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Palmiro Togliatti (Ercoli)

Direttiva per lo studio delle questioni russe

Testo originariamente pubblicato su Lo Stato Operaio, a. I, n. 2. aprile 1927, pp. 125-138, da noi ripreso da Palmiro Togliatti, Opere scelte, a cura di Gianpasquale Santomassimo, Editori Riuniti, 1974, pp. 38-54.

I

  La difficoltà che i militanti dei partiti comunisti dell'Europa occidentale hanno incontrato a farsi una idea esatta ed a dare un giudizio rapido e sicuro delle questioni che sono state discusse dopo la conquista del potere, e specialmente negli ultimi anni, nel Partito comunista dell'Unione Soviettista, dipende in gran parte, anzi quasi esclusivamente, da due motivi. Il primo consiste nell'opinione diffusa che i problemi i quali si presentano al proletariato ed al suo partito dopo la conquista del potere siano, per la loro natura, profondamente differenti da quelli che prima della conquista del potere debbono essere studiati e risolti dall'avanguardia della classe operaia e da tutta la classe operaia. Il secondo consiste nel fatto che, per un lungo periodo di tempo, i pro­blemi che venivano discussi nelle file del partito russo, si presentavano e venivano studiati da noi l'uno separatamente dall'altro, in rapporto con la situazione oggettiva del momento determinato ed in rapporto con la direttiva fissata in relazione con essa, ma non in rapporto con una linea politica generale del partito russo, la ricerca, la difesa e la consolidazione della quale stavano al fondo di ogni discussione. Conse­guenza estrema di queste, che io considero due deviazioni, fu la posi­zione assunta da alcuni compagni di diversi partiti, i quali sostennero che i comunisti non russi non possono avere, sulle questioni russe, delle opinioni fondate. La stessa radice ha l'errore di coloro i quali ritengono che l'informazione e il dibattito sui problemi russi debbono limitarsi ad un cerchio ristretto di iniziati, ma non possono mai inte­ressare tutta la massa dei nostri militanti, e la massa di operai la quale, pur essendo fuori delle file del nostro partito, segue però le discussioni su altri argomenti teorici e tattici che si svolgono tra di noi. Il primo colpo per la demolizione di queste due posizioni errate fu dato, nel 1923-24, dalla discussione sul trotskismo, la quale si estese in modo da toccare tutti i fondamentali problemi della nostra politica, e da inte­ressare i partiti di tutti i paesi. Il secondo colpo, - e formidabile questa volta - è stato dato dalla recente lotta che il Comitato centrale del Partito comunista russo ha condotto contro il blocco delle opposi­zioni con l'aiuto attivo di tutta la Internazionale. Dopo questa ultima discussione non vi è più dubbio che la direttiva fonda­mentale che deve essere data per lo studio delle questioni russe è quella di considerarle nella continuità di sviluppo della linea politica del partito bolscevico, di sforzarsi di ridurle, come esse sono, a un semplice aspetto particolare dei problemi generali di strategia e di tattica che l'avanguardia del pro­letariato deve risolvere in qualsiasi momento della sua storia.

   L'unico punto che richiede una spiegazione credo sia quello rela­ti­vo alla differenza tra i problemi e i compiti che si presentano prima, ed i problemi e i compiti che si presentano dopo la conquista del potere. Che la conquista del potere non ponga compiti nuovi alla classe operaia ed al suo partito sarebbe assurdo e ridicolo affermarlo. Vi è da un lato tutta l'at­ti­vità relativa alla organizzazione e al funzionamento degli organi del po­te­re, cioè dello Stato proletario, e dall'altro lato vi è tutta l'attività di costruzione economica, le quali costituiscono campi nuovi per la clas­se che, fino alla conquista del potere, è stata politicamente oppressa ed eco­no­micamente sfruttata. Il raggiungimento degli obiettivi che si pongono in questi due campi non vi è dubbio che richiede la esistenza e lo svi­lup­po di qualità e capacità particolari nel proletariato e nella avanguardia di es­so. Vi sono dei problemi speciali, i termini dei quali vengono modi­fi­ca­ti per il fatto stesso che il proletariato abbia il potere nelle sue mani: si ve­dano, come esempio, i problemi della politica estera. Ma nessuno dei nuo­vi campi che vengono aperti dalla conquista del potere è un campo nel quale ci si possa muovere con l'aiuto di una sem­pli­ce tecnica. Nes­su­na delle questioni nuove o rinno­vate è una pura questione di tecnica. Non esi­ste una tecnica della co­struzione e direzione dello Stato proletario, co­me non esiste una scienza particolare la quale insegni come si deve pro­ce­dere nella costruzione di una economia socialista. La tecnica e la scienza saranno di guida nella soluzione di pro­ble­mi particolari, ma an­che la soluzione di questi non ha e non può avere valore se non nei limiti e sulla base delle direttive che guidano la attività della classe ope­ra­ia e del partito comu­nista in generale. E queste direttive non sono di­ver­se, né per il loro contenuto, né per il metodo della loro definizione e applicazione, nel periodo precedente e nel periodo successivo alla con­qui­sta del potere.

