LA GRANDE RIVOLUZIONE CULTURALE PROLETARIA

Da Manlio Dinucci, La lotta di classe in Cina 1949-1974,
Gabriele Mazzotta Editore, Milano, 1975, cap. IV, pp. 80-104

Alla conferenza di lavoro del Comitato centrale, che si apre nel settembre 1965, Mao Tsetung attacca il dramma di Wu Han, La destituzione di Hai Jui, denunciandone il signifi­cato attuale, cioè la difesa di Peng Teh-huai. Lo scopo poli­tico è evidente: nel gennaio 1962, alla conferenza di lavoro allargata del Comitato centrale, Liu Shao-chi aveva aperta­mente preso le difese di Peng Teh-huai, sostenendo che il suo programma era «assai conforme alla realtà» e che «non dovrebbe essere considerato un errore»; aveva quindi criti­cato l'attacco al gruppo di Peng Teh-huai come «una lotta erronea che è andata oltre i limiti». Qualche mese dopo, nel giugno 1962, con l'appoggio di Liu Shao-chi, lo stesso Peng Teh-huai aveva presentato un lungo documento nel quale attaccava nuovamente la linea generale. [1]

1. La critica al dramma di Wu Han

La critica al dramma di Wu Han inizia pubblicamente il 10 novembre 1965 dalle pagine di un giornale di Shanghai, il «Wenhui Bao» (Gazzetta letteraria), con l'articolo A pro- posito del nuovo dramma storico «La destituzione di Hai Jui». L'autore dell'articolo è un giornalista di Shanghai, Yao Wen-yuan.[2] Non si tratta di un'iniziativa individuale: Mao Tsetung è da tempo a Shanghai da dove coordina il piano d'attacco.[3]

Per quasi tre settimane i giornali controllati da Teng To ignorano l'articolo di Yao Wen-yuan; quindi, il 29 novem­bre, il «Beijing Ribao» lo pubblica, accompagnandolo con una nota redazionale in cui si afferma che sul dramma di Wu Han «esistono opinioni differenti e, se le opinioni sono differenti, bisogna aprire una discussione»; il 12 dicembre, lo stesso «Beijing Ribao» e la rivista «Qianxian» danno grande rilievo a un articolo in cui Teng To, sotto lo pseudo­nimo di Hsiang Yang-sheng, critica Wu Han per aver se­guito nel suo dramma l'idealismo storico. Il 27 dicembre, sempre dalle pagine del «Beijing Ribao», Wu Han ringra­zia Hsiang Yang-sheng perché, criticandolo, gli ha fatto comprendere il suo errore: il tentativo è di invischiare l'at­tacco in una discussione accademica.

Una analoga mossa diversiva viene compiuta da Chou Yang il quale, in un discorso a una conferenza nazionale di giovani scrittori alla fine del 1965, parla positivamente del­le opere su temi contemporanei:[4] si tratta di una tattica de­cisa da chi sta dietro le «autorità». Dal 3 al 7 febbraio 1966, sotto la direzione di Peng Chen, membro dell'Ufficio politico e sindaco di Pechino, viene messo a punto il Piano del resoconto, un programma in cui si cerca di togliere al mo­vimento di critica il carattere politico attuale, portando il dibattito sul piano accademico.[5]

Contemporaneamente, dal 2 al 20 febbraio si tiene a Shanghai un dibattito sul lavoro letterario e artistico nelle forze armate, presieduto da Chiang Ching. Il verbale,[6] che verrà inviato al comitato permanente della Commissione militare del Comitato centrale del Partito il 22 marzo, met­te in rilievo l'importanza della lotta che si svolge tra prole­tariato e borghesia per impadronirsi della direzione del fron­te culturale, in quanto «se non prenderemo in pugno tale questione, la linea nera avrà campo libero per occupare nu­merose posizioni». Il verbale si chiude con l'appello a con­durre la Rivoluzione culturale socialista per radicare l'ideo­logia proletaria ed estirpare l'ideologia borghese.

Di fronte alla crescente pressione, la rivista «Qianxian» e il «Beijing Ribao» e, immediatamente dopo, il «Beijing Wanbao» pubblicano il 16 aprile un lungo articolo di criti­ca al «Villaggio dei tre» e alle Chiacchierate di Teng To, ac­compagnato da una nota in cui si ammette l'errore di aver pubblicato gli articoli senza sottoporli in tempo utile alla critica, di non aver messo la politica proletaria al posto di comando, di aver allentato la vigilanza nell'aspra lotta in corso.

La risposta viene dal «Jiefangjiun Bao» (Quotidiano dell'Esercito di liberazione) che, due giorni dopo, lancia l'appello Innalziamo la grande bandiera rossa del pensiero di Mao Tsetung - Partecipiamo attivamente alla grande rivoluzione culturale socialista![7] «Nei sedici anni dopo la fondazione del­la Repubblica», afferma l'editoriale, «è sempre esistita nei nostri ambienti letterari e artistici una linea nera antipartito e antisocialista contraria al pensiero di Mao Tsetung.» L'8 maggio, lo stesso giornale annuncia: Fuoco sulla linea nera![8]

Il 10 maggio, Yao Wen-yuan, in un articolo pubblicato dal «Wenhui Bao» e dal «Jiefang Ribao» (Liberazione), attacca a fondo il «Villaggio dei tre».[9]

«Tutti coloro che si oppongono al pensiero di Mao Tse­tung, che ostacolano l'avanzata della rivoluzione socialista, che sono ostili agli interessi dei popoli rivoluzionari della Cina e del mondo verranno senza eccezione smascherati, cri­ticati e rovesciati, siano essi "padroni" o "autorità", facciano parte di un "Villaggio dei tre" o dei "quattro". Non impor­ta quanto famosi siano, quali importanti posizioni occupino, da chi siano diretti e appoggiati, o quanto numerosi siano i loro sostenitori. Il principio è: se non vince il Vento dell'Est, vince il Vento dell'Ovest.»

Queste parole sono l'eco dell'acuto scontro in atto nel Partito.

2. La Circolare del 16 maggio

Il 12 febbraio 1966, viene diffuso nel Partito un docu­mento sulla Rivoluzione culturale: Lo schema di rapporto sull'attuale discussione accademica redatto dal gruppo dei cinque incaricato della rivoluzione culturale. Del gruppo fa parte il membro dell'Ufficio politico, Peng Chen, il quale controlla il Comitato municipale di partito della capitale. Tre mesi dopo, il 16 maggio, il Comitato centrale dirama una circola­re[10] in cui annulla lo Schema di rapporto «approvato per la distribuzione il 12 febbraio 1966», scioglie il Gruppo dei cinque e crea un nuovo Gruppo posto sotto il controllo di­retto del Comitato permanente dell'Ufficio politico.

E' evidente che tra febbraio e maggio avviene tra le due linee una prova di forza che non si limita al dibattito ideo­logico. Non è da escludere che, intuendo l'obiettivo finale del movimento, Liu Shao-chi abbia tentato in febbraio un colpo di mano tramite il capo di Stato maggiore, Lo Jui-ching, e che esso sia stato sventato dall'Esercito.

Lo Schema di rapporto, che il Comitato centrale annulla, tenta di incanalare il movimento per portarlo su un terreno accademico: riferendosi alla questione de La destituzione di Hai Jui, afferma che «la discussione sulla stampa non deve limitarsi alle questioni politiche, ma deve approfondire i vari problemi accademici e teorici», poiché «è necessario non solo battere la parte avversa politicamente, ma anche superarla e batterla realmente di un vasto margine per quanto riguarda il livello accademico». Riguardo al caratte­re della Rivoluzione culturale, lo Schema di rapporto di­chiara che esso deve essere contraddistinto da una grande «apertura»; si richiama, a tale proposito, al discorso pronunciato da Mao Tsetung il 12 marzo 1957 alla Conferenza nazionale del Partito sul lavoro di propaganda.[11] Partendo dal principio che «ognuno è uguale di fronte alla verità», sostiene che «non dobbiamo comportarci come studiosi di­spotici che agiscono sempre arbitrariamente e tentano di so­praffare gli altri con il loro potere» e che «dobbiamo essere vigilanti contro qualsiasi tendenza che porti i lavoratori ac­cademici a prendere la via degli esperti borghesi e degli stu­diosi dispotici». Contro queste tendenze chiede una campa­gna di rettifica.

