Da Accademia delle Scienze dell'URSS, Storia Universale, Teti Editore, 1975, vol. IX, pp. 321-340.
Dal 1936 al 1939 la Spagna fu devastata da una sanguinosa lotta armata tra la democrazia e il fascismo. Iniziata come guerra civile, causata dagli sviluppi dei contrasti sociali interni nel paese, essa si trasformò, in seguito all'intervento italo-tedesco e alla connivenza delle potenze occidentali con i fascisti, in una guerra nazionale e rivoluzionaria di grande significato internazionale.
L'OFFENSIVA FASCISTA.
L'AZIONE ANTIFASCISTA DELL'OTTOBRE 1934
Con la formazione, nel dicembre del 1933, del governo filofascista del radicale Lerroux, si aprì in Spagna il periodo del cosiddetto "biennio nero" (1934-1935). I posti di direzione nell'apparato statale passarono gradualmente nelle mani di elementi clericali e filofascisti; vennero ripristinati i precedenti privilegi della Chiesa, furono liquidate le conquiste dei lavoratori ottenute nei primi anni della repubblica, e la stampa popolare fu sottoposta a una severa censura. Anche le più innocenti manifestazioni popolari vennero schiacciate brutalmente.
L'offensiva fascista provocò la resistenza decisa delle larghe masse popolari. Nel febbraio 1934 si svolsero in tutta la Spagna comizi e dimostrazioni di solidarietà con gli operai austriaci per la loro lotta antifascista. Una imponente manifestazione di protesta contro l'offensiva della reazione fu lo sciopero di giugno di 100.000 salariati agricoli, nel meridione della Spagna, che durò 15 giorni.
Una seria resistenza alle forze della reazione offrirono i lavoratori di Barcellona e di Madrid, all'inizio di settembre. Oltre 200.000 operai scesero nelle strade per fare fallire una adunata di fascisti. Sempre maggiori consensi incontrarono tra le masse le parole d'ordine dei comunisti sulla creazione di un fronte unico antifascista. Migliaia di socialisti e di anarco-sindacalisti entrarono nelle file del partito comunista. All'interno del Partito operaio socialista di Spagna (Partido Socialista Obrero Español) si formò una forte ala sinistra, che si batté per l'unità d'azione con i comunisti. Il 12 giugno 1934 una seduta plenaria del Comitato centrale del partito comunista rivolse al Comitato esecutivo del partito operaio socialista la proposta di creare un fronte unico. I capi socialisti risposero proponendo ai comunisti di cooperare alle alleanze operaie, organizzate dal partito socialista.
Il partito comunista accolse la proposta, con l'intento di allargare queste alleanze e di trasformarle in organi operaio-contadini di unità delle forze antifasciste.
Il 4 ottobre 1934 entrarono a far parte del governo Lerroux i rappresentanti del partito controrivoluzionario Confederazione spagnola delle destre autonome (CEDA). Il fatto suscitò l'indignazione dei lavoratori e uno sciopero generale, proclamato lo stesso giorno, si estese a quasi tutto il paese, abbracciando Madrid, la Catalogna, la Biscaglia, le Asturie e altre regioni.
Forme acute assunse la sollevazione nelle Asturie, dove scesero in lotta spalla a spalla socialisti, comunisti e anarco-sindacalisti. Reparti armati di minatori occuparono le fabbriche d'armi di Oviedo e di Trubia. Le alleanze operaie, nelle quali i comunisti godevano di una grande influenza, si trasformarono in organi rivoluzionari, che dirigevano la lotta armata e organizzavano la produzione e i rifornimenti.
Tutto il potere nelle Asturie passò nelle mani degli operai e dei contadini, che formarono una propria guardia rossa.
La reazione trasferì in tutta fretta nelle Asturie la guardia civile, reparti marocchini e la legione straniera per soffocare l'insurrezione. Gli operai resistettero eroicamente. A Oviedo, la principale città delle Asturie, si registrarono accaniti combattimenti. Le truppe governative, appoggiate dall'aviazione e dall'artiglieria, riuscirono a soffocare nel sangue la insurrezione del proletariato nelle Asturie. Nella regione fu dichiarato lo stato d'assedio; i tribunali militari emisero molte condanne a morte, oltre 30.000 operai furono gettati in carcere.
I combattimenti dell'ottobre terminarono con la sconfitta degli operai per vari motivi: a Madrid e nelle regioni basche le azioni scissionistiche dei capi socialdemocratici impedirono che i1 movimento degli scioperi sfociasse in insurrezioni armate. Il proletariato delle Asturie si trovò in tal modo isolato. Il partito comunista non era ancora sufficientemente forte per dirigere il movimento su scala nazionale. Una causa importante della sconfitta fu anche l'insufficiente appoggio dato dai contadini alla classe operaia.
LA VITTORIA DEL FRONTE POPOLARE
Gli avvenimenti dell'ottobre 1934 impressero una forte spinta al movimento per la formazione di un fronte popolare antifascista. Nel dicembre del 1935 la Confederazione generale unitaria del lavoro, diretta dai comunisti, si fuse con l'Unione generale dei lavoratori (Union General de los Trabajadores). Agli inizi del 1936, dopo ripetute proposte del partito comunista sulla creazione di un fronte unico, la direzione socialista e i repubblicani borghesi accettarono di aprire trattative, che si conclusero il 15 gennaio con la firma del patto del fronte popolare, nel quale entrarono il partito comunista, il partito socialista, le organizzazioni giovanili comunista e socialista, la Sinistra repubblicana, l'Unione repubblicana, la Sinistra della Catalogna, l'Unione generale dei sindacati e altri partiti di sinistra.
Il programma del fronte popolare chiedeva l'amnistia per i prigionieri politici, il processo dei reazionari per i crimini da loro commessi nelle Asturie, la democratizzazione dell'esercito, la distribuzione delle terre ai contadini e ai braccianti, il ritorno al lavoro dei licenziati per attività rivoluzionaria, il ripristino delle libertà democratiche, la riduzione delle tasse e dei canoni d'affitto, l'aumento del salario dei lavoratori eccetera.
La direzione socialista e i repubblicani borghesi consideravano il fronte popolare solo come un blocco elettorale di forze democratiche, ma i comunisti cercarono di trasformarlo in un solido baluardo contro il fascismo. In tutto il paese si svolsero comizi a sostegno del movimento popolare, che acquistò una estensione così preoccupante da indurre il governo a sciogliere le Cortes e indire nuove elezioni. Durante la campagna elettorale il governo inasprì la censura, fece arrestare numerosi esponenti antifascisti, tra i quali i dirigenti del partito comunista Dolores Ibarruri e Vicente Uribe. I clericali orchestrarono un'accesa propaganda contro i candidati del fronte popolare, mentre i fascisti minacciarono apertamente la guerra civile.
La reazione riteneva che il terrorismo, la violenza e i brogli le avrebbero permesso di vincere le elezioni. Ma la vittoria andò, nella consultazione del 16 febbraio 1936, alle liste del fronte popolare.
Alle Cortes furono eletti 268 deputati antifascisti (158 repubblicani, 88 socialisti e 17 comunisti) contro 205 dei partiti di destra e del centro.
Salì così al potere un governo formato da due dei partiti del fronte popolare, la Sinistra repubblicana e l'Unione repubblicana. Presidente del consiglio dei ministri fu dapprima Manuel Azaña, e quando questi fu eletto presidente della repubblica, l'incarico passò a Santiago Casares Quiroga.