   Prendiamo ad esaminare alcune delle direttive di strategia e di tattica del partito comunista: prendiamo, ad esempio, due punti che possono essere considerati fondamentali per la definizione della politica comunista, cioè i rapporti tra la avanguardia del proletariato e la grande maggioranza della classe operaia ed i rapporti tra la classe operaia e le classi che le possono essere alleate nella lotta contro il regime capitalistico. Un esame anche affrettato porta alla conclusione che, per quanto riguarda questi punti, non solo non esistono differenze sostanziali tra la direttiva che il partito segue nel periodo precedente a quella che esso deve seguire nel periodo successivo alla rivoluzione, ma che, in questi campi, la politica del partito, dopo la conquista del po­tere, è continuazione e conseguenza diretta di quella che esso ha seguito prima di avere raggiunto la vittoria rivoluzionaria. Il fatto di avere il potere nelle mani è un elemento nuovo. Esso pone il proleta­riato e il partito comunista in una posizione che talora è più favorevole; talora è meno favorevole alla esatta impostazione dei rapporti tra il partito e le grandi masse o tra gli operai e i contadini. Di questa diversità di posizione occorre tener conto, - in essa consiste il lato specifico dei problemi russi, - ma si deve tenerne conto appunto per evitare che essa porti a spostare le nostre direttive generali di strategia e di tattica, a rovesciare od a modificare il sistema di rapporti tra le diverse forze motrici della rivoluzione che esse stabiliscono. Nel periodo di lotte politiche ed economiche che precede la conquista del potere, il compito della avanguardia proletaria, nei confronti con le grandi masse, consiste nel guidarle a superare ogni visione particolare dei loro inte­ressi, a riconoscere gli interessi generali della loro classe, come tale, ed a lottare per il raggiungimento di essi. Lo stesso compito si presenta alla avanguardia proletaria nel periodo di costruzione dello Stato e della economia socialista. Verso i contadini la classe operaia deve, prima della rivoluzione, condurre una politica la quale, basandosi sul soddisfacimento degli interessi materiali dei contadini, rompa i legami che li uniscono alle classi dominanti borghesi, li mobiliti accanto al proletariato, e li faccia entrare in lotta contro il capitalismo. Ed è questa la direttiva che si segue, anche dopo la conquista del potere, per assicurare la vita dello Stato operaio e la continuità della costruzione socialista. E gli esempi potrebbero essere continuati entrando anche nei dettagli, nel­l'esame delle posizioni che vengono prese dagli avversari della classe operaia e del modo di combatterle, della influenza che essi esercitano o cercano di esercitare nelle nostre file, delle deviazioni tradizionali e comuni dalla retta linea della nostra politica e così via. Tutto ciò che fa la sostanza della nostra attività, ciò che costituisce la trama su cui è tessuto il nostro lavoro quotidiano di guida del proletariato al­l'abbattimento della società capitalistica ed alla costruzione di una società nuova, tutto ciò costituisce la guida per comprendere e valutare esattamente i problemi che il partito russo incontra sul suo cammino, affronta e risolve.

   Da questo modo di intendere le questioni russe deriva l'importanza dello studio dei precedenti di queste questioni. Se noi non ci proponessimo come scopo la ricerca della «linea del partito bolscevico», e se in noi non fosse la convinzione che in questa linea si trova la più esatta determinazione che, fino ad ora, è stata fatta della politica comunista, lo studio dei precedenti sarebbe una prova di inutile erudizione storica e libresca. Esso può invece consentire di ridurre ad unità tutte le diverse questioni di cui si è trattato nelle discussioni russe degli ultimi anni.

II

  Se cerchiamo di definire quale è la idea fondamentale che ha guidato il bolscevismo nella sua politica di più di vent'anni, prima e dopo la conquista del potere, vedremo che essa è l'idea della egemonia del proletariato nella lotta contro il capitalismo. A questa idea è, naturalmente, unita quella della necessità che il proletariato trovi degli alleati in questa lotta e li sappia stringere a sé con una giusta politica. Non è difficile trovare il filo che collega, con questi due principi fondamen­tali, le posizioni difese dal partito bolscevico, prima e dopo la morte di Lenin, in tutta una serie di discussioni svoltesi, sia nell'interno del partito, sia in contrasto con altri partiti che si richiamavano egualmente alla classe operaia.

   La discussione che considero come la prima, non in ordine di tempo, ma di importanza teorica e storica è quella sulle forze motrici della rivoluzione in Russia, sulla loro disposizione nei diversi periodi del movimento rivoluzionario, e quindi sulle prospettive di sviluppo e di vittoria di quest'ultimo. A voler essere più precisi, anzi, si può dire che questo è l'unico punto attorno al quale si svolgono tutti i dibattiti, nel periodo della preparazione alla conquista del potere, nel periodo immediatamente precedente ad essa e nel periodo della dittatura.

   La posizione difesa dal partito bolscevico, attraverso questi diversi periodi, può essere indicata schematicamente con alcune tesi fondamentali.


1. tesi della necessità che il proletariato, stringendo a sé le masse semi-proletarie della popolazione (contadini e piccola borghesia urba­na), prenda la direzione della lotta per l'abbattimento dell'autocrazia e la conduca sino alla fine, superando le esitazioni e vincendo i tradi­menti della borghesia. A questa prospettiva corrisponde la parola d'ordi­ne della «dittatura democratica degli operai e dei contadini», in cui si realizza la rivoluzione borghese sotto la guida proletaria. Questa fu la parola d'ordine dei bolscevichi in tutto il periodo di preparazione politica della rivoluzione. In essa sono affermate la impossibilità che il proletariato riesca, con le sole sue forze, ad abbattere l'autocrazia, e la necessità quindi della collaborazione di due forze fondamentali almeno, gli operai ed i contadini;

2. tesi della possibilità dello sviluppo della rivoluzione borghese in rivoluzione socialista, cioè del passaggio dalla dittatura democratica degli operai e dei contadini alla dittatura del proletariato. Perché questa seconda prospettiva si realizzi è necessario che l'egemonia del proleta­riato durante il periodo di transizione dalla prima alla seconda rivolu­zione assuma la forma di alleanza tra gli operai e la grande massa dei contadini. Ed è dalla esatta soluzione del problema dell'alleanza con i contadini che dipende la vittoria o la sconfitta della rivoluzione pro­letaria;

3. tesi della possibilità che il proletariato dopo avere conquistato il potere con l'appoggio dei contadini, non solo lo mantenga spezzando col terrore i tentativi controrivoluzionari, ma riesca a portare la rivolu­zione sul terreno economico ed a costruire una economia socialista. Anche per la realizzazione di questa possibilità si richiede una esatta soluzione del problema dei contadini, una soluzione tale che porti la grande massa dei contadini a cooperare alla costruzione socialista attra­verso la continuazione della alleanza cogli operai, nelle forme richieste dalle necessità e dai modi della costruzione economica.


