L'ASSALTO AL CIELO
La fase dello sviluppo del socialismo
in URSS e nel mondo

  Il 1917 rappresenta il salto qualitativo dello sviluppo del movimento comunista. Non si tratta più, da allora, dell'espansione organizzativa del movimento operaio e socialista, ma di un passaggio epocale in cui viene lanciata la sfida al sistema capitalistico giunto alla sua fase imperialista e si inizia a realizzare la costruzione di un sistema alternativo che parte dalla Russia e che nei decenni successivi diventerà qualcosa di molto più esteso: il campo socialista.

  Alla base di tutto questo c'è stata l'opera di un gigante del pensiero rivoluzionario come Lenin, che riesce a concepire un progetto che non riguardava solo la Russia zarista, la sua trasformazione in paese socialista, ma assumeva, sin dall'inizio, una dimensione mondiale. Infatti il 1917 non è solo l'anno della rivoluzione bolscevica, ma anche la premessa della ricostituzione attorno ad essa di una nuova internazionale, la Terza Internazionale comunista.

  Se questo collegamento storico è scontato, quello che occorre mettere in evidenza è il fatto che Lenin, oltre ad andare fino in fondo nel processo rivoluzionario in Russia, passando dalla prima fase alla seconda con il potere ai Soviet e l'insurrezione, ha collegato a questa scelta un progetto di sviluppo mondiale del socialismo e ha lavorato affinchè questo progetto, con la III Internazionale, avesse le gambe per marciare. La sua grandezza, il suo peso nella storia, stanno appunto in ciò, oltre che, ovviamente, nelle sue capacità teoriche.

  Molti comunisti sono stati abituati a ripetere a mo’ di versetti i testi leniniani. In realtà ciò che impressiona della ricostruzione storica del lavoro svolto da Lenin è la capacità di concepire un disegno di quel genere e di portarlo avanti concretamente. E' vero che esso aveva avuto come retroterra l'esperienza di Marx ed Engels del XIX secolo con l'Associazione internazionale dei lavoratori, ma c'era, in rapporto anche alla diversa condizione storica, una differenza sostanziale. La Terza Internazionale, dal momento della sua costituzione nel 1919, assumeva il ruolo non di una Associazione internazionale di lavoratori, ma di un partito mondiale della rivoluzione comunista, tant'è che gli aderenti si definivano appunto ‘sezioni dell'Internazionale’ comunista. Con la rivoluzione russa e sotto la direzione di Lenin il movimento comunista e proletario lanciava dunque la sua sfida al sistema dello sfruttamento e dell'imperialismo in maniera organizzata e globale.

  L'azzardo di Lenin, per quanto audace, aveva, è bene ricordare, come basi oggettive due fatti molto importanti: la situazione rivoluzionaria in Russia, che già si era manifestata nel 1905, e le conseguenze della guerra imperialista del 1914-1918. Due dati questi che analizzati in profondità portavano un partito rivoluzionario con una base teorica come quella leniniana a definire un progetto all'altezza delle contraddizioni che il nascente imperialismo stava determinando.

  Ma questo azzardo fino a che punto ha spinto la situazione mondiale e in quali condizioni si è andato sviluppando?

  In linea generale è indubbio che gli effetti della rivoluzione russa e del lavoro svolto dalla Terza Internazionale, anche se c'è stato il crollo dell'URSS e dei paesi socialisti dell'est Europa, sono presenti ancora oggi nel mondo e la sua ‘spinta propulsiva’ si manifesta ancora, direttamente e indirettamente. Berlinguer, con la sua affermazione sulla fine di questa spinta propulsiva non diceva la verità, ma voleva sbarazzarsi di un'ingombrante realtà per andare verso il compromesso storico. I fatti, come vedremo, lo hanno contraddetto, anche se poi i passaggi del percorso comunista, come la storia sta dimostrando, non sono andati e non vanno in linea retta, ma seguono una linea più complessa e articolata.

  Nella situazione odierna dunque, in una condizione completamente cambiata rispetto agli anni '90 del secolo scorso, la continuità del processo storico iniziato dai comunisti col manifesto del 1848 mantiene la sua potenzialità e pericolosità per il sistema imperialista mondiale e il suo ‘spettro’ non si aggira solo in Europa, ma ha assunto dimensioni planetarie.

  Prima di andare però a valutare questi aspetti della situazione, di cui ci occuperemo nel quarto capitolo, è importante capire il percorso e gli effetti reali che ha avuto il processo innescato con la Rivoluzione d'Ottobre e con la creazione dell'internazionale comunista fino all'epilogo del 1956 mettendo a confronto il progetto elaborato da Lenin nel 1917 con i passaggi successivi. E nel far questo emergono anche le difficoltà affrontate e gli insegnamenti ricavati, che servono ad arricchire la conoscenza dei comunisti sui processi storici nella loro concretezza.

  La Rivoluzione d'Ottobre apriva sì le porte alla trasformazione della Russia, ma in quali condizioni e con quali difficoltà poteva essere portato avanti questo processo, di cui la presa del potere era stata l'inizio?

