Kurt Gossweiler

CONSIDERAZIONI SUL
TRATTATO DI NON AGGRESSIONE
TEDESCO-SOVIETICO DEL 1939 [1]



Testo tratto per gentile concessione dell'editore da
Kurt Gossweiler, Contro il revisionismo, da Chrušcëv a Gorbacëv: saggi, diari e documenti,
a cura di Aldo Bernardini e Adriana Chiaia, Zambon Editore, Francoforte e Verona, 2009.
Titolo originale Wider den Revisionismus, Verlag zur Förderung der wissenschaftlichen Weltanschauung – Stephan Eggerdinger, Monaco 2002



Sommario

1. Esperienze personali intorno al discusso trattato di non aggressione pag. 3
2. I principi leninisti e il trattato di non aggressionepag. 8
3. Il VII Congresso mondiale dell'Internazionale Comunista sui principi della lotta per la pacepag. 9
4. Dall'alleanza militare con la Francia al trattato di non aggressione con la Germaniapag. 12
5. L'"Accordo di amicizia e di frontiera" del 28 settembre 1939pag. 19
NOTEpag. 26




1. Esperienze personali intorno al discusso trattato di non aggressione

Nella mia veste di storico non sono uno specialista del trattato di non aggressione, ma fin dal 1939 sono stato continuamente costretto, e lo sono tuttora, in quanto comunista, a occuparmi del tema. Lo affrontai la prima volta subito dopo la stipulazione del trattato, avvenimento che vissi da giovane comunista, nell'oppressione del servizio del lavoro fascista. Come per tutti i comunisti, anche per me un simile accordo tra la Germania fascista e l'Unione Sovietica socialista era stato del tutto inaspettato, un evento ritenuto assolutamente impossibile prima di allora. Ma da quando l'inimmaginabile era divenuto realtà, ogni comunista tedesco si è trovato costretto a elaborare un proprio punto di vista al riguardo, anche senza indicazioni "dall'alto", da solo o insieme agli altri compagni con cui fosse in contatto. La propaganda fascista ha interpretato l'accordo come un patto di assistenza che l'Unione Sovietica avesse concluso con il regime tedesco. Ciò sarebbe stato in realtà un tradimento dei nostri ideali, che avrebbe reso impossibile continuare ad avere fiducia nell'Unione Sovietica. Per questo motivo lessi attentamente il testo integrale del trattato, seguii la stampa fascista con attenzione, per cogliere tracce di documenti che comprovassero la "propaganda relativa all'assistenza e alleanza". Con mio grande sollievo non trovai nulla a riguardo. Persino l'indagine più scrupolosa non è riuscita a far emergere risultati diversi: l'Unione Sovietica non aveva stipulato alcun accordo con la Germania fascista per diventare alleata dei tedeschi in una futura guerra, bensì un patto di non aggressione, sulla cui base i sovietici ottennero la temporanea garanzia che i guerrafondai tedeschi non avrebbero esteso con un attacco all'Unione Sovietica la campagna militare contro la Polonia, alla quale essi erano assolutamente decisi e che, come nell'agosto 1939 doveva riconoscersi senza difficoltà, non era più possibile impedire.

La mia posizione nei confronti del trattato di non aggressione, come quella di tutti gli altri compagni che al tempo, dopo lunghe discussioni e riflessioni, arrivarono ad accettare questo patto, è stata anzitutto una questione di fiducia nei confronti dell'Unione Sovietica, del PCUS e della sua dirigenza. E viceversa: coloro, per i quali il trattato di non aggressione divenne il pretesto per una rottura con il comunismo, erano molto spesso spinti da una ragione più profonda dell'accordo stesso, da una disaffezione intima nei confronti della causa del Partito che, per un motivo o per l'altro, era serpeggiata già da molto prima. La mia, la nostra fiducia non era tuttavia cieca né illimitata, un'effettiva alleanza sovietica con il fascismo avrebbe significato valicare i confini di essa: fondata infatti sulla convinzione che l'Unione Sovietica era e rimaneva la forza principale nella lotta contro il fascismo, un credo che non è andato deluso, anzi semmai pienamente giustificato.