Con la formazione del governo Azaña si creò la possibilità oggettiva di un allargamento pacifico della rivoluzione democratica. Il governo realizzò una serie di misure democratiche, liberò i prigionieri politici, riammise al lavoro i licenziati per ragioni politiche, adottò una legislazione sociale avanzata, la previdenza per gli infortuni, la pensione ai vecchi, le ferie agli operai. Esso proclamò il diritto di tutti i popoli della Spagna all'autonomia, passò all'attuazione di una parziale riforma agraria e bloccò l'espulsione dei contadini dalle terre prese da essi in affitto.
Tutte queste misure consolidarono notevolmente il campo democratico e migliorarono le condizioni dei lavoratori. Ma il governo repubblicano non intraprese nessuna misura decisiva contro le forze reazionarie, per cui la minaccia del fascismo non scomparve, la reazione mantenne forti posizioni nell'apparato statale e le organizzazioni fasciste proseguirono indisturbate la loro attività sediziosa nell'esercito.
Il partito comunista, nel marzo del 1936, subito dopo le elezioni, rivolse al partito socialista la proposta di approvare un programma più ampio di quello del fronte popolare, che comprendesse le esigenze fondamentali della rivoluzione democratico-borghese, senza la cui attuazione era impossibile distruggere le basi materiali della controrivoluzione fascista. Il programma doveva prevedere in particolare la confisca di tutte le terre dei grandi proprietari fondiari e la loro distribuzione ai contadini poveri e ai salariati agricoli; l'annullamento di tutti i debiti dei contadini e il rapido miglioramento delle condizioni dei braccianti e dei contadini poveri; la nazionalizzazione della grande industria, delle banche e delle ferrovie; il radicale miglioramento della condizione degli operai; la democratizzazione dell'apparato statale e dell'esercito. I capi socialisti respinsero le proposte del partito comunista. Tuttavia il fronte popolare si rafforzava sempre più, mentre crescevano rapidamente anche la forza e l'autorità del partito comunista, i cui aderenti aumentarono dal febbraio al marzo del 1936 da 30.000 a 50.000; in aprile essi erano saliti a 60.000 e in giugno a 84.000. Grande importanza ebbe la unificazione (avvenuta il 1° aprile a Madrid) delle organizzazioni giovanili socialiste e comuniste in un'unica organizzazione, l'Unione della gioventù socialista.
In luglio il Partito comunista della Catalogna, il Partito proletario catalano, l'Unione socialista di Catalogna, e la federazione catalana del Partito socialista di Spagna, confluirono in un partito socialista unificato. Le masse popolari sostennero ovunque il programma del nuovo partito socialista per il compimento della rivoluzione democratico-borghese.
LA PREPARAZIONE DELLA RIVOLTA CONTRO IL GOVERNO REPUBBLICANO
Le forze reazionarie volevano annullare tutte le conquiste politiche ed economiche delle masse lavoratrici ottenute nella lotta per la repubblica e restaurare i poteri e i privilegi del grande capitale, dei proprietari fondiari, dell'alto clero.
A tale scopo un gruppo consistente di fascisti organizzò una congiura, nella quale il ruolo decisivo era assolto dai magnati della finanza, dall'aristocrazia terriera, dall'alto clero, dai generali. Tra i principali capi della congiura vi erano i generali Sanjurjo, Franco, Mola e altri ufficiali superiori legati al vecchio regime, il noto banchiere Juan March e il finanziere Urquijo, rappresentante degli interessi della Chiesa cattolica.
I congiurati riponevano le loro speranze nell'esercito e nei cosiddetti falangisti (squadre d'assalto della organizzazione fascista "Falange spagnola", composte da figli di contadini ricchi e da elementi declassati di ogni genere). I congiurati fascisti ottennero un appoggio aperto dagli stati maggiori della Germania e dell'Italia.
I gruppi dirigenti della Francia, della Gran Bretagna e degli Stati Uniti erano anch'essi a conoscenza della preparazione della rivolta. I congiurati ricevettero un consistente aiuto finanziario dal ricco petroliere olandese Deterding.
Quando nel paese si diffusero le prime notizie allarmanti sulla rivolta preparata dai fascisti, i comunisti invitarono gli operai a intensificare la vigilanza. Nelle grandi città, davanti alle Case del popolo, presso le sedi delle organizzazioni di partito e sindacali, nelle redazioni dei giornali operai, montavano la guardia giorno e notte picchetti di lavoratori mentre si tenevano pronte a intervenire squadre di combattimento.
Il partito comunista chiamò il popolo a tenersi pronto per respingere l'attacco della reazione e chiese al governo repubblicano e alle organizzazioni democratiche di attuare una ferma politica rivoluzionaria. Ma l'unità del campo democratico era minata dalla politica inconseguente dei socialisti e degli anarco-sindacalisti, dalle incertezze e dalla paura dei repubblicani borghesi di fronte all'iniziativa rivoluzionaria delle masse. In complesso i repubblicani borghesi erano su posizioni di lotta antifascista, ma una parte dei capi propendeva per un compromesso con la reazione.
L'INIZIO DELLA RIVOLTA FASCISTA
La rivolta fascista cominciò il 18 luglio 1936. Essa era capeggiata dal generale Sanjurjo, che però morì in un incidente aereo durante il volo dal Portogallo in Spagna. A capo della rivolta fu allora posto un nemico altrettanto accanito della repubblica, delle libertà democratiche e fautore del potere dittatoriale, il generale Francisco Franco Bahamonde. Dalla parte dei ribelli stava la maggior parte degli ufficiali, che costrinsero i loro soldati a marciare contro la repubblica. I capi militari reazionari seppero attirare dalla loro parte con l'inganno e le promesse le truppe marocchine. Essi avevano inoltre una notevole forza armata nei reparti dei falangisti e dei gendarmi.
I rivoltosi speravano di ottenere in pochi giorni un pieno successo. Ma contro di essi si levò tutta la Spagna, il proletariato, i contadini, la piccola borghesia. Migliaia di uomini e di donne accorsero nei reparti volontari della milizia popolare. Nelle fabbriche, nelle officine, nelle miniere si crearono battaglioni operai; le armi erano le più diverse: revolver, carabine da caccia, vecchi fucili, sacchetti di dinamite, bombe a mano, coltelli. Tutto il peso dei primi combattimenti contro l'esercito ben armato dei ribelli fu sostenuto da questi reparti di milizia popolare, non addestrati e male armati. Ma essi, anche se a caro prezzo, seppero arrestare e circoscrivere la rivolta fascista.
II 19 luglio i reparti repubblicani presero d'assalto le caserme di Madrid, dove si trovavano grosse unità militari di ribelli, e la capitale della Spagna rimase così nelle mani del popolo. I progetti dei fascisti fallirono anche in molte province. In Catalogna gli operai di Barcellona, Lérida, Sabadell e di altri centri industriali disarmarono i reparti militari ribelli e i gruppi di falangisti e di monarchici.
Combatterono eroicamente anche i minatori delle Asturie. I ribelli fascisti furono circondati a Oviedo, le caserme di Gijón furono prese d'assalto. L'intera provincia, a eccezione di Oviedo, assediata, rimase nelle mani del popolo. Lottarono eroicamente i contadini e i braccianti in Andalusia e nell'Estremadura. A Siviglia si ebbero combattimenti sulle barricate, e solo dopo l'arrivo dall'Africa di reparti marocchini i ribelli riuscirono a conquistare la città. Una seria resistenza incontrarono i ribelli in Galizia. Nelle strade della città di La Coruña si ebbero sanguinosi combattimenti sulle barricate. Battaglie accanite si svolsero a Vigo, dove operai, contadini, pescatori si difesero fino all'ultima cartuccia.
I ribelli riuscirono a consolidarsi nel sud, nelle province di Cadice, Huelva e Siviglia, e, a nord, in Galizia, Navarra, e in una notevole parte della Vecchia Castiglia e dell'Aragona. Essi formarono due raggruppamenti: quello settentrionale, diretto dal generale Mola, quello meridionale al comando del generale Franco. I due tronconi dell'esercito ribelle erano separati dalla regione di Badajoz.
In tutto il territorio della repubblica le masse popolari divennero le autentiche arbitre della situazione politica. Tutto il potere legislativo ed esecutivo, tutte le funzioni dell'apparato amministrativo vennero svolte dai comitati del fronte popolare, sorti in quasi tutte le città e località agricole della Spagna. Su iniziativa delle organizzazioni operaie vennero occupate e poste sotto il controllo dei sindacati le grandi fabbriche appartenenti ai ribelli, il parco automobilistico e i trasporti ferroviari. In ogni azienda si crearono comitati di fabbrica, che dirigevano la produzione. Nelle campagne i contadini occupavano le terre dei proprietari coinvolti nella rivolta. In molte località esse vennero suddivise tra i salariati agricoli e i contadini poveri.
In questo periodo burrascoso i partiti repubblicani borghesi caddero in preda alla confusione. Il primo giorno della rivolta il governo rassegnò le dimissioni. Il presidente Azaña iniziò le consultazioni per la formazione di un nuovo governo e, in preda a una grave incertezza, si mostrò propenso a un compromesso con i ribelli. I comitati del fronte popolare chiedevano invece l'immediata formazione di un governo che garantisse le condizioni indispensabili per domare la rivolta. Il 19 luglio venne costituito un governo presieduto da José Giral; esso sanzionò le misure dei comitati del fronte popolare ed espresse la sua ferma decisione di condurre una lotta implacabile contro il fascismo.
Ma di tutte le organizzazioni politiche spagnole solo il partito comunista era veramente preparato alla lotta. Esso mobilitò in fretta tutte le sue forze e passò subito alla formazione di battaglioni di milizia popolare. A Madrid i comunisti crearono una unità militare che divenne presto famosa, il 5° reggimento. Nelle Asturie e in Catalogna si formarono i battaglioni comunisti "Karl Marx", "Maksim Gorki", "Lina Odena" (esponente dell'Unione della gioventù socialista, caduta nel primo combattimento con i ribelli), che furono tra i migliori battaglioni della milizia popolare antifascista.
Alla testa del partito comunista si trovavano José Diaz e Dolores Ibarruri. Provenienti dalle file della classe operaia e legati a essa da profonde radici, questi dirigenti si rivelarono durante la lotta autentici capi popolari. Nelle prime settimane di lotta contro i ribelli si manifestarono anche i lati deboli del fronte popolare, originati dalla frantumazione delle forze proletarie, dall'influenza disgregatrice dei capi socialisti e anarco-sindacalisti, dall'insufficiente organizzazione, e talvolta anche dal carattere spontaneo delle misure attuate.
Nel territorio rimasto alla repubblica esistevano tre governi: il governo centrale di Madrid; il governo della Catalogna, presieduto da Companys, capo della Sinistra della Catalogna; il governo delle regioni basche, presieduto da José Antonio de Aguirre, capo del Partito nazionale dei baschi.
I dirigenti del partito socialista e dell'Unione degli anarco-sindacalisti, che controllavano migliaia di operai armati, che desideravano ardentemente lottare contro il fascismo, respinsero le ripetute proposte dei comunisti di unire tutte le forze per un'azione comune contro i ribelli. La politica antiunitaria dei socialisti e degli anarco-sindacalisti, l'indecisione dei repubblicani borghesi e la mancanza di forze armate regolari devote alla repubblica permisero ai ribelli di resistere fino all'arrivo di aiuti dalla Germania e dall'Italia; da questo momento la lotta per domare i ribelli divenne molto più difficile e aleatoria.
La Germania e l'Italia rifornirono i ribelli fascisti di armi (compresi carri armati e aerei), di denaro, e inviarono loro consiglieri e istruttori militari. Grazie a questo aiuto, il raggruppamento meridionale dei ribelli s'impossessò, alla metà di agosto, di Badajoz, congiungendosi così con il raggruppamento settentrionale.
Agli inizi del settembre 1936 la milizia popolare, male armata, fu costretta ad abbandonare Irùn e San Sebastiàn. La guerra rivoluzionaria del popolo spagnolo entrò in una nuova fase: divenne una guerra popolare, rivolta non solo contro la controrivoluzione interna, ma anche contro l'intervento straniero, una guerra per la libertà e l'indipendenza della repubblica spagnola.
In questa complessa situazione si costituì il 4 settembre 1936 un nuovo governo, nel quale entrarono per la prima volta tutti i partiti del fronte popolare, compreso il partito comunista. Presidente del consiglio dei ministri e ministro della guerra divenne il socialista Francisco Largo Caballero.
LA POLITICA DEL « NON INTERVENTO ».
L'INTERVENTO DELL'ITALIA E DELLA GERMANIA
I ribelli trassero un notevole vantaggio dall'atteggiamento equivoco assunto dalla Francia, dalla Gran Bretagna e dagli Stati Uniti. La notizia dell'inizio della rivolta fu accolta dai governi di queste potenze con un misto di sollievo e di paura: sollievo perché essi odiavano il fronte popolare ed erano pronti a fare di tutto per contribuire alla sua caduta; paura perché non sapevano come si sarebbero sviluppati ulteriormente gli avvenimenti.
I gruppi monopolistici della Gran Bretagna, della Francia e degli Stati Uniti erano allarmati per la sorte dei loro capitali investiti in Spagna. Il governo del fronte popolare garantì l'inviolabilità degli investimenti stranieri. Ma gli imperialisti temevano che lo sviluppo della rivoluzione avrebbe danneggiato i loro interessi finanziari ed economici.
Il governo francese, presieduto da Leon Blum, nei primi giorni della rivolta in Spagna, apparve indeciso e dubbioso. Da un lato, essendo un governo appoggiato dal fronte popolare francese, doveva prestare un legittimo aiuto al governo della repubblica spagnola; dall'altro, temeva che, sotto l'influenza degli avvenimenti spagnoli, anche la Francia si ponesse sulla via dell'ulteriore sviluppo e della realizzazione del programma del fronte popolare. Volendo evitare tali conseguenze, esso attuò quindi nei confronti della repubblica spagnola una politica sostanzialmente ostile, mascherandola con demagogiche profferte di amicizia. Pur dichiarando la propria simpatia per la lotta del popolo spagnolo contro la reazione, il governo francese, nei fatti, attuò gradatamente il blocco della repubblica spagnola. Il governo Blum era spinto a questa politica anche dall'esplicita dichiarazione del governo britannico che se, a causa degli aiuti concessi alla repubblica spagnola, la Francia fosse stata coinvolta in un conflitto con la Germania e l'Italia, la Gran Bretagna non le avrebbe offerto aiuto alcuno. Dopo un breve momento d'indecisione, la Francia vietò le forniture di armi alla repubblica spagnola, in un primo tempo da parte dello Stato, poi anche da parte dei privati.
All'inizio di agosto il governo francese d'intesa con quello britannico propose a tutti gli Stati europei di attenersi strettamente alla politica del non intervento negli affari interni della Spagna. Il 15 agosto i governi della Gran Bretagna e della Francia s'impegnarono a vietare l'esportazione di armi e di materiali bellici in Spagna.
Il 9 settembre, a seguito di un accordo internazionale, nacque il "comitato del non intervento", nel quale entrarono i rappresentanti di 27 paesi europei. L'accordo prevedeva il divieto dell'esportazione e del transito di armi e di materiali bellici destinati alla Spagna e un reciproco scambio di notizie da parte dei firmatari dell'accordo sulle misure intraprese a tale scopo.
Il governo degli Stati Uniti non aderì ufficialmente all'accordo, ma attuò l'embargo sull'esportazione di armi e di materiale bellico in Spagna per tutto il periodo della guerra. L'Unione Sovietica si associò all'accordo del non intervento, ritenendo che se esso fosse stato rigorosamente osservato da tutti i partecipanti, i ribelli sarebbero stati sconfitti. Essa inoltre intendeva utilizzare il comitato come tribuna internazionale per smascherare gli interventisti. Ogni passo, ogni azione ostile dei nemici del popolo spagnolo venne condannata aspramente dall'Unione Sovietica, che si levò in difesa dei legittimi diritti della Spagna repubblicana.
La Germania e l'Italia risposero alla formazione del "comitato del non intervento" intensificando gli aiuti ai ribelli e organizzando l'intervento aperto. Per aiutare le truppe di Franco vennero inviate presso le coste spagnole le corazzate tedesche "Admiral Scheer", "Deutschland", gli incrociatori "Köln", "Leipzig", "Nürnberg" e un gran numero di cacciatorpediniere.
Il 28 novembre 1936 i ribelli firmarono con l'Italia un trattato segreto di collaborazione; un accordo analogo venne concluso il 20 marzo 1937 con la Germania. In cambio della fornitura di armi la Germania otteneva materie prime, prodotti alimentari e partecipazioni nell'industria mineraria spagnola. L'Italia creò una serie di compagnie miste italo-spagnole, dietro le quali manovravano i grossi monopoli italiani della Snia Viscosa e della Montecatini. I capitalisti italiani controllavano anche le miniere di Almadén. Nei loro piani di conquista la Germania e l'Italia consideravano la Spagna come un importante avamposto strategico. Appoggiando i ribelli, le due potenze fasciste non solo contribuivano alla diffusione del fascismo in Europa, uno dei loro principali obiettivi politici, ma ottenevano anche la possibilità di dislocare le loro truppe ai confini della Francia e le loro flotte nelle acque delle Baleari, di Gibilterra, del golfo di Biscaglia, creando una minaccia diretta a tutto il sistema delle basi strategiche mediterranee della Gran Bretagna e della Francia.
L'aiuto in mezzi e in uomini offerto dalla Germania e dall'Italia ai ribelli fascisti spagnoli fu assai cospicuo. L'aiuto italiano raggiunse durante la guerra i 14 miliardi di lire, senza contare il costo di 1000 aeroplani. Secondo dati ufficiali, l'Italia inviò a Franco, oltre agli aerei, circa 2000 cannoni, 10.000 armi automatiche, 240.000 fucili, 324 milioni di cartucce, 8 milioni di proiettili, circa 12.000 automezzi, 800 trattori, 100 carri armati, 17.000 tonnellate di bombe aeree, 2 sommergibili e 4 cacciatorpediniere. Inoltre al fianco dei ribelli vennero inviati a combattere 150.000 italiani e 50.000 tedeschi.
La Germania e l'Italia intendevano isolare definitivamente la repubblica spagnola dal mondo circostante, privandola della possibilità di ottenere da altri paesi perfino i viveri. A tale scopo gli interventisti intensificarono il blocco alle coste spagnole.
Ben presto, dopo la creazione del "comitato del non intervento", apparve chiaro che la Gran Bretagna, la Francia e gli Stati Uniti usavano il non intervento solo come un paravento, mentre di fatto prestavano aiuto ai ribelli: i monopoli americani, britannici e francesi vendevano ai ribelli petrolio, automezzi eccetera. Così si comportarono, ad esempio, la società americana "Texas Oil", la società francese "Renault" eccetera. I finanzieri britannici dal canto loro concessero prestiti a Franco.
Nella politica del non intervento un grave peso ebbero gli obiettivi anticomunisti delle classi dirigenti degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e della Francia. Questa politica doveva dimostrare agli aggressori italo-tedeschi che finché la Germania e l'Italia avessero combattuto contro il comunismo, esse avrebbero trovato la piena comprensione del "mondo occidentale".
L'UNIONE SOVIETICA IN DIFESA DELLA REPUBBLICA SPAGNOLA
L'Unione Sovietica offrì al popolo spagnolo un grande aiuto. Il governo sovietico si batté con coerenza contro l'invio in Spagna dei reparti militari regolari italo-tedeschi, mascherati da "volontari".
Quando apparve chiaro che le democrazie occidentali non prendevano alcuna misura contro gli interventisti, anzi li incoraggiavano, il governo sovietico insistè perché la repubblica spagnola potesse acquistare liberamente armi sul mercato internazionale. Ma gli Stati Uniti, la Francia e la Gran Bretagna continuarono a mantenere chiusi, sotto la bandiera del non intervento, i propri mercati di armi per la Spagna repubblicana, mentre Franco - attraverso il Portogallo e i porti controllati dal suo esercito - otteneva sempre nuovi rifornimenti di uomini e di mezzi militari dalla Germania e dall'Italia. Allora il governo sovietico dichiarò ufficialmente il 23 ottobre 1936 di non potersi ritenere vincolato dall'accordo di neutralità più di qualsiasi altro suo firmatario. Con questa dichiarazione l'Unione Sovietica si riservava piena libertà d'azione per appoggiare la Spagna repubblicana nella lotta contro il fascismo e la reazione internazionale.
L'Unione Sovietica prestò al popolo spagnolo un notevole aiuto materiale. Vennero organizzate sottoscrizioni e raccolte di mezzi a favore della Spagna; nel giro di pochi giorni nel luglio 1936 furono raccolti 12 milioni di rubli, e alla fine di ottobre la cifra era già salita a 45 milioni. Decine di navi cariche di viveri, medicinali, indumenti partirono per la repubblica spagnola. Il governo sovietico concesse alla repubblica spagnola un credito di 85 milioni di dollari e utilizzò ogni possibilità per rafforzarne il potenziale militare.
LE BRIGATE INTERNAZIONALI
Il movimento internazionale in difesa della repubblica spagnola unì persone di diverse tendenze politiche e convinzioni religiose. La massima manifestazione di solidarietà internazionale con la Spagna repubblicana fu l'organizzazione delle brigate internazionali. Migliaia di antifascisti di 53 paesi giunsero in Spagna a piedi, in treno, in aereo, per mare, legalmente e illegalmente, per accettare la sfida lanciata dal fascismo ai popoli amanti della libertà.
I volontari stranieri che combattevano a favore della repubblica furono 35.000; vi erano comunisti, socialisti, cattolici, senza partito; tra essi il ruolo dirigente fu svolto dai comunisti.
L'esempio delle brigate ebbe una grande influenza nell'organizzazione dell'esercito popolare spagnolo. Dove combattevano le brigate internazionali, le posizioni repubblicane erano più sicure e le azioni militari si sviluppavano con successo. I battaglioni spagnoli e i reparti di milizia popolare assimilavano le loro qualità migliori e le forme della loro organizzazione militare. Nella lotta caddero migliaia di combattenti antifascisti di tutto il mondo: "Gli spagnoli sanno - scrisse Ilia Ehrenburg, testimone e partecipe alla lotta antifascista in Spagna - che l'amore per essi fu dimostrato da noi non a parole, ma col sangue. Vi sono eroismi, vi sono tombe che commuoveranno e ispireranno generazioni di spagnoli".
Sul fronte spagnolo caddero tra gli altri il comandante della 12a brigata internazionale, lo scrittore ungherese Máté Zalka (generale Lukácz), il dirigente comunista tedesco Hans Beimler, commissario politico del battaglione "Thälmann", il comunista inglese Ralph Fox, scrittore e storico, il dirigente comunista italiano Nino Nanetti. Nelle file delle brigate internazionali combatterono molti dirigenti comunisti di diversi paesi: l'austriaco Stern (generale Kléber), il polacco K. Swierczewski (generale Walter), gli italiani Luigi Longo e Giuseppe Di Vittorio, il francese François Billoux. Uno degli organizzatori del 5° reggimento fu il comunista italiano Vittorio Vidali (Carlos Contreras). Rappresentante dell'Internazionale comunista in Spagna fu Palmiro Togliatti (Ercoli).
Un grande ruolo nella lotta spagnola contro il fascismo ebbero gli specialisti militari sovietici. In qualità di consigliere militare dell'esercito repubblicano fu in Spagna per lungo tempo G.M. Stern (gen. Grigorovic). Consigliere dell'aviazione fu J. Smučkevič (generale Douglas).
LA DIFESA DI MADRID
L'intervento militare italo-tedesco e la politica di non intervento della Gran Bretagna, della Francia e degli Stati Uniti rafforzarono le posizioni dei ribelli. Nell'ottobre del 1936 si combatté vicino a Madrid una delle più grandi battaglie della guerra spagnola. Quattro colonne composte di ribelli e d'interventisti condussero l'attacco alla capitale spagnola. All'interno della città agiva una fìtta rete di spie che si dedicavano al sabotaggio, la "quinta colonna" del gen. Mola, che comandava l'attacco. Grazie all'iniziativa del partito comunista, la difesa di Madrid unì tutte le forze antifasciste: repubblicani, socialisti, anarchici, comunisti.
Un altro fattore importante fu l'aiuto della Unione Sovietica e del proletariato internazionale. I difensori di Madrid erano animati dallo spirito dei difensori del potere sovietico in Russia negli anni della guerra civile. Nelle strade della capitale spagnola erano affissi enormi striscioni con la scritta: "Ciò che il popolo di Pietrogrado ha dimostrato ai bianchi nel 1919, verrà dimostrato da Madrid al ribelle Franco nel 1936". Nelle giornate critiche della difesa i combattenti della milizia popolare ottennero dall'Unione Sovietica mitragliatrici, carri armati, pezzi di artiglieria, aerei, viveri e medicinali.
Un posto d'onore nella difesa di Madrid ebbero le brigate internazionali, che offrirono un esempio di grande eroismo, tenendo le posizioni più difficili.
L'eroica difesa poteva divenire un momento cruciale nella guerra di liberazione nazionale del popolo spagnolo. Sulle vie di accesso a Madrid vennero distrutti i migliori reparti dei ribelli mentre le truppe del generale Franco apparivano ormai esauste. Parallelamente si rafforzò il campo repubblicano; il nuovo esercito popolare rafforzò i suoi ranghi, l'industria degli armamenti riprese la produzione, mentre si consolidava l'unità del fronte popolare.
La vecchia Spagna dello sfruttamento e dell'arbitrio, la Spagna dei latifondisti, dei banchieri, dei generali reazionari e dell'oscurantismo clericale aveva subito una pesante sconfitta. Con la sua eroica lotta il popolo creò le basi per costituire nel paese una repubblica democratico-popolare.
Ma sul cammino della costruzione di questo nobile scopo le masse popolari spagnole si scontrarono in gravi ostacoli: la resistenza nascosta e l'ostilità dei socialisti di destra, degli anarco-sindacalisti e dei repubblicani borghesi.
LA POSIZIONE DEI SOCIALISTI DI DESTRA,
DEI REPUBBLICANI BORGHESI
E DEGLI ANARCO-SINDACALISTI
I capi del partito socialista si opposero alle proposte di creare un'industria bellica, di epurare le spie della "quinta colonna" e i nemici della repubblica, indebolendo in tal modo l'unità delle forze democratiche e dividendo il fronte popolare.
Una politica che riduceva la capacità di resistenza antifascista venne condotta anche dai dirigenti anarco-sindacalisti. In Catalogna, dove detenevano le posizioni-chiave nella vita economica e sociale, essi avanzarono come compito pratico immediato l'attuazione di un "nuovo ordine sociale", il "comunismo anarchico", e "socializzarono" tutta l'industria, compresa quella piccola, e perfino i negozi di parrucchiere, le mense, i ristoranti eccetera. Nelle campagne essi attuarono con la forza la collettivizzazione integrale delle aziende contadine, sebbene non esistessero le premesse economiche e politiche per il buon esito dell'operazione.
I repubblicani borghesi invece si allarmavano sempre più per la prospettiva dello sviluppo della rivoluzione. Il partito repubblicano - scrisse José Diaz - era sempre oscillante, e molti suoi esponenti, trovandosi sotto l'influenza dei governi della Gran Bretagna e della Francia, si trasformarono in portabandiera della capitolazione.
Nel paese agivano anche organizzazioni ostili alla rivoluzione popolare, come il "Partido Obrero de la Unificación Marxista" (POUM), di tendenza trotzkista, il Partito nazionale basco e altri gruppi politici.
IL PROGRAMMA DI LOTTA DEL PARTITO COMUNISTA.
LE TRASFORMAZIONI RIVOLUZIONARIE
La complessa situazione esigeva una sempre maggiore compattezza di tutte le forze democratiche, il consolidamento del fronte antifascista, la creazione di un governo veramente popolare e centralizzato, l'attuazione di trasformazioni economiche, politiche e militari nel paese. Per la soluzione di questi problemi si batteva il partito comunista, chiamando il popolo a radicali trasformazioni democratiche. I suoi appelli trovarono un caloroso appoggio tra le larghe masse del popolo, tra i militanti del partito socialista e fra gli stessi gruppi anarco-sindacalisti. Perciò il governo Caballero dovette sanzionare le trasformazioni rivoluzionarie, che il popolo aveva praticamente attuato.
Profonde trasformazioni si registrarono nel campo dell'industria: il 2 agosto 1936 un decreto governativo ordinava la requisizione delle aziende abbandonate dai loro proprietari. Quarantotto ore dopo l'approvazione del decreto, cominciò la requisizione delle aziende. In ogni fabbrica e officina requisita venne creato un comitato di rappresentanti degli operai sotto la presidenza di un incaricato del governo.
L'industria repubblicana cominciò a produrre diversi tipi di armi, carri armati, aerei, cannoni. Ma la capacità produttiva delle fabbriche era ancora insufficiente per fronteggiare le crescenti esigenze del fronte.
Una grande conquista del popolo spagnolo fu la riforma agraria. Il 7 ottobre 1936 venne pubblicato un decreto firmato dal ministro dell'agricoltura, il comunista Uribe, sulla confisca delle proprietà agrarie dei nemici della repubblica. Tutte le aziende, indipendentemente dalla loro estensione e dal loro reddito, appartenenti prima del 18 luglio 1936 a persone che si erano schierate contro il governo legittimo della repubblica, divenivano proprietà dello Stato. Furono confiscati anche gli immobili, il bestiame, gli attrezzi, le aziende per la trasformazione dei prodotti agricoli eccetera. In pratica venne liquidata nel territorio della repubblica tutta la grande proprietà fondiaria: 376.787 famiglie di contadini e di braccianti ottennero 5.423.212 ettari di terra, e tutto il bestiame e gli attrezzi agricoli dei grandi proprietari fondiari.
La riforma agraria, attuata sotto la direzione del partito comunista, portò a un rafforzamento del fronte popolare e dell'alleanza tra la classe operaia e i contadini. Iniziò così un largo afflusso di contadini nell'esercito, mentre le masse contadine si pronunciavano per la difesa delle conquiste rivoluzionarie della repubblica.
Su iniziativa e sotto la direzione del partito comunista venne creato l'esercito popolare della repubblica. Si trattò di un'opera difficile e complessa. Il partito comunista dovette superare la resistenza e il sabotaggio dei socialisti di destra e degli anarco-sindacalisti, che mascherandosi dietro frasi rivoluzionarie contro la "restaurazione del militarismo" e per la conservazione dei reparti rivoluzionari della "milizia popolare", cercavano d'impedire l'organizzazione di un esercito regolare. Sotto la pressione dei comunisti e di migliaia di combattenti, il governo del fronte popolare pubblicò nell'ottobre del 1936 un decreto sulla trasformazione della milizia popolare in esercito regolare.
Fu questa una vittoria del partito comunista e delle larghe masse popolari, convinte che senza un forte esercito popolare era impossibile ottenere la vittoria. Il nucleo fondamentale dell'esercito popolare della repubblica fu costituito dal glorioso 5° reggimento. Nelle sue file si erano formati migliaia di combattenti e di comandanti dell'esercito repubblicano, come ad esempio i colonnelli Lister, Modesto e altri. I commissari politici, nominati in tutti i reparti dell'esercito su iniziativa del partito comunista, compirono un grande lavoro per l'educazione politica dei soldati e degli ufficiali.
Nei giorni difficili della guerra le masse lavoratrici ottennero altre trasformazioni democratiche: furono pubblicate leggi sulla protezione del lavoro, sull'aumento del salario, sulla limitazione del lavoro infantile, sulla giornata lavorativa di otto ore. Grande importanza ebbe il decreto sulla parità di diritti fra donne e uomini, pubblicato il 5 febbraio 1937. Da allora le donne parteciparono attivamente alla vita politica ed economica del paese.
In un breve periodo di tempo vennero raggiunti notevoli successi nell'organizzazione dell'istruzione popolare. Si formò una rete molto ampia di istituzioni culturali: l'Unione degli intellettuali in difesa della cultura popolare, le organizzazioni culturali della gioventù unificata, l'Associazione degli studenti eccetera. Esse svolsero un'intensa attività educativa sia al fronte che nelle retrovie, crearono centinaia di biblioteche, diedero vita a corsi speciali contro l'analfabetismo, specie nell'esercito; a Barcellona, a Valencia e a Sabadell sorsero i cosiddetti istituti operai, nei quali gli operai potevano conseguire l'istruzione superiore. Gli studenti particolarmente bisognosi erano stipendiati dallo Stato. In 70 istituti e scuole tecniche del territorio repubblicano studiavano circa 25.000 giovani.
Una soluzione democratica ebbe pure la questione nazionale. La Catalogna e le province basche ricevettero ampi diritti di autonomia. La Spagna, che all'inizio della rivolta fascista era una repubblica democratico-borghese, si trasformò in una repubblica di tipo nuovo, senza grandi capitalisti né proprietari fondiari. Tuttavia, benché la classe operaia fosse la forza egemone nella rivoluzione, essa non potè, data la scissione esistente nelle sue file e l'atteggiamento dei capi socialisti di destra e degli anarco-sindacalisti, concentrare nelle proprie mani il potere politico. Nel governo e nell'apparato statale esercitavano un ruolo ancora notevole i rappresentanti della borghesia, che si battevano contro l'allargamento della rivoluzione democratico-popolare. Le trasformazioni rivoluzionarie nel paese avvenivano quindi lentamente.
Il partito comunista seguiva attentamente le manovre dei sabotatori, dei disfattisti, e li smascherava facendo perno sul popolo. Un grande ruolo ebbe il programma elaborato dal partito comunista e rivolto al popolo spagnolo nel dicembre 1936, sulle "otto condizioni della vittoria". I comunisti chiedevano il rafforzamento dell'esercito popolare regolare sulla base del servizio militare obbligatorio, l'epurazione nelle retrovie dei nemici della repubblica, la nazionalizzazione dei settori fondamentali dell'industria (metallurgica, mineraria, trasporti eccetera), la creazione di una forte industria bellica, l'istituzione del controllo operaio sulla produzione, l'aumento della produttività dell'agricoltura, l'attuazione di una effettiva rivoluzione agraria, uno sforzo dell'industria e dell'agricoltura per realizzare lo scopo primario di vincere la guerra.
Le "otto condizioni della vittoria" furono accolte dalle masse popolari con grande entusiasmo. Gli operai e i contadini che lavoravano nelle retrovie, i soldati al fronte, approvarono il programma del partito comunista. La repubblica si muoveva sulla via della libertà, della democrazia e del progresso. Le forze ostili alla rivoluzione democratico-popolare perdevano di giorno in giorno le proprie posizioni. Si rafforzava il partito comunista, divenendo il principale centro di direzione, di mobilitazione e di organizzazione.
LA VITTORIA DI GUADALAJARA.
LA FORMAZIONE DEL GOVERNO NEGRIN
Alla fine del 1936 e agli inizi del 1937 i ribelli e gli interventisti italo-tedeschi prepararono una grande offensiva nella zona di Guadalajara, concentrando oltre 50.000 soldati italiani, spagnoli e marocchini, l'aviazione tedesca, 250 carri armati e 180 pezzi d'artiglieria. Obiettivo dell'offensiva era quello di occupare Madrid o almeno di tagliarla fuori dal restante territorio della repubblica. L'8 marzo 1937 ebbe inizio la battaglia. Per quattro giorni le truppe fasciste avanzarono faticosamente. Il 13 le truppe repubblicane passarono al contrattacco, che durò otto giorni e terminò con la piena disfatta delle truppe fasciste.
In durissimi combattimenti l'esercito repubblicano inflisse alle divisioni italiane comandate dal generale Roatta un duro colpo e liberò dai ribelli un vasto territorio. Le truppe fasciste subirono notevoli perdite.
La battaglia di Guadalajara dimostrò che l'esercito popolare era diventato una valida forza di combattimento. Ma il gruppo dei socialisti di destra di Largo Caballero, che deteneva le principali cariche di governo, e i capi anarco-sindacalisti continuavano a ostacolare il rafforzamento dell'esercito, l'organizzazione dell'industria bellica, l'istituzione di riserve, l'ordine rivoluzionario nelle retrovie. Considerando la serietà della situazione, il partito comunista sollevò con forza il problema della necessità di liquidare gli ostacoli interni alla mobilitazione di tutte le forze per la lotta vittoriosa contro i ribelli e gli interventisti stranieri. In numerosi comizi e assemblee, organizzati per iniziativa dei comunisti, i lavoratori si pronunciarono in massa contro la politica di Caballero.
Il generale malcontento per questa politica si intensificò dopo la rivolta controrivoluzionaria organizzata a Barcellona nei primi giorni del maggio 1937 da elementi trotzkisti e anarchici. Per tre giorni nelle vie di Barcellona si susseguirono sanguinosi combattimenti. Alcuni battaglioni di anarchici e di trotzkisti furono ritirati dal fronte e inviati a Barcellona per combattere contro le truppe repubblicane. La rivolta fu domata dai lavoratori della città sotto la direzione dei comunisti e del Partito socialista unificato di Catalogna. Ma Largo Caballero rifiutò di prendere qualsiasi misura contro il POUM. Il suo rifiuto suscitò una vasta indignazione e i ministri comunisti uscirono dal governo; Caballero, fallito il tentativo di creare un governo senza i comunisti, fu costretto a rassegnare le dimissioni. Il 17 maggio venne formato il secondo governo di fronte popolare, presieduto dal socialista Juan Negrín.
Il nuovo governo si accinse energicamente a realizzare le rivendicazioni avanzate dal popolo già da molti mesi, quando era ancora in carica il governo Caballero. Furono disarmati gli elementi prima incontrollati, furono istituiti un potere centralizzato per tutto il territorio della repubblica e un unico comando dell'esercito popolare, furono puniti i responsabili della rivolta di Barcellona.
L'INASPRIMENTO DELL'INTERVENTO.
L'ATTIVITÀ SOVVERSIVA DEI DISFATTISTI
Nel frattempo l'intervento dei fascisti italo-tedeschi assunse proporzioni minacciose. La Germania e l'Italia avevano fretta di concludere la guerra in Spagna per passare alla realizzazione di altri piani aggressivi.
Ai primi di giugno del 1937 le forze unite dei ribelli e dei fascisti stranieri sferrarono una grossa offensiva sul fronte settentrionale. Essi rivolsero il primo colpo contro le province basche, dove si combatterono aspre e sanguinose battaglie; la milizia popolare basca, nonostante il tradimento dei nazionalisti borghesi, difese ogni palmo di terreno, ma sotto la pressione di forze soverchianti fu costretta il 20 giugno ad abbandonare Bilbao. Poco dopo i fascisti entravano anche a Santander. Alla fine di ottobre le divisioni italiane e reparti marocchini occuparono le Asturie.
I ribelli e gli interventisti passarono poi alla preparazione dell'offensiva sul fronte di Teruel. Il governo repubblicano decise di riprendere l'iniziativa e di passare all'offensiva contro il nemico. Nelle difficili condizioni dell'inverno, in zone montuose e impraticabili, i combattenti dell'esercito popolare distrussero varie divisioni scelte del nemico. Il 6 dicembre 1937, dopo dure battaglie l'esercito repubblicano entrava a Teruel. Ma la Germania e l'Italia inviarono in tutta fretta grossi rinforzi e dopo due mesi di combattimenti, sebbene con forti perdite, ribelli e fascisti italo-tedeschi s'impossessavano nuovamente, il 22 febbraio 1938, della città.
Due settimane dopo, il 9 marzo, cominciò la battaglia sul fronte aragonese. Le forze del nemico superavano di 6-8 volte quelle repubblicane, che furono perciò costrette a ritirarsi. Alla metà di aprile le truppe fasciste raggiunsero il Mediterraneo. Il territorio della repubblica si trovò diviso in due parti: quella settentrionale, della quale facevano parte le quattro province della Catalogna, e quella sud-centrale con le province di Madrid, Valencia, Alicante, Murcia, Albacete eccetera.
La situazione della repubblica dal punto di vista militare e politico era notevolmente peggiorata.
Dall'estate del 1937 i sommergibili italiani avevano cominciato a catturare e ad affondare nel Mediterraneo le navi inviate alla Spagna repubblicana. Tra le altre furono affondate le navi sovietiche "Timirjazev e Blagojev", per cui il 6 settembre 1937 il governo sovietico inviò una nota di protesta alla Italia, dichiarando che su di essa ricadeva la piena responsabilità di questi atti di pirateria. Subirono l'aggressione fascista anche navi mercantili britanniche e francesi.
La conferenza di Nyon (Svizzera), svoltasi dal 10 al 14 settembre 1937 con la partecipazione della Gran Bretagna, della Francia, dell'Unione Sovietica, della Jugoslavia, della Turchia, della Grecia, della Bulgaria, dell'Egitto e della Romania, approvò una risoluzione per la lotta contro la pirateria. Le flotte britannica e francese furono incaricate di garantire la sicurezza della navigazione nella zona del Mediterraneo centrale fino ai Dardanelli. Nelle acque territoriali la difesa delle navi fu affidata alle singole potenze. Le potenze che partecipavano alla conferenza si impegnavano a non impiegare nel Mediterraneo i propri sommergibili, a non ammettere nelle proprie acque territoriali sommergibili stranieri e ad affondarli quando essi fossero stati localizzati in mare aperto. In seguito alle decisioni della conferenza di Nyon, l'Italia fu costretta a cessare le azioni di pirateria nel Mediterraneo.
Dalla fine del 1937 la collusione degli Stati Uniti, della Gran Bretagna e della Francia con gli Stati fascisti divenne ancora più palese. La situazione internazionale della repubblica peggiorò notevolmente, anche perché per disposizione del governo francese venne chiusa la frontiera franco-spagnola. Il nodo del non intervento si stringeva sempre di più. Le navi da guerra italo-tedesche, intensificando il controllo alle coste spagnole, bloccavano ogni nave che faceva rotta per i porti della repubblica, per cui l'arrivo di aiuti materiali dall'Unione Sovietica diveniva di giorno in giorno sempre più precario.
L'intensificarsi dell'intervento italo-tedesco fu sfruttato dai fautori del compromesso con gli aggressori. Dalla metà del marzo 1938, quando l'aviazione fascista iniziò massicce incursioni contro Barcellona e Valencia, gli elementi capitolardi dell'ala destra del fronte popolare posero apertamente il problema della conclusione della pace con i franchisti.
Il partito comunista mobilitò contro i capitolardi le larghe masse popolari con la parola d'ordine "Resistenza e unità nazionale, principali fattori della vittoria", sottolineando che il governo Negrín doveva divenire un vero governo di unità nazionale, capace di difendere la libertà, la democrazia e la sovranità nazionale della Spagna. Un'ondata d'imponenti manifestazioni impedì le progettate trattative con Franco. Un'altra conferma della volontà dei lavoratori di continuare la lotta fu la campagna per la creazione di un esercito di 100.000 volontari. Nel giro di alcuni giorni accorsero nell'esercito oltre 20.000 volontari, soprattutto giovani.
L'8 aprile Negrín portò a termine un rimpasto di governo, allontanando il capo dei capitolardi, Prieto, e includendovi rappresentanti dell'Unione generale dei lavoratori e della Confederazione nazionale del lavoro. Il 30 aprile il secondo governo Negrín pubblicò la "Dichiarazione del governo della repubblica spagnola sugli obiettivi della guerra" (nota anche col nome di "13 punti"). Come compito principale il governo indicava la garanzia dell'indipendenza e dell'inviolabilità del paese e la liberazione del territorio spagnolo dalle forze armate straniere. Il programma garantiva ai cittadini la pienezza dei loro diritti nella vita civile e sociale, la libertà di coscienza, la libera predicazione delle diverse fedi e l'esercizio dei vari culti religiosi, la realizzazione di una radicale riforma agraria allo scopo di liquidare definitivamente la vecchia forma feudale di proprietà, l'adozione di una legislazione sociale progressista.
