Rapporto sulle persone incarcerate

Rapporto presentato alla Convenzione, a nome dei Comitati di Salute pub­blica e di Sicurezza generale, l' 8 ventoso anno II (26 febbraio 1794). Da: "Louis de Saint-Just, Discorsi alla Convenzione", Universale economica, Milano, 1952, pp. 69-82.


Voi decideste il 4 di questo mese che i vostri due Comi­tati di Salute pubblica e di Sicurezza generale riuniti vi facessero un rapporto sui detenuti, sui mezzi più rapidi per riconoscere e liberare gli innocenti e i patrioti colpiti, e per punire i colpevoli.

Io non intendo trattare questa questione davanti a voi come se fossi un accusatore o un difensore, o come se voi foste dei giudici, perché le detenzioni non traggono origine dalle relazioni giudiziarie, ma dalle necessità di sicurezza del popolo e del governo. Non intendo parlare delle tem­peste di una rivoluzione come di una disputa di rètori; e voi non siete dei giudici, e non dovete prendere le vostre decisioni per l'interesse civile, bensì per la salvezza del popolo, che va posta al di sopra di tutti noi.

Dobbiamo tuttavia essere giusti; ma, invece di esserlo relativamente all'interesse privato, bisogna esserlo relati­vamente all'interesse pubblico.

Voi avete meno da decidere ciò che interessa questo o quell'altro individuo, che da decidere ciò che interessa alla Repubblica, meno da cedere ai punti di vista privati che da far trionfare le vedute universali.

Le detenzioni implicano parecchie questioni politiche: la struttura e la salvezza della sovranità, i costumi repub­blicani, le virtù o i vizi, la felicità o l'infelicità, delle gene­razioni future; riguardano l'economia nazionale, per l'opi­nione che dovete formarvi della ricchezza, della proprietà. Principi dimenticati fino ad oggi, relazioni misconosciute e senza le quali la nostra Repubblica sarebbe un sogno, il cui risveglio sarebbe la sua distruzione. Le detenzioni ri­guardano i progressi della ragione e della giustizia. Ricor­date le fasi attraverso cui si è giunti ad esse: nei riguardi della minoranza ribelle, si è passati dal disprezzo al so­spetto, dal sospetto agli esempi, dagli esempi al terrore.

Dalle detenzioni dipende la perdita o il trionfo dei nostri nemici. Io non so esprimere a metà il mio pensiero, sono senza indulgenza verso i nemici del mio paese, non conosco che la giustizia.

Forse non è possibile trattare con una certa sicurezza e con qualche risultato la questione delle detenzioni, e farmi anche capire, senza ricordare insieme la nostra si­tuazione.

Uno Stato si regge con il proprio peso, oppure occorre che un sistema profondamente combinato di istituzioni vi crei l'armonia? Una società in cui i rapporti politici non poggiano sulla natura, dove l'interesse e l'avidità sono le molle segrete di molti uomini, che l'opinione pubblica avversa e che si sforzano di tutto corrompere allo scopo di sfuggire alla giustizia; una simile società non deve fare i maggiori sforzi per purificarsi, se vuole sussistere? E quelli che vogliono impedire che si purifichi, non vogliono cor­romperla? E quelli che vogliono corromperla, non vogliono distruggerla?

In una monarchia non c'è che un governo; in una Re­pubblica, ci sono più istituzioni, sia per frenare i costumi, sia per arrestare la corruzione delle leggi o degli uomini. Uno Stato in cui manchino le istituzioni non è che una Repubblica illusoria. E, poiché ciascuno per propria libertà intende l'indipendenza delle sue passioni e della sua avidità, lo spirito di conquista e l'egoismo si insediano fra i cittadini, e l'idea particolare che ciascuno si fa della propria libertà secondo il suo interesse, produce la schiavitù di tutti.

Noi abbiamo un governo; abbiamo con l'Europa questo legame comune che consiste nei poteri e in una amministra­zione pubblica. Le istituzioni, che sono l'anima della Repub­blica, ci mancano.