La fiducia nella politica dell'Unione Sovietica risultò rafforzata, in quanto avevamo potuto seguire - anche la stampa nazista a suo modo ne aveva parlato - come, prima di stipulare il patto di non aggressione con la Germania di Hitler, l'Unione Sovietica fosse impegnata a giungere a un accordo di alleanza con le potenze occidentali contro un potenziale aggressore, cioè contro la Germania nazista. Questa circostanza agevolò una posizione che sicuramente non fui il solo ad assumere: non li conosco e per ora non li comprendo, ma l'Unione Sovietica avrà avuto dei motivi validi per andare così incontro alla Germania nazista. Quando poi constatammo che proprio per effetto di questo trattato le truppe tedesche non occuparono la Polonia sino alla frontiera sovietica ma si fermarono prima e che anche gli Stati Baltici non furono occupati dalle truppe hitleriane, mentre al contrario l'Armata Rossa aveva avuto modo di allestire in queste aree le proprie basi militari e penetrare nella parte orientale della Polonia, provai per tutto questo un profondo compiacimento: con il trattato di non aggressione l'Unione Sovietica era palesemente riuscita nell'intento di bloccare la spinta espansionistica del fascismo tedesco.

L'esperienza e le sensazioni personali riscontrate all'indomani della stipulazione del trattato di non aggressione hanno rappresentato il motivo per cui sono stato costretto una seconda volta, già all'inizio della guerra fredda, a confrontarmi intensamente con il tema, affrontando i furibondi attacchi delle potenze occidentali contro quello che definivano il "patto tra Hitler e Stalin", per difendere senza tentennamenti e con estrema convinzione questo trattato come l'unico possibile passo della politica estera sovietica a tutela del primo Stato operaio e contadino: neppure la pubblicazione ad opera degli occidentali del cosiddetto protocollo segreto addizionale riuscì a intaccare la mia posizione, sulla base della conseguente calunnia provocatoria, secondo cui con quell'accordo l'Unione Sovietica avrebbe spianato la strada a Hitler per l'aggressione alla Polonia, operando in combutta con lui la "quarta spartizione di questa". La divulgazione del protocollo addizionale mi ha unicamente chiarito la base pattizia relativa a quegli eventi, che in quanto comunista non avevo potuto che approvare con entusiasmo. Mi riferisco allo stop imposto all'esercito fascista tedesco e alla sua espansione a ovest dei confini dell'Unione Sovietica, in circostanze che sarebbero comunque sfociate prima o poi in un'aggressione tedesca all'Urss. La prova che questa posizione fosse corretta venne arrecata da una serie di pubblicazioni del tempo: esse contenevano argomentazioni talmente fondate e plausibili, che allora non mi sarebbe mai stato possibile pensare come un giorno dei comunisti, persino sovietici, avrebbero potuto attaccare il trattato di non aggressione, addirittura dipingendo le potenze occidentali come sue vittime. Penso in questo contesto a scritti come la "Storia della diplomazia sovietica" del 1948, "I falsificatori della storia", pubblicato nel 1955 dal Ministero degli Esteri sovietico, e le memorie dell'ambasciatore sovietico I.M. Majskij a Londra (1961). I fatti ivi riportati erano già ben sufficienti a dimostrare che, alla luce della condotta assunta dalle potenze occidentali, all'Unione Sovietica non fosse restato altro da fare che accettare l'offerta del governo di Berlino e concludere quindi un trattato di non aggressione, sennonché, a rafforzare tale tesi, vennero resi noti negli anni Settanta dei documenti britannici sulla posizione del governo di Londra, che erano stati tenuti segreti fino a quel momento. Da questa documentazione è scaturito il convincente lavoro dello storico sovietico V.J. Sipols, Die Vorgeschichte des deutsch-sowjetischen Nichtangriffsvertrag (Gli antefatti del trattato di non aggressione tedesco-sovietico, edizione tedesca, Colonia, 1981).

