Accademia delle Scienze dell'URSS,
Storia Universale, volume XI
edizione italiana, Teti editore, Milano 1978, pp. 74-83
Il 23 agosto 1944, mentre l'Armata rossa avanzava vittoriosamente, le forze patriottiche della Romania abbattevano la dittatura fascista di Ion Antonescu. Ma la maggioranza del governo formato subito dopo dal generale Constantin Sanatescu era composta da elementi civili e militari di orientamento reazionario. Re Michele si era rifiutato di accogliere la richiesta del Partito comunista romeno di formare un governo con i rappresentanti di tutti i partiti e organizzazioni antifascisti. Tuttavia, poiché il nuovo governo si era pronunciato per la cessazione delle operazioni militari contro le Nazioni Unite, aveva accettato le condizioni sovietiche di armistizio e si era impegnato a introdurre nel paese le libertà democratiche, il partito comunista accettò la proposta di farvi partecipare un proprio rappresentante. Fu designato Lucretiu Patrascanu, al quale fu assegnato il dicastero della giustizia.
Il 24 agosto le truppe naziste tentarono di impadronirsi di Bucarest per restaurarvi la dittatura fascista. Lo stesso giorno il governo Sanatescu dichiarò guerra alla Germania hitleriana. La guarnigione romena, con l'apporto di formazioni operaie, dopo accaniti combattimenti durati sei giorni, riuscì a cacciare gli hitleriani dalla capitale e dai suoi dintorni. Il 31 agosto entravano a Bucarest unità dell'Armata rossa che nella storica operazione Iasi-Kisciniev sconfiggevano un forte raggruppamento di truppe fasciste.
Il governo Sanatescu adottò una serie di misure positive: accordò l'amnistia ai detenuti politici, chiuse i campi di concentramento, ristabilì la Costituzione del 1923, legalizzò i partiti politici, soppressi negli anni della dittatura fascista. Ma oppose resistenza alle proposte di riforme nel campo economico, sociale e politico. Il re, il governo e il comando militare cercavano di arrestare le operazioni offensive dell'Armata rossa sul territorio romeno e avevano avviato trattative segrete per farvi affluire paracadutisti inglesi e americani. Nel paese, intanto, l'attività delle masse si intensificava incessantemente. Crescevano la consistenza numerica e la rete delle organizzazioni locali del partito comunista, così come del partito socialdemocratico e del Fronte dei contadini. Si creavano comitati sindacali unitari, organizzazioni antifasciste di massa, comitati contadini. In considerazione di tutto ciò, il 26 settembre le direzioni del partito comunista e di quello socialdemocratico, sostenute dal Fronte dei contadini e dai sindacati, lanciarono il programma del Fronte democratico nazionale che prevedeva l'ulteriore democratizzazione del paese, la riforma agraria sulla base dell'esproprio delle proprietà agrarie superiori ai 50 ettari e la loro distribuzione gratuita ai contadini senza o con poca terra, la confisca delle proprietà dei criminali di guerra, e una serie di altre misure economico-sociali democratiche e riforme politiche. La collaborazione con il partito comunista e tutte le forze antifasciste e l'aiuto loro prestato nell'azione per l'abolizione della legislazione fascista, da parte dei principali partiti borghesi, quello nazional-zaranista diretto da Juliu Maniu e quello nazional-liberale, diretto da Constantin Bra-tianu, ne consolidarono l'influenza. Ma questi partiti si rifiutarono di sostenere il programma del Fronte democratico nazionale e il 12 ottobre il comitato nazionale del Fronte democratico nazionale veniva costituito senza la loro partecipazione. Per poter attuare il programma del fronte, il partito comunista pose il problema della sostituzione del governo comprendente tecnici civili e militari con un altro ministero, formato da rappresentanti delle organizzazioni che avevano aderito al Fronte democratico nazionale, nonché dei partiti nazional-zaranista e nazional-liberale.
Il 16 ottobre 1944 i rappresentanti dei partiti operai nel governo Sanatescu. presentavano le dimissioni, indicando con ciò che la classe operaia non gli accordava più la propria fiducia. Questo passo era stato accompagnato da comizi e dimostrazioni di massa, dall'epurazione, iniziata dal basso, dall'apparato statale degli elementi antipopolari, dalla costituzione di organi del controllo operaio in una serie di imprese, e così via.
Il 4 novembre il re diede il suo assenso per una sostanziale riorganizzazione del governo Sanatescu: il capo del Fronte dei contadini Petru Groza divenne vicepresidente del consiglio, L. Patrascanu venne confermato ministro della giustizia e Gheorghe Gheorghiu-Dej, altro eminente esponente del partito comunista, ministro delle comunicazioni. Altri posti ministeriali furono assegnati ad altri esponenti del Fronte democratico nazionale. Tuttavia, la maggioranza del nuovo governo era costituita da esponenti dei partiti borghesi.