Per ciò che concerne la lotta della Rivoluzione culturale, lo Schema sottolinea che essa deve essere condotta «con prudenza» e «con l'approvazione degli organi dirigenti competenti». «Attraverso questa lotta», afferma, «e sotto la guida del pensiero di Mao Tsetung, prepareremo la via alla soluzione di questo problema, alla completa eliminazio­ne delle idee borghesi nel campo del lavoro accademico.»

Con la Circolare del 16 maggio, il Comitato centrale de­nuncia lo Schema di rapporto come una manovra, messa in atto da Peng Chen, per opporsi alla Rivoluzione culturale. Dopo aver denunciato il tentativo di nascondere la natura politica del dibattito in corso attorno al dramma di Wu Han, la Circolare confuta la linea che lo Schema di rapporto intendeva imprimere alla Rivoluzione culturale: ricorda che il concetto di «apertura», contenuto nel discorso di Mao Tsetung alla Conferenza nazionale del Partito sul lavoro di propaganda, significa permettere al popolo di parlare, criti­care, discutere, non significa liberalizzazione borghese, che permetterebbe alla borghesia di godere della «apertura» ma non permetterebbe al proletariato di colpire a sua volta.
Riguardo al concetto di «uguaglianza», il documento af­ferma:

«Si può forse permettere che esista una qualche ugua­glianza su problemi basilari come la lotta del proletariato contro la borghesia, la dittatura del proletariato sulla bor­ghesia, la dittatura del proletariato nella sovrastruttura, compresi i vari settori della cultura, e i continui sforzi del proletariato per scacciare dalle proprie file quei rappresen­tanti della borghesia che si sono infiltrati nel Partito comu­nista e agitano la bandiera rossa per opporsi alla bandiera rossa? Per decenni i socialdemocratici della vecchia guardia e per oltre dieci anni i moderni revisionisti non hanno mai concesso al proletariato l'uguaglianza con la borghesia. Essi negano assolutamente che la storia umana di parecchie mi­gliaia di anni sia una storia di lotta di classe. Negano com­pletamente la lotta di classe del proletariato contro la bor­ghesia, la rivoluzione proletaria contro la borghesia e la dit­tatura del proletariato sulla borghesia. Al contrario, sono fe­deli lacchè della borghesia e dell'imperialismo. Insieme con la borghesia e l'imperialismo rimangono radicati all'ideolo­gia borghese dell'oppressione e dello sfruttamento del prole­tariato e al sistema capitalistico, e si oppongono all'ideologia marxista-leninista e al sistema socialista.

«Essi sono un pugno di controrivoluzionari che si oppon­gono al Partito comunista e al popolo. La loro lotta contro di noi è una lotta per la vita o la morte e non è certo que­stione di uguaglianza. Quindi, anche la nostra lotta contro di loro non può essere altro che una lotta per la vita o la morte, e il nostro rapporto con loro non può essere assoluta­mente un rapporto di uguaglianza. Al contrario, è il rappor­to di una classe che opprime un'altra classe, cioè la dittatura del proletariato sulla borghesia. Non può esistere un altro tipo di rapporto come un cosiddetto rapporto di uguaglian­za, di coesistenza pacifica tra classi sfruttatrici e classi sfrut­tate.»

Dopo aver sottolineato che lo Schema di rapporto attacca la sinistra proletaria e difende la destra borghese, preparan­do così l'opinione pubblica alla restaurazione del capitali­smo, la Circolare afferma che «questo è un riflesso dell'ideologia borghese nel Partito, questo è revisionismo vero e proprio. La lotta contro tale linea revisionista non solo non è un problema di secondaria importanza, ma è un problema di importanza fondamentale che esercita un'in­fluenza vitale sul destino del nostro Partito e del nostro Sta­to, sul futuro carattere del nostro Partito e del nostro Stato e sulla rivoluzione mondiale.»

I membri del Partito sono chiamati non solo a criticare le idee borghesi nel campo del lavoro accademico, dell'istru­zione, del giornalismo, della letteratura, dell'arte e delle pubblicazioni, e ad assumere la direzione in questi settori culturali, ma, al tempo stesso, a «criticare e ripudiare quei rappresentanti della borghesia che si sono infiltrati nel Par­tito, nel governo, nell'esercito e in ogni settore culturale, allontanarli o trasferire alcuni di essi ad altri incarichi. Innan­zitutto non dobbiamo dare a queste persone il compito di guidare la Rivoluzione culturale: infatti, molti di costoro hanno svolto e ancora svolgono questo lavoro, e ciò è estre­mamente pericoloso.»

Dopo aver messo in rilievo che tali rappresentanti della borghesia sono un gruppo di revisionisti i quali, una volta maturate le condizioni, si impadronirebbero del potere e trasformerebbero la dittatura del proletariato in dittatura della borghesia, il documento del Comitato centrale affer­ma: «Alcuni di costoro li abbiamo già individuati, altri no. Altri ancora, ad esempio gli individui del tipo di Kruscev, godono ancora della nostra fiducia, vengono formati come nostri successori e si trovano attualmente in mezzo a noi.»

3. Il primo dazibao

La città universitaria di Pechino, Beida, è una roccaforte della linea di Liu Shao-chi. Divisa in 17 facoltà umanistiche e scientifiche con un totale di 2.100 insegnanti e circa 10 mila studenti, si trova sotto il diretto controllo del Comita­to municipale di partito della capitale. Nel 1957, Peng Chen aveva concentrato le cariche di rettore e segretario di partito nelle mani di un suo uomo di fiducia, Lu Ping. Ave­re in mano Beida significa per Liu Shao-chi e i suoi seguaci poter influire su quelle migliaia di giovani che, una volta laureati, andranno a occupare posti di direzione; potersi for­mare, attraverso un'oculata concessione di favori, una cer­chia di fedeli, estendendo così la propria rete in altri settori e sempre più in profondità.

A tale scopo, è stata creata una serie di filtri che opera una precisa selezione. Il primo è il criterio di ammissione: gli esami, che i candidati devono sostenere per entrare all'Università, sono improntati a criteri di erudizione che, naturalmente, favoriscono i giovani di famiglia borghese, provenienti da un ambiente culturalmente più elevato, ri­spetto ai figli di operai e contadini i quali, pur possedendo capacità uguali o superiori e una impronta di classe proleta­ria, vengono da famiglie che, dopo secoli di analfabetismo, hanno imparato a tracciare i primi caratteri dopo la Libera­zione. Nel 1958, nel momento in cui la classe operaia e le masse contadine realizzavano il Grande balzo nell'industria e nell'agricoltura, a Beida, fra gli studenti ammessi in otto facoltà, appena 237 erano figli di operai e contadini poveri e medi inferiori; di questi, solo 45 erano arrivati alla laurea; negli anni successivi, la percentuale degli studenti di origine operaia e contadina aveva subito un ulteriore calo: era scesa dal 67 per cento nel 1958 al 38 per cento nel 1962,[12] men­tre veniva intensificata la discriminazione anche al momen­to in cui, terminati i corsi, i laureati erano assegnati ai posti di lavoro.