  Il dato di partenza da considerare per una valutazione oggettiva delle cose è ciò che Lenin e il partito bolscevico si sono trovati davanti dopo la presa del potere e come hanno potuto affrontare la situazione e fino a che punto la loro azione rivoluzionaria e quella del movimento comunista si è potuta spingere. Affrontare il processo storico che ha accompagnato lo sviluppo del socialismo in Russia come nel resto del mondo senza appropriarsi di una capacità di analisi concreta della realtà ha segnato il punto di crisi del marxismo che invece di scienza è diventato ideologia. Ed è per questo che oggi riproponiamo una rilettura materialistica dell'esperienza comunista.

  Per iniziare questo tipo di percorso c'è intanto, in proposito, uno scritto di Lenin dell'aprile 1918 intitolato 'I compiti immediati del potere sovietico' [1] [qui] in cui egli esamina al primo punto 'La situazione internazionale della repubblica sovietica russa e i compiti fondamentali della rivoluzione socialista' che evidenziano quella capacità senza la quale per l'azzardo rivoluzionario non ci sarebbe stato futuro.

  I punti salienti di questo testo che è stato scritto solo sei mesi dopo l'Ottobre vengono indicati qui di seguito. Innanzitutto la pace immediata.

  “Per quanto gravosa e precaria essa sia - scrive Lenin - dà alla Repubblica sovietica russa la possibilità di concentrare per un certo tempo le sue forze sul settore più importante e più difficile della Rivoluzione socialista, e precisamente sul compito dell'organizzazione”. Quindi Lenin non solo ribadisce la validità della scelta di firmare la pace di Brest, ma afferma che questa era la condizione perchè la Russia dei Soviet potesse continuare a portare avanti il suo programma socialista. Si capisce perciò perchè Lenin abbia affrontato con durezza lo scontro con i 'sinistri', da Bukharin a Trotsky e si sia deciso di mettere in chiaro nel suo libro 'Il comunismo malattia infantile del comunismo' che la rivoluzione è un processo razionale che tiene conto di tattica e di strategia calcolate al millimetro e che questa posizione va mantenuta contro tutti i tentativi di deviarla su posizioni ondivaghe o pseudo rivoluzionarie. La rivoluzione non è un atto romantico, ma per i marxisti è la scienza della trasformazione sociale che va analizzata nella sua concretezza.

  L'impianto del testo di Lenin sui 'Compiti immediati del potere sovietico' è centrato sul primo passaggio che la Russia dei Soviet era obbligata a fare: organizzare non solo il partito, ma anche l'intera società russa per intraprendere la via della trasformazione socialista.

  “La risoluzione dell'ultimo Congresso dei Soviet a Mosca - scrive Lenin - pone, come primissimo compito del momento, la creazione di un'organizzazione ben congegnata e il rafforzamento della disciplina. Le risoluzioni di tal genere sono ora approvate e sottoscritte volentieri da tutti, ma di solito non si riflette abbastanza sul fatto che la loro attuazione impone la costrizione, e precisamente la costrizione sotto forma di dittatura. E sarebbe tuttavia dar prova di una grandissima stupidità e cadere nel più assurdo utopismo ritenere che senza costrizione e senza dittatura si possa passare dal capitalismo al socialismo”. E ancora “La teoria di Marx già molto tempo fa prese posizione contro questa assurdità piccolo-borghese e anarchica”.

  E quindi qual è la conclusione che ne trae Lenin? In sostanza, egli scrive, “...non è difficile persuadersi che in ogni transizione dal capitalismo al socialismo la dittatura è necessaria per due ragioni essenziali, o in due direzioni principali. In primo luogo non si può vincere ed estirpare il capitalismo senza reprimere implacabilmente la resistenza degli sfruttatori che non possono di colpo essere privati delle loro ricchezze, dei vantaggi della loro organizzazione e del loro sapere e che quindi, per un periodo di tempo relativamente lungo, tenteranno inevitabilmente di rovesciare l'aborrito potere dei poveri. In secondo luogo, ogni grande rivoluzione e specialmente una rivoluzione socialista, anche se non ci fosse una guerra esterna, è inconcepibile senza una guerra interna, cioè una guerra civile che porta con sè uno sfacelo ancora maggiore che una guerra esterna”, ma questo, dice Lenin, è un passaggio necessario del processo rivoluzionario.

  Nelle conclusioni del suo scritto Lenin sintetizza la situazione esistente subito dopo la presa del potere con queste parole:

  “Situazione straordinariamente penosa, difficile e pericolosa dal punto di vista dei rapporti internazionali; difficoltà di manovrare e di ritirarsi; periodo di aspettativa dei nuovi scoppi rivoluzionari che maturano in Occidente con tormentosa lentezza; nell'interno del paese, periodo di lenta ricostruzione, di uno spietato stringer di freni, di lotta lunga e tenace, di severa disciplina proletaria contro il minaccioso elemento della rilassatezza e dell'anarchismo piccolo-borghese”.