Noi non abbiamo delle leggi civili che consacrino la nostra felicità, le nostre relazioni naturali, e che distruggano gli elementi della tirannia; una parte della gioventù è educata dall'aristocrazia; questa è potente e ricca; lo stra­niero, che si è sforzato di corrompere gli ingegni, sembra volere anche inaridire i nostri cuori. Siamo inondati da scritti snaturati, nei quali si deifica l'ateismo intollerante e fanatico; si direbbe che il prete si sia fatto ateo e che l'ateo si sia fatto prete. Ma basta parlarne! Avremmo bisogno di energia, e ci vengon suggerimenti di stoltezza e debolezza.

Lo straniero non ha che un mezzo per perderci; quello di snaturarci e di corromperci, poiché una Repubblica non può poggiare che sulla natura e sui costumi. È Filippo che agita Atene; è lo straniero che vuol restaurare il trono, e che alle nostre parole che svaniscono risponde con dei de­litti che lasciano tracce profonde.

Quando una Repubblica confinante con dei tiranni è agitata, le occorrono forti leggi; non deve aver riguardi verso i partigiani dei suoi nemici, e neppure verso gli indif­ferenti.

È lo straniero che difende ufficiosamente i criminali.

Gli agenti naturali di questa perversità sono gli uomini che, per le loro vendette e interessi, fanno causa comune con i nemici della Repubblica.

Voi avete voluto la Repubblica, ma se al tempo stesso non volete anche ciò che la costituisce, essa seppellirà il popolo sotto le sue rovine. Una Repubblica si costituisce con la distruzione totale di quanto le è contrario. Ci si lamenta delle misure rivoluzionarie! Ma noi siamo dei mo­derati in confronto a tutti gli altri governi.

Nel 1788, Luigi XVI fece morire ottomila persone di ogni età e sesso a Parigi, nella via Mèlée e al Ponte Nuovo. La monarchia rinnovò tali fatti al Campo di Marte [1], la monarchia impiccava nelle prigioni, gli annegati che si tiravano su dalla Senna erano sue vittime, c'erano quattro­centomila prigionieri, si impiccavano ogni anno quindi­cimila contrabbandieri, si mettevano alla ruota tremila uomini, c'erano a Parigi più prigionieri che oggi. Nei tempi di miseria, i reggimenti marciavano conro il popolo. Guar­date l'Europa: ci sono quattro milioni di prigionieri, dei quali non udite le grida, mentre la vostra moderazione parricida lascia trionfare tutti i nemici del vostro governo. Insensati che siamo, mettiamo un lusso metafisico nello sfoggio dei nostri principi, e i re, mille volte più crudeli di noi, dormono tra i delitti.

Cittadini, per quale illusione vi persuaderete di essere inumani? Il vostro tribunale rivoluzionario ha fatto perire trecento scellerati nell'ultimo anno: e l'Inquisizione di Spagna non ne ha fatti di più? e per quale causa, gran Dio! E i tribunali di Inghilterra non hanno ucciso nessuno quest'anno? E Bender [2] che faceva bruciare i bimbi dei Belgi? E delle segrete della Germania dove il popolo è se­polto, non vi se ne parla! Si parla di clemenza da parte dei re di Europa? No. Non lasciatevi dunque intenerire.

La corte di Londra, che teme la guerra, appare come il nemico della pace; essa ostenta un atteggiamento che si impone al popolo inglese; ma se voi vi mostrerete rigidi, se formate il vostro Stato, e se il peso della vostra politica schiaccerà tutti i suoi partigiani e reprimerà i suoi intrighi, all'indomani del giorno in cui essa sembrerà più lontana dalla pace, più fiduciosa nella propria forza, più superba nelle sue pretese, quel giorno vi proporrà la pace.

Non avete il diritto di trattare i partigiani della tirannia come vengono trattati altrove i partigiani della libertà? Sareste saggi se agiste diversamente? È stato ucciso Marat e esiliato Margarot [3], al quale si sono confiscati i beni: tutti i tiranni hanno dimostrato la loro gioia. Temiamo forse di perdere la loro stima mostrandoci politici quanto loro?

Ritorni Margarot da Botany-Bay! non muoia! il suo destino sia più forte del governo che lo opprime! Le rivo­luzioni cominciano con illustri vittime vendicate dalla sorte. La Provvidenza vegli su Margarot e Botany-Bay! un decreto del popolo liberato lo richiami dal fondo dei de­serti, o vendichi la sua memoria!