A questa selezione si aggiunge l'indirizzo generale dei corsi: Lu Ping è fautore di una cultura al di sopra delle clas­si ed è in questo sostenuto da Lu Ting-yi, direttore del Di­partimento della propaganda del Comitato centrale, il quale dichiara nel 1962 che nelle scuole cinesi si deve insegnare non solo marxismo ma anche antimarxismo.[13] Soprattutto Lu Ping e i suoi collaboratori cercano di infondere negli stu­denti la concezione che gli alti voti e la laurea significano possibilità di carriera e fama; strumenti, consapevoli o in­consapevoli, di questo indirizzo sono diversi professori for­matisi nelle vecchie università cinesi o all'estero.

Su vari aspetti dell'insegnamento e della vita universita­ria, si era sviluppata un'opposizione condotta, all'inizio, da piccoli gruppi che non avevano ancora chiaro che tali aspet­ti rientravano in una determinata linea. Col passare del tem­po, le divergenze si erano rivelate sempre più come una lot­ta tra concezioni diametralmente opposte, la quale aveva raggiunto una fase acuta nell'estate-autunno 1964 quando, nel corso del movimento di educazione socialista, Lu Ping era stato attaccato come revisionista; Peng Chen aveva get­tato il suo peso sulla bilancia facendo interrompere il movi­mento di critica nel gennaio 1965.

Subito dopo, Lu Ping era passato al contrattacco convo­cando i membri di partito, che si erano distinti nel movi­mento di critica, all'Albergo Internazionale, nei pressi della sede del Comitato municipale di partito, per una riunione di «rettifica dello stile di lavoro». Mentre essi venivano denunciati come «cricca antipartito», Peng Chen, nel giugno 1965, aveva tenuto un discorso ai membri di partito dell'Università ordinando di attaccare coloro che avevano sollevato le critiche. In luglio, 300 erano stati convocati per la seconda volta all'Albergo Internazionale, perché facessero l'autocritica ammettendo di aver rivolto attacchi del tutto infondati. La maggioranza aveva ceduto alla pressione, altri avevano mantenuto le proprie posizioni. Sottoposti a ore di interrogatorio, sorvegliati in ogni momento, avevano cerca­to di rivolgersi direttamente al Comitato centrale, ma le loro richieste erano state intercettate. Nel gennaio 1966, dopo sette mesi, Lu Ping aveva chiuso la «riunione».

Questa è la situazione all'Università di Pechino nel mo­mento in cui si solleva la critica contro il «Villaggio dei tre». Soprattutto dopo la pubblicazione, avvenuta l'8 mag­gio 1966, degli articoli Fuoco sulla linea nera antipartito e an­tisocialista e Intensificare la vigilanza, distinguere il vero dal fal­so,[14] Lu Ping si affretta a prendere dei provvedimenti; in una riunione di emergenza, il 14 luglio, comunica che, se­condo le direttive del Comitato municipale, le organizzazio­ni di partito dell'Università devono rafforzare la loro opera di direzione del movimento. La lotta ideologica in corso, in­siste Lu Ping, è una seria lotta di classe e qualsiasi osserva­zione contro il Partito e contro il socialismo deve essere completamente confutata sul piano teorico; devono essere impediti i raduni e i giornali murali a grandi caratteri, ai quali occorre sostituire riunioni di piccoli gruppi e saggi cri­tici. Lu Ping tenta di seguire il metodo adottato all'Univer­sità nella critica contro il dramma di Wu Han: invece di su­scitare un dibattito aveva ordinato ai membri di partito del­la facoltà di legge di consultare 1500 volumi, per un totale di 14 milioni di caratteri, sulla questione del «rovesciamen­to dell'ingiusto verdetto» su Hai Jui.

Quando giunge la Circolare del 16 maggio, Lu Ping cerca di temporeggiare ma, quattro giorni dopo, è costretto a co­municarne il testo alle organizzazioni di partito dell'Univer­sità; coloro che erano stati attaccati da Peng Chen e Lu Ping hanno la prova che le critiche colpivano nel segno. Circola intanto la notizia che il 26 maggio il rettore convocherà un raduno di «accusa contro la linea nera antipartito e antisocialista», ma il nuovo tentativo non riesce: il 25 maggio 1966, alle due di pomeriggio, viene affisso sul muro esterno del refettorio un giornale murale a grandi caratteri firmato da sette professori e studenti della facoltà di filosofia: è il dazibao che dà il via al movimento di massa della Grande rivoluzione culturale proletaria.[15]

Il manifesto intitolato Cosa stanno tramando Sung Shi, Lu Ping e Peng Pei-yung[16] nella rivoluzione culturale?, dichiara che le masse nell'Università sono immobilizzate, che vi regna un'atmosfera di indifferenza e di torpore e, dopo aver de­nunciato il tentativo di Lu Ping e dei suoi seguaci di devia­re la lotta politica in discussioni accademiche, afferma:

«Perché avere tanta paura dei dazibao e dei grandi raduni di denuncia? Contrattaccare la sinistra banda che ha attac­cato in modo sfrenato il Partito, il socialismo e il pensiero di Mao Tsetung è una lotta di classe mortale. Il popolo rivo­luzionario deve essere pienamente mobilitato per denuncia­re con vigore e con rabbia questa banda, e tenere grandi ra­duni e affiggere manifesti a grandi caratteri è uno dei modi migliori in cui le masse conducono questa battaglia. "Gui­dando" le masse a non tenere grandi raduni, a non affiggere manifesti a grandi caratteri e creando ogni sorta di tabù, non state voi reprimendo la rivoluzione e le masse? Non state impedendo loro di fare la rivoluzione? Non state av­versando la loro rivoluzione? Noi non permetteremo mai che lo facciate.

«Voi gridate ai quattro venti che bisogna "rafforzare la direzione e stare saldamente al proprio posto". Ciò dimostra chi siete in realtà. Nel momento in cui le masse rivoluzio­narie si sollevano impetuosamente in risposta all'appello del Comitato centrale del Partito e del presidente Mao per con­trattaccare decisamente la sinistra banda antipartito e anti­socialista, voi gridate "Rafforzare la direzione e stare salda­mente al proprio posto". Non è ormai chiaro che genere di "posto" voi volete mantenere, e in favore di chi, e che gene­re di persone siete e quali spregevoli inganni state traman­do? Ancora oggi voi state resistendo disperatamente. Ancora "state fermamente" ai vostri "posti" in modo da sabotare la Rivoluzione culturale. Ascoltate, un verme non può arre­stare la ruota del carro, una zanzara non può abbattere un albero. I vostri sono semplicemente sogni.

«Intellettuali rivoluzionari, è il momento di scendere in battaglia. Uniamoci, tenendo alta la grande bandiera rossa del pensiero di Mao Tsetung. Uniamoci attorno al Comitato centrale del Partito e al presidente Mao e infrangiamo l'au­torità e i complotti dei revisionisti; spazziamo via risoluta­mente, a fondo, totalmente e completamente tutti i mostri e tutti i revisionisti controrivoluzionari del tipo di Kruscev e portiamo la rivoluzione socialista sino in fondo.»

La reazione di Lu Ping è immediata: poche ore dopo, il dazibao è ricoperto da altri manifesti pieni di insulti, quindi i seguaci del rettore aggrediscono i sette firmatari. In tutta l'Università si accendono violente discussioni; per alcuni giorni, Lu Ping ricorre a mezzi coercitivi, ma ormai la situa­zione è in moto. Il 1° giugno, la radio trasmette il dazibao dell'Università di Pechino, portandolo ad esempio: è un ap­pello ai membri di partito e alle masse popolari perché, in­sieme, insorgano contro «tutti i revisionisti controrivoluzio­nari del tipo di Kruscev».