Grazie all'energia della classe operaia e della parte più avanzata dei contadini, e sotto la direzione del Fronte democratico nazionale, i vecchi organi del potere furono demoliti ovunque. Nel tentativo di impedire l'ulteriore democratizzazione del paese, il re, con l'assenso dei dirigenti dei partiti borghesi, il 6 dicembre 1944 nominò capo del governo il capo di stato maggiore, generale Nicolae Radescu, che assunse anche il portafoglio degli interni. Il Fronte democratico nazionale conservò nel suo complesso le proprie posizioni nel governo, il quale si impegnò a attuare la riforma agraria.
Ma apparve ben presto chiaro che il governo Radescu non intendeva far fronte ai suoi impegni. In considerazione di ciò, il 28 gennaio 1945 il Fronte democratico nazionale presentò un programma per portare a fondo la lotta democratico-rivoluzionaria per il potere, che corrispondeva nelle grandi linee alla piattaforma approvata dal fronte stesso nel settembre 1944. Per indebolire la reazione delle forze conservatrici furono apportate al programma alcune modifiche: la riforma agraria non doveva estendersi alle terre della Chiesa, dei conventi e della famiglia reale; la nazionalizzazione delle banche e delle aziende industriali per il momento veniva accantonata. Per iniziativa del partito comunista, e in base a un appello del Fronte democratico nazionale, si sviluppò in tutto il paese un movimento di massa per la democratizzazione dell'apparato statale e la distribuzione delle terre dei grandi agrari. Verso la metà di febbraio, minacciando la guerra civile, Radescu ricorse all'impiego delle forze armate per difendere la proprietà dei grandi agrari e l'amministrazione reazionaria. Le forze armate, però, si rifiutavano sempre più spesso di andare contro il popolo. Ciò si verificò in modo particolarmente evidente a Bucarest, dove il 24 febbraio 1945 reparti militari si rifiutarono di appoggiare la polizia e la gendarmeria che volevano disperdere una dimostrazione di lavoratori.
Il 28 febbraio Radescu fu costretto a dimettersi e a cercare asilo presso la missione inglese. Il 6 marzo, dopo un tentativo non riuscito di formare ancora un governo reazionario, il re, sotto la pressione di una dimostrazione di 800 mila persone tenutasi a Bucarest, fu costretto a cedere. Lo stesso giorno fu formato un governo presieduto da Groza. I rappresentanti del Fronte democratico nazionale avevano in questo governo il presidente del consiglio e 14 ministri. La borghesia liberale ottenne la vicepresidenza e tre ministeri.
La costituzione del governo Groza aveva dimostrato che l'egemonia politica era passata alle forze democratiche, alla cui testa stava il Partito comunista romeno. Creando, assieme al partito socialdemocratico, il Fronte unico operaio, il partito comunista aveva spostato l'asse di tutta la lotta contro la reazione sul terreno del potere popolare. Appoggiandosi sulla classe operaia, organizzandola in sindacati unitari, attirando nella lotta i contadini lavoratori, procedendo ad attivare le organizzazioni progressiste dei lavoratori delle diverse nazionalità, le organizzazioni giovanili, femminili eccetera, il Fronte unico operaio rese possibile la vittoria della rivoluzione popolare. Il Fronte unico operaio, che aveva suoi organi in tutte le città, nei distretti e nelle grandi fabbriche, era il nucleo centrale del Fronte democratico nazionale. Così il governo Groza si basava nella sua attività su un duplice blocco: quello della classe operaia e di altri lavoratori e quello di tutti i lavoratori con una parte della borghesia.
Il nuovo potere statale era una dittatura democratico-rivoluzionaria del proletariato e dei contadini.
Subito dopo la sua costituzione, il governo popolare della Romania si rivolse al governo sovietico con un telegramma nel quale, interpretando la volontà del popolo romeno, consapevole della grande missione assunta dall'Unione Sovietica per la distruzione del fascismo, dichiarava di esser pronto a intervenire con tutte le proprie forze per concorrere alla lotta per la disfatta del fascismo. Il governo romeno si dichiarava pronto a farla finita con il passato e a intrattenere con l'URSS le relazioni più strette e amichevoli. Il governo Groza cercò di recare il massimo contributo possibile alla lotta contro la Germania hitleriana. La liberazione del territorio della Romania dall'esercito hitleriano era già cosa fatta il 25 ottobre 1944. Nel periodo successivo le unità militari romene, alle dipendenze operative del comando supremo sovietico, presero parte ai combattimenti per la liberazione dell'Ungheria e della Cecoslovacchia.
Il 22 marzo 1945 il governo approvava la legge sulla riforma agraria: tutte le superfici superiori ai 50 ettari (a eccezione delle terre del re, degli ordini religiosi e della Chiesa) venivano espropriate, assieme agli altri mezzi di produzione. Erano soggette a confisca, indipendentemente dalle loro dimensioni, tutte le terre appartenute ai tedeschi, ai traditori della patria, ai collaborazionisti, ai criminali di guerra e quelle appartenenti a elementi che le avevano abbandonate e non volevano lavorarle. La terra confiscata doveva essere distribuita ai contadini lavoratori e senza terra in appezzamenti fino a 5 ettari, contro il corrispettivo di 10 quintali di frumento o 12 quintali di granoturco per ettaro, da consegnare in 10 o 20 anni.
