Associazione Stalin

Il ruolo del Partito comunista
nella storia d'Italia
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La scelta di Livorno

Premessa

  Prima ancora di introdurci nella descrizione dei passaggi storici e dei risultati che hanno caratterizzato la vita del Partito comunista (dapprima PCd'I sezione dell'IC e poi PCI) occorre fare qualche considerazione di carattere generale e preliminare. Finora il racconto della storia del partito dei comunisti italiani si è nutrito di interpretazioni che non hanno consentito di darne una valutazione oggettiva, trattandosi in una prima fase di interpretazioni spesso apologetiche e in seguito di distorsioni funzionali all'esigenza di creare le condizioni per le svolte politiche che hanno portato il partito alla dissoluzione.

   Bisogna ricondurre quindi il filo conduttore di questa storia a due questioni che viaggiano parallele: la storia dell'Internazionale e del movimento comunista mondiale e lo svolgersi degli avvenimenti storici in Italia. Queste due cose si intrecciano e si condizionano, e non certamente in modo negativo, fino al momento però in cui la crisi del movimento comunista internazionale favorirà una svolta che si dimostrerà irreversibile per il partito comunista italiano.

   Prescindere da questo, come hanno sempre fatto i detrattori del PCI da 'sinistra', diventa un paraocchi che nasconde le questioni oggettive e porta alla caricatura della ricostruzione 'storica' di un libro come 'Proletari senza rivoluzione' di Del Carria, in cui la storia del PCI diventa un ammasso di tradimenti di cui i proletari fanno le spese. Questa ridicola vulgata fuoriesce da una base interpretativa materialistica che tiene invece unite, dialetticamente, tre questioni: l'obiettivo strategico, la fase storica e il programma d'azione.

   Si vedrà, nel caso di Amadeo Bordiga che diviene il primo segretario del Partito comunista, come questa mancata articolazione lo porterà poi alla sconfitta. Insomma, per capire e giudicare correttamente la storia dei comunisti italiani bisogna abbandonare l'interpretazione cosiddetta 'marxista-leninista', ma anche la vulgata del 'partito di Gramsci e di Togliatti' che ha coperto un revisionismo storico e interpretativo dei fatti, e bisognerà invece ricondurre il tutto ai dati oggettivi e alle motivazioni delle scelte.

   Partiamo da Livorno, la fondazione del Pcd'I il 21 gennaio del 1921

   La data è stata occasione di processioni politiche di livornisti che, omaggiando il santuario, speravano di ricostituire un partito comunista basandosi semplicemente su fondamenti di ortodossia formale, senza capire su che basi e in quale contesto storico il Pcd'I fu fondato.

   Bisogna invece partire da questo per fare i conti, non solo col formalismo dell'ortodossia, ma anche con un certo revisionismo storico che a posteriori e per esigenze 'unitarie' del momento ha di fatto rimesso in discussione la scissione di Livorno. I fautori di questa revisione, in particolare, insistevano sul fatto che - dopo che nel PSI, col congresso di Bologna (ottobre 1919), la corrente massimalista di Giacinto Menotti Serrati aveva ottenuto la maggioranza e aderito all'Internazionale Comunista - dividere il partito dei lavoratori fu negativo, anche perchè nel 1921 si andava sviluppando l'attacco militare dei fascisti contro il movimento operaio. Un attacco poderoso in quanto sostenuto dagli industriali, dagli agrari, dalla Chiesa, dai militari e dalla monarchia e da uno stuolo di esponenti del liberalismo del calibro di Giovanni Giolitti e di Benedetto Croce.

   Detta così l'argomentazione sembra convincente. Ma la domanda è: che cos'era veramente il PSI e quali responsabilità storiche aveva rispetto ai lavoratori e allo sviluppo della situazione?

   Il partito al momento dell'entrata in guerra dell'Italia, nel 1915, aveva scelto di non aderire né sabotare, cioè di rimanere inerte, mentre la sua destra era dichiaratamente interventista. Poteva un partito che aveva fatto questa scelta essere un partito in linea con l'Internazionale di Lenin impegnata a trasformare la guerra imperialista in guerra rivoluzionaria? E sempre sulla guerra, sul grande massacro provocato dai conflitti imperialistici, come si era posto concretamente il PSI quando nel 1917 si erano sviluppati a Torino i moti contro la guerra e la fame contro cui si mossero le mitragliatrici e i blindati delle forze armate dello stato monarchico provocando centinaia di morti? Nello stesso anno vi fu la rotta di Caporetto, quella che fu definita sciopero contro la guerra e che portò alla decimazione delle truppe in fuga. Il partito, per bocca di Filippo Turati, disse che il posto dei socialisti era sul monte Grappa! Dunque la guerra imperialista doveva continuare.

