I
La lotta politica e di classe negli anni 1944-48 nell'Europa dell'Est

La Romania

Accademia delle Scienze dell'URSS, Storia Universale, volume XI
edizione italiana, Teti editore, Milano 1978, pp. 74-83


LA PROCLAMAZIONE DEL POTERE DEMOCRATICO-POPOLARE.
LA RIFORMA FONDIARIA

Il 23 agosto 1944, mentre l'Armata rossa avanzava vittoriosamente, le forze patriot­tiche della Romania abbattevano la dittatura fascista di Ion Antonescu. Ma la maggioranza del governo formato subito dopo dal gene­rale Constantin Sanatescu era composta da elementi civili e militari di orientamento rea­zionario. Re Michele si era rifiutato di acco­gliere la richiesta del Partito comunista rome­no di formare un governo con i rappresentanti di tutti i partiti e organizzazioni antifascisti. Tuttavia, poiché il nuovo governo si era pro­nunciato per la cessazione delle operazioni mi­litari contro le Nazioni Unite, aveva accettato le condizioni sovietiche di armistizio e si era impegnato a introdurre nel paese le libertà democratiche, il partito comunista accettò la proposta di farvi partecipare un proprio rap­presentante. Fu designato Lucretiu Patrascanu, al quale fu assegnato il dicastero della giu­stizia.

Il 24 agosto le truppe naziste tentarono di im­padronirsi di Bucarest per restaurarvi la dit­tatura fascista. Lo stesso giorno il governo Sa­natescu dichiarò guerra alla Germania hitle­riana. La guarnigione romena, con l'apporto di formazioni operaie, dopo accaniti combattimen­ti durati sei giorni, riuscì a cacciare gli hitle­riani dalla capitale e dai suoi dintorni. Il 31 agosto entravano a Bucarest unità dell'Armata rossa che nella storica operazione Iasi-Kisciniev sconfiggevano un forte raggruppamento di truppe fasciste.

Il governo Sanatescu adottò una serie di misu­re positive: accordò l'amnistia ai detenuti po­litici, chiuse i campi di concentramento, rista­bilì la Costituzione del 1923, legalizzò i par­titi politici, soppressi negli anni della dittatu­ra fascista. Ma oppose resistenza alle propo­ste di riforme nel campo economico, sociale e politico. Il re, il governo e il comando mi­litare cercavano di arrestare le operazioni of­fensive dell'Armata rossa sul territorio rome­no e avevano avviato trattative segrete per farvi affluire paracadutisti inglesi e americani. Nel paese, intanto, l'attività delle masse si in­tensificava incessantemente. Crescevano la con­sistenza numerica e la rete delle organizzazioni locali del partito comunista, così come del partito socialdemocratico e del Fronte dei con­tadini. Si creavano comitati sindacali unitari, organizzazioni antifasciste di massa, comitati contadini. In considerazione di tutto ciò, il 26 settembre le direzioni del partito comunista e di quello socialdemocratico, sostenute dal Fronte dei contadini e dai sindacati, lancia­rono il programma del Fronte democratico na­zionale che prevedeva l'ulteriore democratiz­zazione del paese, la riforma agraria sulla base dell'esproprio delle proprietà agrarie superio­ri ai 50 ettari e la loro distribuzione gratuita ai contadini senza o con poca terra, la confisca delle proprietà dei criminali di guerra, e una serie di altre misure economico-sociali demo­cratiche e riforme politiche. La collaborazione con il partito comunista e tutte le forze antifa­sciste e l'aiuto loro prestato nell'azione per l'abolizione della legislazione fascista, da par­te dei principali partiti borghesi, quello nazional-zaranista diretto da Juliu Maniu e quello nazional-liberale, diretto da Constantin Bra-tianu, ne consolidarono l'influenza. Ma que­sti partiti si rifiutarono di sostenere il pro­gramma del Fronte democratico nazionale e il 12 ottobre il comitato nazionale del Fronte democratico nazionale veniva costituito senza la loro partecipazione. Per poter attuare il pro­gramma del fronte, il partito comunista pose il problema della sostituzione del governo comprendente tecnici civili e militari con un altro ministero, formato da rappresentanti delle organizzazioni che avevano aderito al Fronte democratico nazionale, nonché dei par­titi nazional-zaranista e nazional-liberale.

Il 16 ottobre 1944 i rappresentanti dei par­titi operai nel governo Sanatescu. presentava­no le dimissioni, indicando con ciò che la classe operaia non gli accordava più la pro­pria fiducia. Questo passo era stato accom­pagnato da comizi e dimostrazioni di massa, dall'epurazione, iniziata dal basso, dall'appa­rato statale degli elementi antipopolari, dalla costituzione di organi del controllo operaio in una serie di imprese, e così via.

Il 4 novembre il re diede il suo assenso per una sostanziale riorganizzazione del governo Sanatescu: il capo del Fronte dei contadini Petru Groza divenne vicepresidente del consi­glio, L. Patrascanu venne confermato ministro della giustizia e Gheorghe Gheorghiu-Dej, al­tro eminente esponente del partito comunista, ministro delle comunicazioni. Altri posti mi­nisteriali furono assegnati ad altri esponenti del Fronte democratico nazionale. Tuttavia, la maggioranza del nuovo governo era costi­tuita da esponenti dei partiti borghesi.