La legge sulla riforma agraria non faceva praticamente che sanzionare la distribuzione delle terre dei grandi agrari, già effettuata nell'autunno del 1944. L'attuazione della riforma agraria, durata alcuni mesi, ebbe luogo in Romania, come in tutti gli altri paesi messisi sulla via di profonde trasformazioni sociali, nel corso di una lotta accanita contro le forze della reazione. La classe operaia prestò un grande aiuto ai contadini romeni. Il partito comunista, quello socialdemocratico e i sindacati inviarono nelle campagne squadre di operai per partecipare all'attuazione della riforma.
Sulla base della legge di marzo sulla riforma agraria vennero confiscati 1 milione 470 mila ettari, 1 milione 111 mila dei quali furono distribuiti a 918 mila famiglie di contadini con poca o senza terra, mentre 359 mila ettari entravano a far parte del fondo terriero statale. Le macchine agricole confiscate furono assegnate ai circa 300 centri di noleggio macchine costituiti nel 1945 per aiutare i contadini a effettuare i lavori agricoli. Grazie alla riforma agraria furono costituite più di 400 mila nuove aziende contadine, mentre 500 mila piccole aziende ingrandirono la loro superficie terriera. La riforma agraria aveva rafforzato l'alleanza tra operai e contadini e l'influenza del partito comunista nelle campagne. Dall'inizio della riforma e fino al luglio 1945 entrarono a far parte del partito comunista più di 43 mila lavoratori agricoli e contadini.
La reazione cercò di sfruttare le difficilissime condizioni del paese, specialmente nel campo dei rifornimenti alimentari, sia per minare l'alleanza operaio-contadina, sia per scindere il Fronte unico operaio, non ancora consolidato. Gli elementi reazionari sfruttarono largamente in questa occasione la linea disorganizzatrice dei dirigenti di destra del partito socialdemocratico.
I comunisti e i socialdemocratici conseguenti illustrarono il carattere demagogico delle rivendicazioni dei dirigenti di destra della socialdemocrazia, mirando a rendere più compatto il Fronte unico operaio e a superare le divergenze tattiche e ideologiche esistenti tra i due partiti operai. Grazie alla linea conseguente del partito comunista, che aveva fatto coraggiosamente appello alla classe operaia e a tutti i lavoratori, vennero ottenuti significativi successi nella lotta contro la speculazione e contro il sabotaggio della politica economica governativa, contro lo spionaggio, il terrorismo e altre attività ostili.
Tutta questa azione era accompagnata da misure per la democratizzazione degli organi del potere statale e dell'esercito. Vennero anche creati nuovi organi amministrativi per dirigere l'economia del paese, garantire la sua ricostruzione e il suo sviluppo nell'interesse del popolo, vennero creati organi di controllo statale sulle imprese private, che operavano in perfetta sintonia con quelli del controllo operaio, creati dai sindacati. L'introduzione della giornata di otto ore, del sistema di assicurazioni sociali e della parità di salario per eguale lavoro migliorarono le condizioni degli operai.
La ricostruzione dell'economia ebbe luogo con un notevole aiuto da parte dell'URSS. Già a partire dal gennaio 1945 l'Unione Sovietica aveva concorso alla riattivazione dei trasporti ferroviari romeni. Un'importanza particolare per la ricostruzione dell'economia della Romania ebbero i trattati commerciali e di cooperazione economica con l'URSS conclusi 1'8 maggio 1945. In base a questi trattati venivano iniziati i rifornimenti sovietici di metalli, attrezzature industriali, lana e altre materie prime.
Il 6 agosto 1945 il governo sovietico comunicò a quello di Petru Groza la propria intenzione di ristabilire le relazioni diplomatiche con la Romania. Si trattava di una decisione presa dal governo sovietico in relazione all'effettiva osservanza da parte della Romania delle clausole dell'armistizio. Le forze della reazione opposero un'accanita resistenza alla politica di ricostruzione e di riorganizzazione del paese e al suo sviluppo democratico. Esse erano appoggiate dai circoli di destra della Gran Bretagna e degli USA che volevano modificare il governo Groza, col pretesto che esso non era «né democratico, né rappresentativo». Dal 22 agosto il re ruppe ogni rapporto con il governo Groza, rifiutandosi di esaminare gli atti che, secondo la Costituzione, erano soggetti alla sua approvazione. Questo «sciopero reale» aveva lo scopo di disorganizzare l'attività degli organi del potere e di costringere il gabinetto di Petru Groza a dare le dimissioni.
