A proposito di una parola d'ordine

(Critica della parola d'ordine della "Assemblea repubblicana sulla base dei Comitati operai e contadini, ecc...")


Questo scritto a firma di Ercoli (Togliatti) fu pubblicato su Stato operaio n. 8 del 1929. Qui è ripreso dal Quaderno di Rinascita n. 2: "Trenta anni di vita e lotte del P.C.I.", 1951, pp.138-141.


Il Comitato centrale del partito nella sua ultima riunione ha deciso che la parola d'ordine dell' Assemblea repub­blicana sulla base dei Comitati operai e contadini ecc., non deve più essere impiegata nella nostra agitazione e propaganda e ha riconosciuto di aver commesso un errore non lasciandola ca­dere prima di ora in modo aperto e non criticando questa parola d'ordine. Queste decisioni toccano un problema molto importante e delicato della nostra politica, e debbono quindi essere ap­prezzate a fondo. È necessario che esse vengano ampiamente spiegate.

   La parola d'ordine dell'Assemblea repubbli­cana sulla base dei Comitati ope­rai e contadini venne impiegata per la prima volta dal nostro partito nella estate del 1925, in un appello lanciato ai lavoratori italiani e ai partiti anti­fascisti di sinistra (repubblicano, rifor­mista e massimalista). Era il periodo in cui si iniziava la disgregazione del blocco politico aventiniano. Tutti i compagni ricordano quale atteggiamento il nostro partito prese, sin dall'inizio della crisi Matteotti (giugno 1924), verso questo blocco. Dal primo momento noi sma­scherammo l'Aventino come una for­mazione reazionaria, la quale si propo­neva di impedire che la lotta contro il fascismo prendesse un carattere aperto, di classe e di massa, e lo denunciammo come una formazione filofascista. Noi riconoscemmo però che, soprattutto al­l'inizio della crisi, dei notevoli strati di masse lavoratrici (contadini e operai) erano sotto la influenza del blocco aven­tiniano. Dovevamo aggrapparci a que­ste masse e trascinarle a noi. Perciò, non attenuando un istante la lotta contro questo avversario e l'agitazione delle nostre soluzioni rivoluzionarie e classiste (abbasso il governo degli as­sassini, formazione di un governo ope­raio e contadino, costituzione di Comi­tati operai e contadini, sciopero gene­rale, ecc.), il nostro partito compì una serie di atti i quali dovevano servirgli a mantenere il contatto con le masse influenzate dall'Aventino, a smascherare di fronte ad esse l'Aventino stesso, a rendere loro più facilmente comprensi­bile la nostra tattica rivoluzionaria, e a portarle sotto la influenza nostra. I principali di questi atti furono:

   1. - L'uscita dal Parlamento insieme con i gruppi aventiniani il giorno in cui fu noto l'assassinio di Matteotti. Questa uscita fu però accompagnata da una dichiarazione ben precisa che impediva ogni confusione del nostro partito cogli aventiniani.

   2. - La partecipazione alla prima as­semblea dei gruppi aventiniani. In que­sta assemblea i nostri deputati esposero il nostro programma di lotta rivoluzio­naria contro il fascismo. Gli aventiniani lo respinsero con sdegno e con violenza, facilitando così essi stessi il proprio smasche-ramento. Allora noi uscimmo dalla riunione aventiniana e non pren­demmo mai più parte ad essa, conti­nuando a svolgere ampiamente la nostra campagna antifascista e antiaventiniana fra le masse.

   3. - La proposta dell'«antiparlamen­to». Questa proposta venne fatta pub­blicamente e conteneva la indicazione del solo modo nel quale la secessione parlamentare avrebbe potuto ricevere un contenuto rivoluzionario: opporre al parlamento fascista una assemblea parlamentare antifascista e servirsi di essa come di uno strumento per scate­nare nel Paese la guerra civile. Questa proposta, che naturalmente i democra­tici e i socialdemocratici dovevano re­spingere con terrore, contribuì a dare un colpo decisivo alla influenza dell'A­ventino tra le masse. Tutti i lavoratori videro chiaro che noi soli eravamo per la lotta, mentre gli altri non volevano saperne di combattere il fascismo con le sole armi con le quali esso potesse venir combattuto. E da quel momento la nostra influenza tra le masse continuò a crescere in modo ininterrotto.