Cittadini, invano si cerca di arrestare l'insurrezione dello spirito umano; essa divorerà la tirannia; ma tutto dipende dal nostro esempio e dalla fermezza delle nostre misure.

Sembra che si vada tramando qualche attentato, sulla cui riuscita evidentemente i re contano, dato che si mostrano insolenti dopo le loro sconfitte. Si può supporre del resto che essi abbiano rinunciato ai loro progetti, a perderci?

Vedete ora, valutando tutto secondo il buon senso, chi sono coloro che tradiscono: sono quelli che vi danno con­sigli severi, o quelli che ve ne danno di indulgenti?

La monarchia, gelosa della propria autorità, era immersa nel sangue di trenta generazioni: e voi esiterete a mostrarvi severi contro un pugno di colpevoli? Quelli che domandano la libertà degli aristocratici non vogliono la Repubblica, e temono per loro. È un segno chiarissimo di tradimento, la pietà che si mostra per il delitto, in una Repubblica che non può essere assisa che sull'inflessibilità. Io sfido tutti coloro che parlano in favore degli aristocratici arrestati a esporsi all'accusa pubblica in un tribunale. La voce dei criminali e dei corrotti può forse contare nel giudizio dei loro si­mili?

Sia che i partigiani dell'indulgenza si aspettino la ricono­scenza della tirannia, se la Repubblica fosse soggiogata, sia che essi temano che una maggiore misura di calore e di severità nell'opinione pubblica e nei principi non li rovini, è certo che c'è qualcuno che nel suo cuore persegue il disegno di farci indietreggiare o di opprimerci; e noi go­verniamo come se fossimo mai stati traditi, come se non potessimo più esserlo! La sicurezza dei nostri nemici ci ammonisce ad esser pronti a tutto, e ad essere inflessibili.

La prima di tutte le leggi è la conservazione della Re­pubblica. Invece spesso non è da questo punto di vista che vengono qui esaminate le questioni più delicate. Con­siderazioni segrete influiscono sulle decisioni; la giustizia è sempre considerata sotto il rapporto della debolezza e di una clemenza crudele, e non ci si preoccupa di considerare se le decisioni proposte non portino lo Stato alla rovina. La giustizia non può essere clemenza, ma severità.

C'è una setta politica [4] in Francia che sta assumendo tutte le parti; essa procede adagio; se parlate del terrore, vi parla di clemenza; se siete clementi, vi vanta il terrore; vuole felicità e godimenti; oppone la perfezione al bene, la pru­denza alla saggezza. Così, in un governo in cui la morale non è attuata praticamente per mezzo delle forti istitu­zioni che fanno del vizio un'anormalità, il destino pubblico è in balia dei begli spiriti e delle passioni dissimulate. Se subiamo delle sconfitte, gli indulgenti profetizzano delle sventure, se siamo vincitori, se ne parla appena. Negli ultimi tempi ci si è meno occupati delle vittorie della Re­pubblica che di alcuni libelli; e mentre si distoglie il po­polo dai virili propositi, gli autori dei complotti criminali respirano e si imbaldanziscono.

Si distrae l'opinione pubblica dai più puri propositi, e il popolo francese dalla gloria, per occuparlo in dispute polemiche; nello stesso modo, Roma della decadenza, Roma degenerata, dimenticando le sue virtù, andava al circo a veder combattere le bestie; e mentre il ricordo di tutto ciò che è grande e generoso fra noi sembra oscurarsi, i principi della libertà pubblica a poco a poco si spengono, quelli del governo si indeboliscono; è proprio ciò che si desidera per accelerare la nostra rovina. L'indulgenza viene riservata ai cospiratori, e il rigore al popolo. Sembra che si consideri nulla il sangue di duecentomila patrioti sparso e dimenticato; se ne è fatto un semplice ricordo; ci si contenta di essere virtuosi per iscritto, si fa a meno dell'onestà, ci si ingrassa con le spoglie del popolo fino a rigurgitarne, lo si insulta, e si cammina in trionfo, trasci­nati dal delitto, per il quale si pretende di suscitare la vostra compassione: perché, infine, non è più possibile conservare il silenzio sull'impunità dei maggiori colpevoli, che vo­gliono infrangere il patibolo perché temono di salirvi.