Il gesto del re provocò uno scoppio di indignazione nel paese. Il 24 agosto la stragrande maggioranza dei ministri, capeggiati da Petru Groza, decisero di rimanere ai loro posti «per continuare e portare a termine l'attività costruttiva iniziata il 6 marzo 1945». In comizi e assemblee di massa, promossi dai comunisti, dai sindacati e dai socialdemocratici di sinistra, vennero manifestati fiducia e appoggio al governo, la volontà di mantenere l'unità della classe operaia e di tutte le forze democratiche e di respingere l'offensiva dei controrivoluzionari e dei socialdemocratici di destra loro collaboratori. Malgrado i tentativi delle destre, la riunione del Comitato centrale del partito socialdemocratico tenutasi il 28 settembre, dopo una burrascosa discussione, si pronunciò per il rafforzamento del Fronte unico operaio con i comunisti e per mantenere al potere il governo Groza.
La conferenza nazionale del Partito comunista romeno si svolse dal 16 al 21 ottobre 1945, in una situazione politica complessa. A quell'epoca il partito era già diventato una grande organizzazione politica, con oltre 250 mila iscritti. La conferenza ne fissò la linea politica diretta al rafforzamento del Fronte unico operaio e alla realizzazione dell'unità politica della classe operaia, al rafforzamento dell'alleanza tra operai, contadini e intellettuali, del Fronte democratico nazionale, dell'unità tra il popolo romeno e gli altri popoli del paese, allo sviluppo dell'amicizia con il popolo sovietico e gli altri popoli liberi. La conferenza indicò la necessità di estendere le funzioni economiche dello Stato, il controllo sulla distribuzione delle materie prime e dei prodotti finiti nonché dei generi alimentari, sull'importazione e sull'esportazione. Essa indicò anche la necessità di rafforzare il controllo operaio sul capitale privato, e di nazionalizzare la Banca nazionale della Romania.
La conferenza nazionale del partito comunista approvò lo statuto del partito ed elesse il nuovo Comitato centrale. Segretario generale del partito venne eletto Gheorghe Gheorghiu-Dej.
Questa conferenza rappresentò una tappa importante nello sviluppo della rivoluzione popolare. Essa aprì la prospettiva per il passaggio dalle trasformazioni democratico-rivoluzionarie a quelle di carattere socialista e alla successiva industrializzazione socialista del paese.
Le decisioni della conferenza furono accolte con favore dalla classe operaia, compresi gli operai socialdemocratici. Il 28 ottobre il Comitato centrale del partito socialdemocratico, contro il parere della minoranza di destra, approvò una risoluzione che, pur con qualche riserva, concordava in via di principio con la linea indicata dal partito comunista. La conferenza nazionale del partito socialdemocratico, che si riunì nel dicembre del 1945, si pronunciò per il rafforzamento del Fronte unico operaio.
Per impedire l'applicazione di questa linea, le forze reazionarie tentarono un colpo controrivoluzionario: l'8 novembre, compleanno di re Michele, bande di reazionari provocarono disordini a Bucarest, Brasov, Ploesti, Costanza e in una serie di altre città, cercando di occupare gli edifici statali e amministrativi. Ma l'intervento armato dei controrivoluzionari, effettuato con parole d'ordine antigovernative e antisovietiche, fu stroncato con decisione dal governo democratico e da tutto il popolo. In tutto il paese si svolsero comizi combattivi per richiedere la condanna dei controrivoluzionari. Ai funerali delle loro vittime svoltisi a Bucarest il 12 novembre, parteciparono più di 750 mila abitanti della capitale e delle province vicine. La dimostrazione sottolineò la volontà del popolo di procedere lungo la via rivoluzionaria.
Dopo i disordini di novembre organizzati dai controrivoluzionari, le potenze occidentali fecero un nuovo tentativo per cercar di far cadere il governo Groza. Ma alla conferenza dei ministri degli esteri dell'URSS, degli USA e della Gran Bretagna, che ebbe luogo tra il 16 e il 26 dicembre 1945, l'URSS fece fallire i piani intesi a modificare la composizione del governo romeno per affidarne le posizioni chiave a esponenti della reazione. Fu raggiunto un compromesso, che in sostanza significava una vittoria delle forze democratiche: in cambio dell'inclusione nel governo di un rappresentante di ciascuno dei due partiti «storici», quello nazional-liberale e quello nazional-zaranista, gli USA e la Gran Bretagna si impegnavano a stabilire relazioni diplomatiche con la Romania. Nel gennaio 1946 il re fu costretto a cessare il suo «sciopero» e il 6 febbraio USA e Gran Bretagna riconoscevano ufficialmente il governo della Romania.
Dopo aver attuato importanti riforme democratiche e aver fatto fallire i piani controrivoluzionari, il governo Groza decise di indire per il 1946 le elezioni politiche generali. Il partito comunista propose che tutti i partiti e tutte le organizzazioni del Fronte democratico popolare partecipassero alle elezioni in un fronte unico. I dirigenti di destra del partito socialdemocratico, tuttavia, continuavano a lavorare per la scissione del Fronte unico operaio e non cessavano di attaccare i comunisti, ai quali attribuivano, tra l'altro, la responsabilità della grave situazione economica del paese.