   L'Aventino, come si sa, incominciò a disgregarsi in modo aperto dopo il discorso del 3 gennaio di Mussolini. Ma quasi subito si manifestò la ten­denza alla costituzione di un nuovo blocco democratico, con un programma più radicale. Forza dirigente dell'Aven­tino erano stati i democratici costitu­zionali (Amendola). Il nuovo blocco si presentò subito sotto la influenza preponderante dei riformisti e dei re­pubblicani. Ciò rispondeva al movi­mento delle forze di classe. L'impalca­tura dei partiti costituzionali borghesi crollava nella misura in cui il fascismo superava le ultime resistenze e le esi­tazioni, venute alla luce all'inizio della crisi Matteotti, di gruppi determinati di borghesia e di piccola borghesia. In pari tempo si compiva, sotto la spinta della situazione e dell'azione nostra, uno spostamento a sinistra delle masse lavoratrici. I repubblicani e i riformisti, per impedire che questo spostamento si compisse in nostro favore, si sposta­vano a loro volta nella stessa direzione delle masse, e, in contrasto con il pro­gramma democratico costituzionale del­l'Aventino, elaboravano un programma democratico repubblicano, che doveva fornire la base del nuovo blocco.

   È evidente che in questa situazione il nostro partito doveva cercare di distur­bare al massimo un eventuale processo di raggruppamento delle masse o di una parte delle masse lavoratrici, che prima erano influenzate dall'Aventino, sulla nuova posizione democratica repubbli­cana. Questa posizione, che fu poi quella della Concentrazione, non poteva infatti significare altro che un arresto delle masse lavoratrici sulla via che doveva portarle alla costituzione di un blocco operaio e contadino, sotto la egemonia del proleta­riato e sotto la guida dell'avanguardia comunista. Essa rappresentava quindi un nuovo inganno, era un nuovo stru­mento impiegato per recare aiuto al fa­scismo e al capitalismo italiano ostaco­lando l'avanzata delle idee rivoluziona­rie e del comunismo. Era interesse nostro, della lotta antifascista e della rivoluzione che le masse lavoratrici non si arrestas­sero sopra questa posizione, non venis­sero legate ad essa dai politicanti della sinistra aventiniana. Tutta l'azione politica del nostro partito negli anni 1925 e 1926 fu diretta a questo scopo. Per rag­giungerlo il nostro partito rafforzò al massimo la attività politica e la orga­nizzazione autonoma del proletariato, diede il più grande sviluppo e il più gran­de rilievo alle agitazioni e alle lotte economiche che ponevano in prima linea, nell'azione contro il regime fascista, la classe operaia, intensificò tutta la sua agitazione e propaganda rivoluzionaria e classista, svolse un'azione speciale per organizzare e mobilitare i contadini poveri e una parte dei contadini medi sul terreno della alleanza col proletariato contro il capitalismo, e infine ritenne necessario sviluppare esso stesso una agitazione repubblicana, dandole però un contenuto classista e proletario. Così, tagliando la strada ai borghesi e piccolo borghesi della democrazia repubblicaneggiante, esso cercava e stabiliva il contatto con le masse in movimento.

   La parola d'ordine della Assemblea repubblicana, ecc.., come venne impie­gata dal partito nel 1925, era dunque una parola d'ordine politico di carattere circostanziale, la quale doveva aiutare il partito a raggiungere determinati risul­tati politici in una situazione particolare. Essa conteneva un elemento democra­tico, ma legava questo elemento alla campagna rivoluzionaria e classista per i Comitati operai e contadini. Infine essa si legava con queste altre parole: con­trollo sulla industria, armamento del proletariato, terra ai contadini. Il valore di queste parole d'ordine è già stato altre volte esposto ampiamente da noi. Esse sono parole d'ordine transitorie, adatte a una situazione rivoluzionaria acuta, che si impiegano per indicare a una on­data rivoluzionaria degli obiettivi radi­cali, la lotta per i quali deve metter capo alla lotta per il potere. Presa nel suo assieme, la parola dell'A. R., ecc. con­teneva quindi una manovra politica e uno sforzo per orientare le masse verso soluzioni e sbocchi radicali, in un mo­mento in cui il partito, aggravandosi la situazione economica e politica, avvertiva già alcuni segni di una situazione rivo­luzionaria acuta, o, per meglio dire, giu­dicava che una qualsiasi rottura del­l'equilibrio instabile mantenuto dalla pressione fascista avrebbe portato imme­diatamente a una situazione rivoluziona­ria acuta. E la parola d'ordine, per quan­to non divenisse subito così popolare co­me quella dell'Antiparlamento, pure dette al partito dei risultati.