Il rilassamento dei principi, la cui necessaria asprezza viene ogni giorno contrastata, è la causa delle sventure pubbliche, fa sparire l'abbondanza, e sempre più ci turba, sotto il pre­testo della tranquillità. Ciascuno sacrifica il bene pubblico al proprio; solo il povero spinge l'aratro e difende la Rivo­luzione; molti impieghi sono in mano ai furfanti arricchiti dalla libertà, ai contabili che sono in guerra con la giu­stizia.

È per questo rilassamento dei principi che vi si chiede di aprire le prigioni, ciò che significherebbe la miseria, l'umiliazione del popolo e altre Vandee. Uscendo dalle prigioni, essi prenderebbero le armi, non dubitatene. Se si fossero arrestati un anno fa tutti i realisti, oggi non ci sarebbe la guerra civile.

Sembra che per salvarli si stia ordendo una congiura simile a quella che si ordì a suo tempo per salvare il re. Io parlo qui con tutta la sincerità del mio cuore; nulla mi è parso mai cosi evidente come questa somiglianza. La monarchia non è un re, è il delitto; la Repubblica non è un senato, è la virtù. Chiunque usa riguardo al delitto vuole ristabilire la monarchia e sacrificare la libertà.

E dopo che, con la perfidia di una inerzia ipocrita, si è alterata la prosperità e la forma del governo, si viene a declamare contro di esso. Mi sembra di vedere un'immensa catena attorno al popolo francese, di cui i tiranni tengono un capo e la fazione degli indulgenti l'altro capo, per stringerci.

Si complicano le questioni più semplici, per creare delle difficoltà: come fece Vergniaud [5] che, vedendovi risoluti a dare una Costituzione alla Repubblica, cominciò a discu­tere tutto il diritto pubblico, e vi propose una serie di questioni da risolvere, a discuter le quali ci sarebbe voluto un secolo.

Si imita perfettamente questo modo di agire quando vi si propone di esaminare le detenzioni secondo principi di debolezza, cercando di crearvi imbarazzo con un'abbon­danza di falsi sentimenti, e di separare la legislazione dal sentimento del bene pubblico. Dunque i furfanti, i tiranni, i nemici della patria rientrerebbero nella legge della natura, o voi che fate appello ad essa in loro favore!

Il nostro fine è di creare un ordine di cose tale che si de­termini un universale orientamento verso il bene, che le fazioni siano subito condotte al patibolo, che una virile energia faccia inclinare lo spirito della nazione verso la giustizia, e che si ottenga all'interno la calma necessaria per attuare la felicità del popolo. Giacché, come al tempo di Brissot [6], soltanto gli aristocratici e gli intriganti si agi­tano; le società popolari non sono affatto turbate, l'esercito è tranquillo, il popolo lavora; sono dunque soltanto i ne­mici ad agitarsi, per rovesciare la rivoluzione. Il nostro scopo è di instaurare un governo sincero, tale che il po­polo sia felice, tale infine che, presiedendo all'instaurazione della Repubblica soltanto la saggezza e la provvidenza eterna, essa non sia più scossa ogni giorno da nuovi delitti.

Il cammino delle rivoluzioni passa dalla debolezza all'au­dacia, dal delitto alla virtù. Non illudiamoci di poter creare un solido Stato senza difficoltà; bisognerà combattere a lungo contro tutte le pretese, e, poiché l'interesse umano è invincibile, la libertà di un popolo può essere fondata solo con la spada.

Nei primi tempi della Rivoluzione si levarono voci in­dulgenti in favore di quelli che la combattevano; questa indulgenza, che risparmiò allora alcuni colpevoli, costò la vita a duecentomila uomini in Vandea; questa indulgenza ci ha messo nella necessità di distruggere delle città, ha esposto la patria al pericolo di una totale rovina; e se oggi vi lasciaste indurre alla stessa debolezza, questa vi coste­rebbe forse trent'anni di guerra civile.