Grazie all'energia della classe operaia e della parte più avanzata dei contadini, e sotto la di­rezione del Fronte democratico nazionale, i vecchi organi del potere furono demoliti ovun­que. Nel tentativo di impedire l'ulteriore de­mocratizzazione del paese, il re, con l'assenso dei dirigenti dei partiti borghesi, il 6 dicembre 1944 nominò capo del governo il capo di stato maggiore, generale Nicolae Radescu, che assunse anche il portafoglio degli interni. Il Fronte democratico nazionale conservò nel suo complesso le proprie posizioni nel governo, il quale si impegnò a attuare la riforma agraria.

Ma apparve ben presto chiaro che il governo Radescu non intendeva far fronte ai suoi im­pegni. In considerazione di ciò, il 28 gennaio 1945 il Fronte democratico nazionale presentò un programma per portare a fondo la lotta democratico-rivoluzionaria per il potere, che corrispondeva nelle grandi linee alla piattaforma approvata dal fronte stesso nel settembre 1944. Per indebolire la reazione delle forze conservatrici furono apportate al programma alcune modifiche: la riforma agraria non doveva estendersi alle terre della Chiesa, dei conventi e della famiglia reale; la nazionalizzazione delle banche e delle aziende industriali per il momento veniva accantonata. Per iniziativa del partito comunista, e in base a un appello del Fronte democratico nazionale, si sviluppò in tutto il paese un movimento di massa per la democratizzazione dell'apparato statale e la distribuzione delle terre dei grandi agrari. Verso la metà di febbraio, minacciando la guerra civile, Radescu ricorse all'impiego delle forze armate per difendere la proprietà dei grandi agrari e l'amministrazione reazionaria. Le forze armate, però, si rifiutavano sempre più spesso di andare contro il popolo. Ciò si verificò in modo particolarmente evidente a Bucarest, dove il 24 febbraio 1945 reparti militari si rifiutarono di appoggiare la polizia e la gendarmeria che volevano disperdere una dimostrazione di lavoratori.

Il 28 febbraio Radescu fu costretto a dimet­tersi e a cercare asilo presso la missione inglese. Il 6 marzo, dopo un tentativo non riuscito di formare ancora un governo reazionario, il re, sotto la pressione di una dimostrazione di 800 mila persone tenutasi a Bucarest, fu costretto a cedere. Lo stesso giorno fu formato un go­verno presieduto da Groza. I rappresentanti del Fronte democratico nazionale avevano in questo governo il presidente del consiglio e 14 ministri. La borghesia liberale ottenne la vicepresidenza e tre ministeri.

La costituzione del governo Groza aveva di­mostrato che l'egemonia politica era passata alle forze democratiche, alla cui testa stava il Partito comunista romeno. Creando, assieme al partito socialdemocratico, il Fronte unico operaio, il partito comunista aveva spostato l'asse di tutta la lotta contro la reazione sul terreno del potere popolare. Appoggiandosi sulla classe operaia, organizzandola in sindaca­ti unitari, attirando nella lotta i contadini la­voratori, procedendo ad attivare le organiz­zazioni progressiste dei lavoratori delle diver­se nazionalità, le organizzazioni giovanili, fem­minili eccetera, il Fronte unico operaio rese possibile la vittoria della rivoluzione popolare. Il Fronte unico operaio, che aveva suoi orga­ni in tutte le città, nei distretti e nelle grandi fabbriche, era il nucleo centrale del Fronte de­mocratico nazionale. Così il governo Groza si basava nella sua attività su un duplice blocco: quello della classe operaia e di altri lavoratori e quello di tutti i lavoratori con una parte del­la borghesia.

Il nuovo potere statale era una dittatura democratico-rivoluzionaria del proletariato e dei contadini.

Subito dopo la sua costituzione, il governo po­polare della Romania si rivolse al governo so­vietico con un telegramma nel quale, inter­pretando la volontà del popolo romeno, con­sapevole della grande missione assunta dal­l'Unione Sovietica per la distruzione del fa­scismo, dichiarava di esser pronto a interve­nire con tutte le proprie forze per concorrere alla lotta per la disfatta del fascismo. Il gover­no romeno si dichiarava pronto a farla finita con il passato e a intrattenere con l'URSS le relazioni più strette e amichevoli. Il governo Groza cercò di recare il massimo contributo possibile alla lotta contro la Germania hitle­riana. La liberazione del territorio della Ro­mania dall'esercito hitleriano era già cosa fat­ta il 25 ottobre 1944. Nel periodo successivo le unità militari romene, alle dipendenze ope­rative del comando supremo sovietico, presero parte ai combattimenti per la liberazione del­l'Ungheria e della Cecoslovacchia.

Il 22 marzo 1945 il governo approvava la leg­ge sulla riforma agraria: tutte le superfici su­periori ai 50 ettari (a eccezione delle terre del re, degli ordini religiosi e della Chiesa) veniva­no espropriate, assieme agli altri mezzi di pro­duzione. Erano soggette a confisca, indipen­dentemente dalle loro dimensioni, tutte le ter­re appartenute ai tedeschi, ai traditori della patria, ai collaborazionisti, ai criminali di guer­ra e quelle appartenenti a elementi che le avevano abbandonate e non volevano lavorar­le. La terra confiscata doveva essere distribui­ta ai contadini lavoratori e senza terra in ap­pezzamenti fino a 5 ettari, contro il corrispet­tivo di 10 quintali di frumento o 12 quintali di granoturco per ettaro, da consegnare in 10 o 20 anni.

