con l'arrivo di Togliatti in Italia?

   Dal punto di vista della strategia la linea esposta nel rapporto ai quadri dell'organizzazione comunista napoletana dell'11 aprile del 1944 [qui] non cambia di molto rispetto alla questione centrale dell'unità antifascista nella guerra di liberazione. Cambia molto invece sulla tattica da seguire e sugli obiettivi immediati.

   Le forze antifasciste del Sud, compreso il PCI che in quel momento era rappresentato da Velio Spano e da Eugenio Reale, al congresso di Bari si erano schierate, come si è detto in precedenza, contro ogni forma di collaborazione con Badoglio e la monarchia. L'assemblea dei quadri comunisti di Napoli modifica l'impostazione precedente e accetta la linea di Togliatti. Il dibattito ovviamente si apre nel partito comunista e tra le forze antifasciste, ma non dura molto, dal momento che il 22 aprile, ad appena dieci giorni dall'assemblea dei quadri comunisti, viene formato il nuovo governo Badoglio con la partecipazione dei partiti antifascisti, gli stessi che a Bari si erano pronunciati contro la collaborazione col maresciallo.

   Questa conversione repentina si spiega con la forza delle argomentazioni di Togliatti a cui non si contrappongono alternative strategiche valide. Nella sua relazione a Napoli, rivolto in modo e diretto ai quadri comunisti, Togliatti dice:

   "Oggi che il problema dell'unità, della libertà e dell'indipendenza d'Italia è di nuovo in gioco, oggi che i gruppi dirigenti reazionari hanno fatto fallimento, perchè la storia stessa ha dimostrato che la loro politica di rapina imperialista e di guerra non poteva portare l'Italia altro che ad una catastrofe; oggi la classe operaia si fa avanti col suo passo sicuro, e conscia di tutti i suoi doveri rivendica il proprio diritto, come dirigente di tutto il popolo, di dare la sua impronta a tutta la vita della nazione".

   E richiamandosi alla storia del movimento comunista Togliatti aggiunge: "Quando noi difendiamo gli interessi della nazione, quando ci mettiamo alla testa del combattimento per la liberazione dell'Italia dall'invasione tedesca, noi siamo nella linea delle vere e grandi tradizioni del movimento proletario. Siamo nella linea della dottrina e delle tradizioni di Marx e di Engels, i quali mai rinnegarono gli interessi della loro nazione, sempre li difesero, tanto contro l'aggressore e l'invasore straniero, quanto contro i gruppi reazionari che li calpestavano. Siamo nelle linee del grande Lenin, il quale affermava di sentire in sé l'orgoglio del russo, rivendicava al proprio partito di continuare tutte le tradizioni del pensiero liberale e democratico russo e fu fondatore di quello stato sovietico, che ha dato ai popoli della Russia una nuova, più elevata coscienza nazionale... Siamo in linea del pensiero e dell'azione di Stalin, di quest'uomo, il quale ha saputo, sulla base delle conquiste della grande rivoluzione socialista d'ottobre.. realizzare l'unità di tutto il popolo, di tutte le nazioni che vivono nel territorio dell'Unione Sovietica nella lotta sacra contro l'invasore, e per schiacciare definitivamente l'hitlerismo e il fascismo."

   Nel concludere le considerazioni sulla politica del PCI degli anni '43-45 e per capirne tutti i risvolti bisogna tener conto anche che la formazione del governo Badoglio, anche allargata alle forze antifasciste, veniva limitata dall'impegno imposto dagli alleati di accettare di rinviare fino alla fine della guerra la soluzione del problema istituzionale e di posporre, in concomitanza, la realizzazione di ogni progetto di riforma sociale. Ulteriori limitazioni riguardavano l'attività dei partiti e il rispetto delle clausole derivanti dall'armistizio. Ed è per questo che il PCI e Togliatti in modo esplicito si preoccupa di impedire che potessero in qualche modo affermarsi possibili azioni di disgregazione del tessuto nazionale, già operanti in Sicilia, e di indebolimento del fronte delle guerra di liberazione. Tenere su questo punto fino alla sconfitta del nazifascismo diventava quindi determinante e preliminare per il futuro.

   Su questo la polemica fu anche aspra, come risulta dall'articolo Il sinistrismo maschera della Gestapo [qui], uscito sul periodico clandestino La nostra lotta dell'ottobre 1943 e ristampato nel volume citato di Pietro Secchia. Al Sud invece le forme di dissenso all'interno del PCI (scissione di Montesanto e congresso CGL di Salerno) furono rapidamente riassorbite. Nella sostanza si può dire che il PCI, nel periodo '43-'45 ottenne due importanti risultati: mantenere unito il partito attorno alla linea della politica di unità nazionale fino alla liberazione e diventare un protagonista delle vicende politiche successive.

   Un partito che nel '43, dopo la caduta del fascismo, aveva 6000 iscritti, alla fine del '45 si ritrova ad averne 1.800.000.

Note

[1] Vedi http://www.associazionestalin.it/PCI_4_completo.pdf alle pagine 8 e 76 e seguenti.
[2] http://www.associazionestalin.it/IC_8_dimitrov.html
[3] [http://www.associazionestalin.it/IC_8_togliatti.html
[4] http://www.associazionestalin.it/gossweiler.html