Il giorno seguente, il dazibao appare sull'organo di partito, accompagnato da un articolo del Commentatore, il quale af­ferma che il giornale murale a grandi caratteri affisso a Beida ha smascherato una grossa cospirazione della «banda del Villaggio dei Tre» che, per mezzo di Lu Ping e altri, aveva­no fatto dell'Università di Pechino la propria roccaforte. Ri­volgendosi a Lu Ping, il Commentatore domanda: «Che ge­nere di partito è quello di cui parli? Che genere di discipli­na è la tua? Il partito di cui parli non è un vero ma un falso partito comunista, è un partito revisionista. La tua discipli­na è spietata repressione dei rivoluzionari proletari.[...]. Per ciò che riguarda noi rivoluzionari proletari, è la disciplina del Partito comunista cinese alla quale obbediamo, ed è la giusta direzione del Comitato centrale del Partito con alla testa il presidente Mao che accettiamo senza riserve. Ogni direzione erronea che metta in pericolo la rivoluzione non deve essere accettata, anzi deve essere fermamente respinta.[...]. II popolo dell'intero paese si solleverà, lotterà e abbat­terà tutti coloro che si oppongono al presidente Mao, al pensiero di Mao Tsetung, alle direttive del presidente Mao e del Comitato centrale del Partito, non importa quale bandiera agitino, non importa quanto siano in alto o quanti anni di anzianità abbiano, poiché, in effetti, essi rappresen­tano gli interessi delle classi sfruttatrici rovesciate.»[17]

La stessa voce ufficiale del Partito chiama le masse a re­spingere «ogni direzione erronea che metta in pericolo la ri­voluzione», ad abbattere quei dirigenti che si oppongono al movimento della Rivoluzione culturale. Specificando che tali responsabili devono essere comunque abbattuti, «non importa quanto siano in alto e quanti anni di anzianità ab­biano», il Commentatore indica chiaramente alle masse che essi si trovano nello stesso vertice del Partito.

Il 4 giugno, il «Renmin Ribao» annuncia che il Comita­to centrale ha riorganizzato il Comitato municipale di parti­to della capitale e che il nuovo Comitato, a sua volta, ha de­ciso di riorganizzare il Comitato di partito dell'Università di Pechino e ha deposto Lu Ping e altri dirigenti dai loro inca­richi. Le redazioni del «Beijing Ribao» e del «Beijing Wanbao», (i giornali controllati da Teng To) sono sostitui­te. La pubblicazione della rivista «Qianxian» viene sospe­sa.[18]

Alla notizia della riorganizzazione, una fiumana di lavo­ratori e di studenti comincia ad affluire alla sede del Comi­tato municipale per esprimere il proprio appoggio alla deci­sione del Comitato centrale.

4. Il movimento nelle scuole

Il primo gruppo di guardie rosse si forma a Pechino il 23 maggio 1966 nella scuola media femminile annessa all'Uni­versità Tsinghua. Poi, di scuola in scuola, i gruppi si molti­plicano, mantenendosi all'inizio su uno stretto criterio di origine di classe - figli di operai e di contadini poveri e medi inferiori, figli di soldati dell'Esercito popolare, di qua­dri entrati nel Partito prima del 1945 e di martiri rivoluzio­nari - quindi estendendosi a tutti i giovani rivoluzionari. Sono questi gruppi che danno vita al movimento di critica nelle scuole.

Una prima richiesta è contenuta nella lettera che le stu­dentesse della quarta classe della Scuola media superiore femminile N. 1 di Pechino inviano il 6 giugno al Comitato centrale del Partito:[19] essa sostiene che il sistema degli esa­mi di ammissione all'Università costituisce una continuazio­ne del vecchio sistema feudale. Tale metodo, che va contro la concezione di Mao Tsetung, secondo cui l'istruzione deve essere al servizio della politica del proletariato ed integrarsi con il lavoro produttivo, non fa che approfondire la diffe­renza tra lavoro manuale e lavoro mentale: molti giovani, per superare gli esami di ammissione all'Università, si im­mergono nei libri, tralasciando completamente la politica; rischiano cosi di assimilare la concezione borghese della su­periorità dell'uomo colto e studiano per «diventare qualcu­no». Inoltre, molte scuole si fanno un punto d'onore di fare entrare all'Università un alto numero di loro allievi e quindi cercano di accaparrarsi il maggior numero possibile di «pri­mi della classe», indipendentemente dalla loro coscienza politica. Si formano cosi delle scuole di élite, dalle quali ven­gono discriminati i figli di operai e contadini.

Tale sistema, che trascura la rivoluzionarizzazione ideolo­gica della gioventù si afferma nella lettera, è uno strumento per la restaurazione capitalistica usato dal gruppo antiparti­to di Teng To, in quanto mira a formare una casta di buro­crati e un'aristocrazia tecnica; su di esse ripongono le loro speranze anche gli imperialisti americani perché possa avve­nire una «evoluzione pacifica» della Cina verso il capitali­smo. Le studentesse fanno due proposte: che gli esami di ammissione vengano aboliti; che i diplomati delle scuole medie superiori vadano a integrarsi con le masse lavoratrici e, in base al giudizio degli operai e dei contadini, il Partito scelga coloro che devono accedere all'Università. Il fatto di andare tra le masse, al lavoro produttivo, non prima ma dopo aver compiuto gli studi universitari, è giudicato nega­tivo in quanto, a quel momento, la visione del mondo del giovane si è fondamentalmente formata e una sua trasfor­mazione è difficile se egli ha acquistato la mentalità di ser­virsi della cultura come di un capitale che gli permette di avere in cambio privilegi nel Partito e tra le masse. La cosa più importante, afferma la lettera, è conseguire un «diploma ideologico» dalla classe operaia e dai contadini poveri e medi inferiori.

Una settimana dopo, il 13 giugno, il Comitato centrale e il Consiglio di Stato annunciano la decisione di riformare il sistema degli esami di ammissione all'Università. Il Comita­to centrale ammette che, anche se dalla Liberazione in poi si sono compiuti dei miglioramenti, il metodo degli esami di ammissione non è riuscito, in linea generale, a liberarsi delle caratteristiche del sistema degli esami borghesi, e ciò ha danneggiato l'accesso dei figli degli operai e contadini all'Università; viene quindi deciso di cambiare il vecchio si­stema e di rinviare di sei mesi l'ammissione per il 1966, in modo che gli studenti possano condurre la Rivoluzione cul­turale e possano essere elaborati nuovi metodi di selezione.[20] Come è avvenuto per la riorganizzazione del Comitato municipale di Pechino, anche questa decisione del Comitato centrale suscita grande entusiasmo: cortei di studenti e lavo­ratori portano messaggi di appoggio agli uffici del Comitato centrale; anche in altre città come Shanghai, Tientsin, Kwangchow, si tengono grandi manifestazioni di massa; le vie della capitale risuonano di gong e tamburi.

Ma i gong e i tamburi, suonati per celebrare la vittoria, annunciano in realtà l'inizio di una dura, lunga battaglia.

5. I gruppi di lavoro

Fra le disposizioni prese dal nuovo Comitato municipale di partito della capitale c'è quella di inviare gruppi di lavo­ro a Beida e nelle altre Università per dirigere la Rivoluzio­ne culturale:[21] in base a tale disposizione, il 9 giugno giunge al Politecnico Tsinghua di Pechino un gruppo di lavoro del Partito. Anche qui, sulla scia del dazibao dell'Università di Pechino, si è levata un'ondata di critica che ha investito il rettore Tsang Nan-chang e alcuni dirigenti di partito, i qua­li vengono accusati di aver seguito una linea mirante a for­mare un'élite di intellettuali borghesi.