  Partendo da questa impostazione che evidenzia in modo molto chiaro il metodo con cui il partito bolscevico stava affrontando la situazione dopo la presa del potere, viene evidente il collegamento con ciò che avverrà dopo la morte di Lenin, con Stalin alla guida del partito e dello Stato sovietico. E' bene che questa riflessione venga fatta perchè la vulgata corrente è quella di un Lenin 'democratico' e uno Stalin che usava le maniere spicce nel risolvere le questioni politiche. In realtà, se i compagni leggeranno con attenzione i testi che alleghiamo, la posizione di Lenin su come affrontare lo scontro, prima e dopo la rivoluzione, è durissima e a volte spietata.

  Come è stata applicata questa linea e a che risultati ha portato?

  Siamo nel 1921, il 28 agosto appare sulla Pravda uno scritto di Lenin [qui] dal titolo 'Tempi nuovi, vecchi errori in forma nuova' [2] in cui si trae un bilancio della Rivoluzione a quattro anni dalla presa del potere.

  “Prima tappa, per così dire puramente politica, dal 25 ottobre al 5 gennaio, giorno in cui fu sciolta l'Assemblea costituente. In una decina di settimane noi facemmo, per l'effettiva e completa distruzione dei resti del feudalesimo in Russia, cento volte di più che non avessero fatto i menscevichi e i socialisti-rivoluzionari negli otto mesi del loro potere (dal febbraio all'ottobre 1917).

  Seconda tappa. La pace di Brest. Orgia della fraseologia rivoluzionaria contro la pace: fraseologia semipatriottica nei socialisti-rivoluzionari e nei menscevichi, fraseologia di 'sinistra' in una parte dei bolscevichi… frasi come quella affermante che noi non abbiamo fede nelle forze della classe operaia ne udimmo allora a iosa, ma non ci lasciammo ingannare da queste frasi.

  Terza tappa. La guerra civile a cominciare dai cecoslovacchi e dai difensori della Costituente fino a Vrangel nel 1918-1920. Il nostro Esercito rosso all'inizio della guerra non esisteva... e ciò nonostante, siamo riusciti vittoriosi dalla lotta contro l'Intesa che ha una potenza mondiale.

  Quarta tappa. L'Intesa è costretta a cessare (per molto tempo?) l'intervento e il blocco”.

  Nonostante questi risultati - scrive però Lenin - “Il nemico è oggi la realtà economica quotidiana in un paese di piccoli contadini, in cui la grande industria è in rovina… Noi non sminuiamo il pericolo. Lo guardiamo bene in faccia. Noi diciamo agli operai e ai contadini: il pericolo è grande; più coesione, fermezza, sangue freddo; cacciate dalle vostre file i menscevizzanti, i seguaci dei socialisti-rivoluzionari, gli allarmisti e gli strilloni”.

  Da questo clima e da queste situazioni, se andiamo a guardate gli sviluppi della situazione in Russia a circa quindici anni da quando queste cose sono state dette e scritte per verificare cosa fosse accaduto nel frattempo, ci troviamo di fronte ad una situazione totalmente cambiata.Siamo nel 1938 dopo la realizzazione del secondo piano quinquennale. La situazione viene descritta nella 'Storia del Partito comunista (bolscevico) dell’URSS – breve corso' [3] al capitolo XII: 'Il partito bolscevico in lotta per il compimento dell'edificazione della società socialista. La nuova Costituzione entra in vigore' [qui].

  Il quadro generale è quello di un mondo capitalista squassato ancora dalle conseguenze della crisi economica del 1929 e in procinto di affrontare una seconda guerra mondiale. Ma, leggiamo nel testo, “mentre nei paesi capitalistici, a soli tre anni dalla crisi economica del 1930-1933, sopravveniva un'altra crisi economica, nell'URSS in tutto quel periodo continuava irresistibilmente l'ascesa industriale. Se l'industria capitalistica mondiale raggiungeva nel suo complesso, verso la metà del 1937, a mala pena il 95-96 per cento del livello del 1929, per cadere poi, nella seconda metà del 1937, in una nuova crisi economica, l'industria dell'URSS, nella sua ascesa sempre più rigorosa, raggiungeva verso la fine del 1937 il 428 per cento rispetto al livello del 1929, e in confronto all'anteguerra era più che settuplicata”.

  Quanto all'agricoltura, un'ascesa quasi identica si andava verificando. “La superficie seminata - tenendo conto di tutte le coltivazioni – è aumentata da 105 milioni di ettari nel 1913 (periodo dell'anteguerra) a 135 milioni di ettari del 1937. La produzioni cerealicola è aumentata da 4,800 milioni di pud [4] nel 1913 a 6800 milioni di pud nel 1937; la produzione del cotone greggio da 44 milioni a 154 milioni di pud; la produzione delle barbabietole da 654 milioni a 1311 milioni di pud; la produzione di piante oleacee da 129 milioni a 306 milioni di pud”.

  Per andare più nel dettaglio dello sviluppo economico del socialismo in URSS utilizziamo anche i dati e le valutazioni contenuti nel volume di un economista importante come Maurice Dobb [5] che ci fornisce molti dati sullo sviluppo economico dell'URSS nel periodo in cui Stalin ha diretto il paese e il Partito comunista.

