I
La lotta politica e di classe negli anni 1944-48 nell'Europa dell'Est

La Cecoslovacchia

Accademia delle Scienze dell'URSS, Storia Universale, volume XI
edizione italiana, Teti editore, Milano 1978, pp. 117-133


La liberazione della Cecoslovacchia da parte dell'Armata rossa ha creato le premesse per attuare nel paese profonde trasformazioni de­mocratiche, per l'edificazione di una nuova Cecoslovacchia, socialista. Nella lotta per la libertà e l'indipendenza del paese e per l'edi­ficazione di una nuova Cecoslovacchia una funzione determinante è stata esercitata dalla classe operaia e dalla sua avanguardia, il Par­tito comunista cecoslovacco. Questo partito era stato l'organizzatore del Fronte nazionale dei cèchi e degli slovachi, la cui formazione fu ultimata nel marzo 1945. Esso organizzò anche i suoi organi dirigenti: i consigli nazio­nali cèco e slovacco. Una particolarità della si­tuazione cecoslovacca era rappresentata dal fatto che a differenza, per esempio, della Polo­nia o della Jugoslavia, il governo di Londra in esilio, presieduto da Edvard Benes e rappre­sentante settori influenti della borghesia, era in contatto con il Partito comunista cecoslo­vacco e aveva relazioni diplomatiche con la Unione Sovietica.

Il 10 maggio 1945 giunse a Praga, liberata il giorno prima, il governo del Fronte naziona­le dei cèchi e degli slovacchi, che era stato co­stituito a Kosice già il 4 aprile 1945. Capo di questo governo era il socialdemocratico Zdenek Fierlinger. Del governo facevano parte 8 comunisti, alcuni eminenti esponenti progres­sisti che collaboravano strettamente con il Par­tito comunista, quali Z. Nejedey, il generale L. Svoboda e altri, e dirigenti dei partiti so­cialdemocratico, socialista-nazionale, populi­sta e democratico.

Nel periodo dell'occupazione e nel corso delle operazioni militari per la liberazione del paese l'economia della Cecoslovacchia aveva soffer­to meno di quella degli altri paesi dell'Europa centrale e sud-orientale. Per iniziativa dei co­munisti, subito dopo la cacciata degli invasori e dei traditori, nella maggioranza degli stabili­menti furono creati organi di controllo operaio che agivano sotto la direzione dei comitati na­zionali.

Con un decreto presidenziale del 19 maggio 1945 veniva decisa la gestione nazionale, cioè statale, degli stabilimenti, fabbriche, miniere, aziende agricole, banche, compagnie di assicu­razione e altre proprietà appartenute a citta­dini tedeschi e ungheresi o a persone che ave­vano collaborato con i tedeschi. Senza aver ancora formalmente deciso il problema della proprietà dei mezzi di produzione, questo de­creto fece passare alla gestione dello Stato gli stabilimenti e le banche più importanti. Alla fine di agosto del 1945 lo Stato amministrava già 9045 imprese, con 923 mila dipendenti.

Le piccole imprese industriali e le aziende con­tadine che erano state espropriate dagli invaso­ri tedesco-fascisti furono restituite ai loro pro­prietari.

Nel corso dell'attuazione di questo decreto la classe operaia e i lavoratori dei campi si scon­trarono con la resistenza, oltre che degli ele­menti da espropriare, anche della grande bor­ghesia, cèca e slovacca, urbana e rurale, che in una serie di località e sotto vari pretesti cerca­va di impossessarsi delle fabbriche e delle ter­re dei proprietari tedeschi e ungheresi.

La classe operaia si mise al lavoro con energia per ricostruire l'industria; gli operai e i tecnici di alcuni stabilimenti aiutavano quelli di altri, più colpiti. Ovunque fervevano le iniziative, si manifestava il desiderio di porre su nuove basi l'economia del paese.

Una importanza eccezionale assunse il lavoro dei metallurgici, dagli addetti ai trasporti, dei minatori. L'estrazione del carbon fossile che nel maggio 1945 era di sole 239 mila tonnel­late, nel dicembre era già salita a 1 milione 81 mila tonnellate. Mentre impegnava tutte le proprie forze per il ripristino dell'economia, la classe operaia rivendicava la nazionalizzazione dei settori chiave dell'industria. Anche i ceti medi urbani sostenevano questa rivendica­zione.

Già nel 1945 nella coscienza dei lavoratori si erano verificati seri cambiamenti, che si mani­festarono, tra l'altro, con l'aumento degli iscrit­ti al Partito comunista cecoslovacco, passati dai 30 mila del maggio 1945 ai 597 mila del luglio e ai 712 mila dell'agosto dello stesso anno. Cambiamenti si verificarono anche nella composizione e nelle posizioni dei partiti so­cialdemocratico e socialista-nazionale, che si avvicinarono sempre più al Partito populista, unico partito borghese cecoslovacco. Sostenuto dalla Chiesa cattolica, questo partito influen­zava una parte dei contadini.

In Slovacchia, la dislocazione delle forze poli­tiche era un po' diversa. All'inizio qui opera­vano due soli partiti: il Partito comunista slo­vacco e il Partito democratico. Il Partito co­munista slovacco, diventato formalmente indi­pendente nel 1939, si considerava parte del Partito comunista cecoslovacco.

Il Partito democratico slovacco, che allora collaborava con i comunisti, godeva di una no­tevole influenza. Sorto come partito dei circoli borghesi prevalentemente protestanti, subito dopo la liberazione della Cecoslovacchia diven­ne ricettacolo dei dirigenti del disciolto par­tito di Hlinka e Tiso, che riuniva gli elementi cattolici profascisti e tutti gli altri reazionari.

Il Partito comunista cecoslovacco, che già al momento della liberazione aveva con sé la maggioranza della classe operaia, cercava di mantenere l'unità di azione con gli altri partiti del Fronte nazionale, in quanto tale unità of­friva la possibilità di rafforzare il potere popo­lare e di attuare le trasformazioni socialiste.

Un sostegno sicuro del Partito comunista ce­coslovacco era costituito dal Movimento sin­dacale rivoluzionario, l'organizzazione di massa più grande dei lavoratori di tutta la Cecoslo­vacchia. Il Consiglio centrale dei sindacati era presieduto dal noto esponente comunista An-tonin Zapotocky. A poco a poco furono crea­te la Federazione giovanile cèca, quella slovac­ca, la Federazione unitaria dei contadini cèchi, organizzazioni femminili e altre, collegate al partito comunista. Subito dopo la liberazione del paese, e precisamente nel maggio e giugno del 1945, ripresero la loro attività l'Associa­zione per i rapporti culturali della Cecoslo­vacchia con l'URSS e l'Associazione slovacca per le relazioni culturali ed economiche con l'URSS.

Il Partito comunista cecoslovacco e tutta la parte progressiva della popolazione erano preoccupati per la situazione venutasi a creare nella parte occidentale del paese, compren­dente una serie di centri industriali, tra i qua­li Pilsen. L'attività delle forze rivoluzionarie era frenata dalle truppe americane, che si tro­vavano su questo territorio dal 17 aprile. Il governo degli Stati Uniti cercava di sfruttare la permanenza delle sue truppe su parte del territorio della Cecoslovacchia per contrastare l'affermazione del potere popolare e prestare aiuto alle forze della reazione. Ma l'attività rivoluzionaria della classe operaia, il sostegno incondizionato dell'URSS alla causa della liber­tà e dell'indipendenza della Cecoslovacchia, l'aiuto prestato dall'URSS per la ricostruzione dell'economia del paese e la posizione del go­verno del Fronte nazionale costrinsero gli Sta­ti Uniti ad abbandonare la parte del territorio cecoslovacco occupato dalle loro truppe con­temporaneamente al ritiro dal paese delle trup­pe sovietiche.


LA LOTTA PER L'APPLICAZIONE DEL PROGRAMMA DI KOSICE
LA PRIMA RIFORMA AGRARIA

Fin dai primi giorni successivi alla liberazione del paese, il governo del Fronte nazionale pas­sò all'applicazione del programma di Kosice.

Furono sciolte tutte le organizzazioni fasci­ste e collaborazioniste, i traditori furono trasci­nati davanti ai tribunali, quanti avevano ser­vito gli invasori e i regimi di Hacha nel terri­torio cèco e di monsignor Tiso in Slovacchia, furono allontanati dai pubblici uffici. Ma l'at­tuazione decisa di misure rivolte alla demo­cratizzazione veniva spesso ostacolata dal mi­nistero della giustizia, alla cui direzione si tro­vava un socialista nazionale.

I comunisti avevano proporzionalmente un maggior numero di seggi negli organi perife­rici del potere che non nel governo. Nel terri­torio cèco, per esempio, il 38 per cento dei componenti dei comitati nazionali erano comu­nisti, e comunisti erano il 40 per cento dei presidenti dei comitati stessi.

Se nel territorio cèco i problemi sociali ed eco­nomici più importanti erano quelli del ristabi­limento e dello sviluppo dell'industria, in quel­lo slovacco era necessario soprattutto risolvere il problema agrario. Qui, infatti, nell'agricol­tura era occupato oltre il 60 per cento della popolazione, contro il 25 per cento nella parte cèca del paese, e le famiglie dei contadini po­veri e dei braccianti costituivano il 70 per cento della popolazione rurale. Già nell'au­tunno del 1944 i contadini delle regioni libe­rate della Slovacchia chiesero la completa eli­minazione della grande proprietà fondiaria e la distribuzione della terra ai contadini senza terra o con poca terra.

Il 21 giugno 1945 fu decretata in tutta la Cecoslovacchia la confisca, senza indennizzo, delle terre, dei boschi e delle scorte vive e mor­te che appartenevano alla popolazione tedesca e ungherese, a eccezione dei resistenti, e ai tra­ditori della patria. La terra confiscata doveva essere distribuita, contro un modesto corri­spettivo, ai contadini con poca o senza terra, in misura fino a 8 ettari per le terre arate e fino a 13 ettari per le superfici complessive.

La confisca e la distribuzione delle terre erano affidate a commissioni composte da aventi di­ritto alle assegnazioni.

La riforma era stata agevolata dal fatto che i rappresentanti delle tre grandi potenze alla conferenza di Potsdam avevano confermato la necessità di trasferire in Germania la popola­zione tedesca della Cecoslovacchia, così come quella della Polonia e dell'Ungheria. In un periodo di tempo relativamente breve, fino all'ottobre 1946, furono evacuati dalla Ceco­slovacchia 2 milioni e mezzo di tedeschi. Fu consentito di rimanere nel paese ai soli tede­schi antifascisti. Le terre dei tedeschi evacuati furono in gran parte distribuite ai contadini cèchi e slovacchi, trasferitisi dalle regioni in­terne. Alla metà del 1947 risultavano costi­tuite 130 mila aziende di famiglie trasferite, circa 100 mila delle quali in precedenza erano senza terra. Le superfici medie delle nuove aziende raggiunsero i 13 ettari. L'assimilazione economica di queste terre in breve tempo fu uno dei maggiori successi del potere popolare.

Analoga trasformazione e assimilazione ebbe luogo nelle regioni meridionali della Slovac­chia, cedute dalla Germania all'Ungheria nel 1940 e riunite alla Slovacchia nel corso della vittoriosa offensiva liberatrice dell'Armata ros­sa. Nel complesso, la riforma portò in Ceco­slovacchia alla confisca di 2 milioni 900 mila ettari di terre, di cui 1 milione 600 mila etta­ri costituiti da aziende agricole. Di questi ul­timi 1 milione 200 mila ettari furono divisi tra 303 mila famiglie contadine. La riforma si svolse in un clima di accanita lotta di classe, non attenuata dal fatto che essa non interes­sava il latifondo e le proprietà fondiarie del­la Chiesa.

La riforma agraria aveva distrutto le posizioni economiche dei ceti e gruppi di popolazione agricola che erano stati il sostegno dell'hitle­rismo, aveva rafforzato l'appoggio dei contadi­ni al potere popolare e li aveva portati a riconoscere la funzione dirigente della classe ope­raia nell'edificazione della nuova società.

Le conseguenze politiche e sociali della rifor­ma in Slovacchia si rivelarono meno sensibili che in Boemia e in Moravia, perché l'agricol­tura slovacca aveva registrato più danni a cau­sa della guerra e dell'occupazione e la superfi­cie agraria soggetta alla riforma era qui molto limitata. In Slovacchia la riforma agraria è sta­ta contrastata dal Partito democratico, un rap­presentante del quale era a capo del dicastero dell'agricoltura, e dai circoli clericali.

Nella conferenza di Zilina dell'11 e 12 agosto 1945 il Partito comunista slovacco sottolineò l'importanza della lotta contro la reazione bor­ghese che trovava un appoggio nel Partito de­mocratico e in una parte dell'apparato statale, e la necessità di rafforzare il partito e il pote­re popolare. La conferenza pose l'obiettivo dell'industrializzazione della Slovacchia, nel quadro dello sviluppo economico generale di tutta la Cecoslovacchia.


L'ALLARGAMENTO DEL SETTORE SOCIALISTA NELL'INDUSTRIA
L'VIII CONGRESSO DEL PARTITO COMUNISTA CECOSLOVACCO

Mentre nelle campagne si svolgeva una lotta accanita in seguito all'attuazione della rifor­ma agraria, il Partito comunista cecoslovacco avanzava la rivendicazione di una parziale na­zionalizzazione dell'industria. Questa rivendi­cazione era sostenuta dal Movimento sindaca­le rivoluzionario, dagli artigiani e dai piccoli proprietari. Le condizioni della nazionalizza­zione furono elaborate in un clima di lotte acu­te tra i diversi partiti e le varie correnti. Sotto la pressione dei comunisti e di tutta la popola­zione lavoratrice, il 24 ottobre 1945 furono emessi due decreti governativi che prevedeva­no la nazionalizzazione delle grandi imprese dei rami fondamentali dell'industria, di tutte le banche e delle compagnie private di assicu­razione. Erano soggette alla nazionalizzazione, indipendentemente dal numero dei dipendenti, tutte le imprese delle industrie estrattive, ener­getiche, metallurgiche, vinicole e saccarifere.

Negli altri settori produttivi la nazionalizzazio­ne colpiva in alcuni casi le imprese con più di 150 dipendenti, in altri casi quelle con ol­tre 500 dipendenti. A tutti gli ex proprietari, a eccezione di quelli tedeschi e ungheresi e dei collaborazionisti cèchi e slovacchi, fu accordato un indennizzo. Con apposito decreto venivano determinati i diritti e i doveri dei consigli di fabbrica, organi che tutelavano gli interessi degli operai e quelli dello Stato popolare in ogni luogo di lavoro, e attraverso i quali la classe operaia esercitava il suo controllo sulle attività produttive, assicurandone lo sviluppo.

Questi decreti costituirono una grande conqui­sta rivoluzionaria della classe operaia e crea­rono le condizioni per un graduale passaggio dell'economia del paese a strutture socialiste.

L'attuazione di questi decreti ebbe luogo nel mezzo di una lotta accanita degli operai contro i capitalisti che ricorrevano a tutti i mezzi per cercare di ostacolare la nazionalizzazione delle loro imprese. La lotta si svolgeva negli stabi­limenti soggetti a nazionalizzazione, nei comi­tati nazionali, nei ministeri, nelle pubbliche am­ministrazioni e nello stesso governo. Gli ele­menti di destra fecero di tutto per impedire che i decreti fossero applicati. Uno dei metodi impiegati per far fallire la nazionalizzazione consisteva nella richiesta di indennizzi spropo­sitati da parte degli ex proprietari, specialmen­te delle società straniere.

La nazionalizzazione, che interessava più del 63 per cento di tutti i dipendenti dell'indu­stria, creò una solida base economica per la rinascita del paese e per il suo sviluppo in dire­zione del socialismo.

Il rafforzamento del settore nazionalizzato del­l'economia, sostanzialmente socialista, si ac­compagnò al miglioramento delle condizioni di vita degli operai e a una serie di misure di assistenza sociale, nonché al miglioramento delle qualifiche dei giovani. Una parte conside­revole del personale tecnico-ingegneristico e degli scienziati progressisti mise appassionata­mente le sue cognizioni e le sue esperienze al servizio della ripresa e dello sviluppo della economia del paese.

Il Partito comunista cecoslovacco svolse un enorme lavoro politico, ideologico e organiz­zativo. Esso dovette lottare in permanenza contro i tentativi degli ambienti borghesi di ostacolare il progresso sociale e di inasprire le relazioni tra i popoli conviventi nel paese, di falsare il significato dell'amicizia con l'URSS che garantiva la Cecoslovacchia da tragedie come quella seguita a Monaco.

La borghesia cèca e quella slovacca cercarono di sfruttare contro il potere popolare, e contro le relazioni amichevoli con l'URSS, anche la riunificazione dell'Ucraina carpatica alla Re­pubblica Sovietica Socialista Ucraina, decisa con il trattato del 29 giugno 1945. I circoli di destra cercarono anche di inasprire le rela­zioni con i vicini paesi di democrazia popolare: furono sfavorevoli alla delimitazione all'Oder e alla Neisse occidentale dei confini occidentali della Polonia, cercarono di creare complicazio­ni nella definizione delle frontiere con la Po­lonia e l'Ungheria. Gli elementi di destra era­no intenzionati a estendere i rapporti con i paesi occidentali e a indebolire quelli con l'URSS, con il pretesto di far assolvere alla Ce­coslovacchia la particolare missione di «ponte tra l'oriente e l'occidente».

I comunisti spiegavano sistematicamente al po­polo che nel nuovo sistema di relazioni interna­zionali, venutosi a creare dopo la fine della guerra, il posto della Cecoslovacchia non po­teva che essere a fianco dell'URSS e di tutti gli altri paesi nei quali era stato instaurato il po­tere popolare, che stavano dalla parte della pace, della democrazia e del socialismo.

Il partito comunista sottolineava la funzione dirigente della classe operaia e la necessità di rafforzare la sua alleanza con i lavoratori dei campi, nonché di utilizzare tutte le possibi­lità di collaborazione con i partiti facenti parte del Fronte nazionale. Esso prestava una par­ticolare attenzione ai problemi dell'unità con il Partito socialdemocratico che nel 1946 con­tava 352 mila iscritti e la cui ala sinistra si trovava su posizioni di stretta collaborazione con i comunisti.

I circoli borghesi cercarono di presentare le difficoltà economiche, aggravatesi nell'inverno 1945-1946, come una conseguenza della na­zionalizzazione dell'industria e della riforma agraria, che avrebbero danneggiato l'economia nazionale. Come i socialdemocratici di destra, sui quali si faceva sentire fortemente l'influen­za della destra laburista inglese e di quella socialista francese, essi architettavano piani per la formazione di un blocco anticomunista. Sul terreno della lotta contro il partito comuni­sta e contro lo sviluppo del paese lungo la via che lo avrebbe portato al socialismo, ven­nero gradualmente ad attenuarsi le differenze tra la parte collaborazionista della borghesia e quella che era stata su posizioni antifasciste, e che fino a un certo punto collaborava anche con i comunisti. Intanto, però, il Partito comu­nista cecoslovacco, che nel marzo 1946 con­tava più di un milione di iscritti, era diventato una forza tale da non poter essere più scossa dalla reazione.

L'VIII congresso del Partito comunista ceco­slovacco, svoltosi dal 28 al 31 marzo 1946, do­po aver rilevato che la reazione disponeva an­cora di forze considerevoli e che alcuni partiti stavano allontanandosi dalla politica del Fron­te nazionale dei cèchi e degli slovacchi, lanciò un appello perché il Fronte nazionale fosse tra­sformato in una solida alleanza tra operai, con­tadini, artigiani e intellettuali, che avrebbe rafforzato la democrazia popolare e aperto la strada a una vasta edificazione delle basi del socialismo.

Dopo il congresso del partito comunista ebbe luogo quello del Movimento sindacale rivolu­zionario, che univa più di un milione 800 mi­la iscritti. Nonostante gli sforzi dei dirigenti sindacali di destra che cercarono di disgregare il movimento sindacale, il congresso nel suo complesso si pronunciò per il rafforzamento delle organizzazioni sindacali unitarie e si po­se dei compiti che corrispondevano allo spirito delle decisioni dell'VIII congresso del partito comunista.


LE ELEZIONI ALL'ASSEMBLEA COSTITUENTE NAZIONALE

Subito dopo il congresso del partito comuni­sta, il 26 maggio 1946, si svolsero le elezioni all'Assemblea costituente nazionale, che con­fermarono come il partito comunista fosse la maggior forza politica del paese. Malgrado le proposte dei comunisti, tutti i partiti vollero presentarsi alle elezioni con liste proprie. I partiti borghesi condussero la campagna eletto­rale con parole d'ordine apertamente antico­muniste. I socialisti-nazionali, che avevano mezzo milione di iscritti, tra i quali molti ex aderenti al Partito agrario e ad altre organiz­zazioni disciolte per collaborazionismo, cerca­rono di far saltare in aria il Fronte nazionale e di contrapporre al partito comunista una pro­pria coalizione, da formarsi o con il Partito popolare che era fuori dal fronte, o con i so­cialdemocratici. I reazionari che operavano nella clandestinità, i religiosi, gli imperialisti inglesi e americani cercarono di aiutare con tut­te le loro forze il Partito popolare e i socia­listi-nazionali e, in Slovacchia, il Partito demo­cratico. Nonostante tutti gli sforzi della rea­zione, però, il Partito comunista cecoslovacco e quello della Slovacchia raccolsero il 38 per cento dei voti, mentre un altro 12 per cento andò ai socialdemocratici. I comunisti si ag­giudicarono 114 seggi e, assieme ai socialde­mocratici, ebbero la maggioranza assoluta al­l'Assemblea costituente: 151 seggi su 300.

Le elezioni avevano però anche dimostrato che in Boemia e Moravia parte degli operai e dei lavoratori dei campi avevano votato per i partiti reazionari, mentre in Slovacchia il Par­tito democratico, che aveva 250 mila iscritti, era riuscito a raccogliere attorno a sé la mag­gioranza degli elettori: il 62 per cento.

Sui risultati elettorali della Slovacchia non avevano influito solamente lo scarso numero di operai, la pressione esercitata sugli ambienti piccolo-borghesi dai residui del regime fascista di Hlinka operanti nell'illegalità, l'influenza dei preti cattolici e protestanti, alleatisi per raggiungere obiettivi reazionari comuni, la influenza dei dirigenti del Partito democratico in molti comitati nazionali e organi ammini­strativi: su di essi aveva pesato anche il mal­contento di una parte dei lavoratori per l'in­sufficienza delle trasformazioni sociali operate, per la mancata soluzione del problema agrario, per la lentezza dello sviluppo economico e del­l'applicazione di misure atte a eliminare la disoccupazione, per il mancato riconoscimento della parità di diritti alla Slovacchia in un unico Stato dei cèchi e degli slovacchi, conse­guenza della politica di Benes e dei partiti cè­chi di destra, attestati su posizioni nazionali­stiche.

Tuttavia il Partito democratico, nonostante il successo elettorale, non si decise a troncare i legami con il Partito comunista slovacco e su richiesta di quest'ultimo accettò che il con­siglio dei commissari, cioè il governo slovac­co, fosse presieduto da un noto esponente co­munista, Gustav Husak.

La vittoria del Partito comunista cecoslovacco nelle elezioni per l'Assemblea costituente con­sentì che a capo del nuovo governo fosse posto il presidente del partito Klement Gottwald.

Nel desiderio di conservare il Fronte nazionale dei cèchi e degli slovacchi, i comunisti e i so­cialdemocratici, pur avendo la maggioranza in Parlamento, acconsentirono a lasciare la pre­sidenza della repubblica a Benes e a costituire un governo di larga coalizione. Sui 26 membri del nuovo governo, 6 appartenevano al Partito comunista cecoslovacco e 3 a quello slovacco. Con loro collaborava strettamente il generale Svoboda, ministro della difesa nazionale.

L'8 luglio 1946, Gottwald presentò all'Assem­blea costituente nazionale il programma gover­nativo, detto costitutivo. Secondo la linea trac­ciata dall'VIII congresso del Partito comunista cecoslovacco, il programma prevedeva il raf­forzamento dell'amicizia e della collaborazione con l'URSS, nuove riforme sociali ed econo­miche, l'elaborazione e la proclamazione della nuova Costituzione, l'attuazione di un piano biennale di ricostruzione economica per il 1947 e 1948. Il piano prevedeva un aumento del 10 per cento della produzione industriale rispetto a quella del 1937, misure per accele­rare l'industrializzazione della Slovacchia, il raggiungimento del livello prebellico della pro­duzione agricola e un sostanziale miglioramen­to delle condizioni di vita dei lavoratori.

Nel luglio, in occasione di una visita a Mosca di una delegazione governativa cecoslovacca, il governo sovietico trasferì in proprietà alla Cecoslovacchia parte dei beni che le erano appartenuti e si impegnò a concorrere alla riu­scita del piano biennale. Nonostante la resi­stenza della borghesia, nell'ottobre l'Assem­blea costituente approvò il piano biennale.

Subito dopo, nel novembre 1946, un comitato cominciò a lavorare al progetto della nuova legge fondamentale che doveva sancire la vit­toria della rivoluzione democratico-nazionale e creare le condizioni per l'ulteriore sviluppo della Cecoslovacchia in direzione del sociali­smo.

Nel corso della lotta per l'attuazione del piano biennale i comunisti, che miravano all'ulteriore indebolimento delle forze della reazione, con­dussero un'offensiva sistematica contro le po­sizioni della borghesia. Superandone il sabo­taggio, essi riuscirono a far aumentare la pro­duzione, a far ridurre gradualmente i prez­zi dei generi di largo consumo e ad attuare altre misure corrispondenti agli interessi dei lavoratori.


LA SECONDA RIFORMA AGRARIA
E L'IMPOSTA SUI MILIONARI

Il Partito comunista cecoslovacco dedicò una particolare attenzione ai contadini poveri e all'alleanza della classe operaia con i lavora­tori dei campi. Perciò esso pose in primo piano il problema della liquidazione di tutta la gran­de proprietà fondiaria. La riforma del 1945 non aveva toccato quasi per niente gli agrari cèchi e slovacchi. Questi erano in tutto 14 mila, cioè l'1 per cento dei proprietari terrie­ri, ma disponevano di 1 milione 400 mila et­tari di terra, cioè di oltre il 20 per cento dei terreni coltivabili, più una considerevole quan­tità di boschi.

In un comizio tenutosi a Hradec-Kralova il 4 aprile 1947 il Partito comunista cecoslovacco lanciò un programma di nuove trasformazioni agrarie, che prese il nome di programma di Hradec. Esso prevedeva la limitazione delle proprietà fondiarie a un massimo di 50 ettari e la distribuzione delle superfici eccedenti ai contadini senza o con poca terra.

Questo programma si scontrò con l'accanita resistenza del Partito populista, dei socialisti nazionali, del Partito democratico slovacco e anche della destra socialdemocratica. Nei mesi da maggio a luglio numerose delegazioni di contadini poveri, sostenute dagli operai, chie­sero al governo e all'Assemblea costituente na­zionale l'approvazione del programma di Hra­dec. Ma non riuscirono a piegare completamen­te la resistenza degli elementi reazionari. L'11 luglio 1947 fu approvata una legge che fissava i limiti di proprietà a 150 ettari per i terreni agrari, e a 250 ettari per le superfici compren­sive di altre terre.

Una legge del genere non poteva portare a modificazioni radicali dei rapporti economici nelle campagne, poiché la proprietà dei capita­listi rurali rimaneva intatta. La lotta attorno al programma di Hradec, tuttavia, rese possi­bile l'aumento dell'influenza politica dei co­munisti nelle campagne e dimostrò ai lavora­tori dei campi, compresi i contadini medi, che i comunisti e la classe operaia da essi diretta erano i veri tutori dei loro interessi. Fu anche dimostrato quali erano gli interessi difesi dai democratici slovacchi i quali, mentre combat­tevano il programma di Hradec, conducevano una campagna in difesa di monsignor Tiso e dei suoi seguaci, deferiti alla magistratura.

Con l'inizio della «guerra fredda», scatenata dai circoli governativi dei paesi capitalistici contro l'URSS e i paesi di democrazia popola­re, il Partito populista cominciò a condurre una propaganda antisovietica aperta. Nell'estate del 1947 una forte siccità distrusse la metà dei seminativi, creando un forte aggravamen­to della situazione alimentare. Ancora una vol­ta speculatori, contadini ricchi e agrari sfrut­tarono la calamità naturale per aumentare i prezzi e sabotare gli ammassi obbligatori. La reazione provocò disordini di affamati; in al­cuni centri, a causa delle difficoltà alimentari, la parte più arretrata degli operai si lasciò trascinare a manifestazioni di protesta.

In queste condizioni le forze controrivoluzio­narie e i banditi fascisti che operavano nella clandestinità intensificarono la loro attività.

I socialisti nazionali, che collaboravano sempre più strettamente con il Partito populista, si apprestavano ad allontanare i comunisti dal governo. I partiti di destra, poggiando sugli USA e utilizzando ai loro fini la destra sociali­sta, ritenevano di riuscire a far ciò che le for­ze reazionarie erano riuscite a fare in Francia, in Italia e nel Belgio. Nel complotto antico­munista e antisovietico si unirono ai reazio­nari i dirigenti di destra del Partito socialde­mocratico. Il presidente Benes dichiarò aper­tamente di ritenere necessario e inevitabile che la Cecoslovacchia aderisse al «piano Mar­shall», cioè che essa entrasse nella sfera di espansione dell'imperiali­smo americano. A maggioranza di voti, il governo decise di in­viare un osservatore alla conferenza di Parigi sul «piano Marshall», convocata per il mese di giugno 1947. Più tardi, tuttavia, quando i comunisti fecero capire che con il «piano Mar­shall» si voleva di fatto imporre il controllo americano sull'economia del paese e ristabili­re le posizioni del capitale monopolistico nel­la Germania, il governo cecoslovacco, nono­stante l'opposizione di alcuni ministri, rinun­ciò alle sue primitive decisioni. All'incirca nel­lo stesso periodo il governo degli USA dimo­strò il suo atteggiamento ostile nei confronti della Cecoslovacchia, venendo meno a una se­rie di impegni economici già presi e rifiutando di aderire alla richiesta cecoslovacca di aiutarla con forniture di grano.

Nel luglio 1947 giunse a Mosca, guidata da Gottwald, una delegazione governativa ce­coslovacca che si rivolse al governo sovietico con la richiesta di fornire al paese un aiuto economico. L'Unione Sovietica si impegnò a fornire alla Cecoslovacchia 400 mila tonnel­late di grano, che valsero ad allontanare dal paese la minaccia della fame. Nello stesso luglio furono gettate le basi per un accordo eco­nomico sovietico-cecoslovacco a lungo termine che, con il passaggio dell'economia cecoslo­vacca alla pianificazione, veniva ad assumere particolare importanza.

Nell'agosto 1947 il Partito comunista ceco­slovacco avanzò la proposta di aiutare i con­tadini lavoratori, vittime della siccità, intro­ducendo un'imposta straordinaria su quanti possedevano oltre un milione di corone, che nel paese erano almeno 35 mila. Tale propo­sta fu respinta in sede governativa. Come in altre circostanze analoghe, però, i comunisti si rivolsero direttamente agli operai e ai contadi­ni, rendendo anche pubblici i nomi dei 12 mi­nistri che avevano fatto respingere la proposta.

Il Consiglio centrale dei sindacati, la maggio­ranza dei socialdemocratici, le masse lavoratri­ci delle città e delle campagne appoggiarono incondizionatamente la proposta di utilizzare i sopraprofitti degli agrari, dei grossi commer­cianti e degli altri capitalisti, per i bisogni po­polari. La lotta dei comunisti per l'imposta straordinaria sui milionari dimostrò ancora una volta ai contadini che gli interessi del po­polo erano difesi solamente dalla classe operaia e dal suo partito. Nel quadro della campagna contro i milionari risultò particolarmente no­tevole la liberazione dei contadini slovacchi dall'influenza del Partito democratico. La lot­ta consolidò l'unità d'azione dei comunisti con la maggioranza dei socialdemocratici. Le destre dovettero fare una nuova ritirata, e il 21 otto­bre fu approvata la legge che imponeva ai milionari il pagamento di una imposta straordi­naria una tantum. L'imposta fornì un gettito di un miliardo di corone, utilizzate per andar incontro alle aziende agricole colpite dalla siccità.

L'approfondirsi dell'isolamento dei partiti bor­ghesi, la disfatta della reazione in Ungheria, in Polonia e in una serie di altri paesi, suscita­rono un'attività febbrile nei gruppi dirigenti dei partiti borghesi della Cecoslovacchia. La loro direzione passò agli elementi più reazio­nari. Nella Slovacchia, dove il Partito democra­tico aveva formalmente posizioni dominanti, i suoi dirigenti cercarono di distruggere il Fronte nazionale e di cacciare i comunisti dal consiglio dei commissari. Con l'aiuto dei servi­zi segreti occidentali e il sostegno attivo del clero reazionario, il partito preparò un colpo di Stato. I cospiratori avrebbero dovuto agi­re di conserva con le bande dell'«esercito in­surrezionale ucraino», il cui numero si era accresciuto dopo che erano state completamen­te cacciate dal territorio della Polonia. Ma i piani dei reazionari furono sventati. Gli orga­ni della sicurezza erano riusciti, nel corso delle indagini, ad arrestare circa 500 congiurati e ad accertare la partecipazione al complotto dei dirigenti del Partito democratico.

I lavoratori della Slovacchia condannarono se­veramente i nemici del potere popolare. Co­mizi di massa, congressi dei rappresentanti dei consigli di fabbrica, dei rappresentanti dei con­tadini, dei partigiani, tutte le grandi organiz­zazioni sociali, rispondendo all'appello del Partito comunista slovacco, chiesero l'espul­sione dei reazionari dal Partito democratico e il cambiamento della composizione del massi­mo organo esecutivo della Slovacchia, il con­siglio dei commissari. Il Partito democratico dovette cedere.

Il 18 novembre 1947 fu costituito il nuovo consiglio dei commissari nel quale i membri del Partito democratico disponevano ormai solo di sei posti contro i nove del precedente. I comunisti ottennero 5 posti, 2 posti vennero affidati a tecnici senza partito e uno ciascuno al Partito della libertà, sorto nel 1946 per iniziativa di alcuni circoli cattolici, e al Partito del lavoro, formato da dirigenti della destra socialdemocratica che non avevano voluto unirsi al partito comunista slovacco.

Nelle terre cèche la controrivoluzione agrario-borghese aveva riposto particolari speranze nei socialdemocratici di destra. Al XXI con­gresso del Partito socialdemocratico, tenutosi dal 14 al 16 novembre 1947 a Brno, le forze di destra, spinte dai capi dei partiti socialdemocra­tici dei paesi occidentali, si pronuncia­rono contro la collaborazione con i comunisti e esclusero dalla direzione del partito Fierlinger e altri dirigenti che erano favorevoli al fronte unico e al superamento della scissione della classe operaia. I socialdemocratici di destra ri­tenevano di poter utilizzare la direzione del partito, che erano riusciti a conquistare, per tentare immediatamente l'allontanamento dei comunisti dal potere.

I comunisti si resero conto della pericolosità dei propositi della reazione. Alla riunione del Comitato centrale del Partito comunista ceco­slovacco del 26 e 27 novembre 1947, Gott­wald parlò della minaccia di un colpo di ma­no borghese, invitando alla vigilanza.

La situazione economica, frattanto, continua­va a rimaner grave. Alla fine del 1947 il pia­no degli ammassi del grano era stato realizzato solo nella misura del 90 per cento in Slovac­chia e del 75 per cento nella parte cèca del paese. Il mancato adempimento del piano, lar­gamente sfruttato a scopi eversivi dagli spe­culatori, spinse i comunisti, sostenuti dagli operai e dagli altri lavoratori-consumatori, a chiedere l'eliminazione del commercio all'in­grosso privato e il rafforzamento del controllo statale sul commercio con l'estero.

Il 25 novembre 1947 il capo del governo ceco­slovacco si rivolse al governo sovietico con una lettera nella quale, descritta la situazione economica del paese, chiedeva di esaminare la possibilità di fornire ulteriori 150 mila tonnellate di grano, in cambio di attrezzatu­re industriali che la Cecoslovacchia avrebbe potuto inviare nell'URSS. Il 29 novembre il governo sovietico telegrafava di esser pron­to a fornire alla Cecoslovacchia altre 200 mi­la tonnellate di grano.

Poco dopo, l'11 dicembre 1947, furono fir­mati gli accordi sovietico-cecoslovacchi sugli scambi e i pagamenti, che garantivano all'in­dustria cecoslovacca un afflusso costante di materie prime, sul commercio e la naviga­zione, sulla collaborazione tecnico-scientifica, e altri, che avrebbero contribuito al risana­mento dell'economia cecoslovacca. Contem­poraneamente alla conclusione degli accordi, l'URSS, tenendo conto che nella situazione che era andata determinandosi sarebbe stato difficile alla Cecoslovacchia pagare in via di compensazione tutte le forniture, rispose po­sitivamente alla richiesta della concessione di un credito a breve termine. L'aiuto ami­chevole dell'Unione Sovietica assicurò il suc­cesso del primo anno del piano biennale nel­l'industria la cui produzione, raddoppiata ri­spetto al 1945, aveva raggiunto il 98 per cento del livello del 1937.


IL FALLIMENTO DEL COMPLOTTO REAZIONARIO DEL FEBBRAIO 1948

All'inizio del 1948 il Partito comunista ceco­slovacco, seguendo il programma costitutivo, propose la nazionalizzazione di tutte le im­prese con oltre 50 dipendenti e di tutto il commercio all'ingrosso, l'istituzione del mo­nopolio del commercio con l'estero, la limi­tazione delle proprietà terriere a 50 ettari con la consegna ai contadini delle eccedenze, la riduzione delle imposte per i contadini e gli artigiani e una serie di altre misure demo­cratiche e anticapitalistiche. Tutti questi prov­vedimenti avrebbero dovuto migliorare la si­tuazione economica e facilitare la democra­tizzazione del paese. Essi avrebbero dovuto essere compresi nella nuova Costituzione popolare-democratica. Le forze della reazione compresero che stava avvicinandosi la lotta decisiva per il potere, per le vie che il paese avrebbe seguito nel suo ulteriore sviluppo.

Il 12 febbraio 1948 la commissione agraria dell'Assemblea costituente rifiutò di discute­re il progetto di legge sulla nuova riforma agraria. Ciò provocò una energica protesta da parte della conferenza dei rappresentanti delle commissioni agrarie distrettuali che si tenne a Praga il 16 febbraio.

Cercando di paralizzare gli organi del potere popolare i ministri dei partiti socialista-na­zionale, populista e democratico boicottarono la riunione del governo del 17 febbraio, di­mostrando con ciò di non voler più tenere in piedi il Fronte nazionale dei cèchi e degli slovacchi. Lo stesso giorno la direzione del Partito comunista cecoslovacco, attraverso la stampa e la radio, invitò il popolo a tenersi pronto per far fallire i disegni della reazio­ne. Nelle fabbriche incominciò immediatamen­te la formazione di unità operaie. Gli operai e i contadini si levarono in difesa del po­tere popolare, nella lotta per approfondire le trasformazioni economiche, politiche e so­ciali.

Nell'applicare un piano concordato con Be­nes, incoraggiati dal nunzio pontificio e dal­l'ambasciatore statunitense che, interrotte le vacanze, era giunto in volo a Praga, i 12 mi­nistri dei partiti di destra si rifiutarono anche di partecipare alla riunione straordinaria del governo, convocata per il 20 febbraio dal suo presidente Klement Gottwald, e rasse­gnarono le dimissioni. Il disegno di questi elementi era di dare a Benes la possibilità di approfittare della crisi ministeriale provo­cata dalle loro dimissioni per formare un go­verno senza i comunisti o, nel peggiore dei casi, un governo transitorio «apartitico» di funzionari. Ma i ministri comunisti dichiara­rono di rimanere ai loro posti. Il Partito co­munista cecoslovacco chiese che Benes accet­tasse le dimissioni dei ministri sabotatori e un rimpasto del governo secondo la prassi co­stituzionale, con uomini fedeli al programma del Fronte nazionale dei cèchi e degli slo­vacchi.

L'attività politica delle masse si accrebbe con rapidità inaudita. Dovunque venivano orga­nizzati comizi i cui partecipanti, a centinaia di migliaia, manifestavano il loro attaccamen­to al potere popolare e la loro fiducia nel partito comunista. A Bratislava gli operai chiesero che, visto l'andamento degli avve­nimenti di Praga, i ministri del Partito de­mocratico si dimettessero immediatamente, uscendo dal consiglio dei commissari. Nelle fabbriche, negli uffici e nelle campagne sor­sero comitati d'azione, che avevano la fun­zione di una specie di stati maggiori delle forze rivoluzionarie. In molti di questi co­mitati d'azione non entrarono solamente i co­munisti, i senza partito e i socialdemocratici, ma anche elementi progressisti dei partiti so­cialista-nazionale e populista che non voleva­no veder restaurato il potere dei monopoli, degli agrari e del capitale straniero. I comi­tati chiesero che gli organi locali del potere fossero epurati dagli elementi reazionari.

Il 23 febbraio, per iniziativa del congresso cecoslovacco dei consigli di fabbrica, ebbe luo­go una conferenza delle forze progressiste. Su proposta del Partito comunista cecoslo­vacco questa conferenza lanciò al popolo un appello per il mantenimento e il rinnova­mento del Fronte nazionale. La conferenza elesse un comitato preparatorio per la for­mazione di un comitato nazionale di azione del Fronte nazionale. Alla seduta di questo comitato il ministro della difesa, generale Svoboda, dichiarò che le forze armate erano solidamente dalla parte del popolo. Il 25 febbraio fu costituita la presidenza del co­mitato centrale d'azione. Presidente fu eletto Antonin Zapotocky.

Il 24 febbraio si svolse in tutto il paese uno sciopero di un'ora al quale parteciparono più di 2 milioni e mezzo di operai e impiegati, che manifestarono così la loro volontà di ve­der completamente sconfitte le forze reazio­narie.

I piani della reazione fallirono. Il 25 febbraio Benes fu costretto ad accettare le dimissioni dei ministri reazionari e a incaricare Gott­wald di completare il governo. Un grandioso comizio, tenutosi la sera del 25 febbraio nel­la piazza Venceslao di Praga, salutò la nuova vittoria del regime democratico-popolare.

Il congresso contadino, che si svolse a Praga il 28 e 29 febbraio, si pronunciò all'unanimità per l'attuazione della politica agraria proposta dai comunisti.

Gli avvenimenti di febbraio avevano dimo­strato l'unità di tutto il popolo lavoratore della Cecoslovacchia e la sua fiducia nel par­tito comunista, che era alla testa della lotta contro la reazione. La vittoria del popolo nel­le giornate di febbraio inferse un colpo de­cisivo a tutte le forze della controrivoluzione borghese-agraria, allontanò del tutto gli ele­menti reazionari dagli organi del potere, raf­forzò ancora di più l'alleanza degli operai con i contadini e la funzione dirigente della classe operaia e della sua avanguardia mar­xista-leninista, il Partito comunista cecoslo­vacco, nella società. Gli avvenimenti di feb­braio infersero un colpo anche alla reazione internazionale, che credeva di poter liquidare il potere popolare in Cecoslovacchia e di tra­sformarla in oggetto della sua politica im­perialista, in avamposto per la lotta contro gli altri Stati democratico-popolari e contro l'Unione Sovietica.

Nel corso degli avvenimenti di febbraio fu risolto in favore della classe operaia e dei contadini lavoratori il più importante pro­blema della rivoluzione: il problema del po­tere. La funzione dirigente della classe ope­raia si era trasformata nella sua dittatura.

Il 21 marzo 1948 l'Assemblea costituente approvò una legge che limitava la proprietà fondiaria a 50 ettari, introduceva un'unica imposta agraria, regolava il credito agrario. Il 15 aprile veniva approvata una legge che nazionalizzava le assicurazioni e le estendeva ai più vasti strati dei contadini lavoratori.

Dopo queste leggi, che completavano le basi delle trasformazioni democratico-rivoluziona­rie, il 28 aprile l'Assemblea costituente ne approvò un'altra che prevedeva la naziona­lizzazione delle imprese con più di 50 dipen­denti e, in una serie di settori dell'economia di tutte le imprese senza eccezione, la nazio­nalizzazione delle imprese commerciali e l'in­troduzione del monopolio sul commercio con l'estero.

Il 9 maggio 1948, terzo anniversario della liberazione di Praga dagli invasori hitleriani, fu approvata la nuova Costituzione della re­pubblica cecoslovacca. La Costituzione sanci­va le grandi conquiste dei popoli della Ce­coslovacchia e proclamava la scelta dell'edi­ficazione del socialismo nel paese.

Alle elezioni del massimo organo del potere statale, l'Assemblea nazionale, che si svolse­ro il 30 maggio 1948, la lista unica dei can­didati del Fronte nazionale dei cèchi e degli slovacchi, rinato e composto, oltre che dai partiti democratici, dalle organizzazioni sin­dacali, contadine, giovanili, culturali, raccol­se l'89 per cento dei voti. Con ciò veniva con­fermata e consolidata la vittoria popolare di febbraio.

Nel giugno Benes si dimise da presidente del­la repubblica. L'assemblea chiamò a sostituir­lo Klement Gottwald, mentre la presidenza del consiglio dei ministri fu affidata ad An­tonin Zapotocky.

Il 27 giugno, in una riunione comune dei militanti più attivi dei partiti socialdemocra­tico e comunista, fu proclamata la fusione dei due partiti nel Partito comunista cecoslo­vacco. Il vecchio Comitato centrale comuni­sta fu allargato con l'immissione di 14 diri­genti della sinistra dell'ex Partito socialde­mocratico. La creazione di un unico partito, marxista-leninista, della classe operaia di tut­ta la Cecoslovacchia fu completata dalla de­cisione del suo Comitato centrale del 28 set­tembre 1948 con la quale il Partito comu­nista slovacco veniva proclamato nuovamente parte integrante del partito unico.


IL IX CONGRESSO DEL PARTITO COMUNISTA CECOSLOVACCO
LA LINEA DI EDIFICAZIONE DEL SOCIALISMO

Dopo aver superato le complicazioni suscita­te dal tentato colpo di Stato del febbraio e aver respinto una serie di provocazioni con­trorivoluzionarie nell'estate 1948, i lavorato­ri della Cecoslovacchia portarono a compi­mento con successo il piano biennale per quanto concerneva l'industria, completando il ristabilimento dell'economia del paese. Di fronte a questo si ponevano ora compiti nuo­vi: la riorganizzazione socialista dell'industria e l'ulteriore industrializzazione di tutto il paese.

Il 27 ottobre 1948 l'Assemblea nazionale ap­provò la legge per lo sviluppo economico tra il 1949 e il 1953, che prevedeva un aumen­to della produzione dei mezzi di produzione del 66 per cento. L'esperienza successiva avrebbe dimostrato che questo obiettivo, no­nostante le molte difficoltà da superare, era raggiungibile. Il partito comunista si rendeva, invece, perfettamente conto della complessi­tà dei compiti che si ponevano in agricoltura, dove la produzione era solo al 75 per cento di quella d'anteguerra.

La riunione di novembre del 1948 del Co­mitato centrale del partito mise in rilievo la necessità di allestire la base materiale per riorganizzare al più presto l'agricoltura in sen­so socialista e l'importanza di sostenere e aiutare sistematicamente i diversi tipi di coo­perative agricole di produzione già esistenti.

Il IX congresso del Partito comunista ceco­slovacco, che si svolse a Praga dal 25 al 29 maggio 1949, approvò il programma di edi­ficazione socialista esposto nella relazione del Comitato centrale. L'edificazione accelerata delle basi del socialismo veniva posta come compito principale, condizionante lo stato delle forze produttive e i rapporti di produzione della Cecoslovacchia industriale. Il con­gresso indicò anche la linea da seguire per la trasformazione socialista dell'agricoltura, sulla base della cooperazione contadina e del­lo sviluppo delle aziende statali. Esso sotto­lineò altresì come per la cooperazione nelle campagne acquistassero un'importanza ecce­zionale il principio della volontarietà e il me­todo del convincimento. Il congresso dedicò una particolare attenzione al mantenimento e potenziamento dell'unità della classe operaia con i piccoli e medi contadini. I delegati al congresso, che rappresentavano l'enorme forza di oltre 2 milioni tra membri e candidati del partito, confermarono all'una­nimità la insostituibilità dell'alleanza e del­l'amicizia della Cecoslovacchia con l'URSS, della sua unità con tutti i paesi che erano in marcia verso il socialismo.

Il largo sviluppo del movimento per l'attua­zione delle decisioni del IX congresso, il la­voro d'assalto e l'emulazione, iniziati dalla parte più avanzata della classe operaia e da­gli intellettuali lavoratori, confermarono l'ap­poggio dato dalle masse popolari alla linea tracciata dal partito comunista.


LA POLITICA ESTERA

Nell'attività del partito comunista nel campo della politica estera, il posto principale fu preso dai problemi relativi al rafforzamento e allo sviluppo dell'alleanza e dell'amicizia con l'URSS. Le relazioni cecoslovacco-sovie­tiche si basavano sul trattato di amicizia, mu­tua assistenza e cooperazione postbellica, fir­mato a Mosca già il 12 dicembre 1943. La for­nitura alla Cecoslovacchia di materie prime so­vietiche e l'assistenza tecnica dell'URSS con­sentirono a molti tra i più importanti stabili­menti della Cecoslovacchia di riprendere la loro attività produttiva immediatamente dopo la liberazione del paese. Nel corso delle trat­tative sovietico-cecoslovacche che ebbero luo­go a Mosca nel giugno 1947 fu prestata gran­de attenzione ai problemi relativi alla colla­borazione duratura e sempre più estesa tra i due paesi nella attuazione dei rispettivi pia­ni economici.

Le posizioni internazionali della Cecoslovac­chia, basate sul trattato con l'URSS del 1943, furono consolidate con i trattati di amicizia, mutua assistenza e cooperazione conclusi suc­cessivamente: il 9 maggio 1946 con la Jugo­slavia, il 10 marzo 1947 con la Polonia, il 23 aprile 1948 con la Bulgaria e il 21 luglio 1948 con la Romania. Poco più tardi, il 16 aprile 1949, fu firmato un trattato analogo con l'Ungheria. Disponendo di un'industria sviluppata, la Cecoslovacchia contribuì all'in­dustrializzazione della Polonia, della Jugosla­via, della Bulgaria e della Romania.

Assieme all'URSS e a tutti i paesi di demo­crazia popolare, la Cecoslovacchia assunse una posizione conseguente contro l'orientamento delle potenze occidentali favorevole alla ri­nascita dell'imperialismo e del militarismo nella Germania occidentale. Nel febbraio 1948 ebbe luogo a Praga una conferenza dei mi­nistri degli esteri della Cecoslovacchia, della Polonia e della Jugoslavia, che condannò la violazione da parte delle potenze occidentali degli impegni internazionali assunti sulla Ger­mania.

La Cecoslovacchia accolse con soddisfazione la notizia della costituzione della Repubblica Popolare Democratica di Corea, la vittoria della rivoluzione cinese, la proclamazione del­la Repubblica Democratica Tedesca. L'allac­ciamento di relazioni amichevoli e di buon vicinato tra la repubblica cecoslovacca e la Repubblica Democratica Tedesca fu un ele­mento importante della lotta per la pace e la sicurezza in Europa. Una minaccia diretta alla causa della pace fu invece la formazione del blocco aggressivo della NATO, avvenuta nell'aprile 1949. La Cecoslovacchia si trovò ac­canto agli altri paesi socialisti nel denunciar­ne il carattere aggressivo. Dal 20 al 25 aprile 1949 ebbe luogo a Parigi un congresso mon­diale dei partigiani della pace. Contempora­neamente ebbe luogo un congresso analogo a Praga, ai cui partecipanti il governo e il popolo cecoslovacchi offrirono la più larga ospitalità. Nel 1949 la Cecoslovacchia prese parte at­tiva alla costituzione del Consiglio di mutua assistenza economica, organo chiamato a coordinare l'attività economica dei paesi che ne facevano parte.