La legge sulla riforma agraria non faceva pra­ticamente che sanzionare la distribuzione delle terre dei grandi agrari, già effettuata nell'au­tunno del 1944. L'attuazione della riforma agraria, durata alcuni mesi, ebbe luogo in Ro­mania, come in tutti gli altri paesi messisi sulla via di profonde trasformazioni sociali, nel corso di una lotta accanita contro le forze della reazione. La classe operaia prestò un grande aiuto ai contadini romeni. Il partito comunista, quello socialdemocratico e i sinda­cati inviarono nelle campagne squadre di ope­rai per partecipare all'attuazione della riforma.

Sulla base della legge di marzo sulla riforma agraria vennero confiscati 1 milione 470 mila ettari, 1 milione 111 mila dei quali furono di­stribuiti a 918 mila famiglie di contadini con poca o senza terra, mentre 359 mila ettari entravano a far parte del fondo terriero sta­tale. Le macchine agricole confiscate furono assegnate ai circa 300 centri di noleggio macchine costituiti nel 1945 per aiutare i contadini a effettuare i lavori agricoli. Grazie alla riforma agraria furono costituite più di 400 mila nuove aziende contadine, mentre 500 mila piccole aziende ingrandirono la loro superficie terriera. La riforma agraria aveva rafforzato l'alleanza tra operai e contadini e l'influenza del partito comunista nelle cam­pagne. Dall'inizio della riforma e fino al lu­glio 1945 entrarono a far parte del partito comunista più di 43 mila lavoratori agricoli e contadini.

La reazione cercò di sfruttare le difficilissi­me condizioni del paese, specialmente nel campo dei rifornimenti alimentari, sia per minare l'alleanza operaio-contadina, sia per scindere il Fronte unico operaio, non ancora consolidato. Gli elementi reazionari sfrut­tarono largamente in questa occasione la linea disorganizzatrice dei dirigenti di destra del partito socialdemocratico.

I comunisti e i socialdemocratici conseguenti illustrarono il carattere demagogico delle ri­vendicazioni dei dirigenti di destra della so­cialdemocrazia, mirando a rendere più com­patto il Fronte unico operaio e a superare le divergenze tattiche e ideologiche esistenti tra i due partiti operai. Grazie alla linea con­seguente del partito comunista, che aveva fatto coraggiosamente appello alla classe ope­raia e a tutti i lavoratori, vennero ottenuti significativi successi nella lotta contro la spe­culazione e contro il sabotaggio della poli­tica economica governativa, contro lo spio­naggio, il terrorismo e altre attività ostili.

Tutta questa azione era accompagnata da misure per la democratizzazione degli organi del potere statale e dell'esercito. Vennero an­che creati nuovi organi amministrativi per dirigere l'economia del paese, garantire la sua ricostruzione e il suo sviluppo nell'inte­resse del popolo, vennero creati organi di controllo statale sulle imprese private, che operavano in perfetta sintonia con quelli del controllo operaio, creati dai sindacati. L'introduzione della giornata di otto ore, del sistema di assicurazioni sociali e della parità di salario per eguale lavoro migliorarono le condizioni degli operai.

La ricostruzione dell'economia ebbe luogo con un notevole aiuto da parte dell'URSS. Già a partire dal gennaio 1945 l'Unione Sovie­tica aveva concorso alla riattivazione dei tra­sporti ferroviari romeni. Un'importanza par­ticolare per la ricostruzione dell'economia della Romania ebbero i trattati commerciali e di cooperazione economica con l'URSS con­clusi 1'8 maggio 1945. In base a questi trat­tati venivano iniziati i rifornimenti sovietici di metalli, attrezzature industriali, lana e al­tre materie prime.

Il 6 agosto 1945 il governo sovietico comu­nicò a quello di Petru Groza la propria in­tenzione di ristabilire le relazioni diploma­tiche con la Romania. Si trattava di una de­cisione presa dal governo sovietico in rela­zione all'effettiva osservanza da parte della Romania delle clausole dell'armistizio. Le forze della reazione opposero un'accani­ta resistenza alla politica di ricostruzione e di riorganizzazione del paese e al suo svi­luppo democratico. Esse erano appoggiate dai circoli di destra della Gran Bretagna e degli USA che volevano modificare il gover­no Groza, col pretesto che esso non era «né democratico, né rappresentativo». Dal 22 agosto il re ruppe ogni rapporto con il go­verno Groza, rifiutandosi di esaminare gli atti che, secondo la Costituzione, erano soggetti alla sua approvazione. Questo «scio­pero reale» aveva lo scopo di disorganizzare l'attività degli organi del potere e di costrin­gere il gabinetto di Petru Groza a dare le dimissioni.

Il gesto del re provocò uno scoppio di indi­gnazione nel paese. Il 24 agosto la stragran­de maggioranza dei ministri, capeggiati da Petru Groza, decisero di rimanere ai loro posti «per continuare e portare a termine l'attività costruttiva iniziata il 6 marzo 1945». In comizi e assemblee di massa, pro­mossi dai comunisti, dai sindacati e dai so­cialdemocratici di sinistra, vennero manife­stati fiducia e appoggio al governo, la volon­tà di mantenere l'unità della classe operaia e di tutte le forze democratiche e di respin­gere l'offensiva dei controrivoluzionari e dei socialdemocratici di destra loro collaboratori. Malgrado i tentativi delle destre, la riunione del Comitato centrale del partito socialde­mocratico tenutasi il 28 settembre, dopo una burrascosa discussione, si pronunciò per il rafforzamento del Fronte unico operaio con i comunisti e per mantenere al potere il go­verno Groza.