A metà degli anni Ottanta si è presentata la terza occasione che mi ha condotto a confrontarmi con il trattato di non aggressione. La canea antisovietica, alimentata intorno a questo trattato dai mass media della Repubblica federale tedesca in occasione del 50° anniversario dell'aggressione nazista alla Polonia, ha offuscato tutto quanto propalato fino a quel momento. Deformazioni e calunnie mai troppo maligne per non meritare diffusione a macchia d'olio. Purtroppo ci sono stati pubblicisti sovietici che hanno fornito elementi di sostegno agli ideologi imperialisti, cosa che fino a quel momento non si era mai verificata. Bisognava quindi levarsi contro deformazioni e alterazioni, che non erano state prodotte solo da avversari politici.

All'interno dell'ampio dibattito storico in corso nell'Unione Sovietica, sulla cui necessità dobbiamo essere tutti d'accordo, si sta delineando, accanto alla tendenza che intende rielaborare mediante nuove indagini problematiche fino ad ora trascurate e portare alla luce fatti non ancora considerati o addirittura sottaciuti, al fine di perfezionare il quadro storico attraverso gli ultimi esiti di ricerca, anche un altro orientamento promosso da rumorosi ciarlatani che non sono in alcun modo interessati ai fatti storici. Questi pubblicisti respingono invece già da tempo realtà riconosciute che non si adattano al "nuovo quadro storico" da loro delineato.

Gli storici sovietici più seri, e le personalità che hanno vissuto secondo propria esperienza questi fatti, hanno naturalmente respinto e continuano a respingere scritti così irresponsabili. L'ex diplomatico sovietico Valentin Berezkov, interprete durante le trattative svoltesi a Mosca tra Ribbentrop e Molotov nell'agosto del 1939, ha affermato in una conferenza su “l'Europa alla vigilia del secondo conflitto mondiale", tenuta il 22 aprile 1989 a Düsseldorf: "Nel 1938 i francesi avevano già un patto di non aggressione con la Germania; nel 1938, dopo Monaco, i francesi non furono i soli a esultare di gioia. Furono seguiti infatti anche dagli inglesi, quando Chamberlain tornato a Londra sostenne di aver portato con sé la pace per intere generazioni grazie a un accordo con Hitler. Il patto di non aggressione non era stato voluto quindi soltanto dai bolscevichi, soltanto dall'Unione Sovietica. Ritengo che nel contesto storico delineatosi nell'agosto del 1939 non si sarebbero potuto dare alternative alla conclusione del trattato di non aggressione" [2].

Un altro diplomatico sovietico, Valentin Falin, ambasciatore a Bonn dal 1971 al 1978 e dall'ottobre del 1988 direttore del dipartimento "Relazioni internazionali" del Comitato centrale del PCUS, ha caratterizzato la narrazione storica proposta, propria della seconda delle suddette due tendenze, con le seguenti parole:

"Da una determinata parte (di taluni certo non solo casarecci politologi o politicastri) è provenuta addirittura l'ipotesi che Stalin fosse stato corresponsabile della scalata di Hitler da demagogo dei tavoli da birra a cancelliere del Reich. [...] Fantasie senza freno inducono certi pubblicisti a sostenere che Stalin sia stato anche direttamente responsabile dell'espansione nazista". Sferzando la posizione assunta da questi scrivani rispetto ai fatti, Falin prosegue: "Tanto peggio per i fatti [...] che non si adattano agli schemi di quegli ideologi che pretendono di fare della storia lo specchio retrovisore della politica contemporanea" [3].