   Malgrado ciò, possiamo noi dire che questa parola d'ordine fosse costruita bene, e, quindi, che l'impiego di essa non contenesse dei pericoli legati alla strut­tura stessa della parola? Crediamo di no.

   La prima osservazione da fare è che la parola non è semplice. Tutte le volte che nel Comitato centrale del partito si è discusso di essa, questa osservazione è stata fatta e unanimemente riconosciuta fondata. Il valore di agitazione di una parola d'ordine è invece sempre in rap­porto con la sua semplicità e con la sua chiarezza. La parola dell'A.R. ecc. per essere intesa in modo esatto ha bisogno di ampie spiegazioni. Il suo contenuto non si può afferrare di colpo. Tutto que­sto è un grande elemento negativo.

   Ma analizziamo più da vicino il conte­nuto della parola nella sua parte fonda­mentale. Da un lato l'«Assemblea repub­blicana», cioè un elemento democratico, dall'altro lato i «Comitati operai e con­tadini», cioè un elemento di classe. Que­sti due elementi sono uniti l'uno all'al­tro, ma il risultato è lungi dall'essere qualcosa di chiaro. Nel caso di una rea­lizzazione della parola d'ordine (è evi­dente che noi non possiamo lanciare delle parole d'ordine senza pensare a una loro realizzazione) [1], quali rapporti si sta­biliranno tra i due elementi? Coesiste­ranno essi, oppure prevarrà l'uno o l'al­tro? Quale valore ha la espressione «sulla base» ? Significa essa che i Comitati operai e contadini eleggeranno i deputati a una assemblea repubbli­cana? In questo caso l'assemblea è un Congresso nazionale di Comitati operai e contadini, cioè è la forma preliminare costitutiva del gover­no dei Soviet. Oppure significa soltanto che l'Assemblea, forma di un regime de­mocratico transitorio, si appoggerà a un sistema di Comitati operai e contadini coesistente con essa? In questo caso si avrebbe una dualità di poteri, analoga a quella che esistette in Russia dal marzo all'ottobre 1917. Ma è evidente che, men­tre può darsi che un regime di dualità di poteri si crei temporaneamente nel corso di una crisi rivoluzionaria acuta, la creazione di esso non può essere un obiettivo che noi ci proponiamo. Noi vogliamo un regime di un solo potere: vogliamo il potere nelle mani degli ope­rai. Soltanto la prima interpretazione può quindi essere quella giusta e, alla luce di essa, la parola dell'A.R., ecc. si presenta come una specie di sinonimo dell'organo costitutivo del governo dei Soviet e della dittatura proletaria, come un sinonimo costruito in modo da far risaltare l'elemento repubblicano.

   Non vi può essere dubbio che noi interpreta­vamo la parola in questo ultimo senso [2], ma non vi è nemmeno dubbio che essa era ed è una parola equi­voca, perchè si presta a due interpreta­zioni, e a due interpretazioni profonda­mente diverse: da un lato il governo dei Soviet, la dittatura proletaria che si orga­nizza sulla base dei Comitati operai e contadini, dall'altro lato una dualità di poteri, cioè un periodo transitorio in cui la lotta tra democrazia o dittatura bor­ghese e democrazia o dittatura proleta­ria non è decisa.

   Ma ancora una critica può essere fatta. Ed è questa. La parola dell'A.R., ecc., come abbiamo detto, era una parola cir­costanziale di tipo transitorio. Il partito doveva quindi, nel farne propaganda, unirla costantemente alle altre sue parole d'ordine di carattere finale, ma non do­veva sostituirla ad esse. La sostituzione di una parola transitoria alle parole fi­nali del partito ha come conseguenza che un obiettivo temporaneo transitorio si viene a sostituire agli obiettivi gene­rali e finali, che la prospettiva gene­rale del partito, la quale è la prospettiva della rivoluzione proletaria, viene offu­scata davanti alla prospettiva di un periodo transitorio democratico borghese. Orbene, la parola dell'A.R., ecc. è for­mata in modo che il pericolo di cadere in questo errore è più grande per essa di quanto non fosse per altre parole d'or­dine circostanziali e di manovra usate dal nostro partito in altre occasioni. Pren­diamo la parola dell'«Antiparlamento», per esempio. È evidente che nessuno po­trà mai credere che essa indichi un obiettivo finale dei comunisti. A tutti è chiaro immediatamente che si tratta di una so­luzione la quale viene presentata a scopo di compiere una azione politica ben deter­minata e momentanea. La parola dell'A.R., ecc., invece, appunto perchè è costruita come un sinonimo del potere dei Soviet, può essere facilmente inter­pretata in modo errato, come una pa­rola finale e generale, e ciò può avve­nire malgrado tutte le spiegazioni che il partito possa dare nei suoi articoli teorici, i quali non saranno letti dalla massa, cui giunge soltanto la parola d'ordine come tale.

