Palmiro Togliatti

Diritti e rapporti sociali

Relazione e proposte pre­sentate da Togliatti alla prima sottocommissione per la ela­borazione della nuova Costituzione. Da: Palmiro Togliatti, Discorsi alla Costituente, Editori Riuniti, Roma 1974, pp 31-38.


Gli articoli che propongo alla discussione e di cui chiedo l'approva­zione e quindi la inclusione nel progetto di Costituzione da sottoporsi all'assemblea, sono dettati da due ordini di considera­zioni. Si tratta anzitutto di introdurre nella «Dichiarazione dei di­ritti» che deve, a guisa di preambolo, riassumere lo spirito della nostra nuova Carta costituzionale, l'affermazione di nuovi diritti della persona umana, il cui contenuto è in relazione diretta con l'organizzazione economica della società. In secondo luogo si tratta di affermare con energia, sin dai primi articoli della nuova Costi­tuzione, la necessità di operare nella società italiana, attraverso l'a­zione dello Stato, profonde trasformazioni economiche e sociali, e ciò allo scopo tanto di fare opera effettiva di redenzione del popolo, quanto di colpire i gruppi privilegiati, autori del fascismo e respon­sabili della catastrofe nazionale, e impedire, con modificazioni e riforme della nostra stessa struttura sociale, che un'altra volta que­sti gruppi possano avere il sopravvento e imporre alla nazione i loro propositi reazionari, antipopolari e antinazionali.

  Dati questi due obiettivi fondamentali, è evidente che, esami­nati gli articoli proposti sullo stesso tema dal correlatore onorevole Roberto Lucifero, non potevo trovarmi d'accordo con essi, e diven­tava superflua la collaborazione, essendo il divario delle concezio­ni da cui partiamo così profondo da non potersi superare con emen­damenti o contaminazioni. Dice bensì l'onorevole Lucifero che nel primo articolo da lui proposto si afferma il cosiddetto «diritto alla vita», cioè il diritto di ogni cittadino a un minimo indispensabile di mezzi di sussistenza «perché gli sia assicurata un'esistenza degna dell'uomo»; ma nello stesso articolo prosegue affermando che «a questo fine» ognuno è libero di svolgere una attività economica di sua scelta e lo Stato garantisce questa libertà. Tutto questo suona ir­risione. In un regime di pura libertà economica, quale in questo arti­colo viene proposto, è inevitabile che masse ingenti di donne e di uomini siano privi degli indispensabili mezzi di sussistenza. Questa infatti è una delle condizioni perché tutto il sistema economico ca­pitalistico possa funzionare ed è conseguenza di uno sviluppo che inesorabilmente tende da un lato a concentrare le ricchezze nelle mani di gruppi ristretti di privilegiati, mentre dall'altro lato au­menta il numero dei diseredati. Anche se la massa dei diseredati in periodi di prosperità e in paesi particolarmente favoriti può ten­dere a diminuire, essa torna ad accrescersi in modo pauroso quando inesorabilmente sopravvengono i periodi di crisi.

  Una seconda osservazione però deve essere fatta, ed è che que­sto regime in cui tutti sarebbero liberi di scegliere l'attività econo­mica cui dedicarsi, non esiste e non può esistere oramai più che nella concezione utopistica del dottrinarismo liberale. L'esperienza di tutti i paesi di capitalismo altamente sviluppato mostra infatti come per lo sviluppo stesso delle leggi interne della economia ca­pitalistica la libera concorrenza genera il monopolio, cioè genera la fine della libertà. Si creano così ancora più rapidamente le condi­zioni sopra indicate, in cui la proprietà dei mezzi di produzione e quindi la ricchezza tende a concentrarsi nelle mani di pochi grup­pi di plutocrati, che se ne servono per dominare la vita di tutto il paese, per dirigerne le sorti nel proprio interesse esclusivo, per ap­poggiare movimenti politici reazionari, per istaurare e mantenere le tirannidi fasciste, per scatenare guerre imperialistiche di rapina operando sistematicamente contro l'interesse del popolo, della na­zione.

  E' per questo che in tutti i paesi capitalistici dove le classi lavoratrici sono oggi in grado di far sentire la loro voce e di svol­gere un'azione efficace sul terreno politico, esse chiedono che le concezioni utopistiche del vecchio liberalismo (e utopistiche le chiamo in quanto non hanno più nessuna corrispondenza con la realtà) siano abbandonate, e venga dato corso a un'opera ampia e radicale di riforma della struttura economica della società. Né è a dire quan­to questo movimento sia stato stimolato dalla tragica esperienza che i popoli hanno fatto in particolare durante l'ultimo decennio, quando si è visto che il prevalere nei principali paesi dell'Europa ca­pitalistica di gruppi plutocratici reazionari ha portato in alcuni di essi alla liquidazione totale delle istituzioni democratiche, in altri a una seria minaccia per la loro esistenza, in tutti o quasi tutti al tradimento dell'interesse nazionale da parte delle caste dirigenti rea­zionarie, e a quell'esasperato acutizzarsi di conflitti imperialistici che doveva metter capo alla catastrofe immane della seconda guerra mondiale.

  Generale è oggi nei popoli d'Europa la convinzione che non solo per la difesa economica degli interessi di chi lavora, ma per una difesa permanente delle libertà democratiche e della pace, im­periosamente si richiede che l'economia di ogni paese venga or­ganizzata su basi nuove, tali che impediscano che i gruppi pluto­cratici reazionari possano ancora una volta farsi arbitri della vita delle nazioni.

  Viene in questo modo a maturazione, sotto la spinta irresisti­bile della esperienza e delle più profonde aspirazioni alla libertà, al benessere e alla pace di milioni di donne e di uomini, quel pro­cesso di critica e abbandono delle posizioni astratte del liberalismo borghese, espresse nelle «Dichiarazioni dei diritti dell'uomo» delle Costituzioni rivoluzionarie del '700 e della prima meta dell'800, a cui dette inizio, nel corso stesso della Rivoluzione francese, il pen­siero e il movimento socialista, e a cui altre vivaci correnti sociali, come quella cattolica e persino quella dei riformatori borghesi, non mancarono di dare il loro contributo efficace. Accanto all'afferma­zione dei diritti che puramente concernono i rapporti tra i cittadini e lo Stato e impediscono che il governo diventi arbitrio e tirannide, vengono così affermati i nuovi diritti al lavoro, alla assicurazione sociale per tutti i cittadini, al riposo, ad una remunerazione corri­spondente alle necessità fondamentali dell'esistenza, a potersi co­stituire una famiglia e a poterla mantenere.

  Ma quale valore avrebbe mai l'affermazione di questi nuovi diritti, qualora nella Costituzione stessa non venissero indicati, se non i mezzi e gli strumenti concreti, per lo meno il metodo gene­rale che verrà dallo Stato seguito per ottenere che all'affermazione di principio corrisponda una effettiva realizzazione dei nuovi diritti attribuiti al cittadino? Si tratta, in sostanza, di un aspetto del tutto nuovo del vecchio problema della garanzia dei diritti sanciti nella Costituzione. Ma mentre quando si trattava di garantire diritti pre­valentemente di natura politica, la garanzia veniva trovata in una organizzazione dello Stato che rendesse impossibile o per lo meno limitasse l'arbitrio dei governanti, o nella istituzione di particolari istanze giurisdizionali, la garanzia di una effettiva traduzione in pratica dei nuovi diritti di carattere sociale non potrà essere trovata altrove che in un particolare indirizzo della attività economica di tutto il paese. Vano sarà l'aver scritto nella nostra Carta il diritto di tutti i cittadini al lavoro, al riposo, e così via, se poi la vita eco­nomica continuerà a essere retta secondo i principi del liberalismo, sulla base dei quali nessuno di questi diritti mai potrà essere garan­tito. Un inizio di garanzia si avrà invece quando nella Costitu­zione stessa venga indicato che la vita economica del paese sarà regolata secondo principi nuovi, i quali tendano ad assicurare che l'interesse egoistico ed esclusivo di gruppi privilegiati non possa prevalere sull'interesse della collettività e tutta l'attività economica del paese venga guidata in modo che consenta la realizzazione di nuovi principi di giustizia sociale.

  A questo scopo sono affermati, negli articoli che propongo, i punti seguenti:

  a) la necessità di un piano economico, sulla base del quale sia consentito allo Stato di intervenire per il coordinamento e la di­rezione dell'attività produttiva dei singoli e di tutta la nazione;

  b) il riconoscimento costituzionale di forme di proprietà dei mezzi di produzione diverse da quella privata, e precisamente la proprietà cooperativa e quella di Stato. Il riconoscimento della pro­prietà cooperativa nella Costituzione stessa consentirà al legisla­tore di svincolare il movimento cooperativo dalle troppo ristrette pastoie della attuale legislazione civile e commerciale, e sarà utile premessa a un largo sviluppo della cooperazione, nel campo della produzione e del lavoro in modo particolare. Il riconoscimento costituzionale della proprietà di Stato di determinati mezzi di produ­zione servirà, d'altra parte, a dare una base costituzionale nuova al processo di nazionalizzazione di determinate branche industriali;

  c) la necessità che vengano nazionalizzate quelle imprese che per il loro carattere di servizio pubblico oppure monopolistico debbono essere sottratte alla iniziativa privata, allo scopo precisa­mente di impedire che gruppi plutocratici, avendo queste imprese nelle loro mani, se ne servano per stabilire una loro egemonia su tutta la vita della nazione;

  d) la necessità dell'organizzazione di Consigli di azienda co­me organi per l'esercizio di un controllo sulla produzione, da par­te di tutte le categorie dei lavoratori, nell'interesse della collettività;

  e) la necessita che l'esercizio del diritto di proprietà, di cui d'altra parte si garantisce la tutela da parte della legge, sia limitato dall'interesse sociale, e infine

  f) la necessità che la distribuzione della terra nel nostro paese venga profondamente modificata, in modo che sia limitata la gran­de proprietà terriera e vengano protette e difese la proprietà picco­la e media, e in modo particolare l'azienda agricola del coltivatore diretto.

  Con la introduzione nella Costituzione stessa di questi principi si dà un fondamento costituzionale all'azione che, tanto in sede di Costituente e del governo attuale, quanto dalle successive Assem­blee legislative e dai governi che queste esprimeranno, dovrà essere svolta per realizzare quella riforma industriale e quella riforma agraria che la maggioranza del popolo italiano desidera e reclama, perché vede in esse un principio di rinnovamento di tutta la vita nazionale, e il mezzo più efficace per sbarrare la strada a un nuovo sopravvento di quelle forze reazionarie che ci dettero il fascismo e seguendo una politica di tirannide all'interno e di avventure im­perialistiche nel campo internazionale ci hanno portato all'attuale catastrofe.

  Resta da esaminare una questione di grande importanza, e cioè quella del valore che ha la introduzione nella nostra Carta costituzionale di questi principi. E' vero, da un lato, che la Costi­tuzione non dovrebbe contenere altro che la registrazione e sanzione in formule giuridiche di portata generale, di trasformazioni già in atto, di conquiste già realizzate. Tale è il principio a cui si ispira, per dare il più notevole degli esempi, la Costituzione sovietica del 1936. Nel discorso di Stalin all'VIII Congresso dei Soviet, che ap­provò questa Costituzione, è detto a questo proposito:

  «... La Costituzione non deve essere confusa con un program­ma. Ciò vuol dire che tra un programma e la Costituzione vi è una differenza sostanziale. Mentre il programma parla di ciò che non esiste ancora, che deve ancora essere ottenuto e conquistato nel­l'avvenire, la Costituzione, al contrario, deve parlare di ciò che esi­ste già, che è già stato ottenuto e conquistato, adesso, nel momento presente. Il programma riguarda soprattutto l'avvenire, la Costitu­zione riguarda il presente» (Stalin, Questioni del leninismo, Ro­ma, 1945, vol. II, pag. 247).

  Mi sembra però che nel momento presente noi siamo costret­ti a distaccarci da questa norma, e che ciò derivi dal carattere stesso del periodo che il nostro paese sta attraversando. Non è avvenuta, tra di noi, una rivoluzione la quale abbia violentemente distrutto tutto un ordinamento sociale gettando le basi di un ordinamento nuovo. E' crolla­ta, sotto i colpi di un'azione popolare e di una of­fensiva militare condotta dalle grandi nazioni democratiche col nostro concorso efficace, la tirannide fascista. Sono state, quindi, riconquistate le libertà politiche dell'uomo e del cittadino, e il fatto che queste libertà vengano scritte nella Costituzione ha veramente valore di registrazione e sanzione di una conqui­sta in atto. Per quanto si riferisce, invece, alle trasformazioni sociali, si può dire che è in corso nel nostro paese un processo rivoluzio­na­rio profondo, il quale, però, per comune orientamento delle forze progressive, si svolge senza che sia abbandonato il terreno della legalità demo­cratica. Attraverso la democrazia, cioè accettando e rispettando il principio della maggioranza liberamente espressa, noi ci sforziamo di realizzare quelle modifiche della nostra struttura sociale che sono mature sia nella realtà delle cose che nella coscienza delle masse la­voratrici. Per questo parliamo oramai tutti o quasi tutti non di una democrazia pura e semplice, ma di una «democrazia progressiva», e il valore di questa definizione sta appunto nel fatto ch'essa rico­nosce e afferma questa tendenza a un profondo rivolgimento so­ciale attuato nella legalità.

  E' inevitabile, in queste condizioni, che elementi programma­tici, non di previsione ma di guida, siano introdotti nella Carta co­stituzionale, e questa venga ad assumere il valore non più di un patto tra popolo e sovrano, per limitare l'arbitrio di questo e garan­tire i diritti di quello, ma quasi di patto concluso tra le diverse correnti politiche e i diversi gruppi sociali, e che impegna questi e quelle ad avviare la ricostruzione della patria distrutta su un bi­nario che porti a un rinnovamento audace, profondo, di tutta la struttura della nostra società, nell'interesse del popolo e nel nome del lavoro, della libertà e della giustizia sociale.

  E' per questo che le proposte che io faccio, pure muovendosi nella direzione generale di una trasformazione economica socialista, mi sembra possano essere accettate da tutte le correnti democratiche e progressive dell'assemblea e del paese, poiché del socialismo esse esprimono quello che oramai è entrato nella coscienza comune di tutte queste correnti, e veramente può diventare elemento di orien­tamento e guida per tutta la nazione.

Proposta di articoli

Art. 00. - Ogni cittadino ha diritto al lavoro e ha il dovere di svolgere un'attività socialmente utile. Chi è senza lavoro senza sua colpa è assistito dallo Stato.
 Allo scopo di garantire il diritto al lavoro di tutti i cittadini lo Stato interverrà per coordinare e dirigere l'attività produttiva dei singoli e di tutta la nazione secondo un piano che dia il massi­mo rendimento per la collettività.
 E' proibito il lavoro salariato dei minori di anni sedici.

Art. 00. - La remunerazione del lavoro intellettuale e ma­nuale deve corrispondere alle necessità fondamentali dell'esisten­za del singolo e della sua famiglia.

Art. 00. - Il lavoro, nelle sue diverse forme, è protetto dallo Stato, il quale interverrà per assicurare l'esistenza degli invalidi e inabili.
 Tutti i cittadini hanno diritto all'assicurazione sociale.
 La legislazione sociale regola le assicurazioni contro gli infor­tuni, le malattie, la disoccupazione, l'invalidità e la vecchiaia; protegge in modo particolare il lavoro delle donne e dei minori; sta­bilisce la durata della giornata lavorativa e il salario minimo indi­viduale e familiare.
 E' organizzata una speciale tutela del lavoro italiano all'estero.

Art. 00. - I lavoratori hanno diritto di associarsi liberamente per la tutela del loro lavoro e la conquista di migliori condizioni di remunerazione e di esistenza.
 E' contraria alla legge ogni azione che tenda in qualsiasi modo a limitare questo diritto. La legge assicura ai lavoratori il diritto di sciopero.

Art. 00. - Tutti i cittadini hanno diritto al riposo. La conces­sione delle ferie pagate ai lavoratori sarà regolata con legge.

Art. 00. - La proprietà dei mezzi di produzione e di scambio può essere privata, cooperativa o di Stato.
 Saranno nazionalizzate quelle imprese che abbiano carattere di servizio pubblico nazionale o siano diventate un monopolio di fatto.
 Le proprietà dei cittadini e il risparmio sono tutelati dalla legge.
 Il diritto di proprietà non potrà essere esercitato in modo con­trario all'interesse sociale, né in modo che rechi danno ad altri cit­tadini. Sarà regolata con legge l'espropriazione per causa di pub­blica utilità legalmente costatata.

Art. 00. - In ogni azienda industriale che occupi più di un numero di salariati, tecnici e impiegati che sarà determinato con legge, sono organizzati Consigli di gestione per il controllo della produzione da parte dei lavoratori di tutte le categorie e nell'inte­resse della collettività.

Art. 00. - La legge stabilisce entro quali limiti la terra può essere proprietà del privato, fissando il massimo di estensione del­l'azienda agricola privata. Lo Stato protegge e difende il piccolo e medio proprietario di terre, e interviene per facilitare il benessere e accrescere la prosperità dell'azienda agricola del coltivatore diretto.