La repubblica disponeva però di forze insufficienti per continuare la lotta. Nel luglio 1938, su iniziativa del partito comunista, fu lanciata una forte offensiva sul fiume Ebro. Uno dei suoi obiettivi era di impedire l'attacco dei ribelli e degli interventisti stranieri contro Valencia. Le battaglie accanite sul fiume Ebro continuarono per 4 mesi, e in esse i ribelli persero oltre 80.000 uomini, 200 aeroplani e ingenti quantitativi di armi. L'esercito repubblicano ottenne una brillante vittoria e Valencia fu salvata.
LA CADUTA DELLA CATALOGNA.
LA SCONFITTA DELLA REPUBBLICA SPAGNOLA
Alla fine di dicembre del 1938, dopo aver ammassato ingenti forze, i ribelli scatenarono l'offensiva sul fronte della Catalogna. L'esercito fascista superava quello repubblicano per l'artiglieria e i carri armati di 10 volte, per i cannoni antiaerei di 50 volte.
L'esercito repubblicano, esausto per le battaglie sul fiume Ebro e male armato, non poteva resistere. Nel febbraio 1939 cadeva quindi la Catalogna. Rimanevano nelle mani delle truppe repubblicane le regioni centrali e sud-orientali del paese, un quarto circa del territorio spagnolo.
Il comando del fronte centrale, rimasto di fatto nelle mani di traditori capeggiati dal colonnello Casado, fece fallire l'offensiva dell'esercito repubblicano in Estremadura e in Andalusia.
I circoli dominanti della Gran Bretagna, della Francia e degli Stati Uniti gettarono la maschera del non intervento. Il 10 febbraio 1939 i fascisti italiani e tedeschi e i ribelli spagnoli, con l'apporto dell'incrociatore britannico "Devonshire", occuparono l'isola di Minorca. Contemporaneamente la Gran Bretagna e la Francia esercitarono una forte pressione sul governo Negrín, chiedendo la cessazione della resistenza al fascismo. Il 14 febbraio il governo francese inviò al governo repubblicano spagnolo la richiesta ultimativa di consegnare ai ribelli Madrid e il restante territorio della repubblica. Il 27 febbraio Gran Bretagna e Francia annunciarono il riconoscimento del governo ribelle di Franco e la rottura delle relazioni diplomatiche con il governo repubblicano.
I sostenitori di Caballero, i capi degli anarchici, i repubblicani borghesi, i partiti nazionalisti della Catalogna e delle regioni basche, tutti coloro che non credevano più nella vittoria repubblicana appoggiarono le manovre degli imperialisti.
Il socialista di destra Besteiro e il colonnello Casado prepararono una congiura antirepubblicana a Madrid.
I comunisti chiesero che Negrín realizzasse nell'esercito l'epurazione dai traditori e dai congiurati, proposero di formare reparti speciali governativi sicuri, diretti da comandanti devoti al popolo per impedire ogni tentativo di colpo di Stato. Sotto la pressione delle masse Negrín accolse queste richieste.
I congiurati decisero allora di accelerare la loro azione. Il 4 marzo gli ufficiali fecero sollevare a Cartagena la flotta e il giorno successivo fecero dirottare le navi da guerra verso Biserta.
Lo stesso giorno, a Madrid, Casado e Besteiro annunciarono per radio la deposizione del governo del fronte popolare e la costituzione di una "Giunta nazionale di difesa". Essi rivolsero il colpo principale contro il partito comunista, avanzando la parola d'ordine provocatoria: "Un governo senza i comunisti". Diffondendo ogni sorta di calunnie contro il partito comunista e poggiando sugli elementi trotzkisti e anarchici e sugli ufficiali traditori, la Giunta compì arresti di comunisti e ritirò truppe dal fronte per attaccare le unità militari rimaste fedeli al governo legittimo, scatenando una guerra a Madrid, a pochi chilometri dalle trincee nemiche. Si registrò allora la totale disgregazione dell'esercito e i fascisti ebbero la strada aperta.
Il 19 marzo iniziarono le trattative di armistizio tra la "Giunta nazionale di difesa" e Franco. Ma questi, d'accordo con gli interventisti, voleva trattare con i rappresentanti della Giunta solo l'immediata capitolazione. Il 26 marzo cominciò l'offensiva delle truppe fasciste, e la "Giunta nazionale di difesa" si affrettò ad abbandonare il paese. Casado raggiunse la Gran Bretagna a bordo di un cacciatorpediniere britannico.
Il 28 marzo 1939 le truppe franchiste, affiancate dalle divisioni italiane, entravano a Madrid.
All'inizio di aprile l'intero territorio della repubblica era occupato dai ribelli e dagli interventisti.
La repubblica spagnola, schiacciata dall'aggressione fascista e dal tradimento interno, cessava di esistere.
IL SIGNIFICATO DELLA GUERRA NAZIONALRIVOLUZIONARIA IN SPAGNA
La causa principale della sconfitta della repubblica spagnola stava nell'intervento armato italo-tedesco e nella politica del non intervento attuata dai circoli imperialistici. Contribuì anche alla sconfitta l'assenza della necessaria compattezza nelle file del fronte popolare. La responsabilità di ciò va addebitata ai dirigenti socialisti di destra, capeggiati da Largo Caballero, Prieto e Besteiro, ai dirigenti anarchici, ai capi dei partiti repubblicani borghesi. Per tutto il corso della guerra di liberazione nazionale questi elementi scissionisti, temendo un ulteriore sviluppo della rivoluzione, condussero una politica di disorganizzazione del fronte popolare, e alla fine capitolarono di fronte al nemico.
La lotta eroica del popolo spagnolo ebbe un grande significato internazionale. Respingendo per tre anni il furioso attacco della controrivoluzione interna e internazionale, il popolo spagnolo dimostrò ai lavoratori di tutti i paesi del mondo che per combattere con successo contro il fascismo e la reazione era necessaria una solida unità di tutte le forze democratiche antifasciste.
Avanguardia e forza dirigente della guerra di liberazione nazionale fu il proletariato spagnolo, guidato dal suo reparto di avanguardia, il partito comunista, l'unico partito del paese che seppe lottare in modo conseguente e fino in fondo per gli interessi del popolo. La condotta eroica dei comunisti per tutta la durata della guerra di liberazione nazionale, l'opera educativa da essi svolta tra le masse nello spirito dell'internazionalismo proletario e della lotta intransigente contro il nemico di classe estesero l'influenza del partito comunista tra gli operai e tutti i lavoratori spagnoli. La guerra nazionale e rivoluzionaria del popolo spagnolo ebbe un grande significato internazionale. Essa fu condotta non solo contro le forze reazionarie interne, ma anche contro l'offensiva del fascismo in Europa. Sui campi di battaglia spagnoli la causa della democrazia e della pace si oppose alla reazione internazionale e all'aggressione fascista. La lotta eroica del popolo spagnolo fu per tre anni una barriera eretta contro le forze imperialiste e fasciste, che avevano per scopo di scatenare un secondo conflitto mondiale.