Rapporto sulla congiura ordita
per ottenere un cambiamento di dinastia,
e contro Fabre D'Eglantine [1], Danton,
Phillipeaux [2], Lacroix [3] e Camillo Desmoulins

Rapporto presentato alla Convenzione a nome dei Comitati di salute pubblica e di sicurezza generale, l'11 germinale anno II (31 marzo 1794). Da: "Louis de Saint-Just, Discorsi alla Convenzione", Universale economica, Milano, 1952, pp. 84-113.


Cittadini, la rivoluzione è nel popolo e non nella fama di qualche personaggio. Questa verità è la sorgente della giustizia e dell'eguaglianza in uno Stato libero; essa è la garanzia del popolo contro gli individui astuti che si eri­gono in qualche modo a superiori, grazie alla loro audacia e impunità.

C'è qualche cosa di terribile nel sacro amore della patria; esso è tanto esclusivo che sacrifica tutto, senza pietà, senza timore, senza distinzione di persona, all'interesse pubblico; esso fa precipitare Manlio, sacrifica i suoi affetti privati, conduce Regolo a Cartagine, getta un Romano nell'abisso, e eleva Marat al Pantheon, vittima della sua devozione.

I vostri Comitati di salute pubblica e di sicurezza gene­rale, pieni di questo sentimento, mi hanno incaricato di domandarvi giustizia, in nome della patria, contro uomini che tradiscono da lungo tempo la causa del popolo, che vi hanno combattuto assieme a tutti i congiurati, con d'Orléans [4], con Brissot [5], con Hébert [6], con Hérault [7] e i loro complici, e che cospirano attualmente con i re coaliz­zati contro la Repubblica: che hanno favorito il piano di distruggervi e di confondere il governo repubblicano, che sono stati i difensori dei traditori e i vostri nemici dichia­rati, e che per sfuggire alla giustizia pretendono che in loro si vuol colpire voi. Essi non dimostravano tutto questo interesse per voi, quando domandavano l'impunità dei vostri assassini e il rinnovo della Convenzione, che sarebbe stato seguito dalla perdita vostra e della libertà. Possa essere questo l'ultimo esempio che darete della vostra inflessibilità verso voi stessi! Possiate, dopo averli colpiti, vedere estinte tutte le fazioni, e godere in pace della pie­nezza del vostro legittimo potere e del rispetto che ispi­rate!

Da molto tempo si tenta di sminuirvi, se fosse possibile; voi avete marciato tra la fazione dei falsi patrioti e quella dei moderati, che dovete abbattere: queste fazioni, nate con la Rivoluzione, l'hanno seguita durante il suo corso, come i rettili seguono il corso dei torrenti. Occorre del coraggio per parlarvi ancora di severità, dopo tanta seve­rità. L'aristocrazia dice: Stanno distruggendosi tra loro. Ma l'aristocrazia mentisce al suo cuore: è lei che distrug­giamo, e lo sa bene. La libertà non fu compromessa dal sup­plizio di Brissot, e di Ronsin [8] riconosciuti realisti. Non date ascolto alla voce di quelli che, tremando davanti alla giustizia, si sforzano di unire la loro causa all'illusione del patriottismo. La giustizia non può mai compromet­tervi, mentre l'indulgenza vi perderà.

Vi denuncerò dunque gli ultimi partigiani della monar­chia, quelli che, da cinque anni, hanno servito le fazioni e hanno seguito la libertà come una tigre segue la sua preda. Analizzerò rapidamente i fatti, poi finirò di descrivervi la cospirazione, e vi indicherò gli ultimi complici.

Le congiure insegnano ai governi a vegliare sui costumi, e a conservare la purezza dei principi sui quali poggia la legislazione; esse sono un segno sicuro che si è trascurato di correggere molti abusi, e soprattutto di punire le ingiu­stizie, che l'insensibilità delle leggi contro la sventura e i legittimi malcontenti ha ingrandito le fazioni, e che l'in­dulgenza verso i colpevoli o la corruzione dei funzionari, hanno scoraggiato gli animi e li hanno resi indifferenti alla patria.

Noi siamo passati attraverso tutte le tempeste che accom­pagnano solitamente i grandi progetti. Una rivoluzione è un'impresa eroica, e i suoi autori camminano tra i pericoli e l'immortalità: questa sarà per voi, se saprete sacrificare le fazioni nemiche.

Esse sono l'ultima speranza della tirannia; esse hanno origine nella comune tendenza a volgere a proprio van­taggio personale la reputazione che ci si è fatta. Un'altra sorgente l'hanno nella opposizione straniera. Infatti, i go­verni europei hanno corrotto da cinque anni un gran nu­mero di quelli che avevano avuto una parte nella Rivoluzione. Molti uomini hanno animo sufficiente per fare il bene, ma pochi hanno il cuore adatto a volerlo tenacemente.

Non ci si stupisca più per la caduta di tanti commedianti: è stata sempre così la marcia dello spirito umano, ed essi sono la eredità che la monarchia ci ha lasciato. Tutto ciò che i tiranni ci rimproverano di male, ci viene da loro stessi; e l'Europa sarebbe felice, se essi non regnassero.

Voglia il cielo che noi abbiamo visto l'ultima tempesta della libertà, e che l'esperienza ci abbia insegnato che occorre una garanzia per il libero governo: è quanto mi propongo di dimostrare ancora, esponendovi nei suoi particolari, nel suo sviluppo, nei suoi mezzi e fini, la congiura ordita da parecchi anni contro la Rivoluzione.

Voi avete trascurato di precisare la garanzia del popolo e vostra contro l'influenza dei poteri intermediari. Gli uomini investiti di questi poteri si sono uniti per sopraf­farvi, e il governo era troppo debole contro di loro, perché essi erano dediti agli intrighi e resistevano al bene pubblico : da ciò, il corso convulso degli affari pubblici. Non pote­vate raggiungere subito tutti gli abusi; gli agenti li favo­rivano. Ricordatevi che essi si sono dati, volta a volta, a Lafayette, a Dumouriez, al federalismo. Il merito perso­nale di alcuni di essi ha salvato la patria nelle crisi e nei tradimenti, ma la maggioranza di questi agenti è apparsa sempre dedita agli attentati.

Lo straniero aveva calcolato tutte le conseguenze di un regime nel quale anche gli ultimi funzionari, coalizzati, sarebbero divenuti più potenti del governo stesso. Due cause indebolivano le istituzioni: negli uni, l'ambizione di uscire dall'onesta oscurità; negli altri, la perfidia, e la com­plicità con i nemici della patria. Una terza causa turbava incessantemente l'armonia suprema dell'azione nel corpo politico: l'usurpazione continua dell'influenza della rap­presentanza nazionale e del governo da essa emanato.

Esamineremo ora quale vantaggio le fazioni seppero trarre da questi difetti della nostra struttura politica; ve­dremo come tutti i delitti, costretti a dissimulare a causa della violenta tendenza del popolo verso la libertà, fermentarono alla rinfusa insieme con la rivoluzione; smaschere­remo tutti i volti; seguiremo passo passo lo straniero.

Dall'inizio della Rivoluzione, l'Inghilterra e i governi nemici del popolo francese hanno perpetuato tra noi un partito composto di diverse fazioni coincidenti, ma tal­volta sconosciute l'una all'altra; e appena una era abbat­tuta, le altre erano spinte all'azione dalla paura, e si da­vano ad intralciare il corso della legislazione e della giu­stizia, che esse temevano.

Il partito di d'Orléans fu il primo a costituirsi; esso ebbe legami con tutte le autorità e nelle tre legislature. Questo partito criminale, ma privo di audacia, ha assunto sempre posizioni di circostanza a seconda di chi era al potere: da ciò è derivata la sua rovina, perché, dissimulando sempre e non impegnandosi mai, veniva trascinato dall'energia degli uomini in buona fede e dalla forza della virtù del po­polo, e seguiva sempre il corso della rivoluzione, masche­randosi sempre, e non osando mai far nulla.

Ciò fece credere, in principio, che d'Orléans non avesse alcuna ambizione; giacché, nelle circostanze più propizie, mancò di coraggio e di risolutezza.