Due giorni dopo il suo arrivo, il gruppo di lavoro, composto da cinquecento membri, convoca gli oltre cinquecento quadri dell'Università comunicando loro di essere venuto ad assumere la direzione e invitandoli a fare l'autocritica, an­nuncia quindi agli studenti che «non c'è un solo quadro buono in questa Università», che «tutto è marcio, dai co­mitati del Partito e della Lega della gioventù sino alle cellu­le generali delle facoltà e alle cellule di base».

Destituiti i responsabili delle organizzazioni di partito, il gruppo di lavoro occupa i loro posti o li assegna a membri candidati, ammessi nel Partito con alcuni mesi di anticipo sul periodo regolamentare di candidatura. Ai quadri desti­tuiti non si permette di partecipare alle riunioni di massa né di scrivere o leggere dazibao: sono confinati nelle loro came­re a scrivere l'autocritica e a studiare il libro di Liu Shao-chi Come divenire un buon comunista. Nello spazio di pochi gior­ni, il movimento della Rivoluzione culturale viene soffocato e i pochi responsabili contro i quali si è concentrato il fuoco delle critiche spariscono nella massa dei quadri destituiti.

Non tutti, però, sottostanno a tale metodo: undici stu­denti del terzo anno di ingegneria chimica iniziano un at­tacco contro il gruppo di lavoro, accusandolo di voler soffo­care il movimento di massa; i loro giornali murali a grandi caratteri riaccendono il dibattito. La sua eco, evidentemen­te, supera le mura dell'Università se, il 19 giugno, giunge al Politecnico la moglie di Liu Shao-chi, Wang Kuang-mei, che ordina l'apertura immediata di un'indagine sugli undici studenti autori delle critiche. Nel corso di un dibattito pub­blico, alla presenza di tutti gli studenti e insegnanti, gli un­dici vengono bollati come gruppo di destra: la tesi dell'ac­cusa è che «il gruppo di lavoro rappresenta la direzione del Partito, e quindi chiunque gli si oppone è un controrivolu­zionario».[22] Una situazione simile si crea nelle altre Univer­sità e scuole in cui sono giunti i gruppi di lavoro: i quadri vengono destituiti in massa e il movimento di critica viene soffocato; chi si oppone è bollato come controrivoluziona­rio, ma anche dove l'opposizione non si rivela molto forte il gruppo di lavoro scopre dei «controrivoluzionari».

Liu Shao-chi e i suoi seguaci stanno nuovamente riuscen­do a imbrigliare il movimento quando, rientrato a Pechino il 18 luglio dopo aver compiuto due giorni prima una nuotata di parecchi chilometri nello Yangtse e aver così messo a tacere le voci circa un suo precario stato di salute, Mao Tsetung ordina il ritiro immediato dei gruppi di lavoro. Il 21 luglio, l'editoriale del «Renmin Ribao» afferma che «non si può assolutamente permettere che membri del Par­tito comunista assumano l'atteggiamento da signori borghesi nei confronti delle masse. La Grande rivoluzione culturale proletaria è esattamente una rivoluzione diretta contro i de­spoti borghesi. Se un comunista non impara modestamente dalle masse ma adotta nei loro confronti un atteggiamento da burocrate, in che senso egli è comunista?»[23]

Mentre il movimento delle guardie rosse riprende slancio in tutti gli istituti, Mao Tsetung, il 1° agosto 1966, indirizza una lettera alla scuola media femminile annessa all'Univer­sità Tsinghua.

«Le azioni rivoluzionarie delle guardie rosse», afferma, «sono una dimostrazione di collera e di condanna verso tut­ti i proprietari fondiari, i borghesi, gli imperialisti, i revisio­nisti e i loro lacchè che sfruttano e opprimono i contadini, gli operai, gli intellettuali rivoluzionari e i partiti politici ri­voluzionari, dimostrano che è giusto ribellarsi contro i rea­zionari. Vi esprimo il mio caloroso appoggio. Noi vi soste­niamo e nello stesso tempo vi chiediamo di fare attenzione a conseguire l'unità con tutte le forze che possono essere coalizzate. Quanto a coloro che hanno commesso gravi erro­ri, bisogna, dopo aver denunciato i loro errori, dare anche a loro un lavoro e offrirgli una via d'uscita per correggersi e diventare uomini nuovi. Marx ha detto che il proletariato non deve soltanto emancipare se stesso, deve emancipare tutta l'umanità. Se non è in grado di emancipare tutta l'umanità, lo stesso proletariato non può emanciparsi defini­tivamente. Prego i compagni di prestare attenzione anche a questa tesi.»[24]

6. I 16 Punti

Il 1° agosto 1966, lo stesso giorno in cui Mao Tsetung con la sua lettera dichiara l'appoggio del Partito al movimento delle guardie rosse, si apre l'undicesima sessione ple­naria dell'VIII Comitato centrale. Il 5, Mao Tsetung scrive il dazibao, Fuoco sul quartiere generale!, indicando che è giun­to il momento di iniziare l'attacco contro il vertice della li­nea di destra. Dopo aver lodato il giornale murale a grandi caratteri dell'Università di Pechino - il primo dazibao mar­xista-leninista della Cina - e l'articolo dedicatogli dal Com­mentatore del «Renmin Ribao», Mao Tsetung denuncia che «negli ultimi cinquanta giorni alcuni compagni diri­genti, dai livelli centrali a quelli locali, hanno agito in modo diametralmente opposto. Adottando la posizione reazionaria della borghesia, hanno imposto una dittatura borghese e re­presso il nascente movimento della Grande rivoluzione cul­turale del proletariato. Hanno capovolto i fatti facendo pas­sare il bianco per nero, hanno accerchiato e represso i rivo­luzionari, hanno soffocato le opinioni diverse dalle loro, hanno imposto il terrore bianco e si sono sentiti molto sod­disfatti. Hanno gonfiato l'arroganza della borghesia e abbat­tuto il morale del proletariato.» Il dazibao scritto da Mao Tsetung non viene reso pubblico ufficialmente.[25]

Il risultato della lotta in corso nel Comitato centrale ap­pare chiaro dalla Decisione sulla Grande rivoluzione culturale proletaria che esso adotta l'8 agosto.[26] II documento, artico­lato in 16 punti, può essere cosi sintetizzato.

1) Gli obiettivi della Rivoluzione culturale

«La Grande rivoluzione culturale proletaria in corso è una grande rivoluzione che tocca l'uomo nel più profondo dell'animo. Essa rappresenta una nuova tappa, caratterizzata da una maggiore profondità e ampiezza, dello sviluppo della rivoluzione socialista del nostro paese.» Dopo aver ricorda­to il principio, enunciato da Mao Tsetung alla sessione ple­naria, che sia le classi rivoluzionarie che quelle controrivo­luzionarie per rovesciare un potere politico preparano l'opi­nione pubblica lavorando in campo ideologico, il documen­to afferma che «benché rovesciata, la borghesia, attraverso le vecchie idee, la vecchia cultura, i vecchi costumi e le vecchie abitudini, tenta di corrompere le masse e impadro­nirsi della loro mente per preparare la propria restaurazione. Il proletariato deve fare il contrario: deve rispondere a ogni sfida lanciata dalla borghesia in campo ideologico e usare le nuove idee, la nuova cultura, i nuovi costumi e le nuove abitudini proletarie per trasformare l'aspetto mentale dell'intera società. Attualmente, il nostro obiettivo è com­battere e annientare coloro che, raggiunti posti di direzione, hanno imboccato la via del capitalismo, criticare le ''autori­tà" accademiche reazionarie della borghesia e di tutte le al­tre classi sfruttatrici, e trasformare l'istruzione, la letteratu­ra, l'arte e tutte le altre branche della sovrastruttura che non corrispondono alla base economica socialista, in modo da fa­vorire il consolidamento e lo sviluppo del sistema sociali­sta.»