Il 10 marzo 1946 ebbe luogo a Bucarest un congresso straordinario del partito socialdemocratico che, con 232 voti di maggioranza, 29 contrari e 60 astensioni, si pronunciò per la partecipazione alle elezioni in un unico fronte con i partiti e le organizzazioni facenti parte del governo Groza. Era stato fatto così un importante passo avanti sulla via del rafforzamento della socialdemocrazia romena sulle posizioni di collaborazione e avvicinamento al partito comunista.
Una manifestazione pratica dell'avvicinamento dei due partiti sulla piattaforma rivoluzionaria si ebbe nelle elezioni dei comitati di fabbrica, svoltesi nella primavera del 1946. Né i socialdemocratici di destra, né gli anarco-sindacalisti trovarono appoggio da parte della classe operaia. Il Fronte unico operaio e i sindacati uscirono da queste elezioni rafforzati. Le elezioni dei comitati di fabbrica erano state in una certa misura una verifica della forza della classe operaia alla vigilia delle elezioni politiche.
I comunisti, poggiando sul Fronte unico operaio, cercavano di riunire tutte le forze democratiche, comprese quelle dei ceti medi, di staccare dal campo reazionario i gruppi della borghesia che si dimostravano disposti a collaborare in qualche misura con il potere popolare.
Dopo lunghe trattative, il 17 maggio 1946 fu costituito il Blocco dei partiti democratici che comprendeva tutte le organizzazioni aderenti al Fronte democratico popolare, parte degli zaranisti (il gruppo di Anton Alexandrescu) e parte dei liberali (il gruppo di Gheorghe Tatarescu). Tutte queste organizzazioni si accordarono sul principio che il Blocco dei partiti democratici presentasse un'unica lista di candidati alle elezioni e adottasse una piattaforma politica comune, conforme agli interessi di tutti gli strati sociali che vi aderivano. Questa piattaforma prevedeva lo sviluppo dell'economia, la democratizzazione del sistema fiscale, l'elevamento del benessere materiale del popolo, la difesa degli interessi dei contadini lavoratori, dei piccoli commercianti e imprenditori, la democratizzazione dell'industria cantieristica, l'estensione dei diritti democratici a tutta la popolazione, senza distinzione di nazionalità, il rafforzamento della pace, una politica di amicizia con l'URSS. La nuova legge elettorale approvata dal governo l'11 luglio 1946 estendeva il diritto di voto alle donne e ai militari e prevedeva alcune modifiche di carattere costituzionale, tra le quali la più importante era quella che aboliva il Senato. Furono privati del diritto di voto gli esponenti del regime fascista-militare di Antonescu, i membri della «Guardia di ferro» e altri fascisti e collaborazionisti. Con sentenza del tribunale, nel maggio 1946 Ion Antonescu e altri capi della cricca militare-fascista del suo regime furono condannati alla pena capitale.
Alle elezioni politiche svoltesi il 19 novembre 1946 presero parte un numero di elettori senza precedenti per la Romania: 6 milioni 934 mila, pari all'89 per cento del corpo elettorale. Il Blocco dei partiti democratici ottenne 4 milioni 766 mila voti, pari al 71,8 per cento. Inoltre l'8 per cento dei voti andò all'Alleanza popolare ungherese, che condivideva la piattaforma del Blocco dei partiti democratici. Sui 414 seggi parlamentari il Blocco dei partiti democratici ne conquistò 348 e l'Alleanza popolare ungherese 29. Il partito nazional-zaranista di Maniu ebbe 32 deputati e l'altro partito «storico», il nazional-liberale di Bratianu, si vide assegnati solo tre seggi. In questo modo, le elezioni si conclusero con una completa disfatta delle forze della reazione. All'interno del Blocco dei partiti democratici, la forza più solida risultò quella del Fronte unico operaio: il partito comunista si vide assegnati 68 seggi e quello socialdemocratico 81. La classe operaia e i suoi alleati avevano ormai una solida maggioranza sia nel governo, diretto da Petru Groza anche dopo le elezioni, sia nel massimo organo legislativo del paese, dove oltre a tutto erano sostenuti dai 70 deputati del Fronte dei contadini. Dopo le elezioni, la compagine governativa subì qualche modifica. Particolare importanza ebbe il fatto che il ministero dell'economia nazionale, di nuova costituzione, fosse assegnato a Gheorghiu-Dej .
