Erich Honecker

Il più totale disprezzo
del diritto internazio­nale

Dichiarazione di Erich Honecker del giugno 1992 contro la richiesta di estradizione presentata dal governo della RFT alla Russia e al Cile. Honecker infatti, perseguitato già nella RDT all'indomani della sue forzate dimissioni, si era rifugiato a Mosca e poi, dal dicembre 1991, con la definitiva dissoluzione dell'URSS, alla ambasciata del Cile a Mosca (aveva infatti una figlia a cui appoggiarsi in Cile). Il Cile, che in un primo tempo gli aveva concesso l'asilo politico, cedette però alle pressioni della RFT e la Russia di Eltsin nel luglio 1992 lo estradò a Berlino dove fu rinchiuso nel carcere di Moabit. Il testo è tratto da "Movimento per la pace e il socialismo - Agenzia di Informazione", anno I, n.17, 15 novembre 1992.


La richiesta di estradizione avanzata dalla Repub­blica Federale Tedesca nei confronti miei di ex capo di stato della Repubblica Democratica Tede­sca, firmatario dell'atto finale di Helsinki, non ha il minimo fondamento nè giuridico nè politico. La richiesta inaccettabile del governo Kohl ai gover­ni della Russia e del Cile ha per scopo di mettere sotto accusa, calpestando il diritto e le leggi, la Repubblica Democratica Tedesca, la sua forma statale e sociale, la sua direzione politica e milita­re, per denigrare quello che si vuol mostrare come un «regime ingiusto». In quanto capo di stato effettivo dal 1976 al 1989 della RDT, stato sovra­no, membro dell'ONU e riconosciuto in tutto il mondo e anche dalla RFT in espliciti trattati non ho nessuna intenzione di lasciare che il governo della RFT tratti me e gli altri membri della direzio­ne politica e militare della RDT da criminali. Come se quel governo fin dal suo accesso al potere nel 1983 non avesse sempre mostrato di tenere buoni rapporti con me e come se non avessi incontrato per due volte il cancelliere a Mosca, su sua richiesta, e come se quello stesso governo non mi avesse ricevuto nel 1987 a Bonn in occasione di una visita molto ufficiale.

E' assai penoso vedere come certi esponenti poli­tici della RFT con cui ho avuto da presidente del Consiglio di Stato rapporti corretti basati sul ri­spetto reciproco e alle cui richieste, dopo discus­sione, ho sempre risposto positivamente, oggi autorizzino e addirittura incoraggino una caccia alle streghe senza pietà e una condanna già pro­nunciata in anticipo nei miei confronti. Si calpe­stano nel modo più ignobile il diritto e le leggi e si rifiuta di trattare correttamente i membri del parti­to e della direzione dello stato della RDT. Non solo, ma quegli stessi politici esercitano pressioni anche su altri stati che non mi hanno negato il loro appoggio affinchè rifiutino di accogliermi. E così chiedono alla Russia di rifiutarmi il visto di uscita, in modo che io non mi possa recare in un paese di mia scelta. Dal settembre del 1991 sono stato esiliato e, nonostante le ripetute richieste, non ho ricevuto il visto di uscita: eppure il governo della Repubblica Democratica di Corea mi aveva fatto pervenire l'invito, per ragioni umanitarie, a stabi­lirmi in Corea. Un simile comportamento contrad­dice tutte le convenzioni internazionali, per esem­pio la convenzione internazionale dell'ONU «sui diritti politici e civili» ratificata nel 1947. Rifiutare a una persona perseguitata per ragioni politiche il diritto di recarsi nel paese di propria scelta è una violazione di tutte le convenzioni internazionali.


