Un testo di Lenin sulla vicenda della pace di Brest-Litovsk
contro il velleitarismo ultrarivoluzionario di Trotsky e di Bucharin
La firma il 3 marzo 1918
della pace di Brest.
A sinistra i rappresentanti di Germania, Austria-Ungheria,
Turchia e Bulgaria. A destra
i delegati bolscevichi.
Il testo di Lenin, che riprendiamo da una raccolta di suoi scritti riguardanti i rapporti suoi e dei bolscevichi con Trotsky curata da Luciano Gruppi (Lenin, Su Trotskij, Editori Riuniti, iv edizione, marzo 1975), non è solamente un riferimento a una vicenda storica che ha caratterizzato la rivoluzione russa e il dibattito nel partito bolscevico tra la fine del 1917 e l'inizio del 1918, ma ha una grande valenza nel definire la tattica rivoluzionaria e anticipa, su una questione concreta e di grande importanza per il futuro della rivoluzione russa, quello che sarà lo scontro condotto contro Trotski negli anni successivi, in particolare da Stalin.
La vicenda di Brest è arcinota, ma non sembra che se ne siano tratte le conclusioni necessarie che, a nostro parere, possono collegarsi allo stesso dibattito sulla costruzione del socialismo in un solo paese contro cui il trotskismo si è violentemente scagliato.
Stavolta però non è Stalin a parlare, ma Lenin, e quindi gli antistalinisti di sinistra dovrebbero tenerne conto e decidersi finalmente ad attaccare 'l'opportunismo' di quest'ultimo.
Riassumiamo intanto il quadro storico di riferimento. All'indomani della Rivoluzione d'Ottobre i bolscevichi indicarono nella pace immediata, senza annessioni né indennizzi, la strada per uscire dal conflitto e porre fine al massacro. Ma all'appello i governi belligeranti non risposero dal momento che il loro obiettivo era vincere la guerra e realizzare gli scopi per cui era stata scatenata. Francesi e inglesi avevano interesse a che la Russia continuasse la guerra contro la Germania e questa voleva cogliere l'occasione della caduta dello Zar per trarne vantaggi territoriali e di penetrazione imperialista fidando nel crollo dell'impero zarista.
Si poneva quindi il problema, per i bolscevichi, di come affrontare la situazione.
Già Stalin prima dell'ottobre, nello scritto "A proposito della guerra" del 16 marzo 1917 che abbiamo ripreso nella raccolta "1917: Le posizioni e il ruolo di Stalin alla vigilia dell'insurrezione" (Strumenti n. 1), aveva messo in evidenza che la situazione della Russia non poteva paragonarsi a quella della Francia rivoluzionaria. La continuazione della guerra era solo nell'interesse dell'imperialismo inglese e francese. E' vero che la Germania costituiva una minaccia concreta, di cui la Russia rivoluzionaria non poteva non tener conto, ma pensare a una risposta militare era di fatto impossibile per le ragioni che Lenin mette lucidamente in evidenza nel suo testo. Anche la Germania d'altra parte aveva non pochi problemi sul fronte occidentale e sulla possibilità di tenere la situazione interna sul terreno economico e militare e per questo accettò di trattare ma, conoscendo le condizioni dell'esercito russo, impose annessioni e indennizzi.
All'interno del partito bolscevico si sviluppò una discussione durissima sulle proposte dei tedeschi e Lenin si trovò più volte in minoranza. I verbali della discussione nel CC sono stati pubblicati dagli Editori Riuniti nel volume 'I bolscevichi e la Rivoluzione d'Ottobre'.
L'area colorata in verde
rappresenta i vastissimi territori
strappati dai tedeschi
alla Russia con la pace di Brest
Gli ultrarivoluzionari del momento, Trotsky e Bucharin, mancando una capacità di analisi concreta e di lungimiranza politica si scontrarono pesantemente con Lenin sulle condizioni poste dai tedeschi per concludere la pace separata. Tre erano le proposte avanzate: quella di Lenin, che voleva firmare la pace; quella dei fautori della guerra rivoluzionaria e quella di Trotsky che proponeva di non firmare la pace e di dichiarare la smobilitazione. Nella prima fase della discussione la maggioranza sosteneva la tesi della guerra rivoluzionaria. A quel punto Lenin non solo affermò che non si poteva continuare a giocare alla guerra, ma minacciò di dimettersi dal governo e dal comitato centrale.