LA CONFERENZA NAZIONALE DEL PARTITO COMUNISTA ROMENO.
LA VITTORIA DELLE FORZE DEMOCRATICHE NELLE ELEZIONI POLITICHE GENERALI

La conferenza nazionale del Partito comuni­sta romeno si svolse dal 16 al 21 ottobre 1945, in una situazione politica complessa. A quell'epoca il partito era già diventato una grande organizzazione politica, con oltre 250 mila iscritti. La conferenza ne fissò la linea politica diretta al rafforzamento del Fronte unico operaio e alla realizzazione dell'unità politica della classe operaia, al rafforzamento dell'alleanza tra operai, contadini e intellet­tuali, del Fronte democratico nazionale, del­l'unità tra il popolo romeno e gli altri popoli del paese, allo sviluppo dell'amicizia con il popolo sovietico e gli altri popoli liberi. La conferenza indicò la necessità di estendere le funzioni economiche dello Stato, il con­trollo sulla distribuzione delle materie pri­me e dei prodotti finiti nonché dei generi alimentari, sull'importazione e sull'esporta­zione. Essa indicò anche la necessità di raf­forzare il controllo operaio sul capitale pri­vato, e di nazionalizzare la Banca nazionale della Romania.

La conferenza nazionale del partito comuni­sta approvò lo statuto del partito ed elesse il nuovo Comitato centrale. Segretario gene­rale del partito venne eletto Gheorghe Gheorghiu-Dej.

Questa conferenza rappresentò una tappa importante nello sviluppo della rivoluzione popolare. Essa aprì la prospettiva per il pas­saggio dalle trasformazioni democratico-rivo­luzionarie a quelle di carattere socialista e alla successiva industrializzazione socialista del paese.

Le decisioni della conferenza furono accolte con favore dalla classe operaia, compresi gli operai socialdemocratici. Il 28 ottobre il Co­mitato centrale del partito socialdemocrati­co, contro il parere della minoranza di de­stra, approvò una risoluzione che, pur con qualche riserva, concordava in via di princi­pio con la linea indicata dal partito comuni­sta. La conferenza nazionale del partito so­cialdemocratico, che si riunì nel dicembre del 1945, si pronunciò per il rafforzamento del Fronte unico operaio.

Per impedire l'applicazione di questa linea, le forze reazionarie tentarono un colpo con­trorivoluzionario: l'8 novembre, compleanno di re Michele, bande di reazionari provoca­rono disordini a Bucarest, Brasov, Ploesti, Costanza e in una serie di altre città, cercan­do di occupare gli edifici statali e ammini­strativi. Ma l'intervento armato dei contro­rivoluzionari, effettuato con parole d'ordine antigovernative e antisovietiche, fu stronca­to con decisione dal governo democratico e da tutto il popolo. In tutto il paese si svol­sero comizi combattivi per richiedere la con­danna dei controrivoluzionari. Ai funerali delle loro vittime svoltisi a Bucarest il 12 novembre, parteciparono più di 750 mila abitanti della capitale e delle province vici­ne. La dimostrazione sottolineò la volontà del popolo di procedere lungo la via rivolu­zionaria.

Dopo i disordini di novembre organizzati dai controrivoluzionari, le potenze occidentali fe­cero un nuovo tentativo per cercar di far cadere il governo Groza. Ma alla conferenza dei ministri degli esteri dell'URSS, degli USA e della Gran Bretagna, che ebbe luogo tra il 16 e il 26 dicembre 1945, l'URSS fece fal­lire i piani intesi a modificare la composi­zione del governo romeno per affidarne le posizioni chiave a esponenti della reazione. Fu raggiunto un compromesso, che in so­stanza significava una vittoria delle forze democratiche: in cambio dell'inclusione nel governo di un rappresentante di ciascuno dei due partiti «storici», quello nazional-libera­le e quello nazional-zaranista, gli USA e la Gran Bretagna si impegnavano a stabilire relazioni diplomatiche con la Romania. Nel gennaio 1946 il re fu costretto a cessare il suo «sciopero» e il 6 febbraio USA e Gran Bretagna riconoscevano ufficialmente il go­verno della Romania.

Dopo aver attuato importanti riforme demo­cratiche e aver fatto fallire i piani controri­voluzionari, il governo Groza decise di in­dire per il 1946 le elezioni politiche gene­rali. Il partito comunista propose che tutti i partiti e tutte le organizzazioni del Fronte democratico popolare partecipassero alle ele­zioni in un fronte unico. I dirigenti di de­stra del partito socialdemocratico, tuttavia, continuavano a lavorare per la scissione del Fronte unico operaio e non cessavano di at­taccare i comunisti, ai quali attribuivano, tra l'altro, la responsabilità della grave situazio­ne economica del paese.

Il 10 marzo 1946 ebbe luogo a Bucarest un congresso straordinario del partito socialde­mocratico che, con 232 voti di maggioran­za, 29 contrari e 60 astensioni, si pronunciò per la partecipazione alle elezioni in un uni­co fronte con i partiti e le organizzazioni fa­centi parte del governo Groza. Era stato fat­to così un importante passo avanti sulla via del rafforzamento della socialdemocrazia ro­mena sulle posizioni di collaborazione e av­vicinamento al partito comunista.

Una manifestazione pratica dell'avvicinamen­to dei due partiti sulla piattaforma rivoluzio­naria si ebbe nelle elezioni dei comitati di fabbrica, svoltesi nella primavera del 1946. Né i socialdemocratici di destra, né gli anarco-sindacalisti trovarono appoggio da parte della classe operaia. Il Fronte unico operaio e i sindacati uscirono da queste elezioni raf­forzati. Le elezioni dei comitati di fabbrica erano state in una certa misura una verifica della forza della classe operaia alla vigilia delle elezioni politiche.

I comunisti, poggiando sul Fronte unico ope­raio, cercavano di riunire tutte le forze de­mocratiche, comprese quelle dei ceti medi, di staccare dal campo reazionario i gruppi della borghesia che si dimostravano dispo­sti a collaborare in qualche misura con il potere popolare.

Dopo lunghe trattative, il 17 maggio 1946 fu costituito il Blocco dei partiti democratici che comprendeva tutte le organizzazioni aderenti al Fronte democratico popolare, parte degli zaranisti (il gruppo di Anton Alexandrescu) e parte dei liberali (il gruppo di Gheorghe Tatarescu). Tutte queste orga­nizzazioni si accordarono sul principio che il Blocco dei partiti democratici presentasse un'unica lista di candidati alle elezioni e adot­tasse una piattaforma politica comune, con­forme agli interessi di tutti gli strati sociali che vi aderivano. Questa piattaforma preve­deva lo sviluppo dell'economia, la democra­tizzazione del sistema fiscale, l'elevamento del benessere materiale del popolo, la difesa degli interessi dei contadini lavoratori, dei piccoli commercianti e imprenditori, la de­mocratizzazione dell'industria cantieristica, l'estensione dei diritti democratici a tutta la popolazione, senza distinzione di nazionali­tà, il rafforzamento della pace, una politica di amicizia con l'URSS. La nuova legge elet­torale approvata dal governo l'11 luglio 1946 estendeva il diritto di voto alle donne e ai militari e prevedeva alcune modifiche di ca­rattere costituzionale, tra le quali la più im­portante era quella che aboliva il Senato. Furono privati del diritto di voto gli espo­nenti del regime fascista-militare di Antonescu, i membri della «Guardia di ferro» e altri fascisti e collaborazionisti. Con sentenza del tribunale, nel maggio 1946 Ion Antonescu e altri capi della cricca militare-fascista del suo regime furono condannati alla pena capitale.

Alle elezioni politiche svoltesi il 19 novem­bre 1946 presero parte un numero di elet­tori senza precedenti per la Romania: 6 mi­lioni 934 mila, pari all'89 per cento del cor­po elettorale. Il Blocco dei partiti democratici ottenne 4 milioni 766 mila voti, pari al 71,8 per cento. Inoltre l'8 per cento dei voti andò all'Alleanza popolare ungherese, che condivi­deva la piattaforma del Blocco dei partiti de­mocratici. Sui 414 seggi parlamentari il Bloc­co dei partiti democratici ne conquistò 348 e l'Alleanza popolare ungherese 29. Il partito nazional-zaranista di Maniu ebbe 32 deputati e l'altro partito «storico», il nazional-libera­le di Bratianu, si vide assegnati solo tre seggi. In questo modo, le elezioni si conclusero con una completa disfatta delle forze della reazio­ne. All'interno del Blocco dei partiti democra­tici, la forza più solida risultò quella del Fron­te unico operaio: il partito comunista si vide assegnati 68 seggi e quello socialdemocratico 81. La classe operaia e i suoi alleati avevano ormai una solida maggioranza sia nel governo, diretto da Petru Groza anche dopo le elezioni, sia nel massimo organo legislativo del paese, dove oltre a tutto erano sostenuti dai 70 de­putati del Fronte dei contadini. Dopo le ele­zioni, la compagine governativa subì qualche modifica. Particolare importanza ebbe il fatto che il ministero dell'economia nazionale, di nuova costituzione, fosse assegnato a Gheor­ghiu-Dej .