  Nel prendere in considerazione lo sviluppo economico dell'URSS nel periodo del secondo piano quinquennale che va dal 1933 alla fine del 1937 Maurice Dobb segnala che il secondo piano quinquennale aveva come parola d'ordine 'impadronirsi della tecnica' e 'consolidare i successi ottenuti' negli anni precedenti con maggiore attenzione al miglioramento qualitativo del lavoro svolto sia nelle aziende agricole collettive che nei nuovi impianti delle industrie di recente costruzione. Al termine del secondo piano quinquennale i quattro quinti della produzione industriale avrebbero dovuto essere forniti dalle aziende costruite ex novo o completamente ricostruite durante il primo o il secondo quinquennio.

  “Condizione per il raggiungimento di questo obiettivo era che si riuscisse a impadronirsi di tutti gli aspetti del funzionamento delle nuove aziende e delle nuove tecniche rendendo in tal modo possibile un notevole aumento della produttività del lavoro, la diminuzione dei costi di produzione e un deciso miglioramento della qualità dei prodotti”.

  Sulla base di questa impostazione i risultati arrivarono. “Nel caso dell'industria pesante la produzione della ghisa denotò un sensibile miglioramento; nel 1937 la produzione fu pari al doppio del 1932 - con un aumento dunque del 20% annuo. L'industria dell'acciaio aveva invece superato il suo obiettivo, facendo passare la produzione dai 6 milioni di tonnellate del 1932 alla impressionante cifra di 17,6 milioni di tonnellate del 1937. Anche la produzione degli acciai laminati era triplicata… D'altra parte i risultati conseguiti dall'industria meccanica furono ancora una volta eccezionali: essa triplicò la sua produzione complessiva, mentre il suo obiettivo era raddoppiarla. L'industria automobilistica diede l'esempio, adempiendo esattamente il compito assegnatole di aumentare di otto volte la produzione.

  Fu soprattutto grazie a questi successi dell'industria meccanica (i cui prodotti avevano un notevole peso sulla valutazione totale della produzione industriale) che la produzione della grande industria superò leggermente le cifre previste dal piano, aumentando del 121% nel corso di cinque anni, contro il 114% previsto”.

  Sulla base di questi dati, i fatti dimostrano che nonostante le enormi difficoltà, guerra civile, accerchiamento imperialista, carestie, arretratezza storica del paese, scontro interno alla società (kulak), opposizione alla linea che aveva portato a questi risultati (Trotsky, Bucharin, Zinoviev, Kamenev), alla fine degli anni trenta l'URSS era in grado di competere nell'arena internazionale e di assicurare lo sviluppo del socialismo nel paese. La grande prova era stata superata.

  E’ in questo contesto che all'VIII Congresso dei Soviet viene presentato il nuovo progetto di Costituzione che metteva in evidenza come: “Durante gli anni precedenti, il rapporto di forza delle classi era completamente cambiato; era stata creata una nuova industria, l'industria socialista; i kulak erano stati stracciati; il regime colcosiano aveva vinto; la proprietà socialista dei mezzi di produzione si era affermata in tutta l'economia nazionale come la base della società sovietica. La vittoria del socialismo rendeva possibile proseguire la democratizzazione del sistema elettorale, introdurre il suffragio universale, eguale, diretto, a scrutinio segreto”.

  Di fatto si dichiarava superata la fase rivoluzionaria dell'edificazione del socialismo e si entrava in un periodo di normalizzazione. Veniva per questo modificata la Costituzione del 1924 che escludeva le classi sfruttatrici dal diritto di voto e l'URSS diventava lo ‘Stato di tutto il popolo’.

  Sull’affermazione che l'URSS fosse lo Stato di tutto il popolo la rivista teorica del Partito comunista cinese Hongqi (Bandiera rossa) prendeva però posizione criticando Stalin con un articolo del 1967 [qui]. Scrive Hongqi: “Dopo la realizzazione dell'industrializzazione e della collettivizzazione dell'agricoltura nell'Unione Sovietica, ovvero il virtuale completamento della trasformazione socialista della proprietà dei mezzi di produzione, Stalin nel novembre del 1936 fece un rapporto all'VIII Congresso dei Soviet intitolato 'Sul progetto di Costituzione dell’URSS'. Questo rapporto faceva correttamente il bilancio dei grandi successi ottenuti dall'Unione Sovietica nella sua rivoluzione socialista e nella sua edificazione socialista ma nello stesso tempo mostrava in maniera concentrata i difetti di Stalin nella teoria. La teoria di Stalin - prosegue il testo - mancò di ammettere che le classi e la lotta di classe esistono nella società durante tutto il periodo storico della dittatura del proletariato”. E questo, spiegavano i comunisti cinesi, avrebbe aperto la strada agli avvenimenti dopo il XX congresso del PCUS.

  Ma è corretto questo giudizio? Stalin si illuse davvero che il conflitto di classe fosse definitivamente superato? Il modo con cui egli diresse l'URSS fino alla sua morte dimostra che il concetto di dittatura del proletariato rimaneva valido, anche se le condizioni di gestione della società non potevano non adeguarsi alle nuove circostanze.