  Ora, non vi è dubbio che queste tesi fondamentali si possono trova­re implicite anche nei più lontani dibattiti della storia del movimento opera­io russo. Nella polemica contro gli economisti, che volevano porta­re il proletario a scuola dalla borghesia, non è difficile ritrovare nella po­si­zio­ne di Lenin le origini di tutta la successiva politica del bolscevismo. Ma la consapevolezza precisa e completa delle tesi che abbiamo indicato venne conquistata e posta in evidenza nel corso della storia del partito e del movimento operaio, attraverso alcune discussioni di importanza capitale che corrisposero ad alcune svolte storiche fondamentali, ad alcuni momenti nei quali l'orientamento dell'avanguardia del proletariato, raccolta attorno ai bolscevichi, fu decisivo per le sorti della rivoluzione.

   La prima tesi venne fissata, nel periodo di preparazione politica della rivoluzione, nel dibattito con Trotskij e nella lotta contro il trotskismo. La posizione di Trotskij era in apparenza più radicale di quella dei bolscevichi. La prospettiva che egli indicava con la parola: «Senza zar. Governo operaio», era quella di un passaggio immediato dal regime autocratico al regime proletario, ottenuto in conseguenza di una vittoria dovuta alle forze esclusive della classe operaia. Questa prospettiva si basava sulla esclusione della esistenza in Russia di una classe la quale potesse essere alleata del proletariato nella lotta per la rivoluzione socia­lista. E infatti, ancora nel 1922, Trotskij affermerà che «l'avanguardia proletaria, a partire dal primo istante del suo potere, deve, per assicu­rarsi la vittoria, intaccare profondamente non solo la proprietà feudale, ma anche la proprietà borghese. Ciò la porta a un urto... con le grandi masse dei contadini, con l'aiuto delle quali essa è giunta al potere». La contraddizione che si determina tra il potere operaio non può essere risolta che su una scala internazionale, cioè: «Senza l'aiuto diretto, statale del proletariato europeo la classe operaia russa non può mantenersi al potere». Dalla posizione in apparenza più avanzata si giunge, come si vede, a negare la prospettiva di vittoria rivoluzionaria. La teoria dell'isolamento del proletariato nella lotta (teoria della rivoluzione per­manente), sostituita alla teoria della egemonia del proletariato nella direzione della lotta stessa, ha come conseguenza l'impotenza rivoluzio­naria. Soltanto la ricerca degli alleati possibili della classe operaia, ed una politica la quale stabilisca il collegamento con essi, consentono agli operai di adempiere alla funzione di guida che loro spetta nel periodo di preparazione politica della rivoluzione, nell'abbattimento del regime zarista e nel passaggio alla rivoluzione socialista.

   Quanto abbiamo detto permette di comprendere come sia errata la affermazione, fatta da Trotskij negli Insegnamenti dell'ottobre, sulla necessità, nella quale si sarebbero trovati i bolscevichi, dopo la rivoluzione di febbraio, di ricaricare le armi della loro ideologia e di aderire al punto di vista di Trotskij, operando un completo mutamento di fron­te. Ciò che avvenne dopo il febbraio fu la determinazione chiara e consapevole della seconda fra le tre tesi che abbiamo indicate, cioè della possibilità di trasformare la rivoluzione borghese in rivoluzione socialista. Ma importa rilevare che questa determinazione, la quale si trova già nel modo come la formula della dittatura democratica degli operai e contadini veniva illustrata e difesa da Lenin, avvenne con la applicazione conseguente degli stessi principi da cui era dedotta la prima tesi, cioè della necessità che l'egemonia del proletario e la vittoria rivoluzionaria siano ottenute mediante la unione del proletariato con i conta­dini. Se nel 1917 i bolscevichi e Trotskij combatterono assieme, la piattaforma su cui essi combatterono fu la piattaforma tradizionale del bolscevismo, che si era concretizzata, a contatto con una nuova situazione rivoluzionaria oggettiva, in una nuova prospettiva immediata e in una nuova parola d'ordine.

