Testo ripreso da Thesen und Resolutionen des IV. Weltkongresses, pp.42-52, in traduzione italiana da Aldo Agosti, La Terza Internazionale - Storia documentaria, vol I,2, pp.789-801.
Il II Congresso dell'Internazionale comunista ha offerto un quadro generale dei principi che sono alla base della questione coloniale nazionale, fondandosi sull'esperienza dell'organizzazione dei soviet in Oriente e sulla crescita dei movimenti nazionalisti rivoluzionari nelle colonie, nell'epoca della logorante lotta fra imperialismo e dittatura del proletariato. Da allora si è verificato un inasprimento notevole della lotta contro l'oppressione imperialista nei paesi coloniali o semicoloniali dovuto all'aggravata crisi dell'imperialismo sia in campo politico, sia in campo economico. Ciò è dimostrato da: 1) il fallimento del trattato di pace di Sèvres relativo alla spartizione della Turchia e la possibilità di una restaurazione dell'indipendenza nazionale e politica di questo paese; 2) il burrascoso allargarsi del movimento nazionalista rivoluzionario in India, Mesopotamia, Egitto, Marocco, Cina e Corea; 3) l'insolubile crisi interna dell'imperialismo giapponese che provoca nel paese un rapido aumento delle componenti della rivoluzione democratico-borghese e l'attuale passaggio del proletariato nipponico a una lotta di classe autonoma; 4) il risveglio del movimento operaio in tutti i paesi orientali e la formazione di partiti comunisti in quasi tutti questi paesi. I fatti di cui sopra sono sinonimi di un mutamento della base sociale del movimento rivoluzionario nelle colonie: tale mutamento determina un acutizzarsi della lotta antimperialista, la cui direzione non rimane dunque più esclusivamente nelle mani di elementi feudali e della borghesia nazionale pronti a compromessi con l'imperialismo. La guerra imperialistica del 1914-18 e la permanente crisi dell'imperialismo che ne consegue - soprattutto di quello europeo - hanno indebolito la tutela economica delle grandi potenze sulle colonie. D'altra parte gli stessi elementi che hanno portato a un restringimento della base economica e della sfera d'influenza politica del capitalismo europeo, hanno avuto come conseguenza l'inasprirsi della lotta di concorrenza imperialistica per le colonie, venendo in tal modo a turbare l'equilibrio di tutto il sistema imperialistico mondiale (battaglia per il petrolio, conflitto anglo-francese in Asia Minore, rivalità americano-giapponese nell'oceano Pacifico, ecc.). Per l'appunto questo attenuarsi della pressione imperialistica sulle colonie, unitamente al costante inasprimento delle rivalità tra i vari gruppi imperialistici, ha facilitato lo sviluppo del capitalismo indigeno nei territori coloniali e semi-coloniali, capitalismo che ha superato e continua a superare gli stretti e limitati confini del dominio imperialistico delle grandi potenze. Finora il capitale delle grandi potenze aveva teso ogni suo sforzo ad isolare i paesi arretrati dal giro della economia mondiale al fine di assicurarsi il monopolio di sovraprofitti ottenuti dallo sfruttamento commerciale, industriale e fiscale di questi stessi paesi. La rivendicazione dell'indipendenza nazionale ed economica, postulato del movimento nazionalista coloniale, è l'espressione della necessità di uno sviluppo di tipo borghese per questi territori. La spinta in avanti delle forze produttive indigene tende cosi a contrastare inconciliabilmente con gli interessi dell'imperialismo mondiale; poiché l'essenza dell'imperialismo consiste nello sfruttamento dei vari stadi di sviluppo delle forze produttive nei diversi settori dell'economia mondiale allo scopo di perseguire profitti monopolistici particolari.
L'arretratezza delle colonie si manifesta in quella molteplicità di movimenti nazional-rivoluzionari contro l'imperialismo che rispecchiano i vari stadi di transizione da condizioni feudali e feudal-patriarcali al capitalismo. Tale molteplicità dà all'ideologia di questo movimento un'impronta particolare. Di pari passo con la nascita del capitalismo nelle colonie su fondamenta feudali e col suo sviluppo in forme di transizione rachitiche e incomplete, che in primo luogo incoraggia il capitale commerciale alla supremazia, anche la separazione della democrazia borghese dagli elementi feudal-burocratici e feudal-agrari si muove spesso su un sentiero tortuoso e complicato. Ciò costituisce il massimo impedimento a una vittoriosa lotta delle masse contro l'oppressione imperialista, dato che l'imperialismo straniero strumentalizza in tutti i paesi arretrati la classe feudale (e in parte anche feudale e borghese al tempo stesso) della società locale per la conquista del potere (i governatori militari indigeni, - tutschun in Cina, - l'aristocrazia indigena e gli appaltatori di tasse locali in India - gli zemin-dar e i talukdar - la burocrazia feudale e l'aristocrazia in Persia, gli agrari e i proprietari di piantagioni di tipo capitalistico in Egitto, ecc.). Perciò le classi dominanti dei popoli coloniali e semicoloniali si rivelano inadatte e restie a condurre la lotta contro l'imperialismo in quanto tale lotta assume l'aspetto di movimento rivoluzionario di massa. Soltanto in quei paesi, come la Mesopotamia e la Mongolia, in cui il rapporto patriarcale non è ancora sufficientemente distrutto per separare interamente l'aristocrazia locale dalle masse popolari, come ad esempio presso i nomadi e i seminomadi, i rappresentanti di queste classi più elevate spiccano come capi attivi della lotta contro la prepotente politica imperialistica. Nei paesi maomettani il movimento nazionalista all'inizio trova la propria ideologia nei dettami politico-religiosi del panislamismo e ciò consente ai funzionari e ai diplomatici delle grandi potenze di sfruttare i pregiudizi e l'ignoranza delle masse ai fini della lotta contro questo movimento (il gioco degli imperialisti inglesi contro il panislamismo e il panarabismo, i propositi inglesi di trasferire il califfato in India, la speculazione dell'imperialismo francese con le sue «simpatie maomettane»). Tuttavia, man mano che si diffondono i movimenti di liberazione nazionale, anche i dettami politico-religiosi del panislamismo sono sostituiti da esigenze politiche concrete. Il che è confermato dalla battaglia conclusasi di recente in Turchia per la separazione del potere temporale dal califfato. Il compito principale comune a tutti i movimenti nazionalisti rivoluzionari consiste nella realizzazione dell'unità nazionale e nel raggiungimento dell'indipendenza dello Stato. L'effettiva e logica soluzione di tale problema dipende dalla misura in cui questo o quel movimento nazionale sarà in grado di spezzare ogni legame con gli elementi feudali reazionari, assicurandosi così l'afflusso di numerose masse lavoratrici le cui esigenze sociali saranno espresse nel programma dei movimenti stessi. L'Internazionale comunista, tenendo conto preciso del fatto che i rappresentanti dell'aspirazione nazionale all'indipendenza possono essere gli elementi più disparati a seconda delle diverse circostanze storiche, sostiene appunto qualsiasi movimento nazional-rivoluzionario contro l'imperialismo. Nello stesso tempo però non manca di considerare che soltanto una logica linea rivoluzionaria, la quale si proponga di trascinare nella lotta attiva vastissime masse, e l'imprescindibile rottura con tutti i fautori di una riconciliazione con l'imperialismo possono consentire alle masse oppresse la vittoria. I rapporti della borghesia locale con elementi feudal-reazionari permettono agli imperialisti un continuo sfruttamento dell'anarchia feudale, delle rivalità fra i vari capi, i diversi casati, le dinastie, uno sfruttamento dell'antagonismo tra villaggio e città, delle lotte di classe e delle sette nazionalistico-religiose che perseguono la disorganizzazione del movimento popolare (vedi la Cina, la Persia, il Kurdistan, la Mesopotamia).
Nella maggior parte dei paesi orientali (India, Persia, Egitto, Siria, Mesopotamia) nella lotta per la liberazione dal giogo del dispotismo delle grandi potenze la questione agraria occupa un posto di prim'ordine. L'imperialismo, depredando e rovinando la maggioranza contadina dei paesi arretrati, li priva anche dei mezzi di sussistenza più elementari, mentre l'industria, scarsamente sviluppata e legata soltanto a singoli gangli del paese, non è in grado di far fronte al crescente aumento della popolazione, cui è per altro negata qualunque possibilità di emigrazione. I miseri contadini che restano attaccati alla loro terra, al loro ambiente, diventano dei servi. Se le crisi industriali dell'anteguerra svolgevano nei paesi progrediti un ruolo regolatore, nelle colonie tale ruolo spetta alla fame. Poiché è interesse precipuo dell'imperialismo raggiungere i massimi profitti con un impiego minimo di capitale, nei paesi arretrati esso sostiene per quanto possibile le strutture dell'usura feudale a danno della classe lavoratrice. In alcuni paesi, come per esempio in India, l'imperialismo prende il monopolio dello Stato feudale indigeno per quanto riguarda le proprietà terriere e trasforma le tasse fondiarie in un tributo da rendere al potente capitale e ai suoi servi (gli zemindar e i talukdar): altrove si assicura la rendita fondiaria attraverso le organizzazioni locali della grossa proprietà agraria, come per esempio in Persia, in Marocco, in Egitto, ecc. La lotta di liberazione della terra dalle imposte e dalle barriere feudali assume così il carattere di una lotta nazionale di liberazione contro l'imperialismo e la grande proprietà terriera di tipo feudale. (Valgano a mo' di esempio la rivolta dei moplah contro i proprietari terrieri e gli inglesi, in India, nell'autunno del 1921, e la rivolta dei sikh del 1922.) Soltanto la rivoluzione agraria, ponendosi per scopo l'espropriazione della grande proprietà terriera, ha il potere di mettere in moto le formidabili masse contadine ed è destinata ad esercitare un'influenza decisiva nella lotta antimperialistica. La paura dei nazionalisti borghesi in India, in Persia, in Egitto di fronte alle parole d'ordine degli agrari, e i loro sforzi, tesi a ostacolarli in tutti i modi, testimoniano della stretta relazione della borghesia locale con la grande proprietà terriera feudale o feudal-borghese e della sua intima dipendenza da quest'ultima. Questo costante oscillare deve valere per tutte le forze rivoluzionarie come mezzo di critica sistematica e smascheramento della debolezza dei capi borghesi dei movimenti nazionalisti. È proprio questa debolezza, questa inefficienza che compromette l'organizzazione e l'afflusso delle masse lavoratrici: ciò che è appunto dimostrato dal fallimento della tattica di resistenza passiva (non-cooperation) in India. Il movimento rivoluzionario nei paesi orientali sottosviluppati non può aver successo se non si appoggia sull'azione delle vaste masse contadine. Perciò i partiti rivoluzionari di tutti i paesi orientali debbono formulare un chiaro programma agrario in cui si esiga l'abolizione del sistema feudale e dei suoi residui sotto forma di latifondo e dell'appalto delle tasse fondiarie. Per ottenere un consistente afflusso delle masse contadine alla lotta di liberazione nazionale occorre far propaganda per un radicale cambiamento di situazione dei diritti di proprietà terriera; così com'è necessario costringere i partiti borghesi nazionali a comprendere al massimo l'importanza del programma rivoluzionario agrario.
Il recente movimento operaio in Oriente è un prodotto dello sviluppo del capitalismo locale degli ultimi tempi. Anche tenendo conto dei suoi esponenti più avanzati, la classe operaia di quelle contrade si trova finora in uno stadio di transizione, sulla via che ancora porta dal piccolo artigianato corporativo alla fabbrica del grande capitale. Nella misura in cui è la classe colta nazionalista borghese che trascina il movimento rivoluzionario della classe lavoratrice nella lotta contro l'imperialismo, all'inizio sono ancora i suoi rappresentanti che guidano le nascenti organizzazioni sindacali e l'azione da esse svolta. In un primo tempo il proletariato non va oltre il quadro dei «comuni interessi nazionali» della democrazia borghese (vedi gli scioperi contro la burocrazia e l'amministrazione imperialistica in Cina e in India). Accade sovente - e già il II Congresso dell'Internazionale comunista ne ha fatto cenno - che i rappresentanti del nazionalismo borghese, valendosi sul piano morale dell'autorità politica della Russia sovietica e conformandosi all'istinto di classe dei lavoratori, mascherino i loro sforzi democratico-borghesi di «socialismo» o «comunismo», per riuscire in tal modo, a volte anche senza esserne consapevoli, a staccare le nascenti associazioni proletarie dai compiti immediati di un'organizzazione di classe (così il partito Eschil-Ordu che ha fregiato dell'appellativo di comunista il panturchismo turco, così il «socialismo di Stato» predicato in Cina da alcuni esponenti del partito Kuomintang). Ciò nonostante il movimento operaio ha compiuto nel corso di questi ultimi anni, nei paesi arretrati, progressi considerevoli, tanto nel campo sindacale che politico. La formazione di partiti di classe indipendenti in quasi tutti i paesi orientali è un dato di fatto significativo, anche se la gran maggioranza di tali partiti deve ancora compiere un, gran lavoro all'interno per liberarsi dal dilettantismo, dal settarismo e da altre numerose manchevolezze. Straordinariamente significativo è inoltre il fatto che l'Internazionale comunista ha debitamente riconosciuto sin dall'inizio le possibilità future del movimento operaio in Oriente: è in essa infatti che la vera unione dei proletari di tutto il mondo trova eloquente espressione sotto la bandiera del comunismo. La Seconda Internazionale e l'Internazionale due e mezzo finora non hanno trovato adepti in un solo paese sottosviluppato, e ciò poiché di fronte all'imperialismo europeo-americano esse svolgono solo il ruolo di «commessi».
Mentre i nazionalisti borghesi giudicano il movimento operaio dal punto di vista della sua importanza per la vittoria della classe borghese, il proletariato internazionale lo valuta sotto l'aspetto del suo avvenire rivoluzionario. Sotto il predominio capitalistico i paesi sottosviluppati non possono esser partecipi delle conquiste della tecnica e della cultura moderne senza pagare un enorme tributo al capitale delle grandi potenze che barbaramente le sfruttano e le opprimono. Il patto col proletariato dei paesi progrediti vien loro imposto non soltanto dagli interessi della battaglia comune antimperialista, ma anche dal fatto che i lavoratori d'Oriente potranno ottenere, con la vittoria del proletariato nei paesi progrediti, un aiuto disinteressato per lo sviluppo delle loro arretrate forze produttive. Il patto col proletariato occidentale spiana la via alla federazione internazionale delle repubbliche sovietiche. L'ordinamento sovietico costituisce per i popoli sottosviluppati la via di transizione più indolore da primordiali condizioni di vita all'alta civiltà del comunismo, chiamata a sostituire in tutto l'ordinamento economico mondiale i metodi di produzione e di distribuzione capitalistici. Ne fa fede l'esperienza dell'assetto sovietico nelle colonie liberate dell'impero russo. Soltanto il regime sovietico è in grado di assicurare la logica realizzazione della rivoluzione agraria contadina. Le specifiche condizioni dell'economia agraria in un settore particolare dei paesi orientali (irrigazione artificiale), dapprima tenute in piedi per mezzo di una particolare organizzazione collettivistica di lavoratori a base feudal-patriarcale, e più tardi distrutte dal sistema della capitalistica coltura di rapina, esigono parimenti un'organizzazione statale che sia in grado di soddisfare le necessità sociali in maniera programmatica e organizzata. A causa delle particolari con dizioni climatiche e storiche in tale periodo di transizione le associazioni dei piccoli produttori sono chiamate a sostenere un ruolo importante in Oriente. I compiti oggettivi della rivoluzione coloniale già infrangono quindi la struttura della democrazia borghese, dato che una decisiva vittoria di questa rivoluzione è inconciliabile col predominio dell'imperialismo nel mondo. Se in un primo tempo l'intellighentsia indigena e l'intellighentsia borghese sono le paladine dei movimenti rivoluzionari coloniali, con l'inserirsi delle masse contadine proletarie e semiproletarie in tali movimenti comincia la defezione degli esponenti della grossa e media borghesia agraria man mano che avanzano in primo piano gli interessi sociali degli strati inferiori della popolazione. Al giovane proletariato coloniale sta dunque ancora di fronte una lunga battaglia nel corso di tutta un'era storica: la battaglia contro lo sfruttamento imperialistico e contro le sue proprie classi dominanti, che tendono a monopolizzare tutti i vantaggi dello sviluppo industriale e culturale, mantenendo le grandi masse lavoratrici nella loro primitiva condizione «preistorica». Questa battaglia per l'influenza sulle masse contadine deve servire di preparazione per il proletariato indigeno al suo ruolo egemonico in campo politico. Soltanto quando avrà assicurato a sé e agli strati sociali ad esso più vicini questo genere di funzione, esso sarà in grado di avanzare contro la democrazia borghese, la quale - nei confronti dei paesi sottosviluppati d'Oriente - assume un carattere di gran lunga più ipocrita che non in Occidente. Il rifiuto dei comunisti delle colonie di partecipare alla lotta contro il predominio imperialista con la scusa di una sedicente «difesa» di indipendenti interessi classisti, è opportunismo della peggior specie che soltanto una rivoluzione proletaria in Oriente potrà smascherare. Dev'essere inoltre segnalato il non meno dannoso tentativo di restar lontani dalla lotta per i più urgenti bisogni quotidiani della classe lavoratrice, a tutela dell'«unità nazionale» o della «pace civile» coi democratici borghesi. I partiti comunisti dei paesi coloniali e semicoloniali si trovano di fronte a un duplice compito: da una parte combattere per una soluzione quanto più possibile radicale dei problemi di una rivoluzione democratico-borghese, volta alla conquista dell'indipendenza politica; dall'altra organizzare le masse operaie e contadine per la lotta a sostegno dei loro particolari interessi di classe, sfruttando tutti i contrasti in campo nazional-democratico-borghese. Con l'enunciazione delle rivendicazioni sociali essi scatenano la energia rivoluzionaria che non può trovar sfogo nelle pretese dei borghesi liberali, e ne incoraggiano l'espansione. La classe lavoratrice dei paesi coloniali e semicoloniali deve rendersi conto che soltanto con l'allargarsi e l'approfondirsi della lotta contro il giogo imperialista delle grandi potenze essa può assicurarsi l'egemonia della rivoluzione, e che per converso solo l'organizzazione economica e politica e la preparazione politica della classe operaia e degli altri strati semiproletari è capace di accrescere l'impulso della battaglia antimperialista. I partiti comunisti dei territori coloniali e semicoloniali dello Oriente che si trovano ancora in stato più o meno embrionale devono partecipare ad ogni movimento che dia loro accesso alle masse. Debbono nondimeno condurre un'energica lotta contro i privilegi patriarcali e corporativi e contro l'ideologia borghese che domina nelle associazioni dei lavoratori per proteggere tali forme arretrate di organizzazione sindacale da tendenze riformiste, trasformandole invece in strumenti di lotta. Spetta a loro tendere ogni sforzo all'organizzazione dei numerosi braccianti e apprendisti d'ambo i sessi sul piano della tutela del loro quotidiano interesse.
Se in Occidente, in un periodo di transizione che è legato a una unità organizzata delle forze, si è affermata la parola d'ordine di un fronte proletario unito, nelle colonie d'Oriente attualmente va posto l'accento sullo slogan del fronte unico antimperialista. L'opportunità di questo slogan scaturisce dalla prospettiva di una lunga e logorante lotta contro l'imperialismo mondiale, che esige la mobilitazione di tutti gli elementi rivoluzionari. Questa mobilitazione si rende tanto più necessaria in quanto le classi dominanti sono inclini al compromesso col capitale straniero, compromesso che ovviamente è volto contro gli interessi delle classi popolari. E come la parola d'ordine del fronte unico popolare ha contribuito in Occidente a smascherare il tradimento socialdemocratico nei confronti del proletariato, così la stessa parola d'ordine del fronte unico antimperialista servirà a smascherare il doppio gioco dei singoli gruppi del nazionalismo borghese. Esso favorirà inoltre lo sviluppo della volontà rivoluzionaria e aiuterà le masse operaie a maturare la loro coscienza di classe, allineandole nelle prime file degli oppositori non soltanto dell'imperialismo, ma anche di quanto sopravvive del feudalesimo. Il movimento operaio dei paesi coloniali e semicoloniali deve anzitutto lottare per raggiungere una posizione di componente rivoluzionaria autonoma nel fronte unico antimperialista. Soltanto allorché gli verrà riconosciuta questa posizione autonoma che gli consentirà di difendere la propria indipendenza politica, saranno talvolta ammissibili e addirittura necessari gli accordi con la democrazia borghese. Il proletariato sostiene ed avanza a sua volta rivendicazioni parziali, come ad esempio quella di una repubblica democratica indipendente, del voto alle donne, ecc., in quanto l'attuale rapporto di forze non gli consente di proporsi come compito quotidiano la realizzazione del programma di sovietizzazione. Contemporaneamente esso cercherà per parte sua di promuovere delle parole d'ordine che sollecitino la formazione di un rapporto politico delle masse contadine e semiproletarie col movimento operaio. Uno dei compiti essenziali della tattica del fronte unico antimperialista è quello di spiegare alle masse lavoratrici la necessità di un'alleanza col proletariato internazionale e con le repubbliche sovietiche. Soltanto unita alla rivoluzione proletaria nei paesi ad alto livello di sviluppo la rivoluzione coloniale potrà riportare la vittoria ed affermare le proprie conquiste. Il pericolo di un'alleanza fra il nazionalismo borghese ed una o più potenze imperialiste è assai maggiore nei paesi semicoloniali (come la Persia o la Cina) o in quelli che premono per la loro indipendenza nazionale (come la Turchia), a causa della rivalità degli imperialisti fra di loro, di quanto non sia nelle colonie. Qualsiasi alleanza del genere significa una partecipazione del tutto ineguale al potere fra le classi dominanti locali e l'imperialismo, e sotto la finzione di un'indipendenza apparente abbandona il paese alla sua primitiva condizione di Stato cuscinetto semicoloniale al servizio dell'imperialismo mondiale. La classe operaia può riconoscere l'opportunità e la necessità di parziali e temporanei compromessi per segnare una battuta d'arresto nella lotta rivoluzionaria d'indipendenza contro l'imperialismo, ma deve muovere con assoluta intransigenza contro ogni tentativo di aperta o dissimulata ripartizione di potere fra l'imperialismo e le classi do minanti locali miranti al mantenimento dei privilegi di classe di queste ultime. L'esigenza di una stretta alleanza colla proletaria Russia sovietica è il contrassegno del fronte unico antimperialista. Contemporaneamente all'enunciazione di tale parola d'ordine si deve condurre la lotta più decisa per la più completa democraticizzazione del regime politico, allo scopo di togliere ad esponenti tanto reazionari sia dal punto di vista politico che sociale i loro sostenitori all'interno del paese e per assicurare ai lavoratori libertà organizzativa nella lotta per i loro interessi di classe (e cioè per queste esigenze: repubblica democratica, riforma agraria, riforma fiscale, organizzazione dell'apparato amministrativo sulla base di una ineccepibile autoamministrazione, legislazione operaia, protezione del lavoro infantile, protezione della madre e del fanciullo, ecc. ecc.). Persino nell'indipendente Turchia la classe operaia non fruisce di libertà di associazione, il che è significativo del comportamento dei nazionalisti borghesi nei confronti del proletariato.
L'esigenza di organizzazione di un fronte unico antimperialista è inoltre determinata dal permanente, ininterrotto acuirsi della rivalità fra imperialisti. Attualmente tale rivalità ha raggiunto uno stadio così acuto da rendere inevitabile una nuova guerra mondiale il cui teatro sarà l'oceano Pacifico, a meno che non riesca ad impedirla la rivoluzione internazionale. La conferenza di Washington è stato un tentativo di scacciare tale incombente pericolo, in realtà però essa non ha fatto che approfondire ed acuire i dissidi fra imperialisti. La recentissima lotta fra Wu Pei-fu e Chiang Tso-lin in Cina è stata una conseguenza diretta del fallito tentativo di metter d'accordo a Washington gli opposti interessi del capitalismo giapponese ed anglo-americano. Nella nuova guerra che minaccia il mondo non saranno coinvolti soltanto Giappone, America e Inghilterra, ma anche altri Stati capitalisti (la Francia, l'Olanda e altri). È una guerra che minaccia distruzioni ancor maggiori di quelle del 1914-18. La funzione dei partiti comunisti dei paesi coloniali e semicoloniali che si affacciano sul Pacifico deve consistere in un'energica propaganda che renda chiaro alle masse la loro pericolosa situazione, che le chiami a un'attiva lotta per la liberazione nazionale, orientandole a considerare la Russia sovietica come il baluardo di tutte le genti oppresse e sfruttate. I partiti comunisti dei paesi imperialisti come l'America, il Giappone, l'Inghilterra, l'Australia e il Canada sono chiamati a non limi tarsi unicamente alla propaganda antimilitarista, ma anche a compiere ogni sforzo per eliminare quei fattori che disorganizzano in quelle nazioni il movimento operaio e grazie ai capitalisti rafforzano lo sfruttamento dei contrasti fra nazionalità e razze. Questi fattori sono: il problema dell'emigrazione e il problema della mano d'opera di colore a basso prezzo. Il sistema contrattuale costituisce ancor oggi il metodo principale per il reclutamento dei lavoratori di colore nelle piantagioni di zucchero nella fascia meridionale dell'oceano Pacifico verso la quale vengono convogliati i lavoratori cinesi e indiani. Tale circostanza ha consentito ai lavoratori dei paesi imperialisti di esigere l'introduzione di leggi contro l'immigrazione e contro la mano d'opera di colore, sia in America sia in Australia. Sono leggi che acuiscono i contrasti tra i lavoratori bianchi e di colore spezzando o indebolendo l'unità del movimento operaio. I partiti comunisti d'America, del Canada e dell'Australia debbono condurre un'energica campagna contro le leggi che impediscono l'immigrazione e devono chiarire alle masse proletarie di questi paesi che simili leggi, incoraggiando come fanno l'odio di razza, finiscono in ultima analisi col nuocere a loro stesse. D'altra parte i capitalisti rinunciano a leggi contro l'immigrazione allo scopo di rendere possibile il libero afflusso di forze lavoratrici di colore meno pagate, per abbassare in tal modo i salari dei bianchi. Questo tentativo capitalistico di passare al contrattacco può essere sventato soltanto in un modo: gli immigranti devono essere accolti nei sindacati esistenti dei lavoratori bianchi. Nello stesso tempo si dovrà pretendere che la retribuzione dei lavoratori di colore sia pari ai salari dei bianchi. Un passo del genere da parte dei partiti comunisti smaschererà le mire capitaliste e renderà nello stesso tempo evidente ai lavoratori di colore che il proletariato internazionale non ammette privilegi razziali. Per il conseguimento di quanto detto sopra i rappresentanti del proletariato rivoluzionario dei paesi dell'oceano Pacifico devono convocare un congresso per elaborare la giusta tattica e per trovare le opportune modalità di organizzazione che consentano un'effettiva unione del proletariato di tutte le razze dell'oceano Pacifico.
Lo straordinario significato che i movimenti coloniali rivoluzionari hanno per la rivoluzione proletaria internazionale rende necessario l'aumento del lavoro nelle colonie, soprattutto da parte dei partiti comunisti delle potenze imperialiste. L'imperialismo francese basa tutti i suoi calcoli sull'oppressione della lotta del proletariato rivoluzionario in Francia e in Europa attraverso la sfruttamento dei propri lavoratori coloniali in qualità di riserve per la lotta controrivoluzionaria. Gli imperialismi inglese e americano continuano a spaccare il movimento operaio attirando dalla loro l'aristocrazia operaia con la promessa di assegnarle una parte precisa dei sovraprofitti tratti dallo sfruttamento coloniale. Ogni partito comunista dei paesi colonialisti deve assumersi il compito di organizzare un aiuto sistematico sia sul piano ideale sia su quello materiale al movimento proletario rivoluzionario nelle colonie. Le tendenze colonizzatrici pseudo-socialiste di alcune categorie di ben pagati lavoratori europei devono essere decisamente e accanitamente combattute. Gli operai comunisti europei devono cercare di organizzare i proletari locali e conquistarsi la loro fiducia con rivendicazioni concrete sul piano economico (equiparazione del salario dei lavoratori indigeni alla retribuzione del lavoratore europeo, sicurezza sul lavoro, assicurazione, ecc.). La creazione di speciali organizzazioni comuniste europee nelle colonie (Egitto, Algeria) equivale a una forma occulta di colonizzazione e sostiene soltanto gli interessi degli imperialisti. Qualunque costituzione di organizzazioni comuniste all'insegna del nazionalismo contrasta coi principi dell'internazionalismo proletario. Tutti i partiti dell'Internazionale comunista sono tenuti a far comprendere alle vaste masse lavoratrici tutta l'importanza della lotta contro la dominazione imperialistica nei paesi sottosviluppati. I partiti comunisti operanti nei paesi delle grandi potenze devono, basandosi sui loro Comitati centrali, costituire commissioni coloniali permanenti per il raggiungimento degli scopi suddetti. L'aiuto dell'Internazionale comunista deve esprimersi anzitutto nel sostenere la organizzazione della stampa, nella pubblicazione di opuscoli e riviste stampate nella lingua del luogo. Particolare attenzione dovrà essere dedicata al lavoro fra le organizzazioni europee di lavoratori e fra le truppe d'occupazione nelle colonie. I partiti comunisti dei paesi delle grandi potenze non dovranno tralasciare occasione per smascherare la piratesca politica coloniale dei loro regimi imperialistici non meno di quella dei partiti riformistici borghesi.