Nella Rivoluzione culturale «bisogna mettere la politica proletaria al posto di comando, sviluppare il movimento per lo studio e l'applicazione creativa delle opere del presidente Mao», in particolare degli scritti sulla Rivoluzione culturale e sui metodi di direzione del Partito, «prendere il pensiero di Mao Tsetung come guida per l'azione».

«Bisogna organizzare la critica dei rappresentanti tipici della borghesia, infiltrati nel Partito, e delle "autorità" acca­demiche reazionarie della borghesia», attaccando «tutte le idee reazionarie nel campo della filosofia, storia, economia politica e pedagogia, nelle opere letterarie e artistiche, nella teoria letteraria e artistica e nelle scienze naturali».

«Trasformare il vecchio sistema di istruzione, i vecchi principi e metodi di insegnamento è un compito estrema­mente importante della Grande rivoluzione culturale prole­taria.» L'istruzione deve essere al servizio della politica pro­letaria ed essere combinata con il lavoro produttivo indu­striale e agricolo e con l'istruzione militare, in modo che gli studenti, i quali devono partecipare alle lotte della Rivolu­zione culturale per criticare la borghesia, possano svilupparsi moralmente, intellettualmente e fisicamente per divenire «lavoratori con una buona cultura e una coscienza sociali­sta». A tale scopo, il periodo di studio deve essere ridotto, i programmi devono essere snelliti, le materie di insegnamen­to radicalmente trasformate.

2) La direzione del Partito

La riuscita della Rivoluzione culturale «dipenderà dal fatto se la direzione del Partito avrà o no l'audacia di mobi­litare completamente le masse». Infatti, mentre ci sono dirigenti di partito che, stando in prima fila nel movimento, mobilitano le masse incoraggiandole a denunciare i respon­sabili avviatisi sulla via del capitalismo, a criticare ogni er­rore e insufficienza nel lavoro, in numerose organizzazioni i dirigenti si fanno prendere dalla paura di fronte alla nuova situazione rivoluzionaria: scavalcati dal movimento di mas­sa, essi si aggrappano ai vecchi regolamenti, alle procedure convenzionali, rifiutandosi di andare avanti. In altre orga­nizzazioni, i responsabili che in passato hanno commesso de­gli errori, invece di accettare la critica delle masse, cercano di evitarla divenendo ostacoli per il movimento di massa. Infine ci sono organizzazioni controllate da elementi che hanno preso la via del capitalismo: aggrappati ai loro posti di potere, essi ricorrono a manovre di tutti i generi per stor­nare l'attacco dai veri obiettivi e, quando si trovano isolati, ricorrono ad altri intrighi spargendo voci tendenziose, can­cellando la distinzione fra rivoluzione e controrivoluzione, attaccando i rivoluzionari.

A tale proposito, il Comitato centrale, dopo aver ricorda­to che in diversi istituti scolastici è stata lanciata la parola d'ordine che opporsi ai dirigenti di un organismo o di un gruppo di lavoro significa opporsi al Comitato centrale, all'intero Partito, al socialismo, definisce questo un «errore d'orientamento, un errore di linea assolutamente inammissi­bile». Alcune persone con un'ideologia gravemente erronea, in particolare alcuni elementi antipartito e antisocialisti ap­profittano di certi errori del movimento di massa per provo­care disordini e bollare una parte delle masse come controri­voluzionarie: nessuna misura deve essere presa contro gli studenti per le questioni che sorgono nel corso del movi­mento, a meno che non si tratti di «controrivoluzionari at­tivi contro i quali ci siano prove evidenti di assassinio, in­cendio, avvelenamento, sabotaggio», tantomeno si deve in­citare una parte delle masse a lottare contro un'altra, un gruppo di studenti contro un altro, in quanto ciò devia la lotta dal suo obiettivo principale.

3) La distinzione fra i vari tipi di contraddizione

Il Comitato centrale sottolinea che occorre fare una netta distinzione fra le contraddizioni in seno al popolo e quelle tra il popolo e il nemico, trattandole in modo differenziato: la direzione del Partito deve saper stabilire con esattezza chi sono i nemici e chi sono gli amici, qual è la sinistra rivoluzionaria e qual è il gruppo di elementi della destra borghese e di revisionisti. Occorre, in questo senso, «effettuare una netta distinzione tra gli elementi della destra antipartito e antisocialista e coloro che, pur sostenendo il Partito e il so­cialismo, hanno detto o fatto qualcosa di sbagliato», tra «le autorità reazionarie della borghesia e coloro che hanno la comune mentalità accademica borghese».

Nei confronti degli scienziati e dei membri del personale tecnico e scientifico, «purché siano patrioti, lavorino attiva­mente, non si oppongano al Partito e al socialismo e non siano in connivenza con l'estero, bisogna continuare ad ap­plicare la politica di unità-critica-unità» per trasformare gradualmente la loro concezione del mondo e il loro stile di lavoro.

Tenendo conto del fatto che la maggioranza dei quadri sono buoni o relativamente buoni, si devono incoraggiare coloro che hanno commesso gravi errori, ma che non sono elementi antipartito e antisocialisti, a correggerli e a parteci­pare alla lotta. L'obiettivo è di unire, nel corso del movi­mento, oltre il 95 per cento dei quadri e il 95 per cento del­le masse, concentrandone le forze per «colpire il piccolo gruppo ultrareazionario di elementi della destra borghese e di revisionisti», i quali «devono essere completamente sma­scherati, colpiti duramente, messi in condizioni di non nuo­cere e screditati». Tali elementi devono essere destituiti e i posti di direzione che occupavano ridati ai rivoluzionari proletari. Allo stesso tempo «deve essere lasciata loro la possibilità di prendere la via giusta».

4) Mobilitazione e organizzazione delle masse

La questione fondamentale è «che le masse si educhino nel movimento»: «non si deve in alcun modo agire al loro posto». «Bisogna far si che esse possano esprimere libera­mente le proprie opinioni attraverso i dazibao e i vasti di­battiti. Il metodo da usare nei dibattiti è presentare dei fat­ti, ragionarci sopra e persuadere tramite il ragionamento, senza ricorrere alla coercizione o alla forza nei confronti di una minoranza che ha vedute differenti; bisogna che essa possa esprimere le proprie opinioni», «poiché talvolta la verità è dalla sua parte».

Oltre che a favorire un vasto dibattito, si deve incorag­giare la creazione di nuove forme di organizzazione di mas­sa. «I gruppi, comitati e congressi della Rivoluzione culturale costituiscono le migliori forme di organizzazione nelle quali le masse si educano da se stesse sotto la direzione del Partito comunista, costituiscono un ponte che permette al Partito di mantenere uno stretto legame con le masse.» Tali organismi, adatti non solo agli istituti di insegnamento ma anche alle fabbriche e ad altre imprese, ai quartieri delle cit­tà e ai villaggi, non devono avere carattere temporaneo ma permanente, dato che «la lotta del proletariato contro le vecchie idee, la vecchia cultura, i vecchi costumi e le vec­chie abitudini lasciate da tutte le classi sfruttatrici nel corso di millenni, prenderà necessariamente un periodo estrema­mente lungo»: essi sono «organi di potere della Rivoluzio­ne culturale proletaria». Negli organismi di massa «è ne­cessario istituire un sistema di elezioni simile a quello della Comune di Parigi. Le liste dei candidati devono essere pro­poste dalle masse rivoluzionarie dopo ampie consultazioni e le elezioni saranno tenute dopo che le masse avranno discus­so ripetutamente queste liste». Le masse hanno in ogni mo­mento il diritto di criticare i membri eletti, i quali, se si di­mostrano incapaci, possono essere sostituiti attraverso ele­zioni o destituiti dalle masse dopo opportune discussioni. Negli istituti scolastici, questi organismi «devono essere composti essenzialmente da rappresentanti degli studenti ri­voluzionari» e «da un certo numero di rappresentanti degli insegnanti e dei lavoratori rivoluzionari».