   La determinazione di questa nuova prospettiva e della nuova pa­rola d'ordine non avvenne però senza incontrare resistenze nello stesso partito bolscevico [1]. Esse si manifestarono al ritorno di Lenin in Russia, quando egli presentò, nell'aprile 1917, le tesi nelle quali affermava il carattere socialista della rivoluzione, cioè affermava che essa stava per trasformarsi in una rivoluzione socialista e sosteneva quindi che il partito doveva prendere le misure necessarie per il passaggio dalla rivoluzione democratico-borghese alla rivoluzione socialista. Questa tesi venne negata da Kamenev, con una serie di ragionamenti che corri­spondono a quelli che Trotskij faceva nel periodo precedente. Secondo lui il passaggio alla rivoluzione socialista non era possibile perché la rivoluzione borghese democratica non aveva ancora esaurito il suo compito; egli negava quindi il legame dal quale le due rivoluzioni sono unite. Inoltre egli affermava che la tesi di Lenin era prematura per il fatto stesso che gli operai erano ancora costretti a combattere unita­mente a strati della popolazione non proletaria. Se si fosse stati real­mente alla vigilia della rivoluzione socialista gli operai avrebbero dovuto rompere il blocco con la piccola borghesia e procedere da soli alla rea­lizzazione del loro programma. Come nella teoria della rivoluzione per­manente, così nella opposizione di Kamenev alle tesi di aprile viene negata la possibilità che il proletariato abbia l'aiuto dei contadini anche per condurre a termine la rivoluzione borghese e fare la rivoluzione socialista. Anche nella opposizione di Kamenev la teoria bolscevica della egemonia del proletariato nella unione con i contadini, lascia il posto alla teoria dell'isolamento della classe operaia nella lotta rivoluzionaria. E le conseguenze erano pure le stesse. Non solo Kamenev negava teoricamente nell'aprile la possibilità della rivoluzione socialista, ma nell'ot­tobre, insieme con Zinovjev, si poneva contro le decisioni del Comitato centrale, perché riteneva che il partito, anziché conquistare il potere, dovesse continuare a muoversi sul terreno di un governo di coalizione. Questo terreno era il terreno proprio di un movimento che non poteva ancora mettere capo alla dittatura proletaria. A proposito di questo atteggiamento dei compagni Kamenev e Zinovjev nel 1917 è forse ne­cessario mettere in luce ancora un elemento. Nella discussione dell'aprile tra Lenin e Kamenev, gli argomenti che ho rapidamente indicati forma­rono la parte principale, quasi esclusiva, dei dibattiti [2]. Nell'ottobre in­vece è palese l'intervento di un fattore che è bensì strettamente legato con questi argomenti, ma che solo alla vigilia dell'azione poteva apparire con evidenza tanto grande. Si tratta non solo della mancanza di fiducia nelle sorti della insurrezione, ma di un panico, di un tono disfattista diffuso, di un completo smarrimento di fronte alla gravità decisiva della svolta storica. Occorre ricordarsi di questo fattore perché esso si ritrova in alcuni degli atteggiamenti assunti dalla nuova opposizione del 1926 e dalla successiva opposizione unificata.

   Un fatto che stupì molto i compagni non russi, soprattutto dopo le discussioni del '23 e del '24 fu il blocco realizzatosi l'anno scorso, dopo il XIV Congresso, tra Trotskij, Zinovjev e Kamenev. La cono­scenza delle radici delle vecchie divergenze tra Trotskij ed il partito bolscevico circa le prospettive della rivoluzione e la conoscenza del va­lore dei dissensi che nel 1917 divisero Kamenev e Zinovjev da Lenin, ci permette invece di concludere che il blocco del 1926 è del tutto logico e naturale. Negli anni 1925 e 1926 il partito dell'Unione Soviettista si è trovato di fronte a una svolta storica eguale, per importanza, ed analoga, per significato, a quella del 1917. Da una parte la fine del periodo di restaurazione della base economica d'anteguerra, l'inizio del periodo di ricostruzione e quindi l'acutizzarsi del problema della creazione di una nuova base tecnica della produzione mediante una accumulazione di nuovo capitale, dall'altra parte i risultati e le conse­guenze della nuova politica economica i quali divengono chiaramente visibili e si consolidano. Unita a questi due fattori, una crisi economica la quale si innesta alle difficoltà del periodo di transizione, e sopravviene insieme con il rallentamento del tempo della rivoluzione proletaria mon­diale. Tutti questi elementi confluiscono a porre in pieno, ancora una volta, il problema delle forze motrici e delle prospettive della rivolu­zione in Russia, delle basi che essa possiede e delle possibilità di vitto­ria: - la stessa questione che fu discussa con Trotskij nel 1905, la stessa questione che fu dibattuta nel 1917. È in questo momento che il partito, ricollegandosi alle sue posizioni precedenti e compiendo uno sforzo per mettere in luce tutto il significato di esse, giunge alla piena consapevolezza della terza tesi da noi indicata come fondamentale, la tesi della possibilità di costruzione economica socialista in Russia, isola­tamente, anche al di fuori dell'aiuto di Stato di una rivoluzione prole­taria vittoriosa nell'Europa occidentale.

   Non è mio compito presentare ora questo problema in tutti i suoi aspetti, e particolarmente in quelli economici, che sono i più importanti. Per quanto riguarda la linea politica generale, la negazione della possibilità di costruire il socialismo in Russia corrisponde esattamente alla teoria della rivoluzione permanente di Trotskij, corrisponde alla posizione di Kamenev nel 1917, così come corrisponde allo scetticismo e pessimismo di Kamenev e di Zinovjev alla vigilia immediata dell'Ottobre. E si noti. Mentre vi è una continuità nella linea teorica di Trotskij, vi è pure una continuità nel fatto che Kamenev e soprattutto Zinovjev, dopo aver collaborato per quasi dieci anni nella applicazione della esatta linea bolscevica, sembrano presi dallo stesso panico che li aveva presi nel 1917, e compiono, in una situazione, per molti rispetti, analoga, la stessa pericolosa oscillazione verso il trotskismo.

   La possibilità di vittoriosa costruzione del socialismo in un solo paese era ammessa da Lenin? Non vi è dubbio [3]. Lenin l'aveva ammessa una prima volta, implicitamente, quando aveva guidato il partito e il proletariato alla conquista del potere, non solo per fare una rivoluzione politica, ma per iniziare un'opera di costruzione economica. Esplicitamente egli l'ammise con l'introduzione della nuova politica economica. Infatti, se il comunismo di guerra poteva apparire come un espediente provvisorio per superare le resistenze controrivoluzionarie ed attendere lo scoppio della rivoluzione in Occidente, la nuova politica economica venne concepita da Lenin come un sistema, il quale, poiché garantisce al proletariato le chiavi di volta dell'edificio economico e concede una certa libertà al capitale privato ed al commercio, rinsalda il blocco tra gli operai e la grande massa dei contadini lavoratori sul terreno econo­mico, sul terreno sul quale gli operai lottano per far trionfare gli ele­menti socialisti della produzione sopra gli elementi non socialisti. Essa, quindi, crea una situazione in cui, salvo l'intervento di un fattore estra­neo perturbatore (guerra controrivoluzionaria) l'azione economica co­struttiva intrapresa dalla classe operaia può essere vittoriosa. La prospettiva di vittoria deriva dal fatto che anche in questo nuovo momento gli operai non sono soli, che la alleanza con i contadini, creata sul terreno politico, continua sul terreno della lotta e della costruzione eco­nomica. E l'esclusione di essa deriva dal non ritenere possibile questa alleanza. Ancora una volta, ci troviamo di fronte alla applicazione conseguente od alla negazione del principio della egemonia del proletariato nel blocco operaio-contadino.