Un modo per giustifi­care le discriminazioni
in una nazione divisa

Il ministro della giustizia della RFT, il presidente del suo gruppo parlamentare alla Camera e il ministro degli affari esteri, anche lui dello stesso partito, che hanno sempre potuto viaggiare libera­mente nella RDT per visitare le loro famiglie a Dresda e Halle, si affannano ora a sbraitare che «non si possono impiccare i pesci piccoli e lasciar liberi i grossi». Ma in base a quale legge? Quale legge imporrebbe loro di «impiccare i pesci picco­li», cioè i soldati dell'esercito nazionale del popo­lo? Di perseguire i soldati che presidiavano i confini e avevano prestato giuramento alla loro patria e non facevano che compiere il loro dovere sorvegliando il confine tra RFT e RDT e tra RDT e Berlino Ovest? Quei soldati dovrebbero essere rimessi subito in libertà e dovrebbe cessare ogni procedimento assolutamente illegale. Del resto i soldati della Bundeswehr e della polizia di frontie­ra della RFT hanno ricevuto le stesse consegne di sorveglianza e protezione dei confini e le stesse direttive in merito all'uso delle armi da fuoco che erano in vigore nella RDT. La giustizia tedesca non si può neanche trincerare dietro la necessità di «tener conto del giusto risentimento popolare» (sento che la penna mi si rifiuta di scrivere queste parole). E' una vecchia storia che si è vista assai bene all'opera negli anni 1933-1945. Prima si incita il popolo contro i comunisti, i socialisti, gli ebrei e quanti altri, nutrendolo di menzogne; e poi si parla di «giustificato risentimento popolare». Non si rispetta nè il diritto nè la legge, ma si fanno processi per soddisfare un «sentimento di giusti­zia». Ma che sentimento di giustizia sarebbe mai questo? La verità è che la condanna della direzio­ne della RDT serve a «giustificare» il fatto che la maggioranza dei cittadini dell'ex RDT sono trat­tati come tedeschi di serie B e che tutti coloro che erano effettivamente impegnati nella costruzione della RDT si ritrovano puniti sul piano giuridico, politico e sociale. Nell'interesse del popolo tede­sco e del suo onore bisogna che questi abusi da inquisizione cessino immediatamente.

"Quando Gorbaciov decise di vendere la RDT..."

Quando Gorbaciov decise di vendere la RDT, l'accordo prevedeva che si tirasse una riga sul passato, per realizzare nel modo più degno e onesto l'unità tedesca. L'unificazione tedesca, come ben si sa, non è merito di Bonn. Ha potuto essere realizzata solo con l'accordo dell'URSS e certo non contro la volontà di quel paese. Non hanno dunque motivo di atteggiarsi a vincitori.

L'unità interna della Germania ancora non è stata fatta. La nazione è sempre profondamente divisa. Quando a Bonn dissi che «il socialismo e il capi­talismo non si possono unire più di quanto lo possano l'acqua e il fuoco», era la pura verità, anche se molti non la vollero ascoltare. Per cecità non si è voluto ammettere che popolazioni che per 40 anni hanno vissuto in sistemi sociali così diver­si e hanno fatto esperienze così diverse si sono di fatto allontanate l'una dall'altra. Le conseguenze di questo errore di giudizio sono i fallimenti che si possono constatare nei nuovi «Länder» tedeschi.

E la comunità internazionale tace sulle violazioni dei diritti dell'uomo nella Repubblica Federale. Centinaia di migliaia di cittadini che compivano il loro dovere al servizio della RDT sono colpiti dall'interdizione dall'impiego pubblico; milioni di lavoratori sono stati costretti alla disoccupazio­ne; molti ex membri dei partiti e delle organizza­zioni sociali, dell'esercito, della polizia, dei servi­zi di sicurezza sono stati messi al bando della società. E non solo loro, ma anche medici, scien­ziati, insegnanti, sportivi, artisti. Come sono ipocriti questi politici tedeschi che hanno portato avanti con i loro colleghi della RDT la politica della guerra fredda e della distensione e oggi si arrogano il diritto di essere i soli giudici della politica tedesca degli ultimi dieci anni e, in nome di una pretesa «natura criminale del gover­no» che non trova nessun appiglio nelle leggi internazionali, incitano la giustizia tedesca a con­dannare quegli stessi politici con i quali hanno negoziato e collaborato. La giustizia tedesca do­vrebbe guardarsi bene dal compiere questo irrepa­rabile errore di voler giudicare mezzo secolo di storia tedesca e internazionale.

Un confine internazio­nale la cui protezione ha salvato la pace

Il confine tra la RDT e la RFT non era un confine interno tedesco; era un confine riconosciuto dal diritto internazionale. Lo si ritrova nell'atto finale di Helsinki. Non solo, ma la RFT e l'URSS aveva­no stabilito nel trattato di Mosca del 1970 che «il confine tra RDT e RFT era un confine inamovibile in Europa» e senza questa formulazione non ci sarebbero stati nè il trattato di Mosca nè quello di Helsinki.

L'accusa di incitamento all'omicidio avanzata contro di me e contro altri ex mermbri del partito e della direzione dello stato della RDT non è che un modo di mascherare con un procedimento penale una persecuzione politica. E' una revanche che il «vincitore» esercita sul «vinto» indifeso. Questa accusa non ha alcun fondamento giuridico nè morale. Essa si basa sulla negazione cosciente degli ultimi sviluppi storici e nega la fine della guerra fredda. E non si limita a questo, ma prose­gue la guerra fredda all'interno dei confini tede­schi, dividendo il popolo tedesco in vincitori e vinti, accusati e accusatori. L'accusa lanciata con­tro di me e contro altre persone, aggiungendosi a una moltitudine di altri atti legali, giuridici e amministrativi, fa della riunificazione tedesca un atto di colonizzazione del territorio della RDT da parte della RFT.