Queste combinazioni segrete dei partiti che si maschera­vano, sono state le cause delle sventure pubbliche. La rivo­luzione popolare era la superficie di un vulcano di cospira­zioni straniere. La Assemblea Costituente, senato durante il giorno, di notte era una accozzaglia di fazioni, che pre­paravano la politica e le manovre dell'indomani. Le azioni avevano sempre un duplice obiettivo: l'uno ostensibile e colorato con grazia, l'altro segreto, che conduceva a risultati nascosti e contrari all'interesse del popolo.

Si mosse guerra alla nobiltà, amica colpevole dei Bor­boni, per spianare la via del trono a d'Orléans. Si scorgono ad ogni passo gli sforzi di questo partito per perdere la corte, sua nemica, e conservare la monarchia; ma la rovina dell'una portava quella dell'altra; nessuna monarchia può fare a meno dell'aristocrazia.

Si contò sull'ascendente di Mirabeau per conservare il trono senza aristocrazia: lui morto, si tentò nella revisione della Costituzione di porre questo problema, senza riu­scirci. Poiché attraverso la legislazione non era possibile ottener vantaggi per questo partito, ci si gettò nella poli­tica e nell'intrigo. Si apre qui una nuova scena. I delitti del tiranno avevano fatto aborrire la monarchia, che Brissot, Vergniaud, Pétion [9] e i loro complici volevano invece conservare per d'Orléans; ma l'opinione del popolo era così avversa alla monarchia che non c'era alcun mezzo di conservarla apertamente. Allora, si vide il partito di d'Or­léans dissimulare di nuovo: talvolta proponeva l'esilio dei Borboni, talvolta di rimetterli sul trono; voleva instau­rare di nuovo la monarchia, e in apparenza la voleva pro­scritta; tutte le sere si trovavano con d'Orléans, e poi fingevano di denunciarlo e perseguitarlo.

Questa condotta doveva far apparire i partigiani segreti della tirannia come i migliori amici della libertà, e conci­liare loro l'opinione pubblica, in modo che, una volta rovesciato il partito repubblicano e divenuta senza limiti la fiducia in loro, essi potessero tutto tentare fra l'entu­siasmo che avrebbero ispirato.

Questa politica non potè resistere all'energia dei parti­giani della Repubblica. Dumouriez, l'amico dei re e capo della fazione di d'Orléans; Dumouriez, che si era dichiarato contro Lafayette solo perché questi era l'uomo della corte; Dumouriez, che voleva l'esilio del re, ma non la sua morte, per sostituirgli un'altra dinastia; Dumouriez, l'uomo di d'Orléans e di Brissot, esplode. La politica di Brissot e dei suoi complici è scoperta: si voleva un re della famiglia d'Orléans. Tutto vien collegato, i legami sono scoperti, d'Orléans giustiziato, punito delle sue criminali pretese. Ma le fazioni che avevano ordito il suo partito gli sopravvivono. Possono amare la Repubblica? No. Non sperate dunque che sia pace nello Stato finché l'ultimo partigiano di d'Orléans, finché la fazione degli indulgenti che protegge l'aristocrazia, finché gli ultimi amici di Du­mouriez e coloro che han preso parte ai tradimenti senza venir scoperti fino a oggi, non saranno morti: tutto ciò costituisce la congiura dello straniero. Esso ha cospirato senza posa in mezzo a noi da cinque anni, corrompendo gli oratori per darci dei funesti consigli che le circostanze addotte non permettevano di combattere, avvilendo la nostra moneta, mettendo a subbuglio le nostre colonie, comprando i generali e i poteri, distruggendo il nostro commercio, intralciando la circolazione delle derrate, e organizzando ogni dipartimento, ogni distretto, ogni co­mune, ogni sezione persino, in federalismo di fatto e con autorità indipendente dalla rappresentanza nazionale. Esso ha sperato più nell'imprevidenza dei Francesi che nella forza delle armi, e la nostra condotta ha fin troppo giusti­ficato questa speranza.

Un regime nuovo si stabilisce diffìcilmente, soprattutto in una grande nazione, dove la molteplicità degli ordina­menti, dei rapporti e dei pericoli, fa si che la maggior parte degli abusi sfugga alla giustizia e resista alla saggezza. Come distinguere gli intrighi che mescolano tutte le file e con­fondono l'attenzione? Come far ascoltare la voce tranquilla del buon senso, fra le insidie che gli sono tese con astuzia?

Ma, finalmente, i pericoli ai quali la libertà è sfuggita, hanno reso i cittadini più vigilanti. Impariamo dal passato! Lo straniero non è certo disposto a lasciarci in pace; tocca a noi scoprire tutti i partiti che esso ha costituito, tutti i partigiani che gli restano, e le trame che ha ordito; con i resti delle fazioni sfuggiti al patibolo, e che temono l'avve­nire, se ne creeranno delle altre.

Le differenze fra Mirabeau e i Lameth, che pure erano dello stesso partito, le differenze fra i Lameth e Lafayette, che appoggiavano la monarchia, quelle fra Brissot e d'Or­léans, che in segreto erano amici, tutto ci convince che lo straniero ha formato o favorito, in ogni tempo, diversi partiti, per ordire gli stessi complotti e renderli inestrica­bili.

Ci fu una fazione, nel 1790, che voleva mettere la corona sulla testa di d'Orléans; ce ne fu una per conservarla sulla testa dei Borboni; ci fu un'altra fazione per mettere sul trono di Francia la casa di Hannover. Queste fazioni furono rovesciate il 10 agosto assieme alla monarchia. Il terrore costrinse tutti i congiurati segreti in favore della monarchia a nascondersi più profondamente; allora tutte queste fa­zioni presero la maschera del partito repubblicano. Brissot, la Gironda e Dumouriez continuarono la fazione di d'Or­léans; Carra [10], la fazione degli Hannover; Manuel [11], Lanjuinais [12] e altri, il partito dei Borboni. Questi diversi partiti, ciascuno dei quali aveva il proprio fine politico, si confondevano nell'odio verso il partito repubblicano. I pericoli unirono i primi; essi finirono per combattere tutti insieme a favore della monarchia, e insieme perirono. Lo straniero favorì queste fazioni, diede loro delle armi in Vandea; con esse incendiò gli arsenali; per loro mezzo disgregò lo Stato e lo fece tendere al federalismo, per riu­nirne i resti sotto il regime monarchico; con esse sostenne Dumouriez; con esse ha tutto tentato per distruggervi, per rovesciare il vostro governo, indebolirvi e sostituirvi. Lo straniero impiegò queste fazioni per tutti i delitti, con i quali pretese di rafforzare il trono, o di impedirci di costi­tuire la Repubblica.

Ci fu un altro partito che giostrò e fu con tutti gli altri; ora volle usurpare, ora fu realista, ora volle ricchezze, ora sognò di procurarsi un grande potere sotto qualsiasi re­gime sopravvenisse, ora servì lo straniero; questo partito, come tutti gli altri, privo di coraggio, condusse la Rivolu­zione come un intrigo da teatro.

Fabre d'Eglantine fu alla testa di questo partito; ma non fu il solo, fu il cardinale di Retz dei nostri tempi. Panegi­rista di d'Orléans, è stato fino al momento del suo arresto, e anche dopo, il continuatore di tutte le fazioni; usò di tutti gli intrighi degli altri per tramare con esse, denunciandole per non condividere i loro pericoli e le loro imprudenze; servendole quando era sicuro di non compromettersi; attivo, parlando sempre agli altri il linguaggio che era nei loro cuori, con un volto apparentemente sincero, e guidan­doli secondo la loro inclinazione; indagando accurata­mente tutto ciò che accadeva, per riuscire a trovare qual­che furfante come strumento dei suoi disegni, e per cono­scere tutti quelli con gli occhi aperti sull'interesse della patria, per poterli evitare e ingannare. Dipinse falsamente Marat secondo i suoi propri colori, per attirarsi una stima segreta; giocò sulle intelligenze e sui cuori, sui pregiudizi e sulle passioni, come un musicista sulle note di uno stru­mento.

Fabre fu realista in ogni tempo, in fondo al cuore; dis­simulò come gli altri, perché era vile.

