La rivoluzione trompe l'oeil

Il testo che segue è tratto dalla scheda di presentazione dedicata dal canadese Pierre Verluise (www.diploweb.com - La revue géopolitique) al libro del dissidente anticomunista rumeno Radu Portocală, Exécution des Ceausescu: la vérité sur une révolution en trompe-l'oeil, Larousse, Parigi, novembre 2009.


Doppio gioco

Capitolo I, «Una fine annunciata», sostiene che l'URSS ha un ruolo attivo nella decomposizione del suo impero, a cominciare dal 2 maggio 1989 quando l'Ungheria apre un varco nella cortina di ferro. Per l'autore l'apertura del muro di Berlino nasce da "una sollecitazione, se non un vero e proprio ordine" sovietico (p. 23). In questo contesto Ceausescu suscita l'ira del segretario del PCUS Gorbaciov perchè rifiuta di "stare al gioco". Il dirigente rumeno che dà fastidio ha ormai i giorni contati. "Una frazione della Securitate e probabilmente l'intera direzione dei servizi di informazione militari non solo era al corrente di quanto stava per accadere, ma partecipava alla preparazione degli avvenimenti facendo - chissà da quanto tempo? - il doppio gioco: obbedienti alla volontà di Cecausescu e ligi alle regole della dittatura mentre complottavano contro di lui, animati non da considerazioni di morale politica, ma dalla speranza di recuperare parte del potere che egli avrebbe perso" (p. 34).

Capitolo II, «Gioco di specchi», presenta gli attori della messa in scena del dicembre 1989. Si tratta dei quadri di seconda fila sondati per assicurare il passaggio dei poteri: Ion Iliescu, Silviu Brucan, Dumitru Mazilu, Nicolae Militaru - un agente del servizio di informazione militare sovietico (GRU) - Virgil Magureanu, Petre Roman, Gheorghe Radulescu... Quest'ultimo in posizione chiave di potere e vicino a Mosca, a garanzia della protezione degli altri. «Sono insomma la parte visibile, e persino ostentata di quello che si può chiamare il complotto» (p. 45). L'operazione decolla il 15 dicembre 1989 a Timisoara, una città della parte occidentale della Romania, vicina ai confini dell'Ungheria e della Jugoslavia. Nel libro si possono leggere i dettagli.

Operazione legittimazione

Capitolo III, «Timisora, i morti veri», si concentra sul ruolo di migliaia di "turisti" sovietici, atletici e armati. A Timisoara la loro missione è duplice: «dapprima fungere da catalizzatore, incitare i manifestanti, spingerli più avanti possibile nelle manifestazioni di rabbia; poi dare alla manifestazione un carattere aggressivo, far danni, provocare la reazione brutale delle forze dell'ordine» (p. 53) In capo a due giorni si contano in città 73 morti e 296 feriti. Alcuni collaboratori della Securitate contribuiscono a infiammare gli animi. L'autore ricostruisce in dettaglio quei giorni e s'interroga: «E' certo necessario chiedersi chi ha sparato. Ma è altrettanto indispensabile chiedersi il perchè e soprattutto perchè con l'intenzione evidente di fare dei morti. Bisognava, a qualsiasi prezzo, che ci fossero dei martiri perchè la città intera e infine il paese si sollevasse? Gli spari avevano il fine, mostruoso, di fare da catalizzatori? Vista l'importanza della posta in gioco è molto probabile che sia proprio questo il calcolo che fu fatto» (p. 61). «Dato che l'eccidio di Timisoara si è dimostrato utile e ha giustificato e legittimato tutto quello che è successo dopo, è assai probabile che i responsabili non saranno mai cercati e tanto meno puniti. Tanto più che alcuni di loro, dopo i fatti, hanno dismesso i panni di falsi turisti e in piena impunità hanno fatto ritorno in patria» (pp. 63-64).

Capitolo IV, «Timisoara: il falso massacro» si concentra sull'affare del falso «carnaio di Timisoara » e analizza i metodi di disinformazione utilizzati, notando tra l'altro che vengono amplificati dalla «glasnost» adottata in precedenza da Gorbaciov. Da molti anni ormai i giornalisti occidentali avevano perso i riflessi professionali di base per qualsiasi informazione proveniente dall'Est. I media ungheresi e jugoslavi da parte loro si mettono scientificamente al lavoro.

Capitolo V, «Un dittatore senza potere», mostra come il potere abbandoni via via il suo detentore per concentrarsi in un punto che rimane nell'ombra.

"La messa a morte del tiranno"

I due ultimi capitoli presentano la messa in scena della «rivoluzione in diretta» negli studi della televisione, dove si ritrovano Ion Iliescu, Silviu Brucan, Petre Roman e altri con solidi vincoli di connivenza. Intorno ai membri del nuovo gruppo dirigente si spara per dare l'impressione che siano in pericolo, ma si evita accuratamente di sparare nella loro direzione. Il 26 décembre 1989 Petre Roman è nominato primo ministro. «La compagine ministeriale formata quel giorno comprende 14 agenti della Securitate e dei servizi segreti» (p. 119). Per finire l'autore mette a fuoco la sceneggiatura della «messa a morte del tiranno», ritenuta necessaria dagli organizzatori della pseudo rivoluzione.