  Aldilà però di queste considerazioni critiche che servono per l'URSS come per la Cina e per ogni paese che lotta per la sopravvivenza del socialismo in un mondo in cui l'imperialismo opera attivamente e pesantemente, anche i comunisti cinesi mettevano in evidenza, nello scritto su Hongqi, che all'epoca della elaborazione della nuova Costituzione l'URSS aveva raggiunto grandi traguardi. Un fatto che, nonostante la crisi subita negli anni '90 del secolo scorso e la dissoluzione dell'URSS, consente alla Russia di mantenere ancora oggi un livello di potenza mondiale sulla base appunto delle strutture create nel periodo socialista.


  Lo sviluppo del movimento comunista e del socialismo nel periodo tra il 1930 e il 1940, non ha però riguardato solo l'URSS. Con la Terza Internazionale il movimento comunista si radicava sempre più a livello mondiale.

  Per capire l'importanza del lavoro dell’Internazionale comunista prendiamo qui in considerazione alcune delle tappe che ne hanno consolidato la base politica e lo sviluppo mondiale e in particolare il processo di bolscevizzazione dei partiti comunisti europei, la questione orientale e coloniale, il VII congresso e la lotta contro il fascismo. Sono altrettanti punti, questi, da cui è scaturito nei decenni successivi il grande balzo in avanti del movimento comunista e del socialismo nel mondo.

  La bolscevizzazione dei partiti comunisti è stata il punto di arrivo delle esperienze fatte dall'Internazionale fino al V Congresso. Siamo nell'aprile del 1925 e in quel contesto vengono elaborate, in sede di V Plenum, le tesi sulla bolscevizzazione dei partiti comunisti [qui] [6].

  Contrariamente all'immagine che se ne potrebbe ricavare dall'argomento trattato, non era solo un tentativo di inquadramento delle forze, ma una base teorica e tattica con cui i comunisti legati all'Internazionale andavano ad affrontare la nuova fase di sviluppo del movimento. Il testo in questione parte da una considerazione sul II congresso dell'Internazionale per marcare il passaggio avvenuto da allora.

  “La risoluzione del II Congresso mondiale del Comintern sul ruolo del partito nella rivoluzione mondiale - leggiamo nel testo - che venne elaborata con la diretta collaborazione del compagno Lenin, è uno dei più significativi documenti dell'Internazionale comunista ed ha conservato a tutt'oggi la sua assoluta importanza. Questa risoluzione venne redatta in un periodo in cui l'Internazionale comunista era appunto in fase di formazione e di essa facevano ancora parte gruppi semi-sindacalisti e semi-anarchici; essa aveva incominciato allora a formulare i 21 punti [7] e conduceva trattative con gli 'indipendenti' tedeschi e altre organizzazioni semi-socialdemocratiche circa la loro adesione all'Internazionale comunista.

  'Nel momento attuale - proseguivano le Tesi - quando ormai l'Internazionale comunista ha assunto forme solide ed ha svolto un concreto lavoro nella lotta tanto contro le tendenze di destra quanto contro quelle di ultra-sinistra, quando in una serie di paesi sono sorti partiti comunisti di massa che si sono consolidati, si presenta la necessità di definire non soltanto la concezione dell'Internazionale comunista sul ruolo del partito comunista nella rivoluzione proletaria, ma anche la sua concezione di ciò che va fatto affinchè i nostri partiti diventino entro il più breve possibile partiti bolscevichi al massimo grado”.

  Ma a questa esigenza di compattezza corrispondeva anche una capacità di portare avanti un'analisi dello sviluppo della situazione e una tattica sperimentata. In particolare veniva detto:

  “Fin dall'epoca del III Congresso del Comintern cominciò ad apparire chiaro che andavamo incontro a una fase di sviluppo più o meno rallentato della rivoluzione mondiale. Al V Congresso mondiale questo dato è emerso con chiarezza anche maggiore”. E per questo, dicono le Tesi “Non è bolscevico chi aderisce al partito nel momento in cui la marea rivoluzionaria monta: è bolscevico colui che sa costruire per anni, per decenni se necessario, il partito bolscevico anche in periodi di riflusso dell'onda rivoluzionaria, in anni in cui in cui la rivoluzione si sviluppa lentamente.

  Un partito bolscevico non nasce da solo al culmine dell'ondata rivoluzionaria.

  Gli elementi di destra o tentennanti all'interno del Comintern, e anche quelli che sono semplicemente vicini ad esso, credono che la parola d'ordine della bolscevizzazione dei partiti sia inopportuna dal momento che non significa un rapido sviluppo degli avvenimenti rivoluzionari. Non riescono a capire che, se il ritmo rivoluzionario rallenta, se di conseguenza aumentano le esitazioni in certi strati del proletariato e si diffonde invece uno stato d'animo favorevole alla socialdemocrazia controrivoluzionaria, tanto più indispensabile diventa la parola d'ordine della bolscevizzazione dei partiti”.