Fu nella giornata del 10 agosto, che i capi dei diversi partiti realisti si mostrarono allo scoperto. Pétion, Carra, Vergniaud, Brissot, si sforzarono di frenare il torrente del partito repubblicano; li si vide implorare il popolo in fa­vore del tiranno e della sua famiglia. Fabre contribuì a sal­vare Duport [13]; egli aveva avuto, prima del 10 agosto, dei contatti con la corte; pretese di essere il confidente di tutti gli intrighi delle Tuileries. Molte persone lo hanno udito dire che egli giocava la corte : è verissimo che giocava tutti quanti.

Fabre non pronunciò quasi parola durante i primi dieci mesi della Convenzione; fu in buoni rapporti con Dumou­riez, con Brissot e con i Giacobini, e aspettava, mantenen­dosi in equilibrio, che fosse decisa la vittoria fra il delitto e la virtù.

Nel mese di giugno, gli intrighi che il terrore del 31 maggio aveva spezzati, si riannodarono. Ogni fazione aveva il suo fine particolare, ma tutte miravano a distruggere la Convenzione e il governo. Poiché ogni fazione aveva le sue creature e i suoi zimbelli, si intessé una cospirazione sorda e complicata, che corruppe i poteri e lo spirito pub­blico in modo tale che la Convenzione nazionale e i pa­trioti onesti restarono isolati.

Ci fu allora un partito incaricato dallo straniero di cor­rompere la Repubblica, di scatenarvi la guerra civile per mezzo di opinioni bruscamente enunciate e sostenute con la violenza. Un amico di Chaumette [14] disse, in una so­cietà popolare della Nièvre, che stava per giungere il tempo in cui l'attaccamento del padre verso il figlio, o il rispetto filiale, sarebbero puniti come attentati alla libertà naturale degli individui.

Una società popolare influenzata da Chaumette osò censurare il vostro decreto sui culti, e approvò, in un ap­pello, l'opinione di Hébert e di Chaumette. Fabre, qui, sostenne queste insidiose opinioni. Si attaccò l'idea della immortalità dell'anima, che consolò Socrate morente. Si pretese di più: si cercò di erigere l'ateismo in un culto più intollerante della superstizione. Si attaccò l'idea della Provvidenza eterna, che, certamente, ha vegliato su noi. Si sarebbe creduto che si volesse bandire dal mondo gli affetti generosi di un popolo libero, la natura, l'umanità, l'Essere Supremo, per non lasciare che il nulla, la tirannia e il delitto. Quanti nemici si sperava di creare alla libertà, attribuendole queste bestemmie! Oggi sono riconosciuti traditori della patria e realisti, gli autori di queste trame!

Possano i patrioti, di cui è piena la Francia, amarsi abba­stanza per non compiere nulla che crei nuovi disordini nella patria !

Onorino i francesi la ragione, ma la ragione non faccia dimenticare la Divinità!

È notevole, e di ciò la posterità avrà vergogna, che lo straniero abbia preso come pretesto per la guerra che ci conduce, il ristabilimento della religione, e che nello stesso tempo si sia sforzato di stabilire l'ateismo fra noi.

Ci fu un altro partito incaricato di corrompere i rappre­sentanti del popolo, per facilitare lo scandalo e la rivolta aristocratica che si meditava: fu quello di Chabot [15].

Un altro partito, addentrato in tutti gli altri, fu incari­cato di attaccare e di distruggere il governo e la rappresen­tanza nazionale, sia con la forza, sia ottenendo il suo rin­novo.

I partiti criminali, incaricati dallo straniero di attaccare la rappresentanza nazionale e di proporre il vostro rinnovo, vi hanno descritti come spossati, logorati da diciotto mesi di lavoro: essi non hanno detto altrettanto dei tiranni attuali, che pesano sulla Europa da mezzo secolo; non sono stanchi, essi, che cospirano tra noi da parecchi anni. Il delitto stancherebbe dunque meno della virtù?

Esiste al mondo una potenza così sincera, così amica del popolo, così riconoscente verso di esso, come lo siete stati voi? Ci sono molti governi nella storia che abbiano sostenuto, come voi, il peso di quindici eserciti, di tanti tradimenti, di un continente intiero divenuto ingiusta­mente nemico del popolo francese? Voi stanchi! e siete voi che avete vinto l'Europa, e avete un milione e duecentomila combattenti! I vostri nemici non pagherebbero mai troppo cara la vostra distruzione. C'è nulla di più evidente della malizia e del tradimento di coloro che hanno tentato di abbattere la libertà, chiedendo il vostro rinnovo? Il po­polo francese, dovunque vincitore, ordina alla sua rappre­sentanza di prendere un posto di primo rango fra le potenze umane: è il popolo che si vorrebbe umiliare in voi: voi gli dovete rendere conto della sacra custodia della sua gran­dezza. Il popolo ha riconosciuto la sua Repubblica; la sua volontà non ha bisogno di sanzione straniera, e il disprezzo e la vittoria, saranno la sua risposta a tutti i tiranni, oppure qui si saprà morire!

Gli stessi uomini che si erano sforzati, dall'inizio della Rivoluzione, di limitarla a un cambiamento di dinastia, li ritroviamo ancora alla testa di queste fazioni, il cui scopo era di perdervi.

A questo punto, la pazienza sfugge al giusto corruccio della verità. Come! quando tutta l'Europa, eccettuati noi che siamo ciechi, è convinta che Lacroix e Danton hanno trattato per la monarchia; come! quando le informazioni prese su Fabre d'Eglantine, complice di Danton, non la­sciano più dubbio sul suo tradimento; quando l'ambascia­tore del popolo francese in Svizzera ci informa della co­sternazione degli emigrati dopo la messa in stato di accusa di Fabre, amico di Danton, i nostri occhi rifiuterebbero ancora di aprirsi! Danton, tu risponderai alla giustizia, inevitabile, inflessibile. Esaminiamo la tua condotta pas­sata, e mostriamo come tu, fin dal primo giorno complice di tutti gli attentati, fosti sempre avverso al partito della libertà, e cospirasti con Mirabeau, con Dumouriez, con Hébert, con Hérault-de-Séchelles.

Danton, tu hai servito la tirannia; fosti, è vero, contrario a Lafayette, ma anche Mirabeau, d'Orléans, Dumouriez, gli furono contrari. Oseresti negare di esserti venduto a questi tre uomini, i più violenti cospiratori contro la li­bertà?

Ai primi lampi della Rivoluzione, tu mostrasti alla Corte un volto minaccioso; parlavi contro di essa con veemenza. Mirabeau, che meditava un cambiamento di dinastia, capì il prezzo della tua audacia, e ti afferrò. Da allora, tu ti allontanasti dai principi severi, e non si sentì più parlare di te fino al massacro del Campo di Marte. Allora appog­giasti ai giacobini la mozione di Laclos [16], che fu un pre­testo funesto e pagato dai nemici del popolo per spiegare il drappo rosso e tentare la tirannia. I patrioti, che non erano iniziati a questo complotto, combatterono inutilmente la tua opinione cruenta. Redigesti con Brissot la petizione del Campo di Marte, eppure voi due sfuggiste al furore di Lafayette, che fece massacrare duemila patrioti. Brissot camminava tranquillamente per Parigi, e tu, tu andasti a trascorrere giorni felici ad Arcis-sur-Aube, se pure poteva essere felice chi cospirava contro la sua patria. È concepi­bile la calma del tuo ritiro ad Arcis-sur-Aube? Tu eri uno degli autori della petizione, e mentre quelli che l'avevano firmata erano stati o imprigionati o massacrati, Brissot e tu eravate dunque oggetto di riconoscenza da parte della tirannia, dato che non eravate oggetto del suo odio e terrore?

Che cosa dirò del tuo vile e costante abbandono della causa pubblica durante le crisi, quando prendevi sempre il partito della ritirata?

Morto Mirabeau, cospirasti con i Lameth e li appoggiasti. Rimanesti neutrale durante l'Assemblea legislativa, e ta­cesti durante la dura lotta dei giacobini con Brissot e la fazione della Gironda. Tu appoggiasti dapprima la loro posizione circa la guerra; poi, spinto dai rimproveri dei migliori cittadini, dichiarasti che rimanevi ad osservare i due partiti, e ti rinchiudesti nel silenzio. Legato con Brissot nei fatti del Campo di Marte, condividesti la sua tranquil­lità e le sue opinioni liberticide. Completamente allineato col partito vincitore, dicesti degli altri che vi si oppone­vano, che, poiché essi erano rimasti soli nella loro opinione circa la guerra ed evidentemente volevano perdersi, tu e i tuoi amici dovevate abbandonarli alla loro sorte. Ma quando vedesti avvicinarsi l'uragano del 10 agosto, ti ri­tirasti ancora ad Arcis-sur-Aube. Disertore dei pericoli che circondavano la libertà, i patrioti non contavano più di rivederti. Tuttavia, spinto dalla vergogna e dai rim­proveri, e quando sapesti che la caduta della tirannia era ben preparata e inevitabile, ritornasti a Parigi il 9 agosto. Andasti a dormire, in quella notte terribile. La tua sezione, che ti aveva nominato presidente, ti attese a lungo; ti strapparono dal riposo vergognoso, presiedesti per un'ora, e abbandonasti la poltrona a mezzanotte, quando suonava la campana a martello; nello stesso momento, i satelliti del tiranno entrarono e puntarono la baionetta sul cuore di colui che ti aveva sostituito : e tu, tu dormivi !

In quel momento, che cosa faceva Fabre, tuo complice ed amico? L'hai detto tu stesso: parlamentava con la corte per ingannarla. Ma la corte poteva fidarsi di Fabre senza un pegno sicuro della sua venalità e senza atti più che evi­denti del suo odio verso il partito popolare? Chiunque è amico di un uomo che ha parlamentato con la corte, è col­pevole di viltà. L'intelligenza può commettere degli errori, ma gli errori della coscienza sono delitti.

Ma che cosa facesti poi per provarci che Fabre, tuo com­plice, e tu, avevate voluto ingannare la corte? Il vostro comportamento, in seguito, è stato quello di congiurati. Quando eri ministro, bisognò mandare un ambasciatore a Londra per stringere l'alleanza fra i due popoli: Noél, giornalista controrivoluzionario, fu proposto dal ministro Lebrun [17]; tu non ti opponesti; ciò ti venne rimproverato come una debolezza, e tu rispondesti: «So che Noél non vale niente, ma lo faccio accompagnare da un mio parente». Quale è stata la conseguenza di questa criminale missione? La guerra concertata, e i tradimenti.

Sei tu che facesti nominare Fabre e d'Orléans all'As­semblea elettorale, alla quale vantasti il primo come uomo abilissimo, e dicesti del secondo che, essendo un principe del sangue, la sua presenza fra i rappresentanti del popolo avrebbe dato loro maggior prestigio agli occhi dell'Europa. Chabot votò per Fabre e d'Orléans. Tu facesti arricchire Fabre durante il tuo ministero. Fabre era allora aperto fautore del federalismo, e diceva che bisognava dividere la Francia in quattro parti. Roland, partigiano della mo­narchia, tentò di passare la Loira per raggiungere la Vandea, tu restasti a Parigi, dove era d'Orléans e dove favorivi Dumouriez. Desti degli ordini per salvare Duport; egli fuggì in mezzo a una sommossa organizzata a Melun da tuoi emissari. Malouet [18] e il vescovo di Autun venivano spesso da te; tu li favorivi. Il partito di Brissot accusò Marat, tu ti dichiarasti suo nemico: ti isolasti dalla Montagna quando essa correva dei pericoli. Ti facesti pubblicamente un merito di non aver mai denunciato Gensonné [19], Guadet [20] e Brissot; tendevi loro l'ulivo, pegno della tua alleanza con loro contro il popolo e contro i repubblicani intran­sigenti. La Gironda ti fece una finta guerra. Per costrin­gerti a pronunciarti, ti chiese i conti; ti accusò di ambizione. La tua previdente ipocrisia conciliò tutto e seppe mante­nersi in mezzo ai partiti, sempre pronto a dissimulare con il più forte, ma senza insultare il più debole. Nei dibattiti tempestosi, ci si indignava della tua assenza e del tuo si­lenzio; tu parlavi della campagna, delle delizie della soli­tudine e dell'ozio: ma sapevi uscire dal tuo torpore per difendere Dumouriez, Westermann [21], sua decantata crea­tura, e i generali suoi complici. Tu inviasti Fabre in mis­sione presso Dumouriez, con il pretesto, dicevi, di ricon­ciliarlo con Kellermann [22]. I traditori erano anche troppo uniti, per nostra sventura! In tutte le lettere alla Conven­zione, nei loro discorsi alla tribuna si comportavano come amici, e tu eri amico loro. Il risultato della missione di Fabre fu che l'armata prussiana potè salvarsi, per accordi segreti che la tua condotta spiegò in seguito.

Dumouriez elogiava Fabre-Fond, fratello di Fabre-d'Eglantine; si può dubitare del vostro criminale accordo per rovesciare la Repubblica?

Tu sapevi smorzare il corruccio dei patrioti: facevi con­siderare i nostri rovesci come una conseguenza della debo­lezza delle nostre armate, e distraevi l'attenzione pubblica dalla perfidia dei generali, occupandola nelle nuove leve di uomini. Ti associasti nei tuoi delitti con Lacroix, co­spiratore da molto tempo screditato, con la cui anima im­pura si può essere uniti solo con il nodo che unisce i con­giurati. Lacroix fu sempre più che sospetto: ipocrita e perfido, non ha mai parlato in buona fede in questa Assem­blea; ebbe l'audacia di elogiare Miranda [23], quella di pro­porre il rinnovo della Convenzione; tenne la stessa tua condotta nei riguardi di Dumouriez; uguale era la vostra agitazione, per nascondere uguali misfatti; Lacroix ha spesso dimostrato il suo odio verso i Giacobini. Donde proviene il fasto che lo circonda? Ma perché ricordare tanti orrori, quando la vostra manifesta complicità con d'Orléans e Dumouriez, in Belgio, è sufficiente perché la giustizia vi colpisca?

Danton, dopo il 10 agosto tu avesti con Dumouriez un colloquio, nel quale vi giuraste amicizia in ogni evento, e uniste la vostra sorte. Tu giustificasti questo mostruoso accordo, e sei ancora suo amico in questo momento in cui io parlo.

Sei tu che, al ritorno dal Belgio, osasti parlare dei vizi e dei delitti di Dumouriez, con la stessa ammirazione con cui si sarebbe parlato delle virtù di Catone. Ti sei sforzato di corrompere la morale pubblica, divenendo in molte occasioni l'apologista dei corrotti, tuoi complici. Sei tu che, per primo, in un gruppo di patrioti che volevi sor­prendere, proponesti l'esilio del Capeto: proposta che non osasti più sostenere al tuo ritorno, perché era già sconfitta, e ti avrebbe perduto.

Neppure Dumouriez, che era venuto a Parigi in quello stesso periodo con il proposito di influenzare il processo del tiranno, osò resistere al grido della giustizia pubblica che mandò il tiranno alla morte. Quale atteggiamento te­nesti tu nel Comitato di difesa generale? Vi ricevevi i com­plimenti di Guadet e di Brissot, e li restituivi; dicevi a Brissot «Voi avete dell'ingegno, ma avete delle pretese». Ecco la tua indignazione contro i nemici della patria! Con­sentisti che non si informasse la Convenzione dell'atteg­giamento indipendente e del tradimento di Dumouriez. Ti trovavi in conciliaboli con Wimpfen [24] e d'Orléans. Nello stesso tempo ti dichiaravi per principi moderati, e le tue espressioni energiche nascondevano la debolezza dei tuoi consigli; dicevi che le massime severe avrebbero pro­curato troppi nemici alla Repubblica. Banale conciliatore, tutti i tuoi esordi alla tribuna cominciavano come il tuono, e poi finivi col conciliare la verità e la menzogna. Quale proposta vigorosa hai mai fatto contro Brissot e il suo par­tito nella rappresentanza nazionale, qui dove t'accuso? Al tuo ritorno dal Belgio, provocasti la leva in massa dei pa­trioti di Parigi per marciare ai confini. Se ciò fosse allora avvenuto, chi avrebbe resistito all'aristocrazia che aveva tentato molte sollevazioni? Brissot non desiderava altro. E i patrioti mandati in guerra non sarebbero stati sacri­ficati? Così si sarebbe esaudito il voto di tutti i tiranni del mondo per la distruzione di Parigi e della libertà.