I risultati delle elezioni aprirono nuove possibilità alla lotta per radicali riforme sociali e politiche. Un passo importante in questa direzione venne compiuto il 20 dicembre 1946, con l'approvazione da parte del Parlamento di una legge sulla nazionalizzazione della Banca nazionale della Romania, il maggior centro finanziario del paese, che era stato a disposizione dei capitalisti romeni e stranieri. La nazionalizzazione di questa banca facilitò la funzione di regolazione e di direzione della vita economica del paese da parte dello Stato. Nell'aprile 1947 il ministero dell'economia nazionale ottenne il diritto di dirigere e controllare sia i settori statali, sia quelli capitalistici privati dell'economia. Presso il ministero furono costituite direzioni industriali che riunivano gli stabilimenti secondo il settore di produzione. Tramite queste direzioni, mentre esisteva ancora la proprietà privata dei mezzi di produzione, le imprese capitalistiche furono incluse nel sistema economico nazionale, la cui azione era determinata dagli interessi della classe operaia e di tutti i lavoratori, di tutto lo Stato. Nello stesso tempo furono adottate misure anche contro i contadini ricchi i quali, sfruttando la carestia del 1945 e 1946, si erano impossessati di parte delle terre che i contadini poveri avevano ricevuto con la riforma agraria. Qui si era in presenza di una autentica violazione della legge sulla riforma che vietava la compra-vendita e l'affittanza delle terre distribuite. Il partito comunista e il Fronte dei contadini aiutarono i contadini poveri a respingere la pressione dei contadini ricchi. Intanto nelle campagne assumevano una funzione sempre maggiore le cooperative democratiche di acquisto, di consumo, di mutua assistenza nel lavoro e di altro genere. Queste cooperative attenuarono la dipendenza dei contadini poveri da quelli ricchi.
Il rafforzamento del potere popolare nel paese favorì la firma del trattato di pace tra la Romania e le potenze della coalizione antihitleriana, avvenuta il 10 febbraio 1947.
Nel giugno 1947, su proposta del partito comunista, il governo della Romania adottò una serie di misure per mettere ordine nell'economia e aumentare la produzione agricola e industriale. Una commissione per la rinascita dell'economia nazionale, munita di larghi poteri, contribuì energicamente alla ricostruzione e alla riorganizzazione dell'economia. Malgrado l'azione contraria dei rappresentanti della borghesia nel governo e nel parlamento, il potere popolare proseguiva senza soste in una politica di attacco contro i capitalisti nelle città e nelle campagne, cercando di sviluppare le forze produttive del paese. Malgrado tutto, però, nel 1947 il volume della produzione industriale era appena il 50 per cento di quello del 1938. Una grande importanza per il risanamento dell'economia del paese ebbe la riforma monetaria dell'agosto 1947, che limitò fortemente le somme a disposizione dei capitalisti: per un milione di vecchi lei furono dati 50 nuovi lei. Per i lavoratori, il cambio fu effettuato a condizioni più favorevoli.
Una controprova dell'approvazione e dell'appoggio del popolo alla politica del potere popolare venne data dall'aumento impetuoso degli iscritti al Partito comunista romeno, che alla fine del 1947 avevano raggiunto le 700 mila unità.
Le profonde modificazioni politiche e sociali che avevano avuto luogo nel paese, e il rafforzamento della funzione della classe operaia e dell'alleanza operaio-contadina, portarono alla liquidazione dei partiti di destra, che si misero a organizzare complotti, cercando di far intervenire gli imperialisti nei problemi interni del paese. Essi cercarono di trascinare il paese nel sistema del «piano Marshall» e persino di creare un governo in esilio. Nel luglio 1947, era stato interdetto il partito nazional-zaranista di Maniu, che da partito politico si era trasformato in una organizzazione di cospiratori.
I deputati che lo rappresentavano furono esclusi dal Parlamento. Poco dopo si autosciolse il partito nazional-democratico. Il processo contro i cospiratori del partito nazional-zaranista svoltosi nell'ottobre e novembre del 1947 mise in luce l'attività antigovernativa dei gruppi di Tatarescu e di Alexandrescu, ultimi rappresentanti della borghesia nel governo. Il 5 novembre 1947 il Parlamento approvò un voto di sfiducia a Tatarescu, che occupava il posto di ministro degli esteri. Ciò ebbe come conseguenza l'allontanamento dal Parlamento anche dei suoi seguaci. Nel nuovo governo entrarono 7 comunisti, 5 socialdemocratici e 6 esponenti del Fronte dei contadini.
Poco dopo fu affidato a un rappresentante del partito comunista anche il portafoglio della difesa nazionale. Tutto ciò facilitò la democratizzazione dell'esercito, così come furono gradualmente democratizzati, riorganizzati e modificati nelle loro funzioni gli altri settori dell'apparato statale. Praticamente stava per essere portato a termine il passaggio, nel quadro della democrazia popolare, dalla dittatura democratico-rivoluzionaria alla dittatura del proletariato, iniziato nel marzo 1945.
In queste condizioni l'esistenza della monarchia, centro di raccolta di tutte le forze reazionarie, era diventata anacronistica. Il 30 dicembre re Michele fu costretto ad abdicare. Lo stesso giorno, in una seduta straordinaria del Parlamento, fu proclamata la decadenza della monarchia e la costituzione della Repubblica Popolare Romena. Con questi atti si compiva il processo della conquista del potere da parte della classe operaia, che aveva operato in alleanza con i contadini lavoratori e tutte le forze democratiche. Era stata instaurata la dittatura del proletariato.