  Le tesi si soffermano in particolare sulle battaglie intraprese nell'Internazionale su una serie di posizioni rispetto alle quali il processo di bolscevizzazione viene legato al leninismo e ai suoi principi. Viene criticata in particolare Rosa Luxemburg a cui viene contestato di aver sottovalutato il metodo bolscevico di trattare una serie di questioni importanti: dalla spontaneità allo sviluppo dei livelli di coscienza, dal carattere dell'organizzazione alla concezione del movimento della massa. E in più la sottovalutazione tecnica del momento dell'insurrezione e gli errori nel rapporto con i contadini. E altrettanto gravi furono, secondo le Tesi, gli errori di Rosa Lunxemburg e di una serie di marxisti polacchi, olandesi e russi sulla questione nazionale.


  Mentre si andava consolidando il rapporto coi partiti comunisti europei e si preparava una seconda fase legata al VII Congresso dell'Internazionale dedicato al fascismo, da cui si sviluppò il grande movimento che portò la bandiera rossa sul Reichstag di Berlino e l'allargamento del socialismo nell'Europa dell’Est e nei Balcani, l'Internazionale aveva già da tempo lanciato la sua sfida anche in Oriente.

  Al IV Congresso, nel novembre 1922 erano state presentate le Tesi sulla questione orientale [8]. Con esse si prendeva atto che già dagli anni '20, in conseguenza anche degli esiti della prima guerra mondiale, si era verificato “...un inasprimento della lotta contro l'oppressione imperialista nei paesi coloniali e semicoloniali dovuto all'aggravata crisi dell'imperialismo sia in campo politico, sia in campo economico”. E le tesi specificano che: “L'arretratezza delle colonie si manifesta in quella molteplicità di movimenti nazional-rivoluzionari contro l'imperialismo che rispecchiano i vari stadi di transizione da condizioni feudali e feudal-patriarcali al capitalismo. Tale molteplicità dà all'ideologia di questo movimento un'impronta particolare”. Per questo “Il compito principale comune a tutti i movimenti nazionalisti rivoluzionari consiste nella realizzazione dell'unità nazionale e nel raggiungimento dell'indipendenza dello stato”. E per concludere le Tesi affermano che: “L'Internazionale comunista tenendo conto preciso del fatto che i rappresentanti dell'aspirazione nazionale all'indipendenza possono essere gli elementi più disparati a seconda delle diverse circostanze storiche, sostiene appunto qualsiasi movimento nazional-rivoluzionario contro l'imperialismo. Nello stesso tempo però non manca di considerare che soltanto una logica linea rivoluzionaria, la quale si proponga di trascinare nella lotta attiva vastissime masse, e l'imprescindibile rottura con tutti i fattori della riconciliazione con l'imperialismo possono consentire alle masse oppresse la vittoria”.

  L'Oriente è anche la Cina e qui si apre un'altra fase della lotta per il socialismo che investe il paese più popolato del mondo e che ha trasformato la lotta contro l'imperialismo e contro il feudalesimo in lotta armata rivoluzionaria sotto la direzione del Partito comunista cinese e di un grande leader come Mao.

  La Cina dunque apre un nuovo capitolo della storia mondiale di cui i comunisti sono stati protagonisti.

  La questione non è solo di dimensioni geografiche ma attiene al valore teorico e di esperienza pratica dei comunisti cinesi. Non è casuale che il PCC nella sua storia più che centenaria abbia sviluppato una capacità di elaborazione e di strategia che ha superato ogni altra esperienza comunista nel mondo. In particolare occorre constatare che mentre la Cina è oggi ancora diretta dai comunisti, l'URSS non esiste più.

  Nel considerare i vari aspetti in cui si è articolata la rivoluzione cinese bisogna tener contro di tre aspetti essenziali: l'analisi di Mao della società cinese da cui la rivoluzione è scaturita, l'audacia rivoluzionaria (osare combattere osare vincere) con cui i comunisti cinesi hanno intrapreso la loro opera rivoluzionaria e il dibattito interno che ha attraversato il PCC per seguire una linea adeguata alla situazione e che ha consentito ai comunisti di prendere il potere nel 1949.


  Partiamo innanzitutto dall'analisi della società cinese fatta da Mao. Il suo scritto intitolato 'Analisi delle classi nella società cinese' [9] è del 1926 [qui].

  “Quali sono i nostri nemici e quali sono i nostri amici?” - si chiede Mao - “La questione è di primaria importanza per la rivoluzione. Se nel passato tutte le lotte rivoluzionarie in Cina hanno avuto scarso successo, ciò si deve soprattutto alla incapacità dei rivoluzionari di unire intorno a sé i veri amici per attaccare i veri nemici. Il partito rivoluzionario è la guida delle masse, e mai una rivoluzione può evitare la sconfitta quando il partito rivoluzionario guida le masse su una falsa strada… E per distinguere i veri amici dai veri nemici dobbiamo compiere un'analisi generale della condizione economica delle diverse classi della società cinese e il loro rispettivo atteggiamento verso la rivoluzione”.

