Il falso massacro di Timisoara

Riprendiamo parte di un testo di Andrea Laruffa scritto nel 2006 e pubblicato dal sito www.instoria.it che ricostruisce la spaventosa manipolazione mediatica intorno ai fatti di Timisoara. L'autore è più propenso a considerazioni sociologiche sul ruolo di "costruttori della realtà" dei media e si addentra solo in via subordinata e per cenni sul terreno della provocazione innescata a Timisoara, dei suoi autori e ispiratori e dell'evidente predisposizione dell'apparato informativo occidentale - ma anche di quello dei "gorbacioviani" insediati al potere in Ungheria come nelle altre democrazie popolari - ad amplificarla per contribuire direttamente all'eliminazione di Ceausescu. La precisa ricostruzione dei fatti mediatici tuttavia ha già la forza di un potente segnale d'allarme. Allarme per ora vano, almeno a giudicare dalle tante riproposizioni negli anni successivi di manipolazioni dello stesso tipo e dalla prontezza con cui vengono accolte da politici ed opinion-maker che si spacciano per progressisti e di sinistra.

 

[...]
Nei giorni che precedettero il Natale [...] le televisioni ungheresi per prime mostrarono le immagini di ciò che sembrava essere a tutti gli effetti un terribile massacro compiuto dalle milizie di stato. A prova di tale tragedia il ritrovamento di fosse comuni all'interno delle quali giacevano migliaia di cadaveri di persone mutilate, torturate e uccise durante il massacro.

 Peccato solo che qualche tempo dopo si scoprì che le fosse comuni non erano mai esistite, così come non erano mai esistiti i 4632 presupposti cadaveri presenti al loro interno. Quello che doveva essere uno dei più crudeli genocidi dal dopoguerra in poi si rivelò essere in realtà un clamoroso falso. Procediamo però con ordine.

 La notizia del massacro era iniziata a circolare qualche giorno prima della messa in onda delle immagini, esattamente il 17 dicembre del 1989. I primi a diffonderla furono i redattori della MTI, un'agenzia di stampa ungherese, che sostennero  di averla appresa da un non-identificato "viaggiatore cecoslovacco". La televisione di Budapest ed una radio viennese non esitarono ad unirsi al coro e ampliarono così l'eco relativo al presunto fatto. Il meccanismo che permette ad una notizia di espandersi a macchia d'olio, ovvero la stretta interconnessione degli organi di stampa di tutto il mondo, fece poi il suo inesorabile corso e in pochissimo tempo le televisioni e i giornali di quasi tutte le nazioni parlavano del terribile eccidio avvenuto in Romania.

 Si dice che in quel periodo, nonostante il clima di sommossa che animava il paese, vi era una carenza di informazioni nel sistema mediatico (caratteristica questa tipica delle "rilassate usanze" di molti sistemi mediatici sotto il periodo natalizio); una carenza alla quale si doveva necessariamente rimediare. Ecco quindi che per dare fondatezza ad una notizia che risultava ancora vaga e priva di fonti autorevoli, il giorno dopo il lancio della notizia le televisioni rumene decidono di diffondere le immagini relative al massacro. Si tratta di scene agghiaccianti. I cadaveri aperti, mutilati e ricuciti erano ordinatamente messi in fila dopo essere stati riesumati e venivano illuminati dalla luce delle torce elettriche. L'icona del massacro divenne l'immagine del corpicino di  una bambina che giaceva sopra quello di una donna, probabilmente la madre, con una lunga ferita sul torace.

 Era ciò che mancava per indignare del tutto l'opinione pubblica dell'intero pianeta, condotta per mano dai maggiori organi d'informazione di tutte le nazioni. In Italia, nonostante la mancanza di ufficialità della notizia, uscirono titoli decisamente drammatici: "Abbiamo assistito alla battaglia di Timisoara [...] La maggiore battaglia urbana dal dopoguerra [...] Tortura [...] La repressione ha provocato migliaia di morti" (Il Corriere della Sera); "Quattromilacinquecento cadaveri irriconoscibili, mutilati, mani e piedi tagliati, con le unghie strappate"  (L'Unità ); o ancora: "Migliaia di cadaveri nudi legati col filo spinato, donne sventrate e bambini trucidati" ( La Stampa ).

 Dal momento che la frontiera ungherese della Romania era ancora chiusa ai giornalisti, "la verità delle cose viste rese credibile la menzogna delle cose sentite", tant'è che come abbiamo visto le immagini fecero rapidamente il giro del mondo. Quando fu invece possibile per i giornalisti accedere in prima persona al luogo del massacro, questi non trovarono nessuna constatazione ufficiale sulla dinamica dei fatti e nessuna testimonianza "autorevole" a confermare gli stessi; trovarono piuttosto gli ospedali stranamente vuoti (quando dovevano essere colmi di feriti), gli edifici intatti (vista l'entità degli scontri si pensava a qualche danno in più) e, cosa ancor più strana, nessuna traccia dei 4632 cadaveri.