Ciò che siffatti ideologi perpetrano è un culto della personalità al rovescio. Ma la storiografia scientifica non si accorda né con la demonizzazione né con la divinizzazione. Una commissione sovietico-polacca ha redatto nel frattempo una dichiarazione comune sul trattato di non aggressione, il cui testo è riportato anche sul Neues Deutschland [Nuova Germania, quotidiano della SED, ndr] del 27/28-5-1989. Nel documento comune si pone nuovamente l'accento sul fatto che, nella situazione delineatasi al tempo, l'Unione Sovietica non avesse alternative se non quella di sottoscrivere il trattato di non aggressione. Nella stessa dichiarazione si afferma tuttavia che diversi atti della politica sovietica e discorsi di politici sovietici nella seconda metà del settembre del 1939 avevano violato il diritto internazionale e offeso la Polonia.

Si dovrebbe concludere che il dibattito sulla giustificazione o meno del patto di non aggressione, incluso l'aggiuntivo accordo segreto, sia con ciò giunto a una conclusione, ma così non è, come mostrano le continue discussioni diffamatorie e non oggettive e i comunicati divulgati dai mass media della Rft [Repubblica federale tedesca]. La costituzione di un'altra commissione, richiesta dai rappresentati delle Repubbliche sovietiche baltiche e decisa dal I Congresso dei deputati del popolo dell'Urss per esaminare la legittimità del trattato, evidenzia anch'essa che tale dibattito è destinato a protrarsi [4].

Intendo pertanto illustrare le mie riflessioni riguardo a questo complesso di problemi, con il sostegno di taluni fatti non necessariamente nuovi, ma fino ad ora poco o per nulla presi in considerazione.



2. I principi leninisti e il trattato di non aggressione

Nell'articolo già citato, V. Falin si chiede quando e perché Stalin avrebbe abbandonato i principi leninisti concernenti la politica estera. L'interrogativo è importante ma, prima di poter dare una risposta, occorre chiarire quali fossero i principi leninisti relativi alla lotta per l'autoaffermazione dell'unico paese socialista nell'ostile accerchiamento imperialista. Lenin ha delineato tali principi in una conferenza tenuta il 26 novembre 1920 davanti ai segretari delle cellule dell'organizzazione moscovita del PCR(b), con quel suo tipico linguaggio immaginoso e preciso, che non lasciava spazio in alcun modo a interpretazioni contraddittorie:
"Per ora gli imperialisti stanno fermi ed aspettano un momento favorevole per annientare i bolscevichi. Noi, però, procrastiniamo quel momento. [...] Ancora più sicura sarebbe la nostra salvezza, se le potenze imperialiste si coinvolgessero in una guerra. Se siamo costretti a sopportare quella gentaglia di ladri capitalisti mentre affilano, ognuno di loro, la lama contro di noi, è parimenti nostro concreto dovere far sì che essi si puntino i loro coltelli addosso, l'uno contro l'altro. Tra due ladri litiganti, l'onesto gode" [5].

Non si può certo sostenere che il trattato di non aggressione abbia contraddetto i principi espressi da Lenin.



3. Il VII Congresso mondiale dell'Internazionale Comunista sui principi della lotta per la pace

Sin da quando in Germania era stata costituita una dittatura fascista, l'Unione Sovietica si era preoccupata di guadagnare dalla propria parte tutti gli Stati interessati al mantenimento della pace, al fine di elaborare una strategia comune contro un possibile aggressore. Tale intento venne manifestato apertamente in occasione del XVII Congresso del PCUS(b), tenutosi nel gennaio del 1934. Nel rapporto di Stalin si resero palesi senza equivoci gli aggressori: "Lo sciovinismo e la preparazione bellica come elementi principali della politica estera, la sottomissione della classe operaia e il terrore esercitato nell'ambito della politica interna come strumento necessario al rafforzamento delle retrovie di un futuro fronte bellico sono i temi che tengono oggi occupati i politici imperialisti. Non c'è da meravigliarsi che il fascismo sia divenuto l'articolo più in voga tra i politici borghesi guerrafondai. [...] Alcuni ritengono di dover organizzare una guerra contro una delle grandi potenze. [...] Hanno intenzione [...] di migliorare la propria posizione a spese di questa grande potenza. [...] Altri sono dell'opinione di lanciare una guerra contro uno dei paesi deboli dal punto di vista militare, ad esempio contro la Cina. [...] C'è poi una terzo schieramento, che pensa che una 'razza superiore' [...] debba organizzare una guerra contro 'una razza inferiore'. [...] E infine una quarta schiera convinta di dover organizzare una guerra contro l'Unione Sovietica".

Il Congresso fece appello alle potenze occidentali affinché, insieme all'Unione Sovietica, bloccassero la strada agli aggressori: "Nel mezzo di questa frenesia prebellica [...] l'Unione Sovietica ha combattuto contro la minaccia della guerra [...] andando incontro ai paesi che in un modo o nell'altro si sono schierati a favore del mantenimento della pace e smascherando coloro che stavano preparando e provocando il conflitto. [...] Quale è stata la base su cui l'Unione Sovietica ha fatto perno durante questa complessa e delicata battaglia per la pace? [...] c) Sul punto di vista di quei paesi, che per un motivo o per l'altro non erano interessati al turbamento della pace. [...]"

La ferma decisione dell'Urss di impartire comunque e a qualsiasi condizione una lezione distruttiva a ogni aggressore trovò definitiva espressione nelle note e drastiche parole: "Non temiamo le minacce e siamo pronti a rispondere a dovere se i guerrafondai colpiscono. [...] A coloro che tentassero di attaccare il nostro paese verrebbe inferto un colpo talmente pesante da far passare in futuro la voglia di ficcare i loro grugni porcini nel nostro giardino sovietico" [6].

Esattamente questa è stata la linea seguita dalla politica estera dell'Unione Sovietica. Quando nel 1933 la Germania fascista abbandonò la Società delle Nazioni, l'Urss vi aderì, il 18 settembre del 1934. Il 2 maggio del 1935 concluse un trattato di alleanza (!) con la Francia, e qualche giorno dopo, il 16 maggio, stipulò un accordo similare con la Cecoslovacchia.

Per tutti i comunisti fu un evento di grande incidenza, perché per la prima volta l'Unione Sovietica, Stato proletario, aveva concluso con degli Stati imperialisti non solo un trattato di buon vicinato, come era stato il trattato di Rapallo, bensì un'alleanza militare!? Già allora i comunisti, soprattutto francesi e cecoslovacchi, si chiesero se un accordo di questo tipo fosse conciliabile con i principi della politica estera socialista. Per tali ragioni Palmiro Togliatti si soffermò a lungo sulla questione nella relazione che tenne al VII Congresso mondiale, [dell'Internazionale Comunista, ndr] e sia detto per inciso che a torto questa relazione è passata e passa in secondo piano rispetto a quella di Georgi Dimitrov, perché le parole di Togliatti esprimono i principi comunisti della lotta per la pace, che acquistano proprio oggi un significato fondamentale.

Togliatti ha indicato prima di tutto quanto le linee politiche adottate dall'Inghilterra e dalla Francia nei confronti della Germania fascista fossero al tempo ancora distinte: "Non è difficile comprendere che il sostegno garantito dalle cerchie più reazionarie della borghesia inglese al fascismo tedesco non rappresenta altro che un appoggio diretto o indiretto ai preparativi bellici contro l'Unione Sovietica. [...] Diverso è il ruolo svolto oggi dalla Francia".

Togliatti è passato poi in concreto all'esame di alcune obiezioni provenienti dalle proprie file contro i cambiamenti verificatisi nella politica estera sovietica: "Le forme concrete (della politica di pace sovietica) devono essere modificate in accordo con i mutamenti in corso nell'intero contesto internazionale. Tale necessità non è stata compresa da coloro che hanno manifestato il proprio stupore, allorché l'Unione Sovietica ha variato la propria posizione nei confronti della Società delle Nazioni. [...] L'ingresso dell'Urss nella Società delle Nazioni ha dimostrato alle masse che i dirigenti sovietici non sono dei meri dottrinari, ma marxisti capaci di cogliere qualsiasi opportunità, anche la più piccola, per intensificare la propria opera di difesa della pace nell'interesse della rivoluzione. [...] Stupisce [...] che vi siano persone sorprese per il fatto che la conclusione del trattato di reciproco aiuto con la Francia sia stata accompagnata da una dichiarazione, nella quale il compagno Stalin ha espresso piena comprensione e approvazione per la politica di difesa del paese seguita dalla Francia al fine di mantenere le forze armate a un livello tale da soddisfare le esigenze della propria sicurezza. Penso che sarebbe stato strano invece se una tale dichiarazione non vi fosse stata. Evitare di prendere una posizione inequivocabile sarebbe equivalso a privare il trattato di reciproco aiuto del suo significato di strumento volto all'attuazione di una positiva politica di pace".

Fanno seguito poi, in altra parte, argomentazioni, che già per la situazione del tempo meritano la più ampia attenzione, ma che a posteriori sembrano riferirsi alla situazione delineatasi dopo la conclusione del trattato di non aggressione: "La posizione dei bolscevichi sulla questione è assolutamente chiara. Senza minare le basi della potenza sovietica, anzi semmai consolidandole, essi compiono tutto il necessario per non vedersi contrapposti a un blocco compatto di Stati capitalisti". E ancora: "È per noi inconfutabile che gli obiettivi della politica di pace dell'Unione Sovietica e quelli della politica della classe operaia e dei partiti comunisti dei paesi capitalisti sono perfettamente identici. [...] Ma tale comunanza di scopi non implica che in qualsiasi momento, in tutte le azioni e problematiche, debba esserci una piena coincidenza tra la tattica seguita dal proletariato e dai partiti comunisti, che combattono ancora per il potere, e le concrete misure tattiche del proletariato sovietico e del PC(b) dell'Urss, che nell'Unione Sovietica sono già detentori del potere" [7].



4. Dall'alleanza militare con la Francia al trattato di non aggressione con la Germania

Tre anni e mezzo dopo il VII Congresso [dell'IC, ndr] mondiale si tenne, nel marzo del 1939, il XVIII Congresso del PC(b) dell'Urss. Tra questi due congressi il panorama mondiale era mutato pericolosamente. A seguito dell'infame politica di tradimento operata dalle potenze occidentali nei confronti della Repubblica spagnola assalita dalle potenze dell'Asse fascista, Germania e Italia, assieme al loro manutengolo spagnolo Franco, una politica ipocritamente definita di non intervento, neppure l'aiuto delle Brigate internazionali e dei volontari sovietici in favore dell'eroico popolo spagnolo in lotta riuscì a evitare il trionfo del fascismo in Spagna.

Agli avvenimenti iberici seguirono l'annessione dell'Austria alla Germania nel marzo del 1938 e il tradimento nei confronti della Repubblica cecoslovacca compiuto dalle potenze occidentali nel settembre del 1938 mediante l'infame accordo di Monaco con Hitler, che vanificò i patti di assistenza dell'Unione Sovietica con Francia e Cecoslovacchia. Acme della cosiddetta politica di appeasement che, invece di essere una politica di distensione, ha funzionato piuttosto da sprone per l'aggressore a continuare ad espandere la propria offensiva verso oriente, fu l'accettazione passiva della dissoluzione del resto della Cecoslovacchia nel marzo del 1939.

Gli intenti dell'Inghilterra, già constatati da Togliatti nel 1935, di incoraggiare la Germania a una guerra contro l'Unione Sovietica, furono a questo punto più che evidenti. Nello stesso periodo, in Estremo Oriente, il Giappone, sotto un regime militare fascista, svelava con gli attacchi ai territori mongoli e sovietici l'intenzione di attendere l'occasione propizia per sciogliere le redini alla propria brama espansionista ai danni dell'Urss.

Il XVIