Ferruccio Parri

La crisi del novembre '45

"Parri indica la strada della nuova democrazia italiana", da L'Italia libe­ra, 25 novembre 1945. Testo ripreso da "Dalla Monarchia alla Repubblica", op.cit. pp.125-131.



Avverto i colleghi giornalisti che farò alcune dichia­razioni sulla situazione politica al Comitato nazionale cen­trale qui riunito e al Comitato nazionale liberazione Alta Italia che è qui rappresentato.

   I comitati che ho ricordato poc'anzi sono quelli che nel giugno scorso mi avevano designato per la formazione di un nuovo governo ed ho quindi ritenuto doveroso, nel momento in cui sono costretto a rassegnare il mandato, esporre ad essi le ragioni ed anche il mio giudizio sulla situazione politica e sulle prospettive che essa apre.

   Dovrò ricordare molto brevemente il carattere e i com­piti del governo, quale si è costituito nel giugno scorso. I suoi compiti fondamentali erano tre: Costituente, rico­struzione e preparazione e difesa della pace dell'Italia. In attesa della Costituente non riforme profonde di strut­tura, ma compiti di preparazione e di normalizzazione della vita italiana che sul terreno politico amministrativo significavano soprattutto convoca­zione della Consulta ed elezioni amministrative; normalizzazione della vita pubbli­ca anche attraverso l'epurazione, condotta con criteri di giustizia e di moderazione, come premessa della pacifica­zione futura. Direttive generali di solidarietà sociale e di solidarietà politica, convergenza degli sforzi su un piano di legalità democratica e di garanzia di ordine.

   L'asse generale della politica di questo governo era evidentemente impostato sulla sinistra temperata: unica possibile posizione mediatrice delle forze e delle idee in gioco.

   Ho l'obbligo di ricordare che sono stato designato a comporre il nuovo governo non per candidatura del Par­tito d'azione, neppure come rappresentante di questo par­tito, ma come rappresentante e garante di questa funzione mediatrice e conciliatrice [...].


   Credevo, e credo, che solo un governo fedele alla linea da noi seguita sarebbe stato capace di garantire la pace sociale, di moderare, di contenere sul terreno economico la spinta delle masse. È chiaro che se vi dovesse essere domani uno spostamento a destra il governo che lo rappre­sentasse di fronte alla classe proletaria, o dovrebbe svi­luppare una politica demagogica in fatto di salari o non durerebbe due settimane. Solo un governo tenuto sulla linea che vi dicevo era il più indicato per ottenere dai vari partiti il reciproco controllo delle loro forze, e di garantire la pacifica, ordinata e legale preparazione delle elezioni, soprattutto di quelle politiche.


   Vedevo anche molto chiaramente - io solo sono in grado di dare un giudizio completo su questo punto - come sarebbe stato grave all'estero ed all'interno il danno di una crisi; ed è per questo che mai potevo non tener conto degli incoraggiamenti a resistere alla sua apertura, che venivano da tutte le parti non solo italiane ma anche estere, non solo di sinistra, ma dalla stessa parte liberale.

   Una delle armi più insidiose, e più fraudolente, usata contro il governo, era data dalla pretesa diffidenza degli am­bienti di affari stranieri, la sfiducia che si attribuiva agli stessi ambienti ufficiali alleati in Italia nei riguardi del go­verno e da un presunto loro desiderio di mutamento nella direzione del governo: si tratta di dicerie infondate e di ma­novre speculative poiché la smentita mi è venuta dagli stessi rappresentanti alleati. Ed i governi alleati, proprio in questi giorni, hanno accolto certe nostre istanze urgenti di rifornimenti essenziali. Né il ritardo nel trasferimento al governo delle province settentrionali è indizio di sfiducia poiché proprio un paio di settimane addietro ce ne hanno dato il preannuncio essendosi allora risolta a nostro favore una questione politica di grande importanza per noi, che fino allora aveva bloccato la soluzione della questione. Questa sfiducia non esiste nemmeno negli ambienti econo­mici, finanziari e commerciali, perché proprio in questa settimana ci sono pervenute offerte da parte di grandi organismi finanziari ed industriali internazionali, come pu­re veniamo sollecitati dagli ambienti stranieri per una più ampia e pronta ripresa degli scambi commerciali.

   Vi dirò invece che una effettiva ragione di sfiducia all'estero è la instabilità del governo, la facilità delle crisi, l'impressione che diamo di un paese ingovernabile, il ri­tardo nel darci gli organi rappresentativi legittimi e legali. In questo senso il danno che questa crisi ci arreca è molto grave. Ero perciò disposto ad esaminare tutte le possibi­lità di modifica nella struttura del gabinetto, di chiarirne la politica, di precisare certe direttive normalizzatrici e pacificatrici, di rafforzare le garanzie che il governo deve dare all'uso della libertà e alla legalità.

   Eravamo pronti a tutto. Meno che ad aprire la strada al fascismo.

   Ricevo in questi giorni centinaia e centinaia di manife­stazioni da tutte le parti d'Italia, Mezzogiorno compreso. Depenniamone senz'altro gli attestati di solidarietà e di fiducia, perché i miei avversari le ritengono manifestazioni concertate ed orchestrate. Questo non è, perché esse mi vengono anche da rappresentanti della Democrazia cristia­na, da liberali ed altre organizzazioni non controllate dai partiti di sinistra. Ma non è questo che importa. Ciò che importa e su cui richiamo la vostra attenzione è il loro senso generale, che è un grido di indignazione contro le presunte manovre reazionarie che hanno generato la crisi, ed è un grido di allarme contro le prospettive che essa apre, perché sono le prospettive del 1921 e del 1922. Cioè una situazione che possiamo chiamare di prefascismo cioè - amici - di preparazione al fascismo.