   Anche nel primo dopoguerra, quando i lavoratori svilupparono un movimento di classe potente contro le condizioni di vita e le sofferenze prodotte dalla guerra (il famoso diciannovismo), il PSI rimase assente e incapace di guidare il proletariato italiano. L'esempio più eclatante fu quello dell'occupazione delle fabbriche, partita da Torino nel 1920 ed estesa poi in molte parti dell'Italia, che finì per esaurirsi in mancanza di una direzione nazionale e di una prospettiva politica. La ragione di questa sconfitta stava proprio nella natura del PSI dal momento che la Confederazione Generale del Lavoro era in mano all'ala riformista di D'Aragona, così come il gruppo parlamentare socialista che ne era il contraltare. Tutto questo avveniva mentre la borghesia e gli agrari con la collaborazione di tutte le istituzioni, monarchia in testa, andavano sostenendo lo squadrismo fascista e preparavano il colpo di stato dell'ottobre 1922.

   Non dimentichiamo che la direzione del PSI, invece di organizzare il partito contro lo squadrismo, sostenne la linea legalitaria e arrivò a sottoscrivere un patto di pacificazione con Mussolini che fu peraltro disatteso. Serviva solo a disarmare gli antifascisti.

   Per tutti questi motivi, a partire dalla rivoluzione russa e dalle indicazioni di Lenin, nel PSI si andò organizzando la frazione comunista, di cui l'Ordine Nuovo a Torino e il Soviet di Napoli furono protagonisti principali e che nel convegno di Imola, in previsione del nuovo congresso del PSI (il XVII), decisero di mettere il partito socialista di fronte a un'alternativa netta: espulsione dei riformisti e accettazione dei 21 punti decisi al 2° congresso dell'IC che significava la trasformazione da partito parlamentaristico in partito rivoluzionario uscendo così definitivamente dalla demagogia massimalista.

   Il congresso di Livorno si apre dunque con queste premesse e ad illustrare le posizioni della frazione comunista sono Umberto Terracini [qui] e Amadeo Bordiga [qui]. Due interventi molto argomentati e molto lucidi che dimostrano che il messaggio della rivoluzione russa era stato ben compreso dai comunisti italiani e che era stato collegato con la situazione italiana.

   L'intervento di Terracini parte proprio dai dati oggettivi che spingono la frazione comunista alla trasformazione del PSI in partito comunista, senza la quale non è possibile assolvere ai compiti storici della fase rivoluzionaria che si era aperta con lo scatenamento della guerra imperialista.

   Dalla tribuna del XVII congresso del PSI Terracini sostiene che la frazione comunista è venuta a quella assise per dissipare i fumi del massimalismo in quanto i comunisti "sono oggi i prosecutori logici, sono coloro che non hanno derogato e che non vogliono derogare da quanto è stato stabilito l'altro anno al congresso di Bologna, e si presentano al nuovo congresso come i veri rappresentanti del programma che il partito stesso ha assunto un anno fa". In sostanza, dice Terracini, siamo venuti a trasformare le parole in un progetto concreto di azione rivoluzionaria. E preliminarmente, per queste ragioni, occorreva liberarsi dell'ala socialdemocratica rappresentata da Turati, Treves, Modigliani e dai dirigenti della CGL e non solo accettare ma anche mettere in pratica i 21 punti per l'ammissione all'Internazionale comunista.

   Altre due cose importanti sono contenute nel discorso di Terracini, una sulle ragioni che rendono necessaria la trasformazione del partito: "un partito si forma - egli sostiene - quando le condizioni sociali lo richiedono. C'è una classe che acquista coscienza di sé stessa, che acquista un'organizzazione, che si pone una meta da raggiungere, una classe che affiora nella vita politica e comincia a partecipare alla vita politica, e allora si forma il partito di quella classe, e quando la classe si modifica il partito si modifica... (e oggi) la creazione del Partito comunista non è che la risoluzione del problema della creazione del Partito del proletariato che ha come sua meta la conquista del potere".

   Che cos'è invece il PSI, si domanda Terracini? Esso non ha mai avuto questa meta da da raggiungere. Invece "un partito di classe è quello che non crea la situazione, ma sa sfruttare la situazione... è quello che non si lascia mai sorpassare dai fatti, è quello che li prevede e sa guidarli verso la meta"... "Ora siamo dunque d'accordo che il periodo è rivoluzionario, che il potere deve essere conquistato, ma siamo in disaccordo profondo su questo fatto: se il Partito socialista italiano quale oggi è congegnato possa prendere il potere, per creare lo sbocco logico e necessario della lotta rivoluzionaria del proletariato" Fin qui Terracini.