   Dopo aver in questo modo analizzato e criticato la parola d'ordine in se stessa, dobbiamo vedere quale parte essa ha avuto nella politica del nostro partito, dal momento in cui fu lanciata sino ad ora, e indicare in seguito quali errori nell'uno e nell'altro campo sono stati compiuti.

   1. - La parola certamente ci servì, nel 1925, nel 1926 e nei primi mesi del 1927, a contrastare l'azione politica del «centro» repubblicano in formazione e a mostrare come la sola repubblica per la quale gli operai e i contadini debbono lottare è la repubblica proletaria, la repubblica dei Consigli operai e conta­dini. Gli elementi negativi della parola d'ordine non ebbero in questo periodo una influenza decisiva, anche perchè la parola d'ordine poteva essere ampia­mente spiegata in articoli di propaganda e di agitazione.

   2.- A partire dal 1927, la parola scom­pare quasi completamente dagli scritti di agitazione e di propaganda del par­tito. Ciò avviene in gran parte perchè essa appare troppo difficile, troppo com­plicata, in un momento in cui la nostra agitazione e propaganda, ridotte ai mezzi più semplici, debbono servirsi delle formule più chiare, più incisive.

   3. - In pari tempo però affiora una tendenza a darle valore di parola d'ordine generale, cioè affiora un erro­re grave, che può svilupparsi in una grave deviazione di principio. Questa tendenza affiora in alcune discussioni limitate agli organi dirigenti del partito, e in alcuni passi delle tesi della II Conferenza del partito, per quanto in forma confusa.

   4. - Nel «Programma di azione» scritto prima del VI Congresso e appro­vato dopo di esso, nelle discussioni del VI Congresso, nella risoluzione sui pro­blemi della nostra politica approvata dalla delegazione al VI Congresso, la tendenza a fare della parola dell'A.R., ecc. una parola d'ordine generale viene già combattuta e soprattutto viene indicata e combattuta la deviazione di principio cui questa tendenza potrebbe portare. Viene affermato in questi docu­menti che il nostro partito non deve mai perdere di vista che la prospettiva sulla quale esso deve regolare tutta la sua azione è quella della rivoluzione pro­letaria e non, assolutamente, quella di una fase transitoria democratica bor­ghese che preceda la rivoluzione prole­taria. La parola dell'A. R., ecc. viene però mantenuta, in questi documenti, come una eventuale parola transitoria di cui il partito deve fare propaganda per ottenere risultati particolari in una determinata direzione.

   5. - Nella ripresa di azione politica vasta e generale del partito che ebbe luogo, dopo la crisi organizzativa del 1928, nel 1929, la parola dell'A.R.ecc., venne lasciata completamente in disparte. Nella campagna per il Plebi­scito essa non venne impiegata, nè co­me parola generale nè come parola sussidiaria. Così pure nelle successive azioni politiche nostre, nella campagna per l'au­mento dei salari, nella campagna per il primo agosto e così via. Essa non venne però, fino ad ora, criticata, nè venne detto, fuori del Comitato centrale, per­chè non la si adoperava più.

   Sulla base delle osservazioni fatte sino ad ora i compagni possono oramai com­prendere quale valore ha la decisione presa dal C.C., quali motivi la hanno dettata, e quali problemi della nostra dottrina e della nostra politica essa ri­guarda. Poiché ognuno di questi pro­blemi potrebbe essere considerato e svi­luppato in modo molto ampio, mi limito ad accennarli rapidamente.