LA PROCLAMAZION DELLA REPUBBLICA POPOLARE ROMENA

I risultati delle elezioni aprirono nuove possi­bilità alla lotta per radicali riforme sociali e politiche. Un passo importante in questa di­rezione venne compiuto il 20 dicembre 1946, con l'approvazione da parte del Parlamento di una legge sulla nazionalizzazione della Banca nazionale della Romania, il maggior centro fi­nanziario del paese, che era stato a disposizio­ne dei capitalisti romeni e stranieri. La nazio­nalizzazione di questa banca facilitò la funzio­ne di regolazione e di direzione della vita eco­nomica del paese da parte dello Stato. Nel­l'aprile 1947 il ministero dell'economia nazio­nale ottenne il diritto di dirigere e controllare sia i settori statali, sia quelli capitalistici privati dell'economia. Presso il ministero furono costi­tuite direzioni industriali che riunivano gli sta­bilimenti secondo il settore di produzione. Tramite queste direzioni, mentre esisteva ancora la proprietà privata dei mezzi di produzione, le imprese capitalistiche furono incluse nel sistema economico nazionale, la cui azione era determinata dagli interessi della classe ope­raia e di tutti i lavoratori, di tutto lo Stato. Nello stesso tempo furono adottate misure anche contro i contadini ricchi i quali, sfrut­tando la carestia del 1945 e 1946, si erano impossessati di parte delle terre che i contadi­ni poveri avevano ricevuto con la riforma agra­ria. Qui si era in presenza di una autentica vio­lazione della legge sulla riforma che vietava la compra-vendita e l'affittanza delle terre di­stribuite. Il partito comunista e il Fronte dei contadini aiutarono i contadini poveri a re­spingere la pressione dei contadini ricchi. In­tanto nelle campagne assumevano una funzione sempre maggiore le cooperative democratiche di acquisto, di consumo, di mutua assistenza nel lavoro e di altro genere. Queste coopera­tive attenuarono la dipendenza dei contadini poveri da quelli ricchi.

Il rafforzamento del potere popolare nel pae­se favorì la firma del trattato di pace tra la Romania e le potenze della coalizione antihi­tleriana, avvenuta il 10 febbraio 1947.

Nel giugno 1947, su proposta del partito co­munista, il governo della Romania adottò una serie di misure per mettere ordine nell'econo­mia e aumentare la produzione agricola e indu­striale. Una commissione per la rinascita del­l'economia nazionale, munita di larghi poteri, contribuì energicamente alla ricostruzione e alla riorganizzazione dell'economia. Malgrado l'azione contraria dei rappresentanti della bor­ghesia nel governo e nel parlamento, il potere popolare proseguiva senza soste in una politi­ca di attacco contro i capitalisti nelle città e nelle campagne, cercando di sviluppare le for­ze produttive del paese. Malgrado tutto, però, nel 1947 il volume della produzione industria­le era appena il 50 per cento di quello del 1938. Una grande importanza per il risana­mento dell'economia del paese ebbe la rifor­ma monetaria dell'agosto 1947, che limitò for­temente le somme a disposizione dei capitali­sti: per un milione di vecchi lei furono dati 50 nuovi lei. Per i lavoratori, il cambio fu effettuato a condizioni più favorevoli.

Una controprova dell'approvazione e dell'ap­poggio del popolo alla politica del potere po­polare venne data dall'aumento impetuoso de­gli iscritti al Partito comunista romeno, che alla fine del 1947 avevano raggiunto le 700 mi­la unità.

Le profonde modificazioni politiche e sociali che avevano avuto luogo nel paese, e il raf­forzamento della funzione della classe operaia e dell'alleanza operaio-contadina, portarono al­la liquidazione dei partiti di destra, che si misero a organizzare complotti, cercando di far intervenire gli imperialisti nei problemi interni del paese. Essi cercarono di trascinare il paese nel sistema del «piano Marshall» e persino di creare un governo in esilio. Nel luglio 1947, era stato interdetto il partito nazional-zaranista di Maniu, che da partito politico si era tra­sformato in una organizzazione di cospiratori.

I deputati che lo rappresentavano furono esclusi dal Parlamento. Poco dopo si autosciolse il partito nazional-democratico. Il processo contro i cospiratori del partito nazional-zaranista svoltosi nell'ottobre e novembre del 1947 mise in luce l'attività antigovernativa dei gruppi di Tatarescu e di Alexandrescu, ul­timi rappresentanti della borghesia nel gover­no. Il 5 novembre 1947 il Parlamento appro­vò un voto di sfiducia a Tatarescu, che occupa­va il posto di ministro degli esteri. Ciò ebbe come conseguenza l'allontanamento dal Parla­mento anche dei suoi seguaci. Nel nuovo go­verno entrarono 7 comunisti, 5 socialdemocra­tici e 6 esponenti del Fronte dei contadini.

Poco dopo fu affidato a un rappresentante del partito comunista anche il portafoglio della di­fesa nazionale. Tutto ciò facilitò la democra­tizzazione dell'esercito, così come furono gra­dualmente democratizzati, riorganizzati e mo­dificati nelle loro funzioni gli altri settori del­l'apparato statale. Praticamente stava per es­sere portato a termine il passaggio, nel quadro della democrazia popolare, dalla dittatura de­mocratico-rivoluzionaria alla dittatura del pro­letariato, iniziato nel marzo 1945.

In queste condizioni l'esistenza della monar­chia, centro di raccolta di tutte le forze reazio­narie, era diventata anacronistica. Il 30 dicem­bre re Michele fu costretto ad abdicare. Lo stesso giorno, in una seduta straordinaria del Parlamento, fu proclamata la decadenza della monarchia e la costituzione della Repubblica Popolare Romena. Con questi atti si compiva il processo della conquista del potere da parte della classe operaia, che aveva operato in al­leanza con i contadini lavoratori e tutte le for­ze democratiche. Era stata instaurata la ditta­tura del proletariato.


