Il ruolo del Partito comunista nella storia d'Italia

3.
La svolta di Lione e la
liquidazione del bordighismo

Premessa

  Il fatto che l'Internazionale comunista avesse rifiutato di approvare le Tesi del II congresso del Pcd'I (Roma 1922), anche se nell'immediato non provoca un rovesciamento del gruppo dirigente bordighista, cui peraltro appartengono anche i protagonisti di quella che sarà la svolta di Lione, mette però in moto una riflessione sulle prospettive.

   In un primo tempo la questione del conflitto tra Pcd'I e IC era abbinata di fatto alla vicenda dell'adesione del PSI all'Internazionale e alla necessaria confluenza organizzativa che ne doveva derivare. Conoscendo la effettiva situazione interna al partito socialista, la direzione comunista era unita nel valutare negativamente il risultato che si voleva conseguire. É vero che nel 1922, dopo l'iniziativa di Turati di andare al Qurinale, c'era stata l'espulsione dei riformisti, ma nella sostanza il PSI rimaneva un partito massimalista e opportunista.

   Quando però appare chiaro che lo scontro con l'IC non riguardava tanto il giudizio sulla natura del PSI quanto la linea dell'Internazionale sul fronte unico e la nascita di una frazione internazionale di 'sinistra', a cui lavorava anche Bordiga, le cose cambiano.

   Nel complesso del partito e nel settore storicamente 'ordinovista', di fronte alla prospettiva di una rottura con l'IC si apre la discussione su ciò che sta accadendo ed è in particolare Gramsci che spinge ad un cambiamento di rotta e si assume la responsabilità di guidare questo processo.

   In una lettera indirizzata a Terracini Gramsci afferma chiaramente la sua contrarietà alla firma di qualsiasi manifesto della 'sinistra' e sostiene anzi che è venuto il momento di rompere con la deriva bordighista e questo deve valere anche e sopratutto per quei compagni che, pur dimostrandosi critici colla vecchia direzione, ancora tergiversano. La lettera (che riportiamo [qui]) è del 12 gennaio 1924 ed è contenuta nel volume di documentazione "La formazione del gruppo dirigente del partito comunista italiano" curato da Palmiro Togliatti (Editori Riuniti, Roma 1962 ). Gramsci dice di essere contrario per principio alla pubblicazione di un manifesto polemico verso l'Internazionale e che tale manifesto "rimane la negazione assoluta degli sviluppi portati nella tattica del Comintern dopo il terzo congresso. Rimane obiettivamente inalterata la posizione assunta dal nostro partito di centro potenziale di tutte le sinistre che possono formarsi nel campo internazionale. Rimane lo spirito contrario fondamentalmente alla tattica del fronte unico, del governo operaio e contadino e di tutta una serie di deliberazioni nel campo organizzativo anteriori al Terzo Congresso o approvate dallo stesso Terzo Congresso."

   Aggiunge Gramsci nella lettera: "penso che voi (si riferisce ad un gruppo di compagni con cui aveva discusso in precedenza) siate ancora d'accordo e perciò non so spiegarmi la vostra attuale posizione. In verità noi ci troviamo a una grande svolta storica del movimento comunista italiano. É questo il momento in cui occorre con grande risolutezza, e con molta precisione porre le nuove basi di sviluppo del partito."

   Da che cosa ripartire? Rispondendo ad una lettera di Alfonso Leonetti [qui] Gramsci è molto chiaro. Non dobbiamo presentarci nella battaglia in corso come il vecchio gruppo ordinovista. "Le stesse idee fondamentali - scrive Gramsci - che hanno caratterizzato l'attività dell'ON sono oggi o sarebbero anacronistiche".

   Quello che appare molto interessante in questa lettera è che Gramsci fa anche una disamina critica dei limiti registrati con l'esperienza ordinovista e del ritardo di quel gruppo rispetto alla formazione del partito, che hanno portato alla situazione presente:

   "Nel 1919-20 noi abbiamo commesso errori gravissimi che in fondo adesso scontiamo. Non abbiamo, per paura di essere chiamati arrivisti e carrieristi, costituito una frazione e cercato di organizzarla in tutta Italia. Non abbiamo voluto dare ai consigli di fabbrica di Torino un centro direttivo autonomo e che avrebbe potuto esercitare un'immensa influenza in tutto il paese, per paura della scissione nei sindacati e di essere troppo prematuramente espulsi dal partito socialista. Dovremmo, o almeno io dovrò, pubblicamente dire di aver commesso questi errori che indubbiamente hanno avuto non lievi ripercussioni."