   1. - Le prospettive generali della situa­zione italiana e del nostro partito. La direttiva generale del nostro partito e le grandi linee della sua propaganda e della sua agitazione sono sempre state, su questo punto, giuste e chiare. Dal nostro III Congresso [3] sino ad oggi abbiamo sempre affermato che in Italia è all'or­dine del giorno la rivoluzione proletaria e non un rivolgimento democratico bor­ghese. La parola dell'A. R., ecc. non affievolì questa prospettiva quando ven­ne impiegata per uno scopo particolare, come parola circostanziale; l'avrebbe affievolita e fatta scomparire se, diven­tata parola generale del partito, si fosse sostituita alle nostre parole finali (gover­no operaio e contadino, dittatura del proletariato), La tendenza affiorata in questo senso era quindi errata e si doveva reagire contro di essa giungendo, come si giunge ora, sino a lasciar cadere del tutto la parola in questione. In questo modo «viene sottolineato ancora di più, come è detto in una recente risoluzione del segretariato politico della I. C., che la linea politica fondamentale del P.C.I. mira alla rivoluzione proletaria che abbatterà la dittatura borghese fa­scista e instaurerà la dittatura del prole­tariato». L'abbandono della parola del­la A.R., ecc. costituisce quindi una parte della difesa della prospettiva gene­rale rivoluzionaria e proletaria del no­stro partito e rientra nel quadro della lotta contro l'opportunismo e contro il pericolo delle deviazioni di destra.[4]

   2. - L'impiego di parole d'ordine di carattere circostanziale e transitorio. Ab­biamo detto come la parola dell' A. R. ecc. avesse un carattere circostanziale e fosse unita con delle formule di tipo transitorio. L'impiego di essa era quindi legato con delle circostanze particolari, cioè con il momento in cui si imponeva, in una situazione acuta, di contrastare la formazione del blocco repubblicano democratico di centro. Cambiate queste circostanze, anche la nostra parola d'or­dine perdeva della sua efficacia e doveva cadere in disuso. Ma queste circostanze si deve dire che cambiarono già nella prima metà del 1927. La costituzione della Concentrazione all'estero, l'inse­rimento nel fascismo di una parte della socialdemocrazia (gruppo Rigola), la con­quista della C.G.L. alle direttive rivolu­zionarie, ecc., tutti questi fatti nel loro complesso costituivano una modifica­zione della situazione, tale per cui la for­mazione del blocco repubblicano demo­cratico cessava di essere un avvenimento centrale. Nella agitazione quotidiana il partito lasciò infatti da parte la parola della A.R. ecc., ma avrebbe dovuto anche indicare chiaramente come essa non corrispondesse più alla situazione. Mantenuta nelle nostre risoluzioni come una formula di cui si prevedeva ancora possibile l'impiego, essa era una specie di corpo morto e ingombrante, poiché una base per l'impiego efficace di essa non esisteva più. Oggi, ad esempio, il fatto dominante nel campo delle formazioni politiche le quali cercano ancora di porsi tra noi e il fascismo (costituzionali, cattolici, riformisti, repubblicani, ecc.) non è affatto la tendenza a unirsi sul ter­reno repubblicano, ma è la tendenza a porsi sul terreno stesso del fascismo e persino ad accordarsi con esso, cioè la tendenza alla fascistizzazione dei gruppi democratici e della socialdemocrazia. Quanto alle parole di carattere transi­torio l'impiego di esse è regolato in modo del tutto chiaro, dal programma della I. C. Esse non possono venire agitate che in una situazione rivoluzionaria acu­ta. Il cercare di mantenerle in vita in una situazione che non sia tale non può avere altra conseguenza che di indurre in errore sulle prospettive del partito e sulla linea politica generale.