IL PASSAGGIO DELLA ROMANIA
ALL'EDIFICAZIONE DELLE BASI DEL SOCIALISMO

I passi avanti compiuti nel paese indussero le direzioni politiche dei due partiti operai a convocare una riunione comune, che ebbe luo­go il 27 settembre 1947. Nel corso di questa riunione fu riconosciuta la necessità immedia­ta di realizzare l'unità organizzativa dei partiti operai. Il 13 novembre 1947 fu pubblicata la piattaforma del partito operaio unificato che analizzava lo sviluppo del movimento operaio romeno e ne indicava i compiti per l'edifica­zione di una nuova Romania socialista. Dal 21 al 23 febbraio del 1948 ebbe luogo il congres­so di unificazione, dal quale uscì il Partito operaio romeno. Del nuovo partito facevano parte 805 mila comunisti e 132 mila social­democratici. Il congresso decise di passare al­l'edificazione delle basi del socialismo.

Nel frattempo era stato ultimato il lavoro at­torno al progetto della nuova Costituzione che nel febbraio 1948 venne sottoposta a pubblica discussione. Il 28 marzo furono effettuate le elezioni alla Grande assemblea nazionale, con 1100 candidati di 4 liste, per 414 seggi. I can­didati del Fronte democratico popolare costi­tuivano una lista unica della quale facevano par­te il Partito operaio romeno, il Fronte dei con­tadini, l'Alleanza popolare ungherese e i sinda­cati unitari. Questa lista raccolse il 93 per cento dei voti. Il 13 aprile 1948 la Grande assemblea nazionale approvava la Costituzione della Re­pubblica Popolare Romena. In essa era detto che la storica vittoria dell'URSS sul fascismo tedesco e la liberazione della Romania da par­te della valorosa Armata rossa avevano offerto ai lavoratori, guidati dalla classe operaia con alla testa il partito comunista, la possibilità di abbattere la dittatura fascista, di distruggere il potere delle classi sfruttatrici e di creare uno stato democratico-popolare. La Costituzione proclamava la Repubblica Popolare Romena uno Stato dei lavoratori delle città e delle cam­pagne, che appoggiava soltanto gli imprendi­tori privati che erano al servizio degli interessi sociali, e operava per il rafforzamento della cooperazione e della proprietà statale. Uno dei principali atti legislativi approvati dalla Grande assemblea nazionale, su iniziati­va del Partito operaio romeno, fu la legge del­l'11 giugno 1948 sulla nazionalizzazione dei principali stabilimenti industriali, delle minie­re, dei trasporti ferroviari, delle banche e del­le compagnie di assicurazione.

L'applicazione di questa legge aveva modifica­to radicalmente la situazione del paese. Buona parte delle forze produttive era ormai concen­trata nelle mani dello Stato. Grazie alla nazio­nalizzazione era stata espropriata la classe dei grandi capitalisti e più di 1600 stabilimenti industriali, tutti quelli che occupavano più di 50 operai, erano passati in proprietà statale. La nazionalizzazione dei trasporti e delle co­municazioni, la concentrazione di tutte le ope­razioni creditizie nella Banca nazionale di Sta­to, l'introduzione del monopolio sul commer­cio con l'estero, permisero di passare ad altre misure pianificate, dirette alla trasformazione socialista della Romania.

Dopo la nazionalizzazione dei principali mezzi di produzione, il settore socialista divenne do­minante nell'industria, nei trasporti, nelle assi­curazioni e anche nel commercio con l'estero.

Il 27 dicembre 1948 la Grande assemblea na­zionale approvò il primo piano statale per il ripristino e lo sviluppo dell'economia naziona­le. Esso prevedeva soprattutto lo sviluppo del­l'industria pesante, l'inizio della riorganizza­zione dell'agricoltura su principi socialisti, la applicazione di una serie di misure per l'eleva­mento delle condizioni materiali e culturali dei lavoratori. Nel corso del 1949, grazie agli sforzi della classe operaia, che aveva dato ini­zio all'emulazione socialista, la produzione in­dustriale aveva superato del 9 per cento quella prevista dal piano e, nel suo complesso, aveva raggiunto il livello d'anteguerra. L'industria romena si era estesa a molti nuovi settori pro­duttivi, tra l'altro a quello dei trattori.

Il ripristino e lo sviluppo dell'industria con­sentirono al potere popolare di dedicarsi al­l'altro problema urgente, che era quello dello sviluppo dell'agricoltura. La riforma agraria del 1945 non aveva risolto il problema della terra: le aziende contadine povere rappresen­tavano più del 57 per cento del numero com­plessivo delle imprese agricole e disponevano solo del 20 per cento della proprietà terriera.

Le aziende contadine erano costituite in mag­gioranza da piccoli appezzamenti. Nel 1948 nel paese vi erano circa 3 milioni di aziende contadine, che erano suddivise in circa 20 mi­lioni di appezzamenti. Il partito operaio e il governo adottarono numerose misure per an­dare incontro ai contadini poveri a medi: fu­rono nazionalizzate le terre del re e quanto rimaneva delle grandi proprietà, cioè le superfici fino a 50 ettari lasciate dalla riforma.

Ma la mancanza di forza motrice e di attrez­zature, il basso livello agrotecnico e la scarsa mercantilità potevano essere superati nell'in­teresse di tutti i lavoratori e degli stessi conta­dini solo mettendosi sulla strada della riorga­nizzazione socialista dell'agricoltura.

La riunione del Comitato centrale del Partito operaio romeno tenutasi tra il 3 e il 5 marzo 1949 affrontò il problema della cooperazione di lavoro dei contadini. Nella soluzione di que­sto compito grandioso, una funzione notevole fu affidata alle stazioni di macchine e trattori, la cui creazione aveva avuto inizio fin dal 1948 nelle aziende agricole statali.