Ma allora quelle terribili immagini che la televisione ungherese per prima aveva trasmesso, e che le televisioni di tutto il mondo avevano prese per buone e poi diffuse, a che cosa si riferivano in realtà?

A svelare il mistero fu il buon lavoro di pochi giornalisti (fra i quali gli italiani Michele Gambino e Sergio Stingo) e la fondamentale confessione del custode di un cimitero (a conferma del fatto che la realtà a volte supera la fantasia). Questi rivelò che i cadaveri a cui si riferivano le immagini erano stati riesumati in tutta fretta dal cimitero dei poveri nel quale lavorava e dall'istituto medico legale qualche giorno prima. Disse inoltre di aver raccontato la verità a diverse persone, fra le quali alcuni giornalisti, e che nessuno aveva voluto dargli retta. Si venne a sapere che i segni presenti sui cadaveri non erano dovuti alle conseguenze di torture brutali, ma a quelle di una più semplice autopsia; che la bambina vista in mondovisione si chiamava Christina Steleac, che aveva due anni e mezzo e che era morta per congestione a casa sua il 9 dicembre dello stesso anno, mentre quella che doveva essere la madre altro non era che un'anziana alcolizzata di nome Zamfira Baintan, morta per cirrosi epatica.

Il massacro mostrava al mondo intero la sua vera natura: quella di un falso ben confezionato, di una messinscena costruita ad arte,  di "una menzogna grande come un secolo" capace di stimolare i più accesi dibattiti tra i mass-mediologi e i sociologi di tutto il mondo. Emerse da questa vicenda in modo estremamente chiaro lo straordinario potere che aveva assunto la televisione nel costruire la realtà.

Gli autori e i mandanti della falsificazione rimangono ancora sconosciuti. L'opinione più diffusa è quella secondo cui i registi occulti di questa messinscena furono alcuni oppositori (ma anche ex collaboratori) di Ceaucescu che ne volevano ereditare il potere, screditandone la figura di fronte al proprio popolo e all'opinione pubblica mondiale. Resta ancora da chiarire la responsabilità della televisione rumena; essa era complice o vittima del falso? Anche in questo caso l'opinione più diffusa sembra avallare la prima delle due ipotesi, ovvero quella di un machiavellico complotto ordito da politici, giornalisti e militari oppositori (ed ex fedeli) del regime per far crollare del tutto (soprattutto a livello simbolico) la figura del dittatore.

La vicenda lasciò diverse ferite aperte, soprattutto per quel che riguarda la possibile "costruzione della realtà" da parte dei media e la acritica consonanza informativa degli stessi sistemi informativi mondiali. Ancora più grave risulta il fatto che, una volta portata a galla la verità, l'ubriacatura mediatica che aveva avvolto la notizia si era sgonfiata e la smentita, come spesso accade per gli errori giornalistici, non ebbe lo stesso eco del suo annuncio.

Per la cronaca: gli scontri che effettivamente avvennero quel 17 dicembre del 1989 a Timisoara causarono 72 morti e 253 feriti ... questa volta, purtroppo, realmente.


Nota della redazione

In un'intervista rilasciata nel 2005 il colonnello Paulian Păsărin, deceduto nel 2007, che fu capo del servizio di controspionaggio romeno dal 1974 al 1989, parla diffusamente di come "il simulacro di una rivoluzione doveva servire a mascherare l'intervento esterno". L'operazione si basava sull'opera di agenti provocatori infiltrati dall'estero, tra l'altro anche dalla Jugoslavia, che agirono sia a Timisoara sia a Bucarest. La loro azione a Timisoara non fu affatto contrastata, e le misure di prevenzione e deterrenza, subito disposte da Ceausescu, non furono messe in atto dai responsabili della difesa e degli interni (su questo punto è chiarissimo il verbale della riunione del Comitato politico esecutivo del 17 dicembre pubblicato da Cartianu nell'appendice documentaria). I morti veri di Timisoara ci furono in seguito quando, secondo Păsărin, il generale Nuţă Constantin, inviato da Elena Ceausescu mentre il marito si trovava in Iran, attaccò veramente i provocatori. Il generale si allontanò poi in treno portando con sè la documentazione sugli scontri, ma fu prelevato da un commando e fatto sparire con tutte le registrazioni. Quanto ai 60.000 (sic) morti di Timisora della macabra messa in scena potevano servire, all'occorrenza, secondo Păsărin, a giustificare un aperto intervento militare "umanitario". Quel che è certo è che figurano nel primo capo di accusa nel grottesco processo a cui Ceausescu fu sottoposto prima di essere assassinato. Per l'intervista del colonnello Păsărin si veda: [qui].