Come presidente del Consiglio di Stato della RDT (dal 1976) e del Consiglio Nazionale della Difesa, nè io nè alcuno dei membri di questi organismi abbiamo mai incitato Hans Albrecht, Heinz Kessler, Willi Stoph e Fritz Strelitz o chiunque altro a commettere un omicidio. Non c'era l'ordine di sparare. La mia attività nel Consiglio della Difesa nazionale era un'attività legale, come avviene nelle istituzioni simili di tutti gli stati secondo i principi di diritto vigenti in tutti gli stati, compresa la Repubblica Federale.

Le mie attività nella resistenza contro Hitler nelle regioni della Saar, dell'Hessen, Württemberg, Baden, Pfalz, del Reno e della Ruhr e a Berlino, l'esperienza che ho vissuto nella Prinz-Albert-Strasse, nella prigione delle «SS-Leibstandarte Adolf Hitler» a Berlino-Lichterfelde, i dieci anni di carcere duro passati nel penitenziario di Berlino-Plötzensee e a Brandenburg-Görde, il mio im­pegno ai tempi dei bombardamenti su Berlino: tutte queste esperienze hanno condotto me e il mio partito alla conclusione che mai più una guerra avrebbe dovuto partire dal suolo tedesco. Questa è la linea di condotta che ho seguito in tutti i miei atti.

Vengo accusato perchè in una seduta del Consi­glio di Difesa nazionale, il 3 maggio 1974, al punto 4 dell'ordine del giorno, relativo alla «situazione al confine tra RDT e RFT, a Berlino Ovest e alla frontiera marittima», avrei pronunciato le seguen­ti parole: «Bisogna impegnare tutti i mezzi e impiegare tutti i metodi per impedire le violazioni del confine e respingere le provocazioni di Berlino Ovest; bisogna continuare senza pietà a far uso delle armi da fuoco e lodare i compagni che le usano». Questa accusa non corrisponde nè alla forma nè alla sostanza dei fatti.

Le decisioni, conclusioni, missioni, istruzioni, direttive, ecc. che emanavano dal Consiglio di Difesa nazionale venivano notificate in protocolli ufficiali. Ciò vale anche per il protocollo, da me ratificato, della 45ª sessione del Consiglio tenutasi il 3 maggio 1974. In quel protocollo non c'è alcun elemento che possa confermare l'accusa contro le quattro persone summenzionate.

Gli incidenti mortali dai due lati del confine della RDT possono essere giudicati moralmente, politi­camente e giuridicamente solo nel contesto stori­co in cui sono avvenuti. La costruzione del muro di Berlino fu il risultato degli avvenimenti politici che si erano sviluppati dalla fine della seconda guerra mondiale. Le quattro potenze alleate contro la Germania fascista erano divenute nemiche. La guerra fredda rischiava di trasformarsi in guerra calda. In Germania si costituirono due stati indi­pendenti, prima la Repubblica Federale e, in se­guito, la Repubblica Democratica. E i due stati tedeschi furono incorporati in opposte alleanze militari. Tutto ciò aveva condotto nel 1961 a una situazione in cui c 'era il pericolo imminente di una guerra nucleare. Franz Joseph Strauss, per esem­pio, lo spiega nelle sue memorie. Ed è in quella situazione che gli stati del Patto di Varsavia prese­ro la decisione comune di proteggere i confini tra il patto di Varsavia e i paesi della NATO, e in particolare il confine della RDT, ma anche altri, con i mezzi che in seguito furono adottati. Fu certo un fatto spiacevole, che colpì molte famiglie tede­sche nei loro rapporti familiari. Ma nessuno può sapere quali sofferenze sarebbero state imposte ai tedeschi e agli europei se quelle decisioni non fossero state prese. Nell'ambito delle funzioni che ricoprivo all'epoca io giudicai quella decisione corretta e ad essa mi associai. Sono dunque dispo­sto ad assumerne la corresponsabilità. Ma non sono disposto a farmi trattare da criminale nè a tacere quando i miei compagni sono trattati da criminali.

Del resto la storia giudicherà se i miei compagni ed io stesso abbiamo corrisposto alle esigenze che l'idea umanista del marxismo impone ai comuni­sti. Io ho tradotto in pratica questa idea con con­vinzione e continuerò a farlo in avvenire. La storia però giudicherà anche se il trattamento inflitto oggi ai cittadini della RDT, in particolare agli accusati nel «processo alle guardie del muro» e ai membri del partito, corrisponde alle concezioni che si dicono cristiane e liberali. Da parte mia resto convinto che la sorveglianza della sicurezza dei confini tra il Patto di Varsavia e la NATO ha dato all'Europa 40 anni di pace.

Mosca, giugno 1992
Erich Honecker