I Comitati di partito ai vari livelli devono applicare la li­nea di massa, consistente nel «partire dalle masse per ritor­nare alle masse», ed essere allievi delle masse prima di es­serne i maestri. Solo partecipando direttamente alla lotta, le masse possono imparare a «distinguere ciò che è giusto da ciò che non lo è, possono tracciare una netta linea di demar­cazione tra se stesse e i nemici», accrescere le proprie capa­cità e il proprio ingegno, elevare la propria coscienza politi­ca. «Bisogna avere fiducia nelle masse, fare affidamento su di esse e rispettare il loro spirito di iniziativa.»

5) Rivoluzione e produzione

Riguardo al rapporto tra rivoluzione e produzione, il do­cumento afferma che «lo scopo della Grande rivoluzione culturale proletaria è rivoluzionare l'ideologia del popolo in modo che in tutti i campi della produzione si ottengano ri­sultati maggiori, più rapidi, migliori e più economici». Mobilitando pienamente le masse, «si può assicurare lo svilup­po sia della Rivoluzione culturale che della produzione senza che l'una ostacoli l'altra». La Grande rivoluzione culturale proletaria costituisce «una potente forza motrice per lo svi­luppo delle forze produttive sociali; è sbagliato contrappor­re la Grande rivoluzione culturale proletaria allo sviluppo della produzione».

6) La corrente principale e il corso tortuoso

Le masse di operai, contadini, soldati, intellettuali rivolu­zionari e quadri rivoluzionari formano la forza principale della Grande rivoluzione culturale proletaria; anche se «è inevitabile che essi mostrino questa o quella insufficienza, tuttavia il loro orientamento rivoluzionario generale è stato giusto sin dall'inizio. Questa è la corrente principale della Grande rivoluzione culturale proletaria».

«...Dal momento che la Rivoluzione culturale è una rivo­luzione, essa incontra inevitabilmente una resistenza. Questa resistenza viene principalmente da coloro che, infiltratisi nel Partito e raggiunti posti di direzione, seguono la via del ca­pitalismo. Viene anche dalla forza delle vecchie abitudini della società.» Per tale ragione, «la lotta conoscerà flussi e riflussi e persino ripetuti riflussi. Ma ciò non è dannoso. Permetterà al proletariato e agli altri lavoratori, e special­mente alla giovane generazione, di temprarsi e trarne lezioni ed esperienza, e li aiuterà a comprendere che la via rivolu­zionaria è tortuosa e non piana».

Questo è il programma generale della Grande rivoluzione culturale proletaria, che Mao Tsetung, rivolgendosi alla fol­la di operai, contadini e studenti convenuta il 10 agosto al centro di ricevimento del Comitato centrale a festeggiare la pubblicazione dei 16 Punti, sintetizza nelle parole: «Dovete seguire gli affari di Stato e condurre sino in fondo la Gran­de rivoluzione culturale proletaria.»[27]

7. Le guardie rosse

Nell'estate 1966, le vie di Pechino sono invase dalle guardie rosse. Il movimento, formatosi nel chiuso delle aule, sfocia nella società gettandosi con l'impeto della gio­ventù nella lotta contro la cultura, l'ideologia, i costumi e le abitudini della vecchia società.[28] In questa fase, questi vengo­no identificati con quanto visibilmente rimane della vecchia Cina: i nomi feudali delle strade, le statue simboli del pote­re delle vecchie classi dominanti, le insegne dei negozi con il nome dell'ex padrone capitalista. Cadono anche le lunghe trecce delle ragazze, retaggio del passato feudale. Nei dazi­bao, che appaiono sempre più numerosi sui muri, si fanno proposte radicali, come quella di abolire il denaro e di paga­re i salari in natura.

Ciò non significa che l'azione delle guardie rosse sia qual­cosa di superficiale o esibizionismo: infrangendo material­mente vecchi simboli e abitudini, essa prepara le masse a rotture profonde con il passato borghese e feudale, trasfor­ma i muri di Pechino in un immenso giornale murale, fatto di centinaia di migliaia di dazibao messi l'uno a fianco dell'altro per decine di chilometri. La gente si ferma, legge, discute, il dibattito si allarga.

Sotto la spinta di questa azione gli odi nascosti di classe emergono: quando i giovani, dopo essersi normalmente con­sultati con la popolazione, entrano nelle case degli ex pro­prietari fondiari, che per legge dovrebbero vivere e lavorare nei villaggi di origine e che invece, con il benestare del vec­chio Comitato municipale, risiedono a Pechino, talvolta sono assaliti con spade e coltelli. Le guardie rosse versano il loro primo sangue. Nelle case degli ex proprietari fondiari si scoprono armi, munizioni, oro, piani, radiotrasmittenti, ban­diere del Kuomintang e, persino, i vecchi atti di proprietà delle terre e le liste dei debiti che essi conservavano nella speranza, non semplicemente nostalgica, che un giorno sa­rebbero serviti di nuovo.

Fra i dazibao, sui muri, appaiono alcune foto di giovani: sono guardie rosse rapite e, quasi sempre, assassinate. Circo­lano falsi gruppi di guardie rosse, formati da figli di ex pro­prietari fondiari e altri giovani reazionari. Uno di questi, fi­glio di proprietari fondiari, il 29 aprile, aveva ferito a col­tellate, nel «Magazzino dell'Amicizia» a Pechino, il capo di una delegazione di giornalisti del Mali e la moglie del pri­mo segretario dell'ambasciata della Repubblica democratica tedesca: l'atto era frutto di un piano mirante a creare un in­cidente internazionale fra la Cina e questi paesi. Il 13 giu­gno, la Corte suprema popolare, alla presenza di 13 mila persone, processa il giovane, già altre volte implicato in atti­vità controrivoluzionarie, e lo condanna a morte.[29]

Altre forze, ancora più pericolose, si stanno muovendo: nell'ombra, si scoprirà in seguito, opera il «Comitato di azione unita», un'organizzazione giovanile controrivoluzio­naria, formata quasi esclusivamente da figli di alti funziona­ri sottoposti al movimento di critica, che rapisce e assassina diverse guardie rosse. Nelle scuole, dopo il ritiro dei gruppi di lavoro si formano altre organizzazioni che, pur assumen­do il nome di guardie rosse, cercano con ogni mezzo di sof­focare il movimento di critica: sono i «corpi di protezio­ne», manovrati dietro le quinte dai seguaci di Liu Shao-chi. Attraverso queste esperienze, milioni di giovani, cresciuti dopo la Liberazione in condizioni di vita relativamente faci­li, possono rendersi conto di quanto complessa e tortuosa sia la lotta. Queste sono le guardie rosse con le quali Mao Tse­tung si incontra il 18 agosto in un raduno che si tiene sulla Piazza di Tien An Men.[30] Una delegazione di 1.500 giovani sale sulla tribuna per mettergli il bracciale rosso sull'unifor­me militare, che egli indossa a significare che quella in cor­so è una battaglia non meno dura e decisiva di quelle com­battute con le armi in pugno.