   Amici liberali e signori fiancheggiatori di destra: que­sto non è un ricatto, è un avvertimento. È per carità di patria che io ho l'obbligo di esprimerlo nel modo più categorico a voi ed a chi dovrà comporre e guidare il nuovo governo.

   Vi avverto che la crisi ha già peggiorato la situazione interna e acuito la tensione politica. Non si facciano illu­sioni i gruppi e i partiti che possono avere questo disegno, di governare con un governo che avesse anche solo l'appa­renza di uno spostamento a destra. Non è un ricatto, è un avvertimento preciso che in questo momento, nel la­sciare il governo, ho l'obbligo di dare.

   A chi mi incrimina o mi ha incriminato di velleità dittatoriali, devo rispondere che non sono io che devo giustificarmi presso una larga parte dell'opinione pubblica che mi chiede insistentemente e perentoriamente di man­tenere in ogni modo il governo per ragione di salute pub­blica.

   Io non lo voglio, noi non lo vogliamo, perché non vogliamo colpi di Stato. Nell'attuale situazione di precosti­tuente un governo solo di sinistra, come un governo solo di destra, rappresenterebbe una situazione preliminare al­la guerra civile, che noi non vogliamo e che sarebbe la condanna, sarebbe il fallimento della nostra opera di ri­costruzione materiale e soprattutto della ricostruzione de­mocratica del paese. Che se il governo di domani penco­lasse solo un po' a sinistra, non so se potrebbe evitare sopraffazioni economiche e politiche a danno di certi grup­pi e classi; come se pencolasse a destra. I giudici non spiccherebbero più mandati di cattura, i procuratori delle imposte non accerterebbero più profitti di regime, ed i provvedimenti di epurazione cadrebbero senz'altro.

   Devo dirvi che è bastata la crisi, è bastato l'affacciarsi della possibilità di destra perché io stesso avvertissi chiari segni premonitori nella stessa macchina dello Stato.

   E allora se ho tentato di resistere allo sfasciamento del governo è per una ragione profondamente meditata, per una visione ben chiara dell'unica via che ci può condur­re allo stabilimento di un regime democratico, ed avviarci ad un avvenire democratico.

   Voi che ci avete imputato la sfiducia dell'estero, sap­piate che negli ambienti di governo di Londra e di Washin­gton vi è una ben più grave ragione di diffidenza: l'im­pressione che i nostri governi democratici siano una fra­gile facciata dietro la quale si riorganizzano movimenti di marca e di mentalità fascista. E la nostra crisi viene a dimostrare per essi la scarsa vitalità del nostro anti­fascismo.

   In questa delicatezza di condizioni interne ed esterne non è colpo di Stato il mio tentativo che intendeva salva­guardare gli interessi generali e permanenti del paese; ma se mai è colpo di Stato quello del partito liberale, che rompe un equilibrio così fragile in un momento così grave; potrebbe essere colpo di Stato quello della Democrazia cristiana, secondo la quale, per il fatto che uno dei con­traenti si ritira, deve essere senz'altro automaticamente vietato agli altri di tentare, con tutte le prudenze e le garanzie, di salvare la continuità del governo. Ed io depre­co che con ciò si stabilisca un precedente che potrebbe essere ben pericoloso.

   Salvare il governo insomma significava per me salvare la continuità di una politica equilibrata e temperata, che è la sola che ci può portare alla Costituente in condizioni di pacifico e reciproco rispetto; che è la sola che ci può permettere di trovare una linea di accordo o di mediare i dispareri sui problemi costituzionali che si porranno nel­la imminenza della Costituente. Che è la sola che può servire, anche dopo, per dar vita ad un regime democra­tico e stabile, in grado di pacificare il paese, di dar diritto di cittadinanza a tutti gli interessi legittimi, di recuperare tutte le forze sane e di buona fede, di raggruppare tutte le buone volontà, qualunque ne sia stata l'origine.

   Non è l'allarme o la paura del nostro avvenire di partiti antifascisti che ci muove. Non è una semplice posizione antifascista che ho difeso ed intendo difendere; ma è la ragione profonda del nostro stesso operato, che è antico come è antico il fascismo, anzi lo precede, È il proposito fermo di rinnovare la vita civile del nostro paese, di salva­re le ragioni del suo avvenire, un avvenire degno della nostra fede.

   Comandati da questi imperativi voi intendete che il mio modo di agire non è casuale poiché avevo il dovere di reagire contro ogni passo falso, contro ogni slittamento di oggi, che significherebbe la frana di domani.

   Il passo falso di oggi - ho il dovere di dirvelo - amici del Comitato centrale e del Comitato Alta Italia ras­segnando il mandato che mi avete affidato; e poiché ri­mane a voi la cura di provvedere alla nuova designazione, il passo falso, dicevo, sarebbe quello di alterare la fisio­nomia e l'orientamento generale del governo, che può riusci­re vitale solo se si riporta alla stessa situazione del giugno scorso. Noi non siamo di fronte ad una piccola crisi mini­steriale, siamo passati sul piano di una grande crisi poli­tica, di fronte alla quale occorrono posizioni chiare e re­sponsabilità nette.

   Io ho l'obbligo oggi di stabilire l'impostazione politica di questa crisi, e perciò le mie parole hanno il dovere di essere estremamente chiare e categoriche. Voi, amici, avete il dovere di risolvere una crisi, che sarà certamente difficile, e le vostre parole hanno il dovere di essere pru­denti e ponderate.