È difficile fondare una Repubblica altrimenti che con l'inflessibile repressione di tutti i delitti. Mai Précy, Larouerie e Paoli sarebbero riusciti a creare un partito, con un governo vigilante e rigoroso. La vigilanza vi è neces­saria: non avete il diritto né di essere clementi, né di essere sensibili verso i traditori; voi non lavorate per voi, ma per il popolo. Da questa idea era ispirato Licurgo, il quale, dopo aver compiuto il bene del proprio paese con una implacabile severità, andò spontanea­mente in esilio.

A vedere l'indulgenza di taluni, li si direbbe i padroni del nostro destino, i pontefici della libertà. La nostra storia, dal maggio scorso [7], è un esempio degli estremi terribili a cui conduce l'indulgenza. In quell'epoca, Dumouriez aveva evacuato i territori da noi conquistati, i patrioti erano stati pugnalati a Francoforte, Custine [8] aveva perduto Magonza, il Palatinato, poi il corso del Reno; il Calvados [9] era in fiamme; la Vandea trionfava; Lione, Bordeaux, Marsiglia, Tolone, erano in rivolta contro il popolo francese; Condé, Valenciennes, Le Quesnoi erano perdute; ci trovavamo in difficoltà nei Pirenei, al Monte Bianco; tutti ci tradivano e sembrava che si prendesse l'incarico di governare lo Stato e di comandare le truppe solo per potere consegnarli al nemico e divorarne i resti. Le flotte erano vendute, gli arsenali, le navi in cenere, la moneta svilita, gli stranieri padroni delle nostre banche e della nostra industria: e il più grande dei nostri mali era allora un certo timore nell'impiegare l'autorità necessaria per salvare lo Stato, in modo che la congiura della destra aveva spezzato in anti­cipo, con insidia inaudita, le armi con le quali avreste po­tuto un giorno combatterla e punirla: sono le stesse armi che si vogliono spezzare adesso.

La Costituzione unì il popolo sovrano. Voi padroneg­giaste la sorte e la vittoria, e adoperaste infine contro i ne­mici della libertà l'energia che essi avevano adoperato contro di voi; perché, nello stesso momento in cui vi si insinuavano degli scrupoli nella difesa della patria, Précy, Charette e tutti i congiurati bruciavano le cervella a quelli che non erano del loro parere e rifiutavano di seguire il loro gruppo; e quelli che cercavano di indebolirvi non fanno e non propongono nulla per indebolire i nostri nemici. A sentir loro, si direbbe che l'Europa è pacifica e non sta facendo delle leve contro di noi; si direbbe che le frontiere sono tranquille come le nostre piazze.

Cittadini, ci si vuole legare e stordire per facilitare la nostra sconfitta. A vedere con quale compiacenza vi si parla della sorte degli oppressori, si sarebbe tentati di cre­dere che ci si preoccupi ben poco se noi siamo oppressi.

Cosi agiscono le nuove fazioni: esse non sono più ardite sol perché esiste un tribunale che commina rapide morti; ma esse minano tutti i principi e inaridiscono il corpo po­litico. Per lungo tempo ci hanno attaccato con la violenza, oggi si tenta di indebolirci facendoci ammalare di languore; tale infatti è l'aspetto della Repubblica oggi, allontanatasi dalla severità che seguì il supplizio di Brissot e dei suoi complici; in quel periodo riportaste vittorie dappertutto, in quel periodo i prezzi delle derrate diminuirono e gli scambi ripresero valore.

Lo slancio del governo rivoluzionario, che aveva instau­rato la dittatura della giustizia, si è spento. Si direbbe che i cuori dei colpevoli e dei giudici, atterriti dagli esempi, abbiano fatto un tacito accordo per fermare la giustizia e sfuggirla.

Si direbbe che ognuno, spaventato dalla propria co­scienza e dalla inflessibilità delle leggi, si sia detto : «Noi non siamo abbastanza virtuosi per essere cosi terribili. Legislatori filosofi, compatite la mia debolezza; io non oso dirvi: sono vizioso; preferisco dirvi: voi siete crudeli».

Non è con questi principi che otterremo la stabilità. Già ho detto che il sistema della Repubblica è legato alla distruzione della aristocrazia.