   3. - L'azione politica che il proleta­riato deve condurre per realizzare l'al­leanza con le forze potenzialmente rivolu­zionarie le quali esistono nella situazione data. L'impiego della parola dell' A. R., ecc. rientrava, per noi, in questa azione politica. Vi è quindi qui una osserva­zione assai importante da fare, soprat­tutto per l'orientamento della nostra attività futura. È innegabile che noi dobbiamo e dovremo continuare a con­durre una vasta azione politica per riu­scire a mettere in movimento e a gui­dare verso la rivoluzione proletaria degli strati importanti di popolazione non proletaria: i contadini poveri del Mez­zogiorno e delle Isole, i contadini poveri delle altre parti d'Italia, una parte dei contadini medi, le minoranze nazionali, le popolazioni delle colonie. Ma la nostra azione politica verso questi strati non può consistere, - credo non vi sia nem­meno bisogno di dimostrarlo - nel mo­dificare le prospettive e la direttiva gene­rale rivoluzionaria e proletaria del par­tito. Questo vorrebbe dire non già diri­gere, ma porsi alla coda di questi strati non proletari. Non basta però. La nostra azione politica in questo campo non può nemmeno consistere nel foggiare e pre­sentare una «corruzione» delle parole d'ordine finali della rivoluzione prole­taria; cioè non può consistere nel «con­taminare» le parole della rivoluzione pro­letaria con delle formule di contenuto piccolo borghese. Nell'articolo di Lenin da noi pubblicato nel numero scorso vi è in proposito un accenno molto chiaro. Noi dobbiamo, - cosi pone Lenin la questione - quando è giusto e sino a che non siamo nel momento della rivolu­zione, agitare delle rivendicazioni poli­tiche, ma è un errore credere che il pro­blema si risolva con una sedicente tra­sformazione di queste rivendicazioni in «espressione politica della rivoluzione sociale» [5]. Il terreno sul quale il nostro partito deve imparare a muoversi in mo­do molto più ampio di quanto non abbia fatto sino ad ora è il terreno del passaggio dalla lotta economica alla lotta politica generale contro il regime fascista. Ma per ottenere questo scopo sarebbe un grave errore se noi agitassimo delle pa­role transitorie nel momento in cui non si deve agitarle o impiegassimo delle formule politiche inesatte, non costruite con esattezza scientifica, piene quindi di pericoli. Quello che dobbiamo fare, è dare un ampio sviluppo a tutta la nostra attività politica, legarla con la propa­ganda dei nostri obiettivi finali, e svi­luppare più ampiamente la agitazione economica che tocca da vicino gli strati intermedi che vogliamo trarre sotto la nostra influenza (rivendicazioni politi­che parziali, lotta contro tutte le forme della dittatura fascista, lotta per le libertà delle classi lavoratrici, per l'auto­decisione sino al distacco delle mino­ranze nazionali [6], agitazione e organiz­zazione dei contadini, agitazione della questione meridionale, della questione sarda, ecc.). Vi è qui un complesso di problemi dei quali dovremo occuparci e preoccuparci di più, molto di più, di quanto non abbiamo fatto sino ad ora.

   4. - La propaganda antimonarchica e repubblicana. Anche in questo campo noi dobbiamo fare molto di più. Non dobbiamo lasciare ad altri la preroga­tiva o la iniziativa della lotta contro la monarchia. Ma nello stesso tempo dob­biamo dire ben chiaramente che la sola repubblica per la quale i lavoratori deb­bono lottare è una repubblica proletaria e socialista, nella quale si realizzi il go­verno degli operai e dei contadini. [7]

   Per concludere, nell'impiego della pa­rola dell'A. R. ecc. abbiamo commesso alcuni errori relativi all'impiego delle parole d'ordine circostanziali e transi­torie e alla loro formula­zione. Questi errori non hanno influito grande­mente sulla attività politica quotidiana del par­tito nè hanno portato il partito a seguire una linea fondamentalmente sbagliata. La linea fondamen­tale della nostra poli­tica in questi anni è stata giusta. Essa si è espressa in un'analisi esatta della situazione italiana (carattere radicale della crisi economica, processo di rag­gruppamento nel fascismo di tutte le forze dirigenti borghesi, valore del plebi­scito, del patto lateranense, ecc.), in una giusta direttiva politica generale (lotta per la rivoluzione proletaria, lotta con­tro il fascismo intesa come lotta contro il regime capitalistico e come lotta di classe, lotta per la egemonia del prole­tariato), in un giusto atteggiamento verso le correnti cosiddette antifasciste di cen­tro, democratiche e soc. dem. (lotta con­tro la Concentrazione con esclusione di qualsiasi genere di fronte unico dall'alto, denuncia della Concentrazione come una forza politica della borghesia italiana e come formazione reazionaria), in una serie di atti e di posizioni politiche del tutto giuste (conquista della C.G.d.L., trasformazione di essa in una organiz­zazione rivoluzionaria e classista, svi­luppo delle agitazioni economiche, posi­zione di fronte agli attentati, «no» nel plebiscito, campagna contro la guerra e per il primo agosto, campagna per lo aumento dei salari, ecc.). Tutto questo costituisce un grande attivo, che enor­memente ha contribuito a estendere e rafforzare la nostra influenza, a fare di noi il partito al quale guardano le grandi masse lavoratrici oppresse dal fascismo. Gli errori commessi a proposito della parola dell'A. R., ecc. dovevano però essere riconosciuti e debbono essere aper­tamente indicati, perchè questo ci per­metterà di porre in modo del tutto esatto una serie di questioni assai importanti, ci permetterà di conoscere meglio il peri­colo dell'opportunismo e di evitare devia­zioni di destra, ci permetterà di combat­tere senza esitazione ogni manifesta­zione di opportunismo e contribuirà ad accrescere la nostra maturità ideologica e la nostra capacità politica.