I passi avanti compiuti nel paese indussero le direzioni politiche dei due partiti operai a convocare una riunione comune, che ebbe luogo il 27 settembre 1947. Nel corso di questa riunione fu riconosciuta la necessità immediata di realizzare l'unità organizzativa dei partiti operai. Il 13 novembre 1947 fu pubblicata la piattaforma del partito operaio unificato che analizzava lo sviluppo del movimento operaio romeno e ne indicava i compiti per l'edificazione di una nuova Romania socialista. Dal 21 al 23 febbraio del 1948 ebbe luogo il congresso di unificazione, dal quale uscì il Partito operaio romeno. Del nuovo partito facevano parte 805 mila comunisti e 132 mila socialdemocratici. Il congresso decise di passare all'edificazione delle basi del socialismo.
Nel frattempo era stato ultimato il lavoro attorno al progetto della nuova Costituzione che nel febbraio 1948 venne sottoposta a pubblica discussione. Il 28 marzo furono effettuate le elezioni alla Grande assemblea nazionale, con 1100 candidati di 4 liste, per 414 seggi. I candidati del Fronte democratico popolare costituivano una lista unica della quale facevano parte il Partito operaio romeno, il Fronte dei contadini, l'Alleanza popolare ungherese e i sindacati unitari. Questa lista raccolse il 93 per cento dei voti. Il 13 aprile 1948 la Grande assemblea nazionale approvava la Costituzione della Repubblica Popolare Romena. In essa era detto che la storica vittoria dell'URSS sul fascismo tedesco e la liberazione della Romania da parte della valorosa Armata rossa avevano offerto ai lavoratori, guidati dalla classe operaia con alla testa il partito comunista, la possibilità di abbattere la dittatura fascista, di distruggere il potere delle classi sfruttatrici e di creare uno stato democratico-popolare. La Costituzione proclamava la Repubblica Popolare Romena uno Stato dei lavoratori delle città e delle campagne, che appoggiava soltanto gli imprenditori privati che erano al servizio degli interessi sociali, e operava per il rafforzamento della cooperazione e della proprietà statale. Uno dei principali atti legislativi approvati dalla Grande assemblea nazionale, su iniziativa del Partito operaio romeno, fu la legge dell'11 giugno 1948 sulla nazionalizzazione dei principali stabilimenti industriali, delle miniere, dei trasporti ferroviari, delle banche e delle compagnie di assicurazione.
L'applicazione di questa legge aveva modificato radicalmente la situazione del paese. Buona parte delle forze produttive era ormai concentrata nelle mani dello Stato. Grazie alla nazionalizzazione era stata espropriata la classe dei grandi capitalisti e più di 1600 stabilimenti industriali, tutti quelli che occupavano più di 50 operai, erano passati in proprietà statale. La nazionalizzazione dei trasporti e delle comunicazioni, la concentrazione di tutte le operazioni creditizie nella Banca nazionale di Stato, l'introduzione del monopolio sul commercio con l'estero, permisero di passare ad altre misure pianificate, dirette alla trasformazione socialista della Romania.
Dopo la nazionalizzazione dei principali mezzi di produzione, il settore socialista divenne dominante nell'industria, nei trasporti, nelle assicurazioni e anche nel commercio con l'estero.
Il 27 dicembre 1948 la Grande assemblea nazionale approvò il primo piano statale per il ripristino e lo sviluppo dell'economia nazionale. Esso prevedeva soprattutto lo sviluppo dell'industria pesante, l'inizio della riorganizzazione dell'agricoltura su principi socialisti, la applicazione di una serie di misure per l'elevamento delle condizioni materiali e culturali dei lavoratori. Nel corso del 1949, grazie agli sforzi della classe operaia, che aveva dato inizio all'emulazione socialista, la produzione industriale aveva superato del 9 per cento quella prevista dal piano e, nel suo complesso, aveva raggiunto il livello d'anteguerra. L'industria romena si era estesa a molti nuovi settori produttivi, tra l'altro a quello dei trattori.
Il ripristino e lo sviluppo dell'industria consentirono al potere popolare di dedicarsi all'altro problema urgente, che era quello dello sviluppo dell'agricoltura. La riforma agraria del 1945 non aveva risolto il problema della terra: le aziende contadine povere rappresentavano più del 57 per cento del numero complessivo delle imprese agricole e disponevano solo del 20 per cento della proprietà terriera.
Le aziende contadine erano costituite in maggioranza da piccoli appezzamenti. Nel 1948 nel paese vi erano circa 3 milioni di aziende contadine, che erano suddivise in circa 20 milioni di appezzamenti. Il partito operaio e il governo adottarono numerose misure per andare incontro ai contadini poveri a medi: furono nazionalizzate le terre del re e quanto rimaneva delle grandi proprietà, cioè le superfici fino a 50 ettari lasciate dalla riforma.
Ma la mancanza di forza motrice e di attrezzature, il basso livello agrotecnico e la scarsa mercantilità potevano essere superati nell'interesse di tutti i lavoratori e degli stessi contadini solo mettendosi sulla strada della riorganizzazione socialista dell'agricoltura.
La riunione del Comitato centrale del Partito operaio romeno tenutasi tra il 3 e il 5 marzo 1949 affrontò il problema della cooperazione di lavoro dei contadini. Nella soluzione di questo compito grandioso, una funzione notevole fu affidata alle stazioni di macchine e trattori, la cui creazione aveva avuto inizio fin dal 1948 nelle aziende agricole statali.