   Amadeo Bordiga inizia il suo discorso al congresso sostenendo che "il nostro punto di vista, compendiato prima in un manifesto programma, poi adottato al convegno di Imola, è noto da tempo a tutto intero il partito". Ora, sostiene Bordiga, non si tratta di ripetere quanto già detto a Imola. Ciò che conta nel dibattito congressuale è capire perchè si impone una separazione nel PSI. Non si tratta di uno scontro di fazione, ma di una separazione che corre lungo tutto il filo del socialismo a livello internazionale ed è partita dalla guerra imperialista rispetto alla quale c'è chi ha accettato di subirla e chi ne ha denunciato la natura e indicato la strada della trasformazione della guerra voluta dalle grandi potenze in guerra rivoluzionaria. E questo porta ad una differenza di analisi e di conclusioni.

   "Nella sua grande maggioranza - sostiene Bordiga - il movimento socialista negli ultimi decenni che precedettero il 1914, aveva assunto quel carattere a voi ben noto che lo aveva condotto a travisare ed abbandonare la fondamentale dottrina marxista e la prassi rivoluzionaria che da quella dottrina scaturiva. Non fu certo caso, capriccio, vanità di uomini quello che determinò un indirizzo simile, ma furono gli stessi caratteri dello svolgersi del capitalismo... Sì il capitalismo attraverso l'analisi che noi marxisti facevamo, appariva destinato a soccombere... Ma nello stesso tempo il capitalismo e la società borghese elaboravano nel proprio seno degli elementi di conservazione, degli elementi di equilibrio alle condizioni della loro crisi, delle antitossine che ogni organismo elabora per combattere le tossine che ne minano l'esistenza... Ora il movimento proletario nella seconda internazionale andava a poco a poco verso questa fisionomia, anzi che essere il coefficiente decisivo del rovesciamento del capitalismo...

   Qual'è
(invece) la tesi fondamentale della Terza internazionale? La tesi fondamentale è questa: la situazione ereditata dalla guerra degli stati borghesi deve essere volta alla guerra rivoluzionaria fra le classi di tutto quanto il mondo".

   Cosa fanno invece riformisti e i massimalisti dentro il PSI?

   All'indomani della guerra, hanno ripreso la loro funzione, cambiando le parole d'ordine, ma preoccupandosi di rimettere in moto la macchina elettorale e l'apparato economico legato al partito e al sindacato.

   A questo punto la scissione è nelle cose e non più nelle parole e i 21 punti dell'IC ne codificano lo spartiacque. Il nodo è sciolto e si passa alla votazione delle mozioni congressuali. Com'è noto i risultati delle votazioni furono questi: mozione di Imola 58.783, comunisti unitari 98.028, mozione riformista 14.695. Dopo la votazione si consuma la scissione e i comunisti escono dal teatro Goldoni dove si teneva il congresso del PSI e si recano, cantando l'Internazionale, in uno sgangherato teatro San Marco per la formalizzazione della costituzione del Pcd'I sezione dell'IC.

   Di fatto il primo congresso del Pcd'I fu appunto solo la formalizzazione della scissione e la elezione degli organismi dirigenti (si veda il resoconto [qui]). La storia successiva del PSI dimostrerà che la scelta di Livorno fu giusta e storicamente necessaria e la guida della classe operaia durante il fascismo e dopo passò al partito comunista. Su questo dato e sulle ragioni oggettive che portarono alla formazione del partito comunista i tentativi di revisionismo storico si infrangono. Non fu l'ideologia a prevalere, ma le caratteristiche delle contraddizioni e il modo necessario per affrontarle.

   Antonio Gramsci non intervenne al congresso perchè in quel momento, nonostante l'esperienza importante dell'Ordine nuovo, il punto di riferimento era Amadeo Bordiga, eletto peraltro segretario il 21 gennaio del 1921 al teatro San Marco. Ma nel 1924 in un famoso articolo intitolato 'Contro il pessimismo' (L'Ordine nuovo, 15 marzo 1924) Gramsci scrisse: "Dopo la scissione di Livorno la necessità che si poneva crudamente, nella forma più esasperata, nel dilemma di vita e di morte, cementando le nostre sezioni col sangue dei più devoti militanti, dovemmo trasformare, nell'atto stesso del loro arruolamento, i nostri gruppi in distaccamenti per la guerriglia, della più atroce e difficile guerriglia che mai classe operaia abbia dovuto combattere. Si riuscì tuttavia: il partito fu costituito e fortemente costituito, esso è una falange d'acciaio..."

   Questo appunto fu il Pcd'I, sezione italiana dell'Internazionale comunista, uscito da Livorno.