  La questione dell'atteggiamento delle varie classi rispetto alla rivoluzione non era una questione astratta o un dato sociologico. Dato che il processo rivoluzionario era iniziato in Cina, Mao si poneva in concreto il problema di definire una linea politica che distinguesse il rapporto che avevano rispetto al processo in atto i vari settori della società. Decidere chi fossero i nemici e chi gli amici era della massima importanza per trovare le forze necessarie a conseguire la vittoria.

  Soprattutto si trattava di definire la strategia con cui i comunisti avrebbero potuto portare avanti il processo rivoluzionario. E a proposito di strategia Mao in un suo scritto del 5 ottobre del 1928 [qui] si pone la domanda: 'Perchè può esistere in Cina il potere rosso?' [10]

  Scrive Mao a questo proposito: “L'esistenza prolungata in un paese di una o di piccole regioni sotto il il potere rosso, completamente circondate dal potere bianco, è un fenomeno mai visto prima in nessun paese del mondo. Ciò è dovuto a ragioni particolari e può verificarsi solamente in un paese economicamente arretrato, semicoloniale come la Cina, che si trova sotto il dominio indiretto dell'imperialismo, e deve essere accompagnato da un altro fenomeno altrettanto straordinario: la guerra tra le diverse fazioni del potere bianco”. Inoltre “… la possibilità di una prolungata esistenza delle piccole regioni rosse non può dare adito a dubbi; esse continueranno ad estendersi, avvicinando, passo a passo, il giorno in cui conquisteranno il potere in tutto il paese”.

  Ma nella impostazione strategica del Partito comunista cinese c'era anche lo sviluppo teorico del pensiero di Mao, l'analisi della realtà su cui agire in modo rivoluzionario coniugando la pratica e la teoria. Un'impostazione materialistica che sarà ripresa nel momento della grande svolta di Deng Xiao Ping per spiegare il nuovo corso dopo la rivoluzione culturale. Il testo di Mao che affronta questi argomenti è del luglio del 1937 e si intitola 'Sulla pratica' [11] [qui].

  Il testo si apre con queste significative affermazioni:

  “Il materialismo premarxista esaminava il problema della conoscenza senza tener conto della natura sociale dell'uomo e dello sviluppo storico dell'umanità, e perciò non poteva comprendere che la conoscenza dipende dalla pratica sociale, cioè dalla produzione e dalla lotta di classe - per cui, prosegue il testo - i marxisti ritengono, innanzi tutto, che l'attività produttiva dell'uomo sia l'attività pratica fondamentale e che essa determini ogni altra forma di attività. La conoscenza umana dipende soprattutto dall'attività produttiva materiale: attraverso di essa l'uomo riesce a comprendere grado a grado i fenomeni, le proprietà e le leggi della natura, come pure i propri rapporti con la natura; inoltre, attraverso l'attività produttiva, a poco a poco giunge a diversi gradi di comprensione di certi rapporti reciproci fra gli uomini” [...]

  “Al fine di chiarire il movimento dialettico-materialistico della conoscenza che nasce dalla pratica volta a modificare la realtà, per chiarire cioè il movimento del graduale approfondimento della conoscenza, daremo qualche altro esempio concreto”.

  “Nel periodo iniziale della sua pratica - quello della distruzione delle macchine e della lotta spontanea - il proletariato era appena nella fase percettiva della sua conoscenza della società capitalistica e conosceva soltanto gli aspetti singoli e i nessi esterni dei vari fenomeni del capitalismo. A quell'epoca il proletariato era ancora una 'classe in sé'. Ma una volta raggiunto il secondo periodo della sua pratica - quello della lotta economica e politica cosciente e organizzata - grazie alla sua attività pratica, all'esperienza acquisita nel corso di una lotta prolungata - esperienza che Marx ed Engels generalizzarono scientificamente creando così la teoria marxista che servì ad educarlo - il proletariato riuscì a comprendere l'essenza della società capitalistica, i rapporti di sfruttamento fra le diverse classi sociali, i propri compiti storici, e divenne allora una classe 'per sé”.

  Questa esposizione delle teorie di Mao sulla pratica si conclude con la seguente sintesi che ne racchiude il pensiero centrale e si dimostra non un'astrazione filosofica, ma una indicazione di metodo su come impostare il lavoro politico.

  “Di conseguenza - scrive infatti Mao - il primo passo nel processo di conoscenza è il contatto con le cose nel mondo esterno: la fase della percezione. Il secondo è la sintesi dei dati forniti dalla percezione, la loro sistemazione e la loro elaborazione: la fase dei concetti, dei giudizi e delle deduzioni”.

  Mao rappresenta, nella storia del movimento comunista, non solo la direzione di un processo rivoluzionario grandioso, ma anche la capacità di esprime, al suo interno, un pensiero teorico e politico di altissimo livello. Nella sua opera egli riconosce la forza del marxismo e del leninismo e sviluppa la sua elaborazione nel solco di questa tradizione anche se si tratta di un arricchimento e un adeguamento agli sviluppi della rivoluzione cinese. E da rivoluzionario scrive, sempre nel testo citato: “Il sapere è scienza, e questa non ammette la minima disonestà o presunzione; esige invece proprio il contrario: onestà e modestia. Per acquisire delle conoscenze, bisogna partecipare alla pratica che trasforma la realtà”.