Anche perchè a dimostrare come le cose stavano effettivamente sul terreno intervenne la rottura del breve armistizio di 30 giorni concesso dai tedeschi alla fine del novembre 1917. Con lo scadere dell'armistizio, con Pietrogrado minacciata di occupazione, il 18 febbraio i tedeschi ripresero le operazioni militari e il loro attacco provocò una fuga disordinata. L'esercito russo si squagliava come neve al sole, secondo le previsioni di Lenin, non prima però di aver venduto o ceduto armi e munizioni al nemico. L'avanzata tedesca metteva in forse le sorti del governo rivoluzionario e su questo Lenin insistette con tenacia battendo i fautori della guerra rivoluzionaria e riuscendo a guadagnare per la sua posizione la maggioranza. L'ultrasinistra, battuta, si dimise in blocco, compreso Trotsky che lasciò la carica di commissario agli affari esteri.
La vicenda della pace di Brest anticipa dunque quello che avvenne dopo la morte di Lenin con lo scontro con Trotsky e Bucharin su una serie di questioni relative ai tempi e ai modi dell'edificazione socialista.
Dal rapporto presentato da Lenin al VII Congresso del Partito comunista (bolscevico) della Russia (marzo 1918).
Cfr. Lenin, Opere complete v. 27
Qui bisogna sapere ritirarsi. Non si può nascondere sotto una vuota frase la realtà, incredibilmente triste e amara; bisogna dire: voglia Iddio che ci si possa ritirare con un certo ordine, guadagnare anche il più piccolo intervallo di tempo, affinché la parte malata del nostro organismo si possa almeno un poco ristabilire. L'organismo nel suo complesso è sano: supererà la malattia. Ma non si può pretendere che la superi di colpo, da un momento all'altro, non si può arrestare un esercito in fuga. Quando ho detto a un nostro giovane amico, che voleva essere di sinistra: compagno, andate al fronte, guardate che cosa succede nell'esercito, la cosa fu presa come una proposta offensiva: « ci vogliono deportare, in modo che non possiamo agitare qui i grandi principi della guerra rivoluzionaria ». Proponendo questo, non intendevo, per la verità, mandare gli uomini della frazione avversaria alla deportazione: era semplicemente la proposta di andare a vedere la fuga irresistibile iniziata dall'esercito. Noi lo sapevamo anche prima, anche prima non si potevano chiudere gli occhi dinanzi al fatto che al fronte la disgregazione era giunta al punto da dar luogo a episodi inauditi, come la vendita dei nostri cannoni ai tedeschi per pochi soldi. Noi questo lo sapevamo, come sappiamo che non è possibile trattenere l'esercito, e che la pretesa che i tedeschi non avrebbero attaccato era una colossale avventura. Se la rivoluzione europea tarda a nascere, ci attendono durissime sconfitte, perché non abbiamo esercito, perché non abbiamo organizzazione, e perché non possiamo risolvere subito questi due problemi. Se non sai adattarti, se non sei disposto a strisciare sul ventre, nel fango, non sei un rivoluzionario, ma un chiacchierone; e se propongo di andare avanti così, non è perché questo mi piaccia, ma perché non c'è altra via, perché la storia non è stata così piacevole da far maturare la rivoluzione dappertutto allo stesso tempo.
Le cose stanno così: la guerra civile è cominciata come un tentativo di scontro con l'imperialismo e ha dimostrato che l'imperialismo è completamente marcio e che gli elementi proletari si sollevano in ogni esercito. Sì, noi vedremo la rivoluzione mondiale, ma per ora è solo una magnifica favola, una bellissima favola; comprendo benissimo che ai bambini piacciono le belle favole, ma mi domando: è dato a un rivoluzionario serio credere nelle favole? In ogni favola vi sono elementi di realtà: se raccontaste ai bambini una favola in cui il gallo e il gatto non parlano una lingua umana, non suscitereste il loro interesse. Allo stesso modo, se dite al popolo che la guerra civile in Germania scoppierà, e al tempo stesso gli assicurate che, invece di un conflitto con l'imperialismo, avverrà sui campi di battaglia la rivoluzione internazionale, il popolo dirà che l'ingannate. Così voi solo nel vostro pensiero, nei vostri desideri superate le difficoltà che la storia ha fatto sorgere. Ottima cosa è se il proletariato tedesco sarà in condizione di insorgere. Ma voi l'avete già calcolato, avete scoperto uno strumento capace di indicare in anticipo il giorno preciso in cui nascerà la rivoluzione tedesca? No, questo non lo sapete, e nemmeno noi lo sappiamo. Voi puntate tutto su una carta. Se la rivoluzione nasce, tutto è salvo. Certamente! Ma, se essa non si presenterà come noi desideriamo, se non vincerà domani, che faremo allora? Allora le masse vi diranno: vi siete comportati come avventurieri, avete puntato su un corso favorevole degli avvenimenti che non si è realizzato, non siete stati all'altezza della situazione che si è venuta a creare, invece della rivoluzione internazionale, la quale inevitabilmente verrà, ma che oggi non è ancora matura.
È cominciato un periodo di durissime sconfitte inferte dall'imperialismo armato fino ai denti a un paese che ha smobilitato il suo esercito, che ha dovuto smobilitare. Ciò che avevo predetto si è completamente realizzato: invece della pace di Brest, per colpa di coloro che non hanno voluto accettarla, abbiamo ottenuto una pace molto più umiliante. Noi sapevamo che per colpa dell'esercito dovevamo concludere la pace con l'imperialismo. Eravamo seduti al tavolo con Hoffmann, e non con Liebknecht: e anche così abbiamo aiutato la rivoluzione tedesca. Ma ora voi aiutate l'imperialismo tedesco, perché gli avete ceduto le vostre ricchezze a milioni (cannoni e munizioni), e questo avrebbe potuto prevederlo chiunque avesse visto lo stato incredibile fino allo strazio in cui era ridotto l'esercito. Alla minima offensiva dei tedeschi saremmo stati perduti inevitabilmente e immancabilmente: questo diceva ogni persona che veniva dal fronte. Siamo divenuti preda del nemico in pochi giorni.
Dopo aver avuto questa lezione, noi supereremo la nostra scissione, la nostra crisi, per quanto grave sia questa malattia, perché ci verrà in aiuto un alleato infinitamente più sicuro: la rivoluzione mondiale. Quando ci si chiede se si debba ratificare questa pace di Tilsit [1], questa pace inaudita, più umiliante e spoliatrice di quella di Brest, io rispondo: assolutamente sì. Dobbiamo farlo perché guardiamo le cose dal punto di vista delle masse. Il tentativo di trasferire la tattica, applicata in un paese in ottobre-novembre, periodo trionfale della rivoluzione, il tentativo di applicare questa tattica, con l'aiuto della fantasia, al corso degli avvenimenti della rivoluzione mondiale è un tentativo destinato all'insuccesso. Quando ci dicono che la tregua è una fantasia, quando un giornale chiamato Kommunist [2] — a quanto pare dalla parola Comune, — quando questo giornale riempie una colonna dopo l'altra cercando di confutare la teoria della tregua, allora dico: mi è toccato di vivere molti conflitti di frazione, molte scissioni, sì che ne ho una grande pratica, ma devo dire che vedo chiaramente che non il vecchio metodo — quello delle scissioni frazioniste nel partito — potrà curare questa malattia, perché prima la curerà la vita stessa. La vita procede con grande rapidità. A questo riguardo essa opera in modo eccellente. La storia spinge a tale velocità la sua locomotiva che, prim'ancora che la redazione del Kommunist abbia il tempo di far uscire il suo prossimo numero, la maggioranza degli operai di Pietrogrado comincerà a disilludersi delle sue idee, perché la vita dimostrerà che la tregua è un fatto. Ecco, noi ora firmiamo la pace, abbiamo una tregua, ne approfittiamo per difendere meglio la patria, perché, se avessimo la guerra, avremmo quell'esercito in fuga, in preda al panico, che bisognerebbe cercare di fermare e che i nostri compagni non possono e non hanno potuto fermane perché la guerra è più forte delle prediche, più forte di diecimila ragionamenti. Se essi non hanno compreso la situazione oggettiva, non possono fermare l'esercito e non avrebbero potuto fermarlo. Quest'esercito malato infettava tutto l'organismo, e noi abbiamo subito una nuova, tremenda sconfitta, un nuovo colpo inferto dall'imperialismo tedesco alla rivoluzione, un duro colpo, perché con grande leggerezza ci siamo esposti senz'armi ai colpi dell'imperialismo. Intanto approfitteremo di questa tregua per convincere il popolo a unirsi, a battersi, per dire agli operai, ai contadini russi: « Create un'autodisciplina, una disciplina severa, altrimenti dovrete giacere sotto il tallone tedesco, come vi accade ora, come inevitabilmente vi accadrà, finché il popolo non imparerà a lottare, a creare un esercito capace non di fuggire, ma di andare incontro a sofferenze inaudite ». Ciò è inevitabile perché la rivoluzione tedesca non è ancora avvenuta e non si può garantire che avverrà domani.
Ecco perché la teoria della tregua, che viene assolutamente negata dal fiume di articoli del Kommunist, è sostenuta dalla vita stessa. Ognuno vede che la tregua è un fatto, che ciascuno ne approfitta. Avevamo previsto di perdere Pietrogrado in pochi giorni, quando le truppe tedesche avanzanti si trovavano a poche tappe di distanza da essa, e i migliori marinai e i migliori operai delle officine Putilov, nonostante tutto il loro grande entusiasmo, si trovavano soli; quando si era creato un caos spaventoso e un tale panico che aveva costretto i nostri reparti a fuggire fino a Gat?ina; quando eravamo arrivati al punto di riprendere una località che non si era mai arresa, e succedeva che un telegrafista arrivava a una stazione, si sedeva all'apparecchio e telegrafava: « Nessun tedesco. La stazione è in mano nostra ». Dopo poche ore mi giungeva una telefonata dal commissariato delle vie di comunicazione che mi annunciava: « Abbiamo occupato la stazione successiva, ci avviciniamo a Jamburg. Nessun tedesco. Il telegrafista è al suo posto ». Ecco a che cosa siamo arrivati. Ecco qual'è la storia reale della guerra di undici giorni. Ce l'hanno descritta i marinai e gli operai delle officine Putilov, che bisogna far partecipare al congresso dei soviet. La raccontino loro la verità. È una verità terribilmente amara, dolorosa, straziante, umiliante, ma è cento volte più utile: essa è compresa dal popolo russo.
Ammetto che ci si possa lasciare attrarre dall'idea di una rivoluzione internazionale che si allargherà fino ai campi di battaglia, perché essa verrà. Tutto verrà a suo tempo, ma ora impegnatevi nel lavoro per creare l'autodisciplina, ubbidite ad ogni costo, affinché regni un ordine perfetto, affinché gli operai si istruiscano nel combattimento, anche per una sola ora al giorno. Questo è un po' più difficile che scrivere la trama di una bella favola. Ma questa è la situazione ora, così voi aiutate la rivoluzione tedesca, la rivoluzione internazionale. Quanti giorni di tregua ci saranno dati, non sappiamo, ma la tregua ci è stata data. Bisogna smobilitare al più presto l'esercito, perché è un organo malato, e intanto aiuteremo la rivoluzione finlandese.
Sì, certo, noi violiamo il trattato, l'abbiamo già violato trenta o quaranta volte. Solo dei bambini possono non capire che in un'epoca simile, in cui comincia un lungo e doloroso periodo di liberazione, che ha appena cominciato a creare il potere dei soviet e l'ha elevato a tre gradini del suo sviluppo, solo dei bambini possono non capire che ora ci tocca condurre una lotta lunga e prudente. Un trattato di pace vergognoso suscita la rivolta, ma, quando i compagni del Kommunist ragionano sulla guerra, fanno appello al sentimento, dimenticando che la gente stringeva i pugni e aveva davanti agli occhi i bambini sanguinanti. Che cosa dicono? « Mai un rivoluzionario cosciente sopporterà questo, mai accetterà una simile vergogna. » Il loro giornale ha il titolo di Kommunist, ma dovrebbe chiamarsi invece Sljachti? [3] poiché esso vede le cose allo stesso modo di quel nobile polacco che disse morendo in una bella posa, con la sciabola in pugno: « La pace è la vergogna, la guerra è l'onore ». Essi ragionano come il nobile polacco, e io come il contadino.
Se accetto la pace, mentre l'esercito è in fuga e non può non fuggire senza perdere migliaia di uomini, l'accetto perché non mi capiti di peggio. È vergognoso il trattato? Ma ogni contadino e operaio serio mi giustificherà, perché essi comprendono che la pace è un mezzo per raccogliere le forze. La storia sa — questo l'ho detto più d'una volta — come i tedeschi si siano liberati da Napoleone dopo la pace di Tilsit; io ho chiamato di proposito la pace attuale pace di Tilsit, anche se non abbiamo sottoscritto le stesse clausole: cioè l'impegno a fornire nostre truppe in appoggio all'invasore per l'asservimento di altri popoli. Eppure, la storia è arrivata fino a questo, e lo stesso capiterà anche a noi, se faremo affidamento solo sulla rivoluzione internazionale compiuta sul campo di battaglia. Badate che la storia non porti anche voi fino a questa forma di servitù militare. Fino che la rivoluzione socialista non avrà vinto in tutti i paesi, la repubblica sovietica potrà cadere in servitù. Napoleone a Tilsit impose ai tedeschi condizioni di pace incredibilmente vergognose. E le cose allora andarono così che la pace fu conclusa più di una volta. L'Hoffmann di allora — Napoleone — coglieva i tedeschi in flagrante violazione della pace, e anche Hoffmann farà lo stesso con noi. Noi però faremo in modo di non farci cogliere tanto presto.
L'ultima guerra ha dato al popolo russo una lezione amara, dolorosa, ma seria: esso deve organizzarsi, disciplinarsi, obbedire, creare una disciplina che sia esemplare. Imparate dai tedeschi la disciplina, altrimenti saremo un popolo perduto e cadremo eternamente in schiavitù.
Così, e solo così, ha proceduto la storia. La storia suggerisce che la pace è una tregua per la guerra, e la guerra è un mezzo per ottenere una pace in qualche modo migliore o peggiore. A Brest il rapporto di forze corrispondeva a una pace di vinti, ma non umiliante. A Pskov il rapporto di forze corrispondeva a una pace più vergognosa, più umiliante. Ma a Pietroburgo e a Mosca, nelle tappe successive, ci imporranno una pace quattro volte più umiliante. Noi non diremo che il potere sovietico è solo una forma, come ci hanno detto i giovani amici di Mosca [4], non diremo che per questo o quel principio rivoluzionario si può sacrificare il contenuto, ma diremo: comprenda il popolo russo che deve disciplinarsi, organizzarsi, e allora potrà sopportare tutte le paci di Tilsit di questo mondo! Tutta la storia delle guerre di liberazione ci mostra che, se queste guerre abbracciavano larghe masse, la liberazione era rapida. Noi diciamo: se la storia procederà così, dovremo porre fine alla pace, tornare alla guerra, e questo può anche toccarci tra pochi giorni. Ognuno deve essere preparato. Per me non c'è ombra di dubbio che i tedeschi si preparano oltre Narva, se è vero che non è stata presa, come dicono tutti i giornali; non a Narva, ma nei pressi di Narva; non a Pskov, ma nei pressi di Pskov i tedeschi radunano il loro esercito regolare, impiantano le loro strade ferrate per conquistare con un successivo balzo Pietrogrado. Questa belva sa fare bene i suoi balzi. L'ha già dimostrato. Ne farà ancora altri. Su questo non c'è il minimo dubbio. Bisogna quindi essere preparati, bisogna saper non fare i fanfaroni, ma ottenere anche un sol giorno di tregua, perché anche un solo giorno può servire per evacuare Pietrogrado, la cui occupazione costerebbe sofferenze inaudite a centinaia di migliaia di nostri proletari. Dirò ancora una volta che sono pronto a firmare e mi riterrò obbligato a firmare venti volte, cento volte una pace più umiliante, se posso ottenere anche solo pochi giorni per evacuare Pietrogrado, perché così allevio le sofferenze degli operai che altrimenti possono cadere sotto il giogo dei tedeschi; così facilito il trasferimento da Pietrogrado di quei materiali, polvere da sparo, ecc. che ci sono necessari; perché io sono per la difesa della patria, sono per la preparazione di un esercito, sia pure nelle più lontane retrovie, dove si stanno ora curando le ferite dell'attuale esercito smobilitato, malato.
Non sappiamo quanto durerà la tregua, cercheremo di cogliere il momento buono. Forse la tregua sarà di più lunga durata, o forse durerà solo pochi giorni. Tutto può essere. Nessuno lo sa, né può saperlo, perché tutte le più grandi potenze sono legate, costrette, obbligate a lottare su vari fronti. La condotta di Hoffmann è determinata, da un lato, dalla necessità di annientare la repubblica sovietica, ma, dall'altro, dal fatto che egli deve condurre la guerra su tutta una serie di fronti, e che, in terzo luogo, in Germania la rivoluzione matura, avanza, e Hoffmann lo sa, e non può, come si afferma, da un momento all'altro prendere Pietrogrado, prendere Mosca. Ma potrà farlo domani; questo è assolutamente possibile. Ripeto che in questo momento, in cui è evidente che l'esercito è malato, in cui noi approfittiamo di qualsiasi istante, ad ogni costo, anche di un solo giorno di tregua, noi diciamo che ogni rivoluzionario serio, legato alle masse, che sa che cos'è la guerra, che cosa sono le masse, le deve disciplinare, le deve curare, cercando di sollevarle poi per una nuova guerra; ogni rivoluzionario serio ci darà ragione, riconoscerà giusto ogni trattato vergognoso, poiché è concluso nell'interesse della rivoluzione proletaria e del rinnovamento della Russia, per liberarla da un organo malato. Firmando questa pace, come può comprendere ogni persona di buon senso, noi non cessiamo la nostra rivoluzione operaia; ognuno comprende che, firmando la pace con i tedeschi, noi non cessiamo il nostro aiuto militare: noi mandiamo ai finlandesi armi, ma non truppe, che sono incapaci di combattere.
Può darsi che accetteremo la guerra; forse domani cederemo anche Mosca; ma poi passeremo all'offensiva: lanceremo contro l'esercito nemico il nostro esercito, se nello stato d'animo popolare avverrà quella svolta che già va maturando, per la quale forse occorrerà molto tempo, ma che avverrà quando le larghe masse diranno ciò che oggi non dicono. Sono costretto ad accettare la pace anche se è durissima, perché oggi non posso dire a me stesso che il momento è venuto. Quando giungerà il tempo del rinnovamento, tutti lo sentiranno, vedranno che il russo non è uno sciocco; egli vede, capisce che bisogna controllarsi, che questa parola d'ordine dev'essere realizzata: questo è il compito principale del congresso del nostro partito e del congresso dei soviet.
Bisogna saper lavorare su una nuova strada. È infinitamente più duro, ma non è affatto impossibile. Il potere dei soviet non cadrà per questo, se noi stessi non lo faremo cadere con la più sciocca delle avventure. Verrà il tempo in cui il popolo dirà: non permetto che mi si tormenti più a lungo. Questo tuttavia potrà accadere, se non ci lanceremo in quest'avventura, ma sapremo lavorare in condizioni difficili, in presenza del trattato indicibilmente umiliante, che abbiamo firmato pochi giorni fa, giacché una tale crisi storica non si risolve con una guerra né con un trattato di pace. Il popolo tedesco era legato dalla sua organizzazione monarchica nel 1807, quando firmò la sua pace di Tilsit, dopo alcune paci umilianti che si trasformarono in tregue per nuove umiliazioni e nuove violazioni. L'organizzazione sovietica delle masse faciliterà il nostro compito.
La nostra parola d'ordine dev'essere una sola: imparare seriamente a fare la guerra, mettere ordine nelle ferrovie. Senza le strade ferrate la guerra rivoluzionaria e socialista é il più dannoso dei tradimenti. Bisogna creare l'ordine e suscitare tutta l'energia, tutta la forza che darà vita a quanto c'è di meglio nella rivoluzione.
Afferrate la tregua, anche solo di un'ora, poiché ve l'hanno data, per mantenere il contatto con le lontane retrovie, per crearvi nuovi eserciti. Abbandonate le illusioni, che la vita vi ha fatto già pagare e vi farà pagare ancora più caro. Davanti a noi si delinea un'epoca di durissime sconfitte, essa è già cominciata, bisogna saperne tener conto, bisogna essere pronti a un tenace lavoro in condizioni di illegalità, in condizioni di aperta schiavitù sotto i tedeschi: non c'è ragione di addolcire le cose: questa è una vera pace di Tilsit . Se sapremo agire in questo modo, allora noi, nonostante le sconfitte, possiamo dire con assoluta certezza che vinceremo.
Note
[1] Il riferimento è al trattato del luglio 1807 con cui Napoleone vittorioso impose condizioni durissime alla Prussia, compreso il dimezzamento del suo territorio, e in parte anche alla Russia alleata di quest'ultima (NdR).
[2] Kommunist (Il comunista), quotidiano dei « comunisti di sinistra » pubblicato a Pietrogrado nel marzo 1918. Ne uscirono in tutto 11 numeri.
[3] Da szlachta — nobiltà polacca.
[4] Ossia l'ufficio regionale moscovita del partito, dominato in quel periodo dai « comunisti di sinistra ».