Provocasti un'insurrezione a Parigi; era concertata con Dumouriez; dichiarasti anche che, se occorreva del denaro per farla, avevi le mani nelle casse del Belgio. Dumouriez voleva una rivolta a Parigi, per avere un pretesto per mar­ciare contro questa città della libertà sotto un titolo meno sfavorevole di quello di ribelle e realista. Tu, che restasti ad Arcis-sur-Aube prima del 9 agosto, opponendo la tua pigrizia alla necessaria insurrezione, tu avevi ritrovato in marzo il tuo ardore per servire Dumouriez, e fornirgli un pretesto onorevole per marciare su Parigi. Desfieux, riconosciuto realista e del partito dello straniero, diede il segnale di questa finta insurrezione. Il 10 marzo, un assembramento si recò ai Cordiglieri, poi al Comune: domandava di essere guidato, ma egli vi si rifiutò. Fabre allora si agi­tava molto; il movimento, disse egli a un deputato, era lontano come si desiderava. Lo scopo di Dumouriez era raggiunto: egli prese spunto da questo movimento per il suo manifesto sedizioso e per le lettere insolenti che scrisse alla Convenzione. Desfieux, mentre declamava contro Brissot, ricevette da Lebrun, complice di Brissot, una somma di denaro per inviare nel Mezzogiorno dei veementi appelli nei quali veniva biasimata la Gironda, ma che ten­devano a giustificare la rivolta preparata dai federalisti. Desfieux fece arrestare a Bordeaux i suoi stessi corrieri, ciò che diede a Gensonné l'occasione per denunciare la Montagna, e a Guadet per declamare contro Parigi. Des­fieux testimoniò poi in favore di Brissot al tribunale rivo­luzionario. Ma, Danton, quale contraddizione fra quella misura estrema e pericolosa che proponesti, e la modera­zione che ti fece richiedere un'amnistia per tutti i colpe­voli, che ti fece giustificare Dumouriez, e appoggiare al Comitato di sicurezza generale, la proposta di Guadet di inviare Gensonné dal generale traditore! Potevi tu essere cieco sull'interesse pubblico fino a questo punto? Si oserà rimproverarti di mancare di intelligenza?

Ti accomodavi a tutto; Brissot e i suoi complici uscivano sempre contenti dagli incontri con te. Alla tribuna, quando il tuo silenzio veniva accusato, davi loro dei salutari avvertimenti affinché dissimulassero ancor meglio; li minacciavi senza indignazione, ma con una bontà paterna, e davi piuttosto dei consigli a loro per corrompere la libertà, per salvarsi, per meglio ingannarci, che non al partito repubblicano per colpirli. «L'odio - dicevi - è insoppor­tabile al mio cuore», eppure tu stesso ci avevi detto : «Non amo affatto Marat». Ma non sei tu colpevole e responsabile appunto di non aver odiato i nemici della patria? Un uomo pubblico determina la sua indifferenza o il suo odio secondo le tendenze private o secondo l'amore della patria, che il tuo cuore non ha mai sentito? Facevi da conciliatore, come Sisto V fece il semplice pur di arrivare allo scopo cui tendeva. Ti infiammerai ora davanti alla giustizia del popolo, tu che non ti infiammasti mai quando si attaccava la patria? Ti credevamo in buona fede quando accusammo il partito di Brissot; ma, in seguito, fiumi di luce sono caduti sulla tua politica. Tu sei l'amico di Fabre; l'hai difeso e non sei uomo da comprometterti: non hai dunque potuto che difendere te stesso nel tuo com­plice. Hai abbandonato il partito repubblicano all'inizio di questa sessione; e da allora, che altro hai fatto se non velare di ipocrisia le deliberazioni?

Fabre e tu foste gli apologisti di d'Orléans, che voi vi sforzavate di far passare per uomo semplice e disgraziatissimo: ripetevate spesso questo argomento. Voi eravate sulla Montagna il punto di contatto e di trasmissione della congiura di Dumouriez, Brissot, e d'Orléans. Lacroix ti secondò perfettamente in tutte queste occasioni.

Vedesti con orrore la rivoluzione del 31 maggio. Hérault, Lacroix e tu domandaste la testa di Henriot [25], che aveva servito la libertà, e accusaste come un delitto la mossa da lui fatta per sfuggire a un atto di oppressione del vostro partito. Qui, Danton, hai mostrato la tua ipocrisia: non avendo potuto realizzare il tuo progetto, dissimulasti il tuo furore; guardasti Henriot ridendo, e gli dicesti: Non aver paura, continua per la tua strada, volendo fargli intendere che avevi avuto l'aria di biasimarlo per conve­nienza, ma che in fondo eri del suo avviso. Un momento dopo, lo avvicinasti alla buvette e gli presentasti un bicchiere con aria carezzevole, dicendo: Senza rancore. Tuttavia, l'indomani, lo calunniasti atrocemente e lo accusasti di averti voluto assassinare; Hérault e Lacroix ti appoggia­rono. Ma non hai inviato poi un ambasciatore a Pétion e a Wimpfen nel Calvados? Non ti sei opposto alla puni­zione dei deputati della Gironda? Non hai difeso Stingell, che aveva fatto massacrare gli avamposti dell'esercito a Aix-la-Chapelle? Così, difensore di tutti i criminali, non hai fatto altrettanto per un patriota. Hai accusato Roland, ma più come un acrimonioso imbecille che come un traditore; a sua moglie non trovavi altro che pretese di bello spirito. Hai gettato il tuo mantello su tutti gli attentati, per co­prirli e nasconderli.

I tuoi amici hanno fatto tutto per te; mettono il tuo nome in tutti i giornali stranieri e nei rapporti quotidiani del mi­nistro dell'interno. Questi rapporti, inviati ogni sera al mi­nistro dell'interno, ti presentano come l'uomo di cui tutta Parigi si occupa; le tue minime riflessioni vi son rese ce­lebri. Da molto tempo abbiamo riconosciuto che i tuoi amici o tu stesso redigevate questi rapporti.

Danton, tu sei stato dunque il complice di Mirabeau, di d'Orléans, di Dumouriez, di Brissot. Delle lettere del­l'ambasciatore di Spagna a Venezia, dirette al duca di Alendia, dicono che a Parigi ti si sospettava di aver avuto al Tempio dei colloqui con la regina. Lo straniero è sempre molto ben informato sui delitti commessi in suo favore. Questo fatto è conosciuto da Lhuilier, e potrà essere chia­rito durante il processo.

L'ambasciatore di Spagna scriveva nella stessa lettera del giugno scorso: «Ciò che ci fa tremare, è il rinnovo del Comitato di salute pubblica». Tu c'eri, Lacroix; tu c'eri, Danton [26].

Cattivo cittadino, hai cospirato; falso amico, due giorni fa dicevi male di Desmoulins, strumento che proprio tu hai perduto, e gli attribuivi vizi vergognosi; pessimo uomo, hai paragonato l'opinione pubblica a una donna di malaf­fare, hai detto che l'onore è ridicolo, che la gloria e la po­sterità sono delle sciocchezze; queste massime dovevano conciliarti l'aristocrazia, erano le stesse di Catilina. Se Fabre è innocente, se d'Orléans, se Dumouriez, furono innocenti, allora lo sei anche tu. Io ho detto abbastanza; ora risponderai alla giustizia.

Cittadini, essendo stata scoperta la cospirazione di Hébert, lo straniero ha cercato in questi ultimi giorni di get­tare lo scandalo su tutto ciò che la libertà ha in onore; fu implicato anche Marat, si annunciò che stava per essere disceso dal Pantheon. Che ne discenda, la sua ombra, per agghiacciare il cuore dei nemici del popolo e per confon­derli!

Da sei mesi si tenta di creare un'atmosfera di appren­sione e di inquietudine nel governo. Ogni giorno ci veniva inviato un rapporto su Parigi, ci venivano insinuati con abilità, a volte consigli imprudenti, a volte timori fuori luogo; i rapporti erano compilati secondo i sentimenti che si voleva suscitare in noi, affinché il governo andasse nella direzione che conveniva ai complotti criminosi; si lodava Danton, si elogiavano Hébert e Camillo Desmoulins, si consideravano tutti i loro progetti come approvati dall'opi­nione pubblica, per scoraggiarci. Questi rapporti osarono riferirci, durante il processo di Hébert, che si parlava di to­gliere Marat dal Pantheon e di mettervi la Corday; erano le stesse penne che lodavano Danton e Desmoulins, a scri­vere queste infamie. La fazione di Dumouriez ha fatto assassinare Marat, i suoi complici vorrebbero assassinare anche la sua memoria; quelli che lodarono i vizi di Du­mouriez, erano ben adatti per oltraggiare la sua gloria e per distruggere la virtù.

Terminiamo di descrivere questi uomini che, non osando manifestarsi, hanno cospirato di nascosto. Essi hanno avuto le qualità dei cospiratori di tutti i tempi: si lodavano reciprocamente, e dicevano l'uno dell'altro tutto ciò che poteva ingannare il giudizio. Gli amici del profondo Brissot per lungo tempo dissero di lui che era un incoerente, un superficiale addirittura. Fabre diceva di Danton che era uno spensierato, che il suo temperamento lo traeva in cam­pagna, ai bagni, alle cose innocenti. Danton diceva di Fabre che la sua testa era un imbroglio [27], un repertorio di cose comiche, e lo presentava come un uomo ridicolo, perché solo a questo prezzo poteva non passare per un traditore, dalla semplice osservazione del suo tortuoso com­portamento. Danton rideva con Ducos, faceva il distratto vicino a d'Orléans, e il familiare vicino a Marat, ch'egli detestava, ma temeva. Hérault era grave quando sedeva alla Convenzione, buffone altrove, e rideva continuamente, per scusarsi di non dir niente.

Ci sono anche altri raccostamenti da fare in merito alla condotta di costoro in periodi diversi. Danton fu un leone contro Lafayette, il nemico di d'Orléans; Danton fu pieno di indulgenza verso Dumouriez, l'amico di d'Orléans. Danton proponeva, tre anni fa, ai Giacobini, la legge di Valerio, che ordinava ai Romani di uccidere immediata­mente coloro che parlavano di Tarquinio; Danton non trovò più né eloquenza né severità contro Dumouriez, che tradiva apertamente la patria e voleva mettere un re. Danton, come ho detto, opinò prima per l'esilio del ti­ranno, e solo in seguito per la sua morte. Egli ammonì spesso alcuni membri del Comitato di salute pubblica che occorreva molto coraggio per rimanere in carica, perché l'autorità che si dava a lui era pericolosa anche per loro. Fu Danton che propose i 50 milioni [28], e Hérault lo ap­poggiò; fu Danton che propose di elevare il Comitato a comitato di governo; era dunque una insidia che egli cre­deva di tendere ad esso. Danton, escluso dal Comitato, disse a qualcuno : «Io non me la prendo, non ho rancore; ma ho buona memoria».

Che dirò di quelli che pretesero di rappresentare solo loro i vecchi Cordiglieri? Essi erano proprio Danton, Fabre, Camillo Desmoulins, e il ministro autore dei rapporti su Parigi, nei quali Danton, Fabre, Camillo e Philippeaux vengono lodati, e nei quali tutto è rivolto nel loro senso e nel senso di Hébert. Che dirò della confessione fatta da Danton, che egli ha ispirato gli ultimi scritti di Desmoulins e di Philippeaux?

Voi siete tutti complici dello stesso attentato; tutti voi avete tentato di rovesciare il governo rivoluzionario e la rappresentanza nazionale; tutti voi avete provocato il suo rinnovo, il 10 agosto; tutti voi avete lavorato per lo stra­niero, che non volle mai altro che il rinnovo della Conven­zione, che avrebbe provocato la rovina della Repubblica.

Sono convinto che questa fazione degli indulgenti è legata a tutte le altre, che essa fu ipocrita in ogni tempo, prima venduta alla nuova dinastia, poi a tutte le fazioni. Questa fazione ha abbandonato Marat, e poi si è ornata della sua reputazione; essa ha fatto di tutto per distrug­gere la Repubblica, indebolendo tutte le idee della libertà; essa ebbe maggiore astuzia delle altre; attaccò il governo con maggiore ipocrisia, e fu più criminale.

Camillo Desmoulins, che in un primo tempo fu ingannato e poi fini per essere complice, fu, come Philippeaux, uno strumento di Fabre e di Danton. Siccome egli mancava di carattere, ci si servì del suo orgoglio. Egli attaccò da rètore il governo rivoluzionario in tutta la sua attività; parlò sfrontatamente in favore dei nemici della Rivolu­zione, propose per essi un comitato di clemenza; si mostrò invece assai inclemente verso il partito popolare; attaccò, come Hébert e Vincent [29], i rappresentanti del popolo presso le armate; come Hébert, Vincent e Buzot [30], anche egli li trattò da proconsoli. Egli era stato il difensore dell'in­fame Dillon [31], con la stessa audacia che Dillon stesso mostrò, quando a Maubeuge ordinò alle sue truppe di marciare su Parigi e di prestare giuramento di fedeltà al re. Egli combatté la legge contro gli Inglesi; ne ricevette i ringraziamenti in Inghilterra, nei giornali di allora. Avete mai notato che tutti quelli che sono stati elogiati in In­ghilterra, hanno qui tradito la loro patria?

Fabre, più volte, o personalmente o attraverso i suoi amici, provocò l'ampliamento di poteri del Comitato di salute pubblica; noi frememmo spesso per un'insidia così perfida. Fabre sperava che saremmo caduti sotto il peso di tante responsabilità e se ne vantava: ma il genio della li­bertà ha vinto per noi. Quello di noi che accettò sempre con maggiore soddisfazione il potere, fu Hérault, com­plice di Fabre e dello straniero. Tutto si collega; dopo che Fabre ebbe fatto di tutto per darci una tale ampiezza di compiti nella quale sperava di farci smarrire, allora fece attaccare l'operato del governo.

Allora Hérault, che si era messo alla direzione degli affari diplomatici, adoperò ogni mezzo per far fallire i progetti del governo. Per suo tramite, le più segrete deliberazioni del Comitato sugli affari esteri erano comunicate ai governi nemici. Egli fece parecchi viaggi a Dubuisson, in Svizzera, per cospirare là sotto il segno stesso della Repubblica. Noi ricordiamo che Hérault fu, con avversione, muto testimone dei lavori di coloro che tracciarono il piano della Costitu­zione, di cui si fece poi, abilmente, l'impudente relatore.

Noi abbiamo intercettato delle lettere di Las-Casas, ambasciatore di Spagna a Vienna, nelle quali egli riferisce le deliberazioni diplomatiche del Comitato, quando c'era Hérault.

Era il periodo in cui una schiera di nemici attaccava il governo, cioè voi stessi, che era circondato da insidie, e aveva la responsabilità delle operazioni di quattordici armate. Il momento era favorevole: l'Alsazia era invasa, Tolone era nelle mani degli Spagnoli e degli Inglesi, Perpignano minacciata, le nostre armate in difficoltà nel Nord, al Monte Bianco, in Vandea, dappertutto insomma. Allora il partito di Hébert domandò l'entrata in vigore della Co­stituzione, affinché in quel caos di pericoli e di avversità, in quell'apparente agonia della libertà, il passaggio del governo rivoluzionario a un regime più debole fosse il passaggio dalla vita alla tomba. L'entrata in vigore della Costituzione fu chiesta da Danton, l'amico di Fabre. Nello stesso tempo Philippeaux, - o piuttosto Fabre, di cui si riconoscono facilmente lo stile, l'ipocrisia, le insinuazioni, negli scritti del primo - Philippeaux attaccò il governo, come associato al tradimento.

Philippeaux ha pubblicato, in questi ultimi tempi, di­versi scritti che appartengono evidentemente a penne dif­ferenti. Lo scopo di questi scritti era di ottenere la compli­cità del governo con quelli che tradivano la patria. Phi­lippeaux, poco prima autore di un ridicolo catechismo, era diventato tutto a un tratto un uomo di Stato. Philippeaux è l'anima di un club del Mans, dove la libertà e la rappresen­tanza nazionale non hanno un solo amico, dove si domanda il rinnovo della Convenzione, dove si è detto che voi eravate stanchi, nello stesso periodo in cui lo diceva Hébert.

Avete anche appreso, stamattina, che una rivolta è scop­piata nel Mans, contro Garnier, rappresentante del popolo. Questa rivolta è stata fomentata da quelli stessi che redas­sero un appello in favore di Philippeaux. Essi sono stati arrestati; il tribunale rivoluzionario si occuperà della cosa. Torniamo al nostro argomento.

Si può ricordare che Fabre, in quel tempo, non si sepa­rava da Desmoulins, né da Philippeaux. Fabre, nello stesso tempo in cui dirigeva questi due individui, si trovava dap­pertutto. Era continuamente al Comitato di sicurezza ge­nerale, era nelle riunioni, alla polizia, al Comune, ai Giaco­bini, ai Cordiglieri; si moltiplicava, e dettava vari scritti; si insinuava presso i patrioti; ed è dimostrato che egli, che si era sforzato di accrescere l'autorità del Comitato, la scalzava in ciascuno dei suoi membri. In mezzo ai pericoli che circondavano la patria, noi deliberavamo, la sera, su tutto ciò che ognuno aveva notato di contrario al bene pub­blico durante il giorno. Si scoprì che con ciascuno dei membri del Comitato Fabre parlava bene di lui e male di tutti gli altri. Complice di Chabot, egli lo accusò quando lo seppe accusato, come Chabot accusò i suoi complici. Fabre si interessava soprattutto di dimostrare che tutti i complotti avevano lo scopo di perdere Danton. Il risultato di questi intrighi doveva essere quello di rovesciare ilgoverno e la rappresentanza nazionale, di rovinare i partiti avversi; e che cosa sarebbe rimasto? Fabre e la sua fazione!

Ora, bisogna collegare altri fatti ai precedenti.

L'estate passata, Hérault, cercando dei seguaci, o per esplorare gli animi, disse che Lhuilier, procuratore gene­rale del dipartimento di Parigi, aveva confidato che esi­steva un partito in favore del giovane Capeto, e che, se il governo avesse perduto il favore, e il partito fosse arrivato al grado di influenza necessario, sarebbe stato Danton a mostrare al popolo il fanciullo.

In quel periodo, Danton pranzò spesso in via Grange-Batelière, con degli Inglesi; pranzò con Guzman, spagnolo, tre volte alla settimana, e con l'infame Saint-Amaranthe, il figlio di Sartine, e Lacroix. Là furono fatti pranzi da cento scudi a testa.

È chiaro che il partito che voleva far entrare in vigore prematuramente la Costituzione, quello che attaccava il governo, quello che attaccava la Convenzione, quello che corrompeva, quello che voleva un comitato di clemenza, avevano tutti lo scopo di creare il disgusto per il regime attuale, ed è evidente che si voleva sostituire a questo la monarchia.

Si esamini ora il comportamento di tutti quelli di cui ho parlato, i loro legami, le loro scuse sempre pronte in fa­vore degli uomini corrotti; si riconoscerà da segni certi il partito avverso alla Rivoluzione, e che sempre si mascherò. Ci dicano quelli di cui ho parlato, da dove proviene la loro fortuna; ci dica Lacroix perché, nell'estate scorsa, faceva comprare dell'oro da un banchiere.

Coloro che da quattro anni hanno cospirato sotto il velo del patriottismo, oggi che la giustizia li minaccia, ripetono la frase di Vergniaud: La Rivoluzione è come Saturno: divo­rerà tutti i suoi figli. Hébert ripeteva questa frase durante il suo processo; essa è ripetuta da tutti quelli che tremano, e che si vedono smascherati. No, la Rivoluzione non divo­rerà i suoi figli, ma i suoi nemici, con qualsiasi impenetra­bile maschera si siano coperti!

I congiurati che sono morti erano forse figli della libertà, perché per un momento le somigliarono? La Rivoluzione divorerà fin l'ultimo amico della tirannia: non morirà mai un vero patriota per colpa della giustizia; essa non sacri­ficherà che le fazioni criminali.

Cittadini, queste meditano ogni giorno la vostra perdita; tutti i furfanti si riuniscono in esse. Attendevano da qualche giorno di essere smascherate; Danton, Lacroix, dicevano: Prepariamoci a difenderci! Anche Hébert, già in­seguito dalla visione del supplizio, gridava, un mese fa: Mi si vuole perdere; difendetemi!

Un innocente parla di difendersi? Ha egli presentimenti di terrore prima che si sia parlato di lui? I Comitati hanno conservato prudentemente il silenzio, e l'opinione pubblica e il popolo accusavano già prima di me coloro che io accuso. Essi si accusavano, si designavano da loro stessi, perché noi non avevamo ancora parlato di loro: si preparavano a domandare se noi volessimo distruggere la rappresentanza nazionale, perché noi li accusiamo; ed essi ci fanno forse una colpa di aver accusato Brissot, Chabot e i loro com­plici? Si vuole riabilitarli?

Siate dunque inflessibili : è l'indulgenza che è crudele, per­ché minaccia la patria.

Quando i resti della fazione dell'Orléans, dediti oggi a tutti gli attentati contro la patria, non esisteranno più, voi non avrete più esempi da dare; sarete tranquilli, l'intrigo non si avvicinerà più a questo recinto; vi dedicherete alla legislazione e al governo, ne toccherete le profondità, e strapperete il fuoco dal cielo per animare la Repubblica, tiepida ancora, e infiammare l'amore della patria e della giustizia; allora non resteranno che patrioti, allora sarà distrutta l'illusione degli intriganti che, avendo preso da cinque anni la maschera della Rivoluzione, vorrebbero oggi far condividere ad essi il loro disonore, facendo dire che i patrioti saranno tutti disonorati gli uni dopo gli altri. Così, dunque, perché dei vili e dei nemici dell'umanità si son fatti profeti, la Divinità avrebbe perduto la sua gloria! Perché degli ipocriti hanno usurpato la reputazione di pa­trioti, lo splendore del patriottismo sarebbe oscurato! Quelli che io denuncio non sono mai stati patrioti, ma scaltri aristocratici, e più dissimulati di quelli di Coblenza.

Tutte le reputazioni che sono crollate erano reputazioni usurpate dall'aristocrazia o dalle fazioni criminali. Quelli che ci rimproverano la nostra severità preferirebbero che fossimo ingiusti? Poco importa che il nostro tempo abbia condotto alcune vane fame al patibolo, al sepolcro, nel nulla, purché la libertà viva! Si imparerà a divenire modesti, ci si slancerà verso la vera gloria e il vero bene, cioè l'one­stà oscura. Il popolo francese non perderà mai la sua repu­tazione: il segno della libertà e del genio non può essere cancellato dall'universo; oppresso in vita, esso opprime dietro di sé i pregiudizi e i tiranni. Il mondo è vuoto dopo i Romani, ma la loro memoria lo riempie, e profetizza ancora la libertà.

Perciò voi, dopo aver abolite le fazioni, date a questa Repubblica dolci costumi; ristabilite fra i cittadini la stima e il rispetto individuale. Francesi, siate felici e liberi, ama­tevi. Odiate tutti i nemici della Repubblica, ma siate in pace con voi stessi. La libertà vi richiama alla natura; e si voleva farvela abbandonare! Non avete spose da amare, figli da educare? Rispettatevi reciprocamente. E voi, rap­presentanti del popolo, assumete il peso del supremo governo, e tutti godano della libertà invece di governare. Il destino dei vostri predecessori vi ammonisce a condurre a termine la vostra opera da voi stessi, ad essere saggi e a diffondere la giustizia senza pretendere la fama, simili all'Essere Supremo che dispone il mondo in armonia senza mostrarsi: il bene pubblico è tutto, la fama è nulla!

Barnave fu portato in trionfo sotto queste finestre; dov'è egli ora?

Coloro che ho denunciato non hanno mai conosciuto la patria, si sono arricchiti con dei misfatti, e non è dipeso da loro se voi esistete ancora. Non c'è delitto che non abbiano protetto, non c'è traditore che non abbiano scusato: avidi, egoisti, apologisti dei vizi, rètori e non amici della libertà, la Repubblica è incompatibile con loro; essi hanno bisogno di piaceri che si ottengono a scapito dell'eguaglianza, sono insaziabili di potere. I re contano su di loro per distruggervi: a quali proteste potreste credere da parte di coloro che, stringendo la mano spergiura di Dumouriez, gli giurarono amicizia eterna? E il giuramento fu mante­nuto: il Belgio e l'esercito, voi e l'Europa, ne siete te­stimoni.

C'è stata dunque una cospirazione tramata da parecchi anni per assorbire la rivoluzione francese in un cambia­mento di dinastia. Le fazioni di Mirabeau, dei Lameth, di Lafayette, di Brissot, di d'Orléans, di Dumouriez, di Carra, di Hébert; le fazioni di Chabot, di Fabre, di Danton hanno concorso progressivamente a questo fine con tutti i mezzi che potevano impedire alla Repubblica di costi­tuirsi, e al suo governo di consolidarsi.

Abbiamo ritenuto di non dover più temporeggiare con i colpevoli, poiché abbiamo dichiarato che distruggeremo tutte le fazioni; esse potrebbero rianimarsi e prender nuova forza; l'Europa sembra ormai non contar più che su di esse. È dunque il momento di distruggerle, affinché nella Repubblica non resti che il popolo e voi, e il governo di cui voi siete l'inviolabile centro.

I giorni dei delitti sono passati; guai a quelli che sosten­gono la loro causa ! La loro politica è smascherata. Perisca tutto ciò che è criminale! La Repubblica non si fa con gli accomodamenti, ma con il rigore severo, con il rigore in­flessibile verso tutti coloro che hanno tradito. I complici si svelino, schierandosi con il partito dei delitti. Ciò che abbiamo detto non sarà più perduto sulla terra. Si può strappare la vita agli uomini che, come noi, hanno tutto osato per la libertà, ma non si può strappare loro il cuore, né la tomba ospitale sotto la quale essi si sottraggono alla schiavitù e alla vergogna di lasciar trionfare i malvagi.


Ecco la proposta di decreto :

« La Convenzione Nazionale, dopo aver ascoltato il rap­porto dei suoi Comitati di sicurezza generale e di salute pubblica, accusa Camillo Desmoulins, Hérault, Danton, Philippeaux, Lacroix, sospetti di complicità con d'Or­léans e Dumouriez, con Fabre d'Eglantine e i nemici della Repubblica, di aver preso parte alla cospirazione tendente a restaurare la monarchia e a distruggere la rappresentanza nazionale e il governo repubblicano. In conseguenza, ordina che siano processati insieme a Fabre d'Eglantine ».


Note

[1] Poeta e politico, deputato alla Convenzione, fu membro del Co­mitato di sicurezza generale.
[2] Deputato alla Convenzione, amico di Danton.
[3] Jean François de Lacroix, deputato della Montagna, amico di Danton, fu membro del primo Comitato di salute pubblica.
[4] Luigi Filippo, duca d'Orléans; durante la Rivoluzione prese posi­zione contro la monarchia, e assunse atteggiamenti democratici, che gli valsero il soprannome di «Philippe-Egalité». Deputato all'Assemblea Costituente, e poi alla Convenzione, si schierò con la Montagna, votò la morte del re. Accusato di voler ristabilire la monarchia a proprio vantaggio, fu giustiziato nel novembre 1793.
[5] Jacques Brissot de Warville, capo del gruppo dei girondini, che vennero perciò anche chiamati "i brissottini", arrestato il 2 giugno 1793 e ghigliottinato il 31 ottobre.
[6] Giornalista e politico; sul suo giornale «Pére Duchesne» sostenne posizioni violente ed estremistiche; nel marzo 1794 incitò il popolo ad insorgere; fu arrestato e condannato a morte con gli altri del suo gruppo. Il rapporto contro gli hébertisti fu tenuto alla Convenzione, il 13 marzo 1794, da Saint-Just.
[7] Hérault-de-Séchelles, uno dei principali esponenti della Mon­tagna; fu presidente della Convenzione, membro del primo e secondo Comitato di salute pubblica, redasse il testo della Costituzione del 1793; messo in stato d'accusa il 17 marzo 1794, dietro rapporto di Saint-Just, fu condannato a morte col gruppo di Danton.
[8] Charles Ronsin, uno dei capi hébertisti, ebbe importanti incarichi militari; processato e condannato insieme con Hébert.
[9] Pétion de Villeneuve, deputato all'Assemblea Costituente e poi alla Convenzione; messo in stato d'accusa con gli altri capi girondini il 2 giugno 1793, tentò di organizzare la rivolta nel Calvados, e morì fuggendo dalla Francia.
[10] Jean Louis Carra, pubblicista e politico, girondino; fece il gior­nale «Annales patriotiques»; condannato a morte con gli altri espo­nenti girondini nell'autunno 1793.
[11] Louis Pierre Manuel, deputato alla Convenzione, procuratore del Comune di Parigi; accusato di trattative con la monarchia, condan­nato a morte nel 1793.
[12] Jean Denis Lanjuinais (1733-1827), deputato alla Convenzione, monarchico, messo in stato di accusa nel 1793, sfuggì all'arresto na­scondendosi.
[13] Deputato della Convenzione.
[14] Pierre Chaumette, pubblicista, procuratore del Comune di Pa­rigi; fu tra i promotori della campagna antireligiosa del gruppo degli hébertisti, con i quali venne processato e giustiziato.
[15] François Chabot, deputato all'Assemblea legislativa e alla Con­venzione, dove si schierò con la Montagna. Implicato in gravi scandali finanziari, fu condannato a morte.
[16] Choderlos de Laclos (1741-1803), uno dei più attivi orléanisti.
[17] Ministro per gli affari esteri nel Consiglio esecutivo provvisorio, formato nell'agosto 1792 dopo la caduta della monarchia, nel quale Danton fu ministro della giustizia.
[18] Pierre Victor Malouet, nobile, realista intransigente, durante la Rivoluzione emigrò in Inghilterra.
[19] Armand Gensonné, deputato all'Assemblea legislativa e alla Convenzione, uno dei capi girondini; condusse trattative con Luigi XVI; fu in contatto con Dumouriez; condannato a morte nel 1793.
[20] Marghérite Elie Guadet, altro influente deputato girondino, im­plicato nella rivolta del Calvados.
[21] Generale, partecipò alle trattative di Dumouriez con i nemici della Francia. Fu destituito e giustiziato nell'aprile 1794, con il gruppo di Danton.
[22] Generale, comandante delle truppe francesi nella battaglia di Valmy (20 settembre 1792).
[23] Comandante francese; subì sconfitte in Belgio nella primavera del 1793, mentre era agli ordini di Dumouriez.
[24] Luigi Felice, barone di Wimpfen (1744-1814), monarchico costi­tuzionale; in armonia con l'insurrezione girondina nel Calvados, tentò di marciare su Parigi.
[25] Comandante della guardia nazionale di Parigi, devoto a Ro­bespierre; il 9 termidoro tentò di liberarlo e di portare le truppe contro la Convenzione; fu ghigliottinato insieme con Robespierre e Saint-Just.
[26] Danton e Lacroix, membri del primo Comitato di salute pub­blica, furono esclusi dal nuovo Comitato eletto nel luglio 1793.
[27] In italiano nel testo.
[28] Somma messa a disposizione del Comitato di salute pubblica nell'agosto 1793, per favorire l'attività dei partiti politici.
[29] François Vincent, uno degli esponenti del gruppo hébertista.
[30] François Buzot, autorevole deputato girondino; fra i promotori del tentativo di rivolta federalista nel Calvados, morì nella fuga.
[31] Arturo conte di Dillon, generale, monarchico, in contatto con Dumouriez, condannato a morte nel 1794.