FUOCO SUL QUARTIER GENERALE
La grande rivoluzione culturale proletaria

Premessa

Lo scontro interno al PCC non rimase sul terreno del dibattito teorico e politico tra le due linee ma, come è noto, divenne un conflitto di massa con aspetti di vera e propria guerra civile. A portare la situazione a questo punto fu lo stesso Mao che il 5 agosto 1966, a pochi giorni dall'apertura a Pechino dell'undicesima sessione plenaria dell'VIII Comitato centrale affisse il famoso dazibao: 'Fuoco sul quartier generale'. A quel punto lo scenario nel movimento comunista travalicava le questioni poste dai comunisti cinesi dopo il XX congresso del PCUS e anche i termini della discussione sul 'Kruscev cinese' e sulla lotta tra le due linee.

Dopo le vicende sovietiche Mao ritiene infatti necessario aprire una nuova fase del percorso rivoluzionario della Cina, puntando alla liquidazione delle impalcature istituzionali nate dopo la proclamazione della Repubblica popolare e rimettendo in discussione la stessa natura dell'organizzazione del partito. Sullo sfondo rimane sempre lo scontro con la linea kruscioviana, ma questo non è che un punto di partenza di un processo che con la rivoluzione culturale ha uno sviluppo molto più generale e profondo.

Già all'epoca del 'grande balzo in avanti' si era avuta un'anticipazione dello strappo che Mao aveva introdotto allo schema uscito dalla vittoria contro il Kuomintang. Quella vittoria era stata ottenuta attraverso una sapiente azione del PCC che aveva saputo realizzare un'unificazione di forze attorno alla politica del partito garantendone il successo. Nei fatti quel sistema di alleanze era rimasto intatto, portandosi dietro ovviamente i compromessi e le contraddizioni.

La crisi apertasi con l'arrivo di Kruscev alla direzione del PCUS viene colta da Mao per rileggere la visione strategica del PCC in chiave di un rilancio rivoluzionario le cui anticipazioni, come si è detto, erano state l'esperienza del grande balzo in avanti e delle comuni popolari. Anche quella scelta non era stata indolore dentro il partito, contrapponendo chi, come Mao, vedeva lo sviluppo del socialismo come una rapida trasformazione globale dell'organizzazione sociale e produttiva, da gestire appunto con il sistema delle comuni, e chi invece poneva al centro la questione dello sviluppo delle forze produttive come premessa per ulteriori passaggi nella realizzazione di un sistema socialista.

La linea di Mao era: 'fare la rivoluzione e sviluppare la produzione', cioè mantenere il controllo diretto delle strutture dello stato e dell'economia in mano alla direzione rivoluzionaria ed impedire che tutto ciò finisse invece in mano agli 'esperti'. Liu Shaoqi era l'esponente di questa seconda tendenza, il 'Kruscev cinese' contro cui andava aperto il fuoco. Ma la cosa riguardava non solo qualche esponente di spicco, ma un'articolazione sociale e partitica il cui spessore è emerso immediatamente dopo la morte di Mao e nel corso stesso della rivoluzione culturale. Questo a Mao era chiaro dal momento che il suo dazibao affisso il 5 agosto 1966 all'ingresso della sala dove si svolgeva l'undicesima sessione dell'VIII comitato centrale titolava appunto 'fuoco sul quartier generale'. Questo fuoco andava diretto contro le strutture universitarie, scolastiche, culturali e artistiche ma nello stesso tempo investiva la direzione dell'organizzazione economica e produttiva, l'amministrazione dello stato, l'esercito e il partito. L'idea base della rivoluzione culturale non era quindi essenzialmente legata alle questioni della cultura e dell'arte, ma riguardava il modello complessivo dell'organizzazione sociale nella fase successiva alla presa del potere da parte dei comunisti.

Lo sviluppo degli avvenimenti che vanno dall'inizio della rivoluzione culturale nel 1966 agli anni successivi è descritto da Manlio Dinucci, un protagonista del marxismo-leninismo in Italia che per alcuni anni ha vissuto in Cina, nel suo libro 'La lotta di classe in Cina 1949-1974' di cui riportiamo il capitolo IV, 'La grande rivoluzione culturale proletaria' [qui] come vademecum per ripercorrerne i passaggi. Pubblichiamo inoltre il Programma in sedici punti della Rivoluzione culturale, [qui] documento approvato l'8 agosto 1966 dalla undicesima sessione plenaria del Comitato centrale del PCC.

La vittoria della linea di Mao fu sancita al IX congresso del PCC che si tenne a Pechino a partire dal 1° aprile del 1969, cioè tre anni dopo l'inizio dell'offensiva contro il quartier generale. Il IX congresso fu anche quello da cui Lin Piao emerse ufficialmente come successore designato di Mao. Ma la situazione non era affatto stabilizzata e già alla vigilia del IX congresso Chen Boda, uno dei dirigenti del comitato che dirigeva la rivoluzione culturale e stretto collaboratore di Lin Piao era stato emarginato. In realtà lo scontro tra le varie linee non era affatto concluso. E soprattutto il IX congresso del PCC non aveva bloccato lo scontro di massa che in Cina stava opponendo i comitati rivoluzionari a coloro che 'avevano inboccato la via capitalistica'.

Mao stesso dovette prender atto dei limiti e delle contraddizioni della rivoluzione culturale basata sulle guardie rosse e sul modo con cui queste stavano gestendo la lotta e, per dare forza e credibilità alla sua linea, apportò modifiche sostanziali all'impostazione iniziale. Non saranno più solo le guardie rosse e i comitati rivoluzionari a gestire i processi di trasformazione, ma il perno sarà quella che veniva definita la 'triplice unione': l'unità tra l'esercito popolare, i comitati rivoluzionari, la classe operaia. Lo slogan 'la classe operaia deve dirigere tutto' non era la riaffermazione di un principio ovvio per i comunisti, ma esprimeva la modificazione che Mao voleva imprimere all'impostazione della rivoluzione culturale, dando peraltro all'esercito popolare il compito di garantire la stabilità dei nuovi equilibri. E tra le rettifiche da apportare c'era anche la riorganizzazione del partito dopo la grande tempesta che lo aveva investito e di cui il IX congresso era stato un passaggio importante.

La rivoluzione culturale promossa col movimento delle guardie rosse e partita dalle università, nel giro di tre anni si trasforma in un nuovo assetto dello stato socialista basato sull'esercito popolare, sull'organizzazione operaia, sui comitati rivoluzionari e tutti questi settori rispondono al partito e a Mao. La sua linea politica si consolida, la rivoluzione culturale diventa l'espressione ideologica del partito e dei comitati rivoluzionari, ma l'equilibrio instabile che si determina in Cina non consente, aldilà delle posizioni declamatorie, la stabilizzazione di un nuovo livello su cui il movimento comunista avrebbe potuto attestarsi dopo l'offensiva controrivoluzionaria in URSS e nei paesi socialisti europei e le svolte riformiste nei partiti comunisti, a partire da quelli dell'Europa occidentale. E gli avvenimenti in Cina già prima della morte di Mao (liquidazione di Lin Piao, riabilitazione di Deng Hsiaoping, fatti di piazza Tien An Men dopo la morte di Ciu Enlai) ne sono la conferma.