   Nello scambio epistolare (dovuto al fatto che Gramsci si trovava a Vienna) che accompagna la formazione del nuovo gruppo dirigente, assume una particolare rilevanza la lettera che egli invia il 9 febbraio 1924 a Togliatti, Terracini e altri [qui] in cui sono espresse e valutate tutte le questioni che sono oggetto del dibattito in corso e rappresentano una sorta di tesi su cui raggruppare la nuova direzione del partito; queste spaziano da 1) la situazione interna dell'Internazionale a 2) il manifesto della sinistra comunista e infine 3) la indicazione del lavoro a venire. Nella lettera c'è anche una sorta di previsione profetica, che è anche coscienza del ruolo storico di un partito comunista. Scrive Gramsci a questo proposito:"incomincia (ora) una nuova fase nella storia non solo del del nostro partito, ma anche del nostro paese".

   Con Antonio Gramsci, con la svolta che si prepara, comincia così la simbiosi tra storia del partito e storia del paese che si prolungherà nel periodo che va dal 1924 fino alla trasformazione genetica del PCI a ridosso degli anni '60 del secolo scorso quando la funzione si ribalta completamente. Il PCI si fa stato (borghese) e diventa gestore degli interessi 'nazionali' intesi come responsabilizzazione rispetto agli interessi delle classi dominanti. Su questo però e su come sia potuto accadere riprenderemo il discorso quando affronteremo il periodo attorno agli anni '60.

   Il 1924, anno a cui si riferiscono le lettere che abbiamo menzionato, è anche il momento effettivo del cambiamento di direzione del partito e l'avvio di un suo diverso ruolo nelle vicende italiane a partire dagli avvenimenti legati all'assassinio di Giacomo Matteotti e alle vicende dell'Aventino.

   Partiamo dai mutamenti organizzativi nella direzione del partito. Nella riunione del Comitato Esecutivo allargato dell'IC del giugno del 1923 a Mosca, dopo un aspro dibattito sulle responsabilità dell'esecutivo del PCd'I nella gestione dei rapporti col PSI e nella mancata applicazione della linea del fronte unico, si era deciso di nominare un nuovo esecutivo escludendo Bordiga e di fatto assegnando la gestione del partito al gruppo che ruotava intorno a Gramsci. Questo gruppo non realizza però immediatamente la scelta da fare, che avviene di fatto solo un anno dopo, quando si arriva ad accettare e condividere senza riserve la linea dell'IC. A contrassegnare questo lento processo c'è la conferenza di organizzazione tenutasi a Como, in condizioni di assoluta clandestinità, nel maggio del 1924 che, nonostante le differenze politiche (vengono presentate tre tesi, quelle espresse dall'esecutivo rinnovato, quelle del gruppo bordighista e quelle della destra di Angelo Tasca), conferma Gramsci come segretario del partito, anche se la maggioranza sul piano dell'orientamento politico si esprime diversamente.

   Il banco di prova della nuova direzione però è la situazione che si crea ad appena un mese dalla conferenza di Como, nel giugno 1924, con l'assassinio di Giacomo Matteotti. Nel gestire questo cruciale passaggio, la direzione gramsciana dimostra di saper seguire una linea capace di cogliere le contraddizioni che si stanno esprimendo e di gestirle in modo corretto. Di fronte alla scissione parlamentare dell'Aventino, il partito comunista non rifiuta di misurarsi con le forze politiche riformiste, massimaliste, repubblicane, liberali che avevano preso quella decisione, ma a condizione che si uscisse dalla semplice protesta morale e si desse una prospettiva alla lotta antifascista vera. Matteotti aveva denunciato in parlamento il clima di terrore in cui le elezioni del 1924 si erano svolte e per questo Mussolini ne aveva decretato la condanna a morte. Nella situazione che si era creata, i comunisti sostenevano che l'Aventino si doveva trasformare in antiparlamento e con un movimento di massa antifascista che andasse allo scontro per rovesciare Mussolini.

   Ma l'Aventino non era nato per questo, ma si affidava alle manovre dietro le quinte, nella speranza che la monarchia e le forze ad essa collegate agissero contro il governo e abbandonassero Mussolini. Questo però non accadde e con il famoso discorso in cui in parlamento egli si assumeva la responsabilità politica e morale dell'omicidio si capisce che aveva ricevuto il via libera per andare avanti. Da chi? Dalla chiesa, dalla corona, dagli industriali ecc..