Dopo la riunione di marzo, molte delle unioni contadine formatesi nel 1948 per la lavorazione in comune della terra e l'uso in comune degli attrezzi, cominciarono a trasformarsi in cooperative agricole di produzione. Nel 1949 erano state costituite 56 aziende collettive, che comprendevano più di 4000 famiglie contadine. Alcune cooperative agricole di produzione ricevettero la terra dal fondo statale.
Assieme al Partito operaio romeno prese parte attiva all'iniziata trasformazione della campagna romena anche il Fronte dei contadini. Nell'aprile del 1949, per democratizzare ulteriormente l'apparato statale furono soppressi i vecchi organi dell'amministrazione dello Stato. I comitati provvisori che furono istituiti al loro posto assolsero la funzione di organi locali del potere fino all'elezione dei Consigli popolari del dicembre 1950.
Il radicale cambiamento dei rapporti di forza tra le classi intervenuto in Romania dal 1945 al 1949, fu accompagnato da una nuova politica estera. Sulla base del trattato sovietico-romeno dell'8 maggio 1945, la cooperazione economica tra i due paesi, diventata il fattore più importante per la ricostruzione, la riorganizzazione e lo sviluppo economico della Romania, assunse vaste dimensioni. Nel 1945 l'URSS assorbiva il 94 per cento delle esportazioni romene e partecipava alle importazioni della Romania per il 97 per cento.
Alla Conferenza della pace, apertasi nel 1946 a Parigi, la Romania ottenne il riconoscimento di Stato cobelligerante e il diritto a riparazioni da parte della Germania per i danni subiti dopo il 23 agosto 1944. Venivano anche ridotti i compensi dovuti dalla Romania ai monopoli stranieri per le loro proprietà. Le posizioni della Romania erano state sostenute in modo conseguente dall'URSS.
Tenendo conto del contributo da essa recato nella fase conclusiva della lotta contro la Germania hitleriana, l'Unione Sovietica accettò di ridurre la somma delle riparazioni dovutele a un solo quinto dei danni recatile dall'esercito fascista romeno. Grazie all'azione dell'Unione Sovietica, fallirono i tentativi della Gran Bretagna e degli USA di imporre il proprio dominio sulla navigazione danubiana.
Il 10 febbraio 1947, dopo la firma del trattato di pace, l'URSS e la Romania conclusero un nuovo accordo economico con il quale l'URSS si impegnava a fornire alla Romania ingenti quantitativi di attrezzature e materie prime, sulla base del reciproco vantaggio. In seguito a questo accordo, a partire dal 1° luglio 1948 l'URSS riduceva del 50 per cento le già modeste riparazioni che le spettavano secondo il trattato di pace.
La firma del trattato di pace dette alla Romania la possibilità di intensificare la sua azione nel campo della politica estera. Le visite di delegazioni romene in Ungheria (maggio 1947), Bulgaria (luglio 1947), Cecoslovacchia (settembre 1947) contribuirono alla soluzione di una serie di problemi di interesse comune e si conclusero con la firma di accordi bilaterali di cooperazione economica e culturale. La Romania aveva rafforzato le sue posizioni di Stato democratico-popolare sovrano con la dichiarazione di rigetto del «piano Marshall» dell'11 luglio 1947. Alla fine del 1947 essa aveva già relazioni diplomatiche con 23 Stati e rapporti commerciali con 26.
L'appoggio dell'URSS e degli altri paesi di democrazia popolare avevano consentito alla Romania di sottrarsi alle pressioni che USA e Gran Bretagna cercavano di esercitare nei suoi confronti. Rifiutandole i rifornimenti di viveri, dei quali aveva assoluto bisogno dopo diversi anni di carestia, e ostacolando la sua entrata all'ONU (la Romania vi fu ammessa solo nel dicembre 1955) questi paesi tentarono di modificare il corso politico dello sviluppo della Romania. La campagna ostile scatenata dagli imperialisti occidentali dopo la liquidazione della monarchia in Romania non riuscì a influire sulle posizioni internazionali del paese, posizioni che si erano maggiormente rafforzate dopo la firma del trattato sovietico-romeno di amicizia, cooperazione e mutua assistenza, avvenuta a Mosca il 4 febbraio 1948. Questo trattato, concluso in un momento in cui la situazione internazionale era particolarmente tesa per il ricatto atomico esercitato dalle potenze occidentali che cercavano di premere sul sistema socialista mondiale in via di formazione, diventò il garante della libertà e dell'indipendenza della Romania, del suo sviluppo socialista. Trattati analoghi furono conclusi tra la Romania democratico-popolare e altri paesi di democrazia popolare: con la Bulgaria (16 gennaio 1948), l'Ungheria (24 gennaio 1948), la Cecoslovacchia (21 luglio 1948), la Polonia (26 gennaio 1949). La Repubblica Popolare Romena prese parte, nel gennaio 1949, alla costituzione del Consiglio di mutua assistenza economica.