In realtà, la forza delle cose ci conduce forse a risultati ai quali non avevamo pensato. L'opulenza è nelle mani di un gran numero di nemici della rivoluzione; il bisogno mette il popolo che lavora alle dipendenze dei suoi nemici. Concepite voi che uno Stato possa esistere, quando i rap­porti tra i cittadini dipendono da quelli che sono contrari alla forma del governo? Quelli che fanno le rivoluzioni a metà non fanno che scavarsi la fossa. La rivoluzione ci porta a riconoscere questo principio, che colui che si è mostrato nemico del proprio paese non può esservi pro­prietario.

Ci vuole ancora qualche colpo di genio per salvarci.

Sarà dunque per amministrare le proprietà dei suoi ti­ranni che il popolo versa il suo sangue sulle frontiere e che tutte le famiglie portano il lutto dei loro figli? Dovete riconoscere il principio che nella nostra patria ha dei di­ritti soltanto chi ha contribuito a liberarla. Eliminate la mendicità, che disonora un libero paese; le proprietà dei patrioti sono sacre, ma i beni dei cospiratori siano a dispo­sizione di tutti gli sventurati. I poveri sono i potenti della terra; essi hanno il diritto di parlare da padroni ai governi che li trascurano. Questi principi sono sovversivi per i governi corrotti, e distruggeranno il vostro, se vi lasce­rete corrompere; sacrificate dunque l'ingiustizia e il delitto, se non volete che siano essi a sacrificare voi.

Bisogna richiamare la vostra attenzione sui mezzi per rendere incrollabili la democrazia e la rappresentanza nazionale. I poteri, e tutto ciò che si frappone fra il popolo e voi, sono più forti di voi e del popolo.

Fate una legge generale che chiami tutto il popolo alle armi, e la legge sarà eseguita, tutto il popolo prenderà le armi. Fate un decreto contro un generale, contro un qual­siasi abuso dell'amministrazione, e non sempre sarete obbe­diti. Ciò dipende dalla debolezza della legislazione, dalla sua instabilità, e dalle sfacciate proposte in favore degli aristocratici, le quali corrompono l'opinione pubblica. Ciò dipende dall'impunità dei funzionari e dal fatto che, nelle società popolari, il popolo ascolta i funzionari invece di giudicarli, dal fatto che migliaia di intrighi intralciano la giustizia, la quale non osa colpirli. Più i funzionari si sostituiscono al popolo, e meno c'è democrazia. Quando mi trovo in qualche società popolare, e vedo il popolo che applaude e resta in secondo piano, come rifletto amara­mente! La società di Strasburgo, quando l'Alsazia fu libe­rata, era composta di funzionari che sfidavano i loro do­veri; era un comitato composto di agenti responsabili che combattevano la Rivoluzione in veste di patrioti. Po­nete ogni cosa al suo posto: l'eguaglianza non sta nei po­teri che sono utilizzati dal popolo, ma negli uomini; l'egua­glianza non consiste nel fatto che tutti siano superbi, ma che tutti siano modesti.

Oso dire che la Repubblica sarebbe ben presto fiorente se il popolo e la rappresentanza nazionale avessero l'auto­rità maggiore, e se la sovranità del popolo fosse epurata dagli aristocratici e dai contabili, che vogliono usurparla per ottenere l'impunità. «Ci può essere qualche speranza di giustizia, quando i malfattori hanno il potere di con­dannare i loro giudici?» disse William [10]. Nessuna colpa resti perdonata o impunita dal governo; la giustizia è per i nemici della Repubblica più temibile del solo terrore. Quanti traditori sono sfuggiti al terrore e non sfuggireb­bero alla giustizia, che pesa i delitti nella sua mano! La giustizia condanna i nemici del popolo e i partigiani della tirannia fra noi a una soggezione perpetua; il terrore pos­sono sperare che finisca, perché tutte le tempeste finiscono, come avete già visto; la giustizia invece obbliga i funzio­nari all'onestà; la giustizia rende il popolo felice, e conso­lida il nuovo ordine di cose. Il terrore è un'arma a doppio taglio, di cui gli uni si son serviti per vendicare il popolo e gli altri per servire la tirannia; il terrore ha riempito le pri­gioni, ma i colpevoli non vengono puniti; il terrore è passato come un uragano. Non aspettatevi una severità durevole dallo spirito pubblico, bensì dalla forza delle istituzioni. Una calma paurosa segue sempre le nostre tempeste, e noi siamo sempre più indulgenti dopo il terrore che prima.