   In quel contesto i comunisti riprendono l'iniziativa, ritornando in parlamento e guidando direttamente il partito nella lotta. Il partito non si era isolato ma, col fallimento dell'Aventino, aveva dimostrato di essere l'unica forza di riferimento contro il fascismo. E non è un caso che in quel periodo, che viene definito aventiniano, il partito comunista aumenti i propri effettivi, praticamente triplicandoli, portandoli a 25.000 iscritti.

   Nell'agosto 1924, il 13 e il 14 del mese, in piena crisi Matteotti, si tiene una riunione del CC in cui Gramsci svolge una relazione su "La crisi italiana" [qui] in cui oltre a riassumere i termini della situazione, analizzando le varie ipotesi di sviluppo esprime due concetti su cui il partito si doveva muovere, precisando che:"Il compito essenziale del nostro partito consiste nella conquista della maggioranza della classe lavoratrice e che la fase che attraversiamo non è quella della lotta diretta per il potere, ma una fase preparatoria, di transizione alla lotta per il potere..."

   E ancora Gramsci al CC: "Il primo compito del nostro partito consiste nell'attrezzarsi in modo da diventare idoneo alla sua missione storica. In ogni fabbrica, in ogni villaggio deve esistere una cellula comunista che rappresenti il partito e l'Internazionale che sappia lavorare politicamente, che abbia l'iniziativa". Sulla capacità di ripresa del PCd'I e sui risultati della svolta interna arriva dal Comitato Esecutivo dell'IC una importante lettera [qui] che, oltre ad analizzare le vicende italiane, pone una pietra tombale sul ruolo di Bordiga che viene paragonato a Trotsky.

   Nel punto della lettera che ha come titolo "trotskismo e leninismo" si dice, a questo proposito: "Questa opposizione costante di Bordiga al leninismo, che noi ritroviamo nei problemi di tattica come in quelli di organizzazione, ha determinato il suo atteggiamento sul trotskismo. Bordiga su alcuni punti condivide le opinioni di Trotski e dopo aver esitato ha definitivamente aderito all'attacco che i trotskisti hanno condotto contro il leninismo nell'Internazionale comunista."

   Il III congressso del partito che si svolge nella più completa clandestinità dal 20 al 26 gennaio 1926 a Lione, in Francia, stabilisce la completa vittoria della linea gramsciana che viene votata da più del 90% dei delegati, il 90,8% per la precisione.

   Il dibattito congressuale viene riassunto, su indicazione di Gramsci, e pubblicato, non firmato, su l'Unità il 24 febbraio 1926. Il titolo del resoconto (che riportiamo [qui]) è "Cinque anni di vita del partito". Vi si descrivono i passaggi effettuati dal 1921 fino alla affermazione della nuova linea. In questo resoconto i punti fondamentali sono:

   1) La critica ai concetti teorici della sinistra bordighiana che vengono definiti non basati su una dialettica materialistica propria di Marx"ma sul vecchio metodo della dialettica concettuale proprio della filosofia premarxista e persino prehegeliana".

   2) La riaffermazione del principio che"il leninismo sostiene che il partito guida la classe operaia attraverso le organizzazioni di massa e sostiene quindi come uno dei compiti essenziali del partito lo sviluppo dell'organizzazione di massa".

   3) La difesa dei sindacati di classe, cercando di mantenere il massimo di coesione e di organizzazione sindacale tra le masse, e l'identificazione delle forze motrici della rivoluzione. "Dato che il proletariato industriale è da noi solo una minoranza della popolazione lavoratrice si pone con maggiore intensità che altrove il problema di quali siano le forze motrici della rivoluzione e quello della funzione direttiva del proletariato".

   Su questi tre punti, riappropriazione di un metodo marxista di analisi della realtà, rapporto tra partito e masse e individuazione delle forze motrici della rivoluzione in Italia si apre definitivamente la fase del superamento delle concezioni bordighiste.

   Ma il partito non potrà sviluppare la nuova prospettiva in condizioni di legalità. Le leggi speciali e i tribunali speciali per la difesa dello stato fascista, varati nell'ottobre-novembre del '26, impongono al PCd'I un nuovo corso in cui pagherà. un prezzo elevatissimo.