III

  Il problema al quale abbiamo cercato di dare rilievo, studiando la formazione delle tesi fondamentali del bolscevismo sulla possibilità di rivoluzione socialista e di costruzione vittoriosa del socialismo in Russia, si può presentare anche in forma diversa da quella in cui noi lo abbiamo esaminato. Esso viene presentato comunemente nella forma di dibattito sul carattere della Rivoluzione russa dell'ottobre e sulla natura dello Stato russo. Per chi respinga le tesi del bolscevismo la Rivoluzione di ottobre non è stata una rivoluzione socialista, ma una rivoluzione borghese, e lo Stato russo odierno non è uno Stato proleta­rio, ma uno Stato borghese o piccolo-borghese, cioè contadino. A soste­nere apertamente una tesi simile nessuno dei compagni del partito russo è arrivato, ma vi sono arrivati, partendo da premesse eguali, e facendo ragionamenti analoghi a quelli delle diverse opposizioni russe, i social­democratici, ed i sinistri tedeschi conseguenti. Questi ultimi, ideologica­mente, hanno fatto ritorno alla socialdemocrazia e, praticamente, sono passati nel campo della controrivoluzione. In seno al partito russo la affermazione del carattere non proletario dello Stato è stata presentata in modo velato e per via obliqua, con le accuse di degenerazione dello Stato stesso, di contrasto fra la politica del partito e gli interessi delle grandi masse operaie, di termidorismo, di soverchie concessioni ai con­tadini, ecc. Tutto ciò, mentre è indizio di smarrimento e di panico in una situazione oggettivamente difficile, è conseguenza della negazione della possibilità di costruzione socialista vittoriosa. Ma non voglio entrare nei particolari.

   Interessante mi pare invece mostrare, seguendo le discussioni che hanno avuto luogo nel partito russo dopo la presa del potere, la con­ferma del fatto che la necessità di mantenere il blocco operaio-contadino è alla base della politica del bolscevismo. In fondo a «tutte» queste discussioni si trova il problema dei rapporti tra operai e contadini Vediamo brevemente:

   a) contrasto a proposito della pace di Brest-Litovsk. La opposi­zione dei comunisti di sinistra considera la conclusione della pace come un'offesa all'eroico proletariato, il quale è pronto a riprendere la lotta contro l'imperialismo tedesco, questo tipico rappresentante della borghesia controrivoluzionaria. Ma questa lotta il proletariato dovrebbe condurla da solo, perché i contadini, fuggendo dal fronte, hanno dimostrato che di guerra non ne vogliono sapere. È quindi il blocco operaio e contadino che viene spezzato, ed è la fine della rivoluzione;

   b) discussione sul compito dei sindacati, che si svolge all'epoca del passaggio alla Nuova politica economica. Trotskij propone, invece della fine dei metodi organizzativi del comunismo di guerra, una parti­colare applicazione di essi nel campo economico. In pari tempo propone la fusione degli organi dirigenti dei sindacati con gli organi dirigenti della vita economica. Entrambe le proposte sono contrarie al ristabili­mento di quel minimo di libertà di commercio e di libertà al capitale privato che è condizione perché il blocco operaio e contadino sia mante­nuto. Nelle proposte di Trotskij si vede il proletariato continuare, isolato, la sua rivoluzione permanente, condannata a sicura sconfitta;

   c) discussione col gruppo dell'opposizione operaia. Questo gruppo propone l'immediato e completo passaggio della gestione economica ai sindacati. È contro la concessione di una parziale libertà di commercio, è contro l'impiego di specialisti nelle aziende economiche, contro la nuova politica economica, che considera «alla peggio» soltanto come una ritirata. Sostiene una politica puramente operaia, in cui della neces­sità del blocco operaio e contadino non si tiene nessun conto;

   d) discussione del 1923. La opposizione sostiene nel campo economico la teoria della cosiddetta accumulazione socialista primitiva, se­condo la quale, per i contadini, nel periodo di transizione non vi è altra sorte che quella di essere una colonia di sfruttamento della classe operaia. Essa è contro la «dittatura» del commissariato delle finanze, cioè contro le misure prese per la creazione di una valuta stabile, con­dizione assoluta per la collaborazione con i contadini nel campo econo­mico. Essa è inoltre per una accentuazione burocratica nella applicazione del piano economico, senza tener conto dei mutamenti del mercato, cioè senza tenere conto delle concessioni che si debbono fare ai piccoli e medi contadini per averli collaboratori nel campo della economia;

   e) discussione del 1925 con la nuova opposizione. La questione del rapporto con i contadini ha una importanza decisiva. La opposizione getta l'allarme di fronte al pericolo dei contadini ricchi, perché vede anche nella media azienda contadina un nemico, anziché un alleato possibile del proletariato. Essa vorrebbe tornare dalla alleanza con i contadini medi alla semplice neutralizzazione di essi. Essa getta egualmente l'al­larme di fronte ai risultati della direttiva di animare i soviet interes­sando più largamente i contadini alla vita di essi;

   f) discussione del 1926 col blocco delle opposizioni. La direttiva fondamentale del blocco delle opposizioni si trova nel misconoscimento della possibilità e della necessità di attrarre le grandi masse di contadini lavoratori (contadini medi), ad una collaborazione economica con il proletariato, cioè di saldare l'economia contadina con l'economia industriale socialista. Da ciò il programma economico della opposizione. Esso, mentre in apparenza chiede una industrializzazione più rapida, in realtà, spezzando i legami con la campagna, toglie le basi per lo sviluppo dell'industria socialista.