  In uno scritto immediatamente successivo, dell'agosto del 1937, Mao approfondisce le questioni del metodo scientifico nell'analisi della realtà scrivendo un testo intitolato 'Sulla contraddizione' [12] [qui]. L'obiettivo di questo lavoro riguarda direttamente il partito e i suoi militanti per arrivare a dare una base scientifica all'elaborazione e combattere uno schematismo diffuso nell'inquadrare le questioni politiche.

  “I nostri dogmatici - sostiene Mao - sono degli scansafatiche; si rifiutano di applicarsi allo studio delle cose concrete, considerano le verità generali come cose cadute dal cielo, le trasformano in formule puramente astratte, inaccessibili all'intelletto umano, negano completamente e capovolgono l'ordine normale attraverso cui l'uomo giunge alla conoscenza della verità. Non comprendono nemmeno il nesso reciproco tra i due processi della conoscenza umana: dal particolare al generale e dal generale al particolare; essi non capiscono nulla della teoria marxista della conoscenza”.

  'Sulla contraddizione', a prima vista appare un testo di filosofia, ma Mao punta a definire questioni direttamente attinenti alla lotta di classe, alla interpretazione materialistica della dialettica, al modo in cui il partito comunista deve individuare il carattere delle contraddizioni per definire in modo scientifico gli obiettivi. Si tratta quindi di una utilizzazione del marxismo nell'elaborazione teorica del PCC che dimostra il legame profondo tra il pensiero di Mao e i fondatori del socialismo scientifico.


Considerazioni finali

  Gli anni '40 del secolo scorso non costituiscono l’epilogo della terza fase dello sviluppo e dell'esperienza del movimento comunista, ma sono l'ossatura del grande balzo in avanti che, partendo dalla vittoria dell'URSS sul nazismo, investirà l'Europa dell'Est, i Balcani, l'Asia con la Cina, la Corea e il Vietnam. Su questa ondata si innesta anche il grande processo di decolonizzazione attorno agli anni '60 del secolo scorso e la rivoluzione cubana che hanno fatto apparire irreversibile il processo iniziato con la rivoluzione d'Ottobre. Ma così non è stato. In realtà, nonostante questa avanzata impetuosa, grosse nubi si andavano addensando sulle prospettive del movimento comunista. La data del 1956 segna il punto di inizio della crisi. Morto Stalin nel marzo del 1953 e liquidato Beria come segnale di rottura di un equilibrio, è andato delineandosi uno scenario che ha modificato sostanzialmente il quadro mondiale e le caratteristiche dello sviluppo del socialismo nel mondo iniziato nel 1917.

  Da quella data, il 1956, il movimento comunista è entrato in una fase di stagnazione che neppure le teorizzazioni sul socialismo con caratteristiche cinesi hanno ancora rivitalizzato in maniera decisiva.

  Per sintetizzare l'intero arco dei passaggi storici, prima dell'analisi delle ragioni della crisi e delle sue conseguenze, di cui ci occuperemo d’ora in avanti, vogliamo sottolineare, in conclusione, che ciascuna delle fasi che il movimento comunista ha attraversato dal 1848 in poi è stata caratterizzata da un salto dialettico di circostanze e passaggi storici. Questo vale per la prima internazionale e per la seconda e tra questa e l'Internazionale di Lenin. Ora ci troviamo ad analizzare un altro salto dialettico che ha visto la dissoluzione dell'URSS, il crollo dei sistemi socialisti all'Europa orientale e la svolta cinese. Si apre dunque un periodo in cui il marxismo è obbligato a misurarsi e dare delle risposte. Noi abbozzeremo alcune ipotesi che ci servono per aprire una nuova base di discussione per ridefinire le prospettive di quel ‘movimento reale che cambia lo stato di cose presente’.


Note


[1] Lenin, Opere scelte, Editori Riuniti, III ristampa, marzo 1976, pp. 1087-1120.
[2] Lenin, op. cit. pp. 1613-1630.
[3] Redatta da una commissione del CC del PC(b) dell’URSS presieduta da Stalin e approvata dal CC nel 1938. Testo italiano Edizioni in Lingue Estere, Mosca 1947, ristampato da Edizioni Servire il Popolo, 1970.
[4] Un pud corrisponde a 16,38 Kg.
[5] Maurice Dobb, Storia dell'economia sovietica, Editori Riuniti, Roma 1957
[6] Testo italiano da Aldo Agosti, La Terza Internazionale, storia documentaria, vol II, tomo I, pp. 265-285.
[7] Vedi le tesi sulle condizioni di ammissione all’Internazionale in: https://www.associazionestalin.it/IC_3_21punti.html
[8] Vedi il testo in: https://www.associazionestalin.it/IC_2_colonialismo.html
[9] Mao Zedong, Opere scelte, Casa editrice in lingue estere, Pechino, vol. I, pp. 9-18.
[10] Mao, op. cit. vol. I, pp. 61-71.
[11] Mao. op. cit., vol. I, pp. 313-328.
[12] Mao, op. cit., vol. I, pp. 329-366.