La dittatura rivoluzionaria
nella Francia giacobina

Discorsi alla Convenzione di Louis Antoine de Saint-Just, 1794


Premessa

Nel dibattito non solo storico, ma anche teorico, sulla rivoluzione russa e su Stalin, i richiami alla rivoluzione francese e alla dittatura giacobina sono frequenti. Anche nel materiale che andiamo pubblicando come Associazione incontriamo due riferimenti importanti. Il primo è proprio tra i discorsi di Stalin alla vigilia della rivoluzione. In risposta ai menscevichi che incitavano alla prosecuzione della guerra imperialista a fianco di Francia e Inghilterra, definendola una 'guerra patriottica' e citando appunto la rivoluzione francese e la Marsigliese, Stalin sosteneva invece che il paragone non era possibile. Nella Francia della rivoluzione la guerra era contro gli stati e le monarchie reazionarie d'Europa che organizzavano le forze antirepubblicane per la restaurazione, in Russia proseguire la guerra era partecipazione alla guerra imperialista.

Ancora sul nostro sito abbiamo pubblicato [qui] la prefazione di Domenico Losurdo al libro di Grover Furr "Kruscev mentì" che nella prima parte si sofferma sul parallelismo tra la sorte di Stalin e quella di Massimiliano Roberspierre. In ambedue i casi ci si è trovati di fronte, come spiega bene Losurdo, alla demonizzazione dei due protagonisti di una fase rivoluzionaria in cui la dittatura proletaria e quello che dalla restaurazione venne definito il 'Terrore' hanno svolto una funzione decisiva per raggiungere gli obiettivi che la rivoluzione si proponeva.

In Francia la dittatura giacobina è servita a bloccare la deriva che le forze della disgregazione, del compromesso con l'Ancien Régime e della rivincita militare stavano producendo. La Francia repubblicana, assediata dagli eserciti dell'Europa monarchica e controrivoluzionaria, minata all'interno dalle sollevazioni, dalla crisi economica e dalla disorganizzazione generale, solo con misure severe di emergenza poteva essere salvata. Per questo il 10 ottobre 1793 Saint-Just con il 'Rapporto sulla necessità di dichiarare il governo rivoluzionario fino alla pace' fissava alla Convenzione le misure da adottare per salvare la repubblica: un potere fortemente accentrato gestito dal Comitato di salute pubblica, con sospensione della Costituzione fino alla pace, per applicare la coscrizione obbligatoria, riorganizzare l'esercito, porre sotto controllo l'economia, rendere rapida ed efficace la giustizia rivoluzionaria. Questi furono i principi che salvarono la Francia repubblicana. L'uso del termine 'Terrore' servì dunque solo a nascondere queste verità e a favorire la restaurazione. Oggi si definirebbe un terrore mediatico.

Di Saint-Just che, ricordiamo, è anche autore del discorso sulla condanna di Luigi XVI nonché della famosa massima 'chi fa la rivoluzione a metà si scava la fossa', pubblichiamo due discorsi alla Convenzione particolarmente significativi rispetto al suo apporto al pensiero rivoluzionario francese e alle questioni di cui stiamo parlando: il 'Rapporto sulle persone incarcerate' del 26 febbraio 1794 [qui] e il 'Rapporto sulla congiura ordita per ottenere un cambiamento di dinastia e contro Fabre d'Eglantine, Danton, Phillippeaux, Lacroix a Camillo Desmoulins' del 31 marzo 1794 [qui].

La vicenda di Stalin si presenta con caratteristiche analoghe rispetto alla rivoluzione francese?

Per Roberspierre e per Saint-Just già il 27 luglio 1794, a distanza di un anno, arrivava il Termidoro. Per Stalin il Termidoro arriva solo nel 1956, con il XX congresso del PCUS, a distanza di ben 32 anni dalla morte di Lenin. Su questa base è possibile azzardare un parallelo e parlare di periodo eccezionale per 32 anni?

Sulla eccezionalità della gestione del potere da parte di Stalin e del partito bolscevico, che copre un periodo così lungo, si può discutere molto, anzi bisogna approfondire l'analisi. Per inquadrare la questione in ogni caso occorre tener presente che in URSS, nell'arco di tempo che va dal 1924 agli anni '50, cioè alla morte di Stalin, la caratteristica di eccezionalità con cui la costruzione del socialismo è andata avanti non si è mai interrotta. Il processo rivoluzionario in Unione Sovietica non si è concluso con la fine della guerra civile negli anni '20, bensì è proseguito finchè nel 1953, alla morte di Stalin, è stato bruscamente interrotto dalle scelte di coloro che ne hanno preso il posto. E infatti, come considerare la costruzione delle basi economiche del socialismo in una situazione di isolamento internazionale? Come considerare lo scontro di classe nella società sovietica che accompagnava questo audace percorso? Come considerare la situazione in URSS dopo l'aggressione nazista? Come considerare le questioni poste dallo scontro di classe nelle democrazie popolari e con la guerra fredda che di fatto inizia nel 1946 con le dichiarazioni di Churchill e nell'agosto 1945 con le atomiche sganciate sul Giappone? Dalla risposta a questi interrogativi dipende la definizione delle caratteristiche di un'epoca storica che arriva fino agli anni '50.

Ed è bene aggiungere che difficilmente un paese che viene considerato rivoluzionario dalle forze imperialiste e dall'economia e dalla finanza internazionale ad esse collegate potrebbe evitare di prendere misure di carattere eccezionale. A 100 anni dalla rivoluzione russa, questo è ancora vero come insegna il caso recente del Venezuela. Siamo abituati, con Mao, a dire che la rivoluzione non è un pranzo di gala, ma bisogna anche aggiungere che non è solo un modo di dire.

Che significa questo? Che le questioni che stiamo esponendo non riguardano solo il parallelismo tra due rivoluzioni, ma anche il metodo con cui i comunisti devono valutare in generale le esperienze storiche. La sottovalutazione di questo elemento rende incomprensibile la storia delle rivoluzioni e la consegna alle strumentalizzazioni delle forze della reazione e alle analisi di un ceto intellettuale che accetta la demonizzazione dei suoi protagonisti come ha fatto, vergognosamente, gran parte dello stesso movimento comunista.