IV

  In tutte queste discussioni, però, vi è un problema che si intreccia sempre con il problema dei rapporti con i contadini, ed è quello del regime interno del partito del proletariato. E la cosa è comprensibile. Un giusto regime interno del partito del proletariato è nella dottrina del leninismo l'elemento che consente alla classe operaia di determinare giustamente la sua posizione di fronte alle altre forze motrici della rivoluzione, e di realizzare la propria egemonia su di esse. Un giusto regime interno del partito del proletariato è inoltre condizione perché la sua politica non sia quella di un gruppo o di una categoria, ma sia la politica di tutta una classe. Prima della conquista del potere la deviazione da questa linea è rappresentata dalle correnti sindacaliste e dalle correnti socialdemocratiche. Esse fanno della politica del partito del proletariato non la politica di tutta la classe, ma la politica di una aristocrazia, la quale mette in prima linea il suo interesse particolare. Esse distrug­gono l'unità della classe operaia in uno spezzettamento di categorie e di gruppi in lotta per il loro vantaggio particolare. Una parte degli interessi di categoria e dei vantaggi particolari di gruppo deve, invece, sempre essere sacrificata perché la classe operaia nella sua unità riesca ad attuare il suo compito rivoluzionario, a fondare uno Stato ed a co­struire una economia socialista. Il sacrificio non può essere fatto se non dietro la guida di una avanguardia che sia unita e compatta nella sua ideologia e nelle sue organizzazioni, che sia legata con gli strati anche più lontani della classe operaia, ma legata ad essi per dirigerli e non per cedere allo spirito particolaristico da cui questi possono venir dominati. Dopo la presa di potere le stesse correnti socialdemocratiche e sindacaliste tendono a ripresentarsi, perché il processo di costruzione socialista è lungo e pieno di ostacoli, perché difficoltà di vario genere, talune assai gravi, si possono presentare, ed in ogni momento si richiede che la classe operaia si mantenga unita nella direzione rivoluzionaria, senza cedere ad interessi particolari e senza lasciarsi sorprendere dalla influenza che altre classi possono esercitare nel suo seno. La guida di una avanguardia temprata e cosciente, unita e disciplinata, è quindi necessaria altrettanto e forse più di prima. Vi sono momenti di crisi, nel periodo di transizione, in cui certi strati della classe operaia, - della classe che ha vinto la rivoluzione, che tiene il potere ed è a capo dello Stato, - sono costretti a vivere in condizioni materiali peggiori di quelle in cui vivono alcuni elementi della nuova borghesia, che il proletariato deve tollerare accanto a sé per poter proseguire nel suo lavoro di costruzione economica. Molti «nepman» hanno la pelliccia e molti operai non la hanno. È su questo elemento che si basano i socialdemocratici per affermare che la rivoluzione è fallita ed è in generale impossibile. Essi sono logici nel loro ragionamento, poiché anche prima della conquista del potere tutta la politica della socialdemocrazia consiste nel far dimenticare agli operai gli scopi rivoluzionari della loro classe, stimolando in essi il bisogno di soddisfare degli inte­ressi particolari. In questo modo la socialdemocrazia si basa nell'Europa occidentale sopra una aristocrazia operaia che essa tende a far diventare controrivoluzionaria. Ma questo non potrà mai accadere in Russia fino a che il partito bolscevico, mantenendosi nella linea tracciatagli dal suo capo, riuscirà a mantenere attivo nelle masse lo spirito classista rivoluzionario, a tenere la classe operaia stretta attorno ad una avanguardia unita e compatta, capace di scegliere con freddezza e con ponderazione il cammino della vittoria, e di guidare su di esso il proletariato, esaltan­done fino al più alto grado l'entusiasmo e lo spirito di sacrificio.

   La necessità di impedire una deviazione nel senso della socialdemo­crazia o del sindacalismo, e di mantenere al partito la compattezza, l'unità interiore che perciò gli sono necessarie, spiega l'importanza che hanno avuto, nelle questioni russe, i problemi del regime interno del partito stesso. Per i compagni non russi la discussione più importante fu quella del 1923 con Trotskij ma gli elementi di essa si trovano già nel dibattito sostenuto da Lenin, prima della introduzione della Nuova politica economica, col gruppo del centralismo democratico. Le rivendicazioni di questo gruppo erano quelle della limitazione del cen­tralismo nel partito, della sostituzione del principio delle responsabilità personali col principio della collegialità, dell'attenuazione della funzione dirigente del partito negli organi economici e di Stato. I germi di una degenerazione sindacalista erano già presenti in queste proposte. Il fatto che esse vennero presentate mentre non era ancora del tutto superato il periodo della guerra civile, permise di vincere rapidamente questa tendenza, mentre più grave fu la lotta contro la opposizione operaia e contro il trotskismo, che presentarono delle piattaforme analoghe nel periodo di introduzione e realizzazione della Nuova politica economica. In questo periodo ebbe fine il processo di decomposizione del nucleo fondamentale proletario, provocato dalla guerra civile. La classe operaia si ricompose sia per il ritorno degli operai qualificati che la guerra civile aveva allontanato dalle fabbriche, sia per l'ingresso nelle fabbriche di una nuova generazione giovanile e di vaste masse provenienti dalle campagne. Si presentarono allora due pericoli. Il primo fu che nei nuovi elementi, ai quali non era conosciuto, per esperienza diretta, il passato di lotta contro il regime capitalistico, potevano oscurarsi alcuni dei linea­menti della coscienza di classe rivoluzionaria. Il secondo pericolo fu che questi nuovi elementi, sopravvalutando i lati negativi del periodo di transizione (esistenza della nuova borghesia, disoccupazione, inegua­glianza dei salari, ecc.) potevano essere portati al disfattismo, a perdere di vista gli scopi generali per cui lotta la classe operaia nel periodo di transizione, a mettere in prima linea gli interessi di categoria. Poiché la classe operaia russa si estende numericamente in modo continuo, assorbendo contadini venuti dalle campagne, si può dire che questi peri­coli sono sempre presenti. La politica interna del partito è diretta a superarli. La democrazia del «nuovo corso» di Trotskij e il sindaca­lismo della opposizione erano invece una capitolazione davanti ad essi, una rinuncia ai principi leninisti della omogeneità, della unità e della compattezza del partito, una rinuncia al principio che il partito guida la classe rendendola capace del sacrificio degli interessi di categoria, oltreché una rinuncia alla continuità nella direzione del partito stesso. Le deviazioni di Trotskij e della opposizione operaia aprivano ancora una volta la via che porta a distruggere l'egemonia del proletariato. Su questa via si trovano tanto i tentativi di spezzare l'unità del partito bolscevico costituendo nel suo seno delle frazioni, quanto le paradossali affermazioni della necessità di consentire la formazione di diversi parti­ti, quanto la demagogia degli opuscoletti, pubblicati illegalmente dalla opposizione unificata per mobilitare il proletariato contro le strettezze e le economie richieste dalla congiuntura economica, quanto la dema­gogia degli interventi di Zinovjev e di Trotskij nelle cellule di Mosca e di Leningrado nell'ottobre 1926, per eccitare lo spirito di categoria degli operai con la visione di miliardi conquistabili a spese dei contadini.