Ercoli


Note


[1] Si potrebbe credere che il partito lanci delle parole d'ordine che non cor­rispondono alla realtà e non servono che a mascherare delle manovre abili, chiamate "agitazioni". Sembrerebbe che il partito dia delle parole d'ordine che non sono e non possono essere giustificate storicamente. E' vero? Evidentemente no. Un partito che agisse così non sarebbe il partito del proletariato, ecc.». Stalin, Domande e risposta, IV.

[2] In una risoluzione del C. D. del partito del settembre 1926, che é il docu­mento di partito in cui più a lungo ci si occupa di questa parola d'ordine, è detto : «E' vano parlare di repubblica senza dire se si tratta della repubblica operaia e contadina nella quale è soppresso il potere politico ed economico della bor­ghesia fascista, oppure se si tratta della repubblica borghese nella quale i lavora­tori continuerebbero a rimanere sotto il giogo della plutocrazia e degli agrari oggi dominanti». E in uno scritto di polemica contro i massimalisti dell'ini­zio del 1927: «Anche il nostro partito ha lanciato una parola d'ordine repub­blicana, ma il modo come la parola d'ordine nostra è concepita e presentata in unione con altre, mentre da un lato, risolve chiaramente il problema delle forze motrici della rivoluzione, dall'altra parte suggerisce spontaneamente l'idea di ciò che sarà la rivoluzione, cioè un processo di sviluppo appoggiato sopra una organizzazione rivoluzionaria delle masse. La nostra "Assemblea repub­blicana" è il risultato della costituzione dei Comitati operai e contadini, del rac­cogliersi delle masse attorno ad essi e della lotta delle masse per il potere». Stato Operaio, anno I, n. 4, pag. 486 e n. 2, pag. 202.

[3] Le tesi del III congresso si aprono con questa affermazione.

[4] Tasca, nelle passate discussioni del Comitato centrale, era sempre stato contrario alla parola della. A. R. perchè riteneva che essa non fosse altro che un modo diverso di indicare il governo dei Soviet e quindi fosse troppo radicale. Espulso dal partito, Tasca raccatta questa parola. E' evidente che egli la intende ora in modo esclusivamente borghese democratico, come la formula di un governo che non è operaio e contadino, ma è il governo di una sedicente «democrazia radicale», che non abbat­terà il capitalismo, ma dovrebbe cercare di dargli ancora un poco di ossigeno de­mocratico, per tagliare la strada alla rivoluzione.

[5] Stato Operaio, anno III, n. 7, Pag. 571.

[6] In una esposizione fatta da un com­pagno sloveno, che ha formato la base di una nota pubblicata sullo Stato Ope­raio, nel n. 7, dell'anno I, si accenna alla possibilità di fondere assieme la la parola d'ordine dei nazionalisti di un «Consiglio nazionale sloveno», con la parola dei Comitati operai e contadini. E' questo un errore del genere di quello che stiamo criticando. Noi dobbiamo in­vece apertamente e senza riserve lottare per l'autodecisione.

[7] «Noi siamo per la repubblica, ma la nostra repubblica è la repubblica pro­letaria, nella quale gli operai, alleati con i contadini, lavorano alla edificazione del socialismo. La nostra repubblica sarà basata sopra i Comitati operai e con­tadini, e non sul Parlamento nè sulla menzogna del suffragio universale. Nella nostra repubblica tutti gli alleati, tutti i sostenitori del fascismo, gli industriali, gli agrari, i banchieri, tutti coloro che vivono sfruttando il lavoro altrui saranno esclusi dalla vita politica. Ecc.». - I comunisti e il plebiscito, opuscolo dif­fuso illegalmente nella primavera del 1928, pag. 28.