Presente al raduno è anche Liu Shao-chi; il suo nome ap­pare sulla stampa, nella lista dei dirigenti del Partito e dello Stato, in una posizione di secondo piano che contrasta in modo appariscente con la carica che egli ancora ufficial­mente ricopre.[31]

Dopo questo raduno, Pechino diventa meta di un flusso ininterrotto di guardie rosse provenienti da tutte le zone della Cina. In tre mesi, a partire dal 18 agosto, Mao Tsetung si incontra, in varie manifestazioni, con 13 milioni di guar­die rosse e altri rivoluzionari. Il 1° ottobre, diciassettesimo anniversario della Repubblica, una fiumana di un milione e mezzo di persone sfila per cinque ore davanti alla tribuna della Tien An Men sulla quale, insieme ai dirigenti del Par­tito e dello Stato, salgono tremila rappresentanti degli ope­rai, dei contadini, dei soldati, delle minoranze nazionali e delle guardie rosse. Sulla Tien An Men spicca un grande ri­tratto di Mao Tsetung; di faccia, nella piazza, le effigi di Marx, Engels, Lenin e Stalin. Il tono della manifestazione è, rispetto alle precedenti, più austero e combattivo.[32]

Nel momento culminante, alla fine di novembre, Pechino ospita oltre 3 milioni di guardie rosse giunte da tutte le par­ti della Cina. Viaggio, vitto e alloggio sono gratuiti. Oltre che nelle scuole, vengono alloggiate negli uffici e nelle stan­ze che numerose famiglie mettono a disposizione. Oltre cen­tomila membri dell'Esercito, del Partito e dell'Amministra­zione municipale si occupano dei servizi logistici; migliaia di nuovi autobus sono immessi nella rete urbana, le strade sono congestionate dal traffico.

I viaggi gratuiti in treno terminano alla fine di novembre. Iniziano, su larga scala, le «lunghe marce» delle guardie rosse: zaino a spalla, ragazzi e ragazze partono per compiere tragitti di centinaia o anche migliaia di chilometri. Ognuno col libretto rosso delle Citazioni dalle Opere del presidente Mao Tsetung, si portano dietro piccoli telai per ciclostilare volan­tini, strumenti musicali per tenere spettacoli di canti e dan­ze nelle comuni popolari, nei quartieri, nelle fabbriche, dove si fermano anche a lavorare.

Ovunque, a partire dalla capitale, compaiono ritratti del presidente Mao, oltre a centinaia di milioni di libretti rossi e distintivi con la sua effigie. Tale esaltazione di Mao Tse­tung ha, in questa fase, un ruolo certamente positivo per lo sviluppo della Rivoluzione culturale, esprimendo l'adesione delle vaste masse alla linea che egli rappresenta, al Partito di cui è presidente.

II movimento delle guardie rosse, al di là di alcuni eccessi di carattere secondario, esprime una impetuosa forza rivoluzionaria, un efficace strumento di propaganda che il Partito comunista impiega per irradiare in tutto il paese le parole d'ordine della Grande rivoluzione culturale proletaria, la cui penetrazione attraverso i canali tradizionali è fortemente ostacolata, se non impedita, dalla linea di Liu Shao-chi.

Questa forza sarà il detonatore che farà esplodere il po­tenziale rivoluzionario della classe operaia.


Note

[1] From the Defeat of Peng Teh-huai to the Bankruptcy of China's Khrushchov, in «Hongqi», n. 13, 1967, tradotto su «Peking Review», n. 34, 18 agosto 1967, p. 18.
[2] Yao Wen-yuan aveva lavorato come responsabile per la propaganda in un comitato circondariale di partito a Shanghai; quindi era stato trasferito all'organo del Comitato municipale di partito, «Jiefang Ribao» e, successivamente, a un giornale dell'esercito. Si occupava soprattutto di problemi artistico-letterari. Dal IX Congresso è membro dell'Ufficio poli­tico.
[3] Conferma della presenza di Mao a Shanghai si ricava anche dal fatto che il 24 novembre 1965 egli vi riceve A. Louise Strong e un gruppo di amici in occasione del compleanno della giornalista americana (cfr. Lette­ra dalla Cina, nn. 33-34 e n. 36).
[4] La traduzione inglese del testo integrale del discorso è stata pubbli­cata su «Chinese Literature», n. 3, 1966; ampi stralci si trovano su «Peking Review», n. 11, 11 marzo 1966, pp. 12-17.
[5] Two Diametrically Opposed Documents, in «Hongqi», n. 9, 1967, su «Peking Review», n. 23, 2 giugno 1967, pp. 21-24.
[6] Procès-verbal des causeries sur le travail littéraire et artistique dans les forces armées, dont la convocation a eté confìée par le camarade Lin Piao à la camarade Kiang Tsing (in opuscolo), Pechino, Editions en langues étrangères, 1968.
[7] Editoriale del «Jiefangjiun Bao», 18 aprile 1966, su «Peking Re­view», n. 18, 29 aprile 1966, pp. 5-10.
[8] Feu sur la ligne noire antiparti et antisocialiste!, tradotto in La grande revolution culturelle socialiste en Chine (2), cit.
[9] Yao Wen-yuan, op. cit., pp. 32-74.
[10] Circolare del Comitato centrale del Partito comunista cinese, Pechino, Casa editrice in lingue estere, 1968.
[11] Mao Tsetung, Speech at the Chinese Communist Party's National Confe-rence on Propaganda Work, in Selected Readings, Pechino, Foreign Languages Press, 1967.
[12] I dati sono stati forniti all'autore durante una conversazione alla facoltà di filosofia dell'Università di Pechino nell'agosto 1972. Cfr. E. Snow, La lunga rivoluzione, Torino, Einaudi, 1973, p. 123.
[13] Raccolta di citazioni di elementi reazionari e di studiosi delle classi dei proprietari fondiari e della borghesia che seguivano il confucianesimo e lottavano per la restaurazione (in cinese), Pechino, Casa editrice del popolo, 1974, p. 33.
[14] Plus de vigilance et distinguer le vrai du faux, in «Jiefangjiun Bao», 8 maggio 1966, tradotto in La grande revolution culturelle socialiste en Chine (2), cit.
[15] Il testo completo è pubblicato su «Peking Review», n. 37, 9 settembre 1966, pp. 19-20.
[16] Sung Shih era vicecapo del Dipartimento per gli affari dell'Università, dipendente dal Comitato municipale di partito di Pechino; Peng Pei-yun era vicesegretario del Comitato di partito dell'Università di Pechino.
[17] Hail a Big-Character Poster at Peking University, in «Renmin Ribao», 2 giugno 1966, su «Peking Review», n. 37, 9 settembre 1966.
[18] Le decisioni del Comitato centrale appaiono tradotte su «Peking Review», n. 24, 10 giugno 1966.
[19] Peking Students Write to Party Central Committee and Chairman Mao Strongly Urging Abolition of Old College Entrance Examination System, in «Peking Review», n. 26, 24 giugno 1966, pp. 18-20.
[20] Decision of CPC. Central Committee and State Council on Reform of Entrance Examination and Enrolment in Higher Educational Institutions, in ibid., p. 3.
[21] Cfr. «Peking Review», n. 24, 10 giugno 1966, p. 3.
[22] I dati sono stati raccolti dall'autore all'Università Tsinghua nel di­cembre 1966.
[23] From the Masses to the Masses, in «Peking Review», n. 31, 29 luglio 1966, p. 24.
[24] Report to the Nìnth National Congress of the Communist Party of China, cit., p. 22.
[25] Verrà pubblicato un anno dopo su «Peking Review», n. 33, 11 agosto 1967, p. 5.
[26] «Peking Review», n. 33, 12 agosto 1966, pp. 6-11.
[27] Chairman Mao Meets Revolutionary Masses in Peking, in «Peking Re­view», n. 34, 19 agosto 1966, p. 9.
[28] Cfr. G. Blumer, La rivoluzione culturale cinese, Milano, Feltrinelli, 1969, pp. 219-252.
[29] Counter-Revolutionary Criminal Sentenced to Death, in «Peking Review», n. 25, 17 giugno 1966, p. 29.
[30] Per un ampio resoconto della manifestazione si veda «Peking Review», n. 35, 26 agosto 1966, pp. 3-11.
[31] Ibid, p. 6.
[32] Ampio resoconto su «Peking Review», n. 41, 7 ottobre 1966.