V

  L'ultimo punto che intendo toccare è quello delle prospettive internazionali che sono collegate con le tesi fondamentali del bolscevismo che ho analizzato. Più che di prospettive sulla situazione internazionale sarebbe però esatto parlare di una concezione integrale del modo come si sviluppa la rivoluzione proletaria mondiale, nella situazione creata dalla crisi, che il capitalismo attraversa nel periodo dell'imperialismo.

   La conclusione cui arrivò Lenin all'inizio della guerra mondiale e che egli confermò con l'analisi dell'imperialismo, come ultima fase del capitalismo, è quella della maturità del regime capitalistico. Quando il regime capitalistico è giunto alla sua maturità si apre il periodo della rivoluzione proletaria. Questa tesi è fondamentale per il marxismo; ma l'applicazione di essa al periodo storico attuale è quello che ci distingue dalla socialdemocrazia. La socialdemocrazia ha una concezione molto strana tanto della maturità del regime capitalistico, quanto del passaggio al regime socialista. Il passaggio al regime socialista è per essa lo schiudersi pacifico di un nuovo ordine di cose, il quale dovrebbe potersi formare, a poco a poco, in seno al vecchio mondo. La conseguenza di questa concezione è che per la socialdemocrazia il regime capitalistico non può essere maturo per una rivoluzione, ma è sempre maturo per un nuovo sviluppo progressivo il quale dovrebbe avvicinarlo di più... all'ideale socialista e favorire uno sviluppo ulteriore di elementi socia­listi in seno ad esso. Per questa via la socialdemocrazia non solo giunge a negare il carattere rivoluzionario dell'attuale periodo storico, ma a collaborare alla restaurazione capitalistica ed a lottare per arrestare lo sviluppo della rivoluzione proletaria.

   Ma come si inizia e come si svolge la rivoluzione proletaria? La maturità del sistema capitalistico non significa che il passaggio alla costruzione del socialismo possa e debba avvenire contemporaneamente in tutti i paesi. Essa non significa nemmeno che in tutti i paesi i rapporti di produzione e i rapporti di forza tra le diverse classi siano giunti allo stesso punto di sviluppo. Al contrario, lo sviluppo imperialistico del capitalismo ha dato più grande evidenza che nel passato alla legge dell'ineguaglianza dell'evoluzione economica dei diversi paesi. Il periodo attuale è periodo di squilibri improvvisi e profondi tra un paese e l'altro, di impossibilità di ridurre ad unità tutto il mondo della produzione. Ciò fa sì che anche la rivoluzione proletaria sia qualcosa di grandemente complesso. Non si tratta del subitaneo apparire nel mondo di un nuovo ordine di cose, ma di un lungo e complicato processo storico, il quale comprende in sé fatti e periodi svariati, vittorie rivoluzionarie, sconfitte e ritirate, guerre imperialistiche e periodi di pace relativa, crisi acutis­sime e momenti di temporanea e parziale stabilizzazione.

   Questo processo di sviluppo della rivoluzione consente la vittoria rivoluzionaria e la presa del potere anche in un solo paese, e consente pure che il proletariato vittorioso in un paese non solo si mantenga al potere, ma, là dove esistono le condizioni materiali necessarie, co­struisca con successo una economia socialista. La prima possibilità è negata dai riformisti e dai rivoluzionari a parole di tutti i paesi. Anche noi ne ebbimo la prova nel 1919 e '20. Per demoralizzare e disgregare il proletariato rivoluzionario i riformisti non facevano che ripetere che era necessario attendere si muovesse il proletariato degli altri paesi euro­pei, senza i quali non si poteva far nulla. Durante l'occupazione delle fabbriche Graziadei calcolava che non vi erano in Italia sufficienti ri­serve di grano e che quindi il movimento doveva essere stroncato. Vi è sempre una scusa per non fare la rivoluzione quando non la si vuole.