Dopo la riunione di marzo, molte delle unioni contadine formatesi nel 1948 per la lavora­zione in comune della terra e l'uso in comune degli attrezzi, cominciarono a trasformarsi in cooperative agricole di produzione. Nel 1949 erano state costituite 56 aziende collettive, che comprendevano più di 4000 famiglie con­tadine. Alcune cooperative agricole di produ­zione ricevettero la terra dal fondo statale.

Assieme al Partito operaio romeno prese par­te attiva all'iniziata trasformazione della cam­pagna romena anche il Fronte dei contadini. Nell'aprile del 1949, per democratizzare ulte­riormente l'apparato statale furono soppressi i vecchi organi dell'amministrazione dello Sta­to. I comitati provvisori che furono istituiti al loro posto assolsero la funzione di organi lo­cali del potere fino all'elezione dei Consigli popolari del dicembre 1950.


LA POLITICA ESTERA

Il radicale cambiamento dei rapporti di forza tra le classi intervenuto in Romania dal 1945 al 1949, fu accompagnato da una nuova poli­tica estera. Sulla base del trattato sovietico-romeno dell'8 maggio 1945, la cooperazione economica tra i due paesi, diventata il fattore più importante per la ricostruzione, la riorga­nizzazione e lo sviluppo economico della Ro­mania, assunse vaste dimensioni. Nel 1945 l'URSS assorbiva il 94 per cento delle esporta­zioni romene e partecipava alle importazioni della Romania per il 97 per cento.

Alla Conferenza della pace, apertasi nel 1946 a Parigi, la Romania ottenne il riconoscimento di Stato cobelligerante e il diritto a riparazioni da parte della Germania per i danni subiti do­po il 23 agosto 1944. Venivano anche ridotti i compensi dovuti dalla Romania ai monopoli stranieri per le loro proprietà. Le posizioni del­la Romania erano state sostenute in modo conseguente dall'URSS.

Tenendo conto del contributo da essa recato nella fase conclusiva della lotta contro la Ger­mania hitleriana, l'Unione Sovietica accettò di ridurre la somma delle riparazioni dovutele a un solo quinto dei danni recatile dall'esercito fascista romeno. Grazie all'azione dell'Unione Sovietica, fallirono i tentativi della Gran Bre­tagna e degli USA di imporre il proprio domi­nio sulla navigazione danubiana.

Il 10 febbraio 1947, dopo la firma del trat­tato di pace, l'URSS e la Romania conclusero un nuovo accordo economico con il quale l'URSS si impegnava a fornire alla Romania ingenti quantitativi di attrezzature e materie prime, sulla base del reciproco vantaggio. In seguito a questo accordo, a partire dal 1° lu­glio 1948 l'URSS riduceva del 50 per cento le già modeste riparazioni che le spettavano se­condo il trattato di pace.

La firma del trattato di pace dette alla Roma­nia la possibilità di intensificare la sua azione nel campo della politica estera. Le visite di de­legazioni romene in Ungheria (maggio 1947), Bulgaria (luglio 1947), Cecoslovacchia (set­tembre 1947) contribuirono alla soluzione di una serie di problemi di interesse comune e si conclusero con la firma di accordi bilaterali di cooperazione economica e culturale. La Ro­mania aveva rafforzato le sue posizioni di Sta­to democratico-popolare sovrano con la dichia­razione di rigetto del «piano Marshall» del­l'11 luglio 1947. Alla fine del 1947 essa ave­va già relazioni diplomatiche con 23 Stati e rapporti commerciali con 26.

L'appoggio dell'URSS e degli altri paesi di de­mocrazia popolare avevano consentito alla Ro­mania di sottrarsi alle pressioni che USA e Gran Bretagna cercavano di esercitare nei suoi confronti. Rifiutandole i rifornimenti di vi­veri, dei quali aveva assoluto bisogno dopo di­versi anni di carestia, e ostacolando la sua en­trata all'ONU (la Romania vi fu ammessa so­lo nel dicembre 1955) questi paesi tentarono di modificare il corso politico dello sviluppo della Romania. La campagna ostile scatenata dagli imperialisti occidentali dopo la liquida­zione della monarchia in Romania non riuscì a influire sulle posizioni internazionali del paese, posizioni che si erano maggiormente rafforzate dopo la firma del trattato sovietico-romeno di amicizia, cooperazione e mutua assistenza, avvenuta a Mosca il 4 febbraio 1948. Questo trattato, concluso in un momen­to in cui la situazione internazionale era parti­colarmente tesa per il ricatto atomico eserci­tato dalle potenze occidentali che cercavano di premere sul sistema socialista mondiale in via di formazione, diventò il garante della li­bertà e dell'indipendenza della Romania, del suo sviluppo socialista. Trattati analoghi fu­rono conclusi tra la Romania democratico-po­polare e altri paesi di democrazia popolare: con la Bulgaria (16 gennaio 1948), l'Ungheria (24 gennaio 1948), la Cecoslovacchia (21 luglio 1948), la Polonia (26 gennaio 1949). La Re­pubblica Popolare Romena prese parte, nel gennaio 1949, alla costituzione del Consiglio di mutua assistenza economica.