I responsabili di questa depravazione sono gli indulgenti, che non si preoccupano di chiedere la resa dei conti a nessuno, perché hanno paura che la si domandi a loro stessi; così, per un tacito accordo tra tutti i vizi, la patria viene sacrificata agli interessi di ciascuno, in luogo di essere tutti gli interessi privati sacrificati alla patria.

Marat aveva delle felici idee circa il governo rappresen­tativo, e io rimpiango che le abbia portate nella tomba; non c'era che lui che potesse dirle; soltanto la necessità potrà farcele sentire dalla bocca di qualcun altro.

È avvenuta una rivoluzione nel governo, ma essa non è penetrata nello stato civile, nei rapporti tra i cittadini. Il governo si basa sulla libertà, lo stato civile sull'aristocrazia, la quale forma una barriera intermedia di nemici della libertà fra il popolo e voi. Potete voi restare lontani dal popolo, vostro unico amico? Forzate questi intermediari al rispetto rigoroso della rappresentanza nazionale e del po­polo. Se questi principi saranno adottati, la nostra patria sarà felice, e l'Europa sarà ben presto ai nostri piedi.

Fino a quando saremo gli zimbelli, e dei nostri nemici interni, per la nostra indulgenza fuori posto, e dei nemici esterni, dei quali favoriamo i progetti con la nostra debo­lezza?

Risparmiate gli aristocratici, e vi preparerete cinquantanni di disordini. Osate! questa parola racchiude tutta la politica della vostra rivoluzione.

Lo straniero vuol regnare tra noi per mezzo della di­scordia; eliminiamola, tenendo in prigione i nostri nemici e i suoi partigiani. Rendiamo guerra alla guerra! I nostri nemici non possono più resistere a lungo; ci fanno la guerra per distruggersi fra loro. Pitt vuol distruggere la Casa d'Austria, questa la Prussia, tutti insieme la Spagna; e questa mostruosa e falsa alleanza vuol distruggere le Repubbliche d'Europa.

E voi, distruggete il partito ribelle! Forgiate la libertà! Vendicate i patrioti vittime degli intrighi! Mettete all'or­dine del giorno il buon senso e la modestia; non permettete che ci sia un infelice o un povero nello Stato; solo in questo modo farete una rivoluzione e una vera Repubblica. Altri­menti, chi vi sarà grato per l'infelicità dei buoni e la felicità dei malvagi?


I vostri Comitati vi presentano il seguente decreto :

Art. 1. - Il Comitato di sicurezza generale è investito del potere di liberare i patrioti detenuti. Chiunque reclami la libertà, dovrà render conto della sua condotta dopo il 1° maggio 1789.

Art. 2. - Le proprietà dei patrioti sono inviolabili e sacre. I beni delle persone riconosciute nemiche della rivo­luzione saranno sequestrati a profitto della Repubblica; queste persone resteranno detenute fino alla pace, e poi esiliate per sempre [11].


Note

[1] Al Campo di Marte, il 17 luglio 1791, una manifestazione repubblicana venne sanguinosamente repressa dalle guardie nazionali di Lafayette.
[2] Generale austriaco.
[3] Patriota inglese, tentò di riprodurre in Inghilterra le esperienze rivoluzionarie francesi.
[4] I dantonisti.
[5] Pierre Vergniaud, deputato, uno dei maggiori esponenti della Gironda, fu arrestato con gli altri capi girondini il 2 giugno 1793, e ghigliottinato il 31 ottobre.
[6] Jacques Brissot de Warville, capo del gruppo dei girondini, che vennero perciò anche chiamati «i brissottini», arrestato il 2 giugno 1793 e ghigliottinato il 31 ottobre.
[7] Cioè dopo la caduta della Gironda.
[8] Adam Philippe Custine, generale, responsabile degli insuccessi sul fronte dell'Est e del Nord, poi ghigliottinato.
[9] Dipartimento dell'ovest, che i girondini tentarono di sollevare contro la Convenzione.
[10] Pubblicista inglese.
[11] Il decreto venne approvato all'unanimità dalla Convenzione.