   Quanto alla seconda possibilità, la negazione di essa per la Russia, per un paese che comprende la sesta parte del globo, per un paese nel quale esistono, se si mantiene l'alleanza con i contadini, le necessarie condizioni materiali, significa rivedere la concezione leninista della rivoluzione proletaria, significa ammettere che nel prossimo avvenire il capi­talismo avrà tanta forza da arrestare il corso della rivoluzione proletaria su tutti i fronti, da ridare unità al mondo della produzione, e da com­prendere in questa unità anche il paese, - la Russia, - dove il prole­tariato è al potere. Che il capitalismo potesse acquistare una forza simile era escluso da Lenin al punto che egli affermò, persino, ripetutamente, che l'esistenza di un paese in cui il proletariato ha il potere nelle mani rende possibile a paesi economicamente arretrati di giungere a forme di economia socialista, senza passare, inevitabilmente, per uno stadio capitalistico. Questo può avvenire oggi nella Cina.

   La verità di queste tesi di Lenin può essere distrutta dalla constatazione fatta dalla Internazionale comunista dell'esistenza di un periodo di stabilizzazione relativa? Noi crediamo di no, a meno che non si modifichi tutta la concezione che abbiamo dello sviluppo della rivoluzione proletaria. Ma è in questo errore, invece, che sono caduti alcuni compagni della opposizione russa. Perciò essi in determinati momenti sono apparsi così impazienti di constatare la fine del periodo di stabi­lizzazione relativa e il ritorno di una situazione rivoluzionaria immediata. Perciò la sostanza delle loro posizioni, che è una perdita di fiducia nelle forze della rivoluzione proletaria è stata da essi coperta con frasi di sinistra. Queste frasi mascherano male, e non nascondono che le correnti di opposizione in Russia tendono a liquidare alcuni principi teorici e tattici fondamentali i quali debbono invece continuare ad illuminare ed a dirigere l'attività dell'avanguardia proletaria in Russia ed in tutti i paesi.

Note

[1] Fino alle ultime discussioni i compagni non russi, che non fossero spe­cializzati in materia, non avevamo avuto occasione di studiare questo momento importantissimo della storia del bolscevismo. Gli articoli scritti da Kamenev e da Zinovjev prima dell'Ottobre per combattere le decisioni del Comitato centrale, non sono ancora stati, ch'io sappia, tradotti o largamente riassunti in una lingua diversa dal russo, ed è male. Sono certo che, fino a due anni or sono, cioè an­che dopo la discussione del 1924 con Trotskij, parecchi compagni esteri non riuscivano a comprendere chiaramente i motivi e il significato dell'atteggiamento di Kamenev e di Zinovjev nel 1917. Così potè avere corso la teoria avanzata da Trotskij della inevitabile recidiva socialdemocratica alla vigilia della presa del potere. Si trattava invece di una caduta nel trotskismo. Ma questo non si com­prende se non in relazione con la discussione delle tesi di Lenin dell'aprile 1917 (n.d.a.).

[2] Nella Pravda dell'8 aprile 1917, il giorno dopo la pubblicazione delle tesi di Lenin, una nota di Kamenev si limita a fare osservare che l'affermazione che la rivoluzione democratico-borghese è finita, e si deve passare alla rivoluzione proletaria, non è esatta. Nella Pravda del 12 aprile, viene largamente svi­luppato l'argomento che se si accetta la tesi di Lenin sulla necessità di fare dei passi decisivi verso l'abbattimento del capitalismo, nel fare questi passi gli ope­rai si troveranno soli. Inoltre, poiché nelle tesi di Lenin si affermava che solo il socialismo può liberare dalla guerra, dalla fame e dal massacro di nuovi mi­lioni di uomini, Kamenev risponde che queste sono verità generali, inutili allo scopo di fissare la linea da seguirsi in Russia, dove la rivoluzione democratica non è ancora finita. Ma quelle verità generali erano portate da Lenin per dimo­strare precisamente la inevitabilità dello sviluppo della rivoluzione verso il socialismo, perché le grandi masse popolari anche non proletarie, le quali volevano pane e pace, sarebbero state portate a schierarsi dietro il proletariato ed a fare, sotto la sua guida, una seconda rivoluzione di carattere socialista (n.d.a.).

[3] Due parole sul metodo delle citazioni dalle opere di Lenin. I compagni della opposizione russa hanno raccolto molte affermazioni di Lenin in cui ver­rebbe esclusa la possibilità di costruzione del socialismo in un solo paese. Si tratta per lo più di frasi in cui è sottolineato il carattere internazionale della rivoluzione proletaria, ma su questo punto nessuno ha dubbi. Non è su di esso che si discute. La verità è che, dall'opera di Lenin esaminata nel suo complesso, emerge l'affermazione della possibilità che gli operai russi, alleati con i contadini, compiano una rivoluzione economica socialista. Nemmeno da Lenin la tesi potè essere formulata in modo preciso se non quando egli ebbe davanti a sé tutti gli elementi del problema come esso si presenta oggi a noi, cioè dopo il primo periodo di potere proletario. Sono di questo periodo i passi di Lenin in cui egli nega che la nuova politica economica sia soltanto una ritirata ed afferma in modo preciso che in Russia si può costruire il socialismo. L'articolo sulla cooperazione è decisivo. Quanto a Marx ed Engels oltre ai passi in cui viene ribadito il carattere internazionale della rivoluzione proletaria, non ha nessun va­lore la citazione di passi da cui appare che essi lavoravano non con la prospet­tiva di una vittoria del proletariato in Russia e della permanenza del regime capitalistico in Occidente, ma con la prospettiva della caduta del capitalismo in alcuni paesi dell'Europa occidentale. Questi passi potrebbero venir citati a dimo­strare anche la impossibilità di quello che in Russia è già avvenuto. È soltanto nella continuità del pensiero marxista, nella realizzazione di esso nella esperienza della rivoluzione russa, è nella definizione delle prospettive aperte dalla crisi attuale del capitalismo che la tesi della possibilità della costruzione del socialismo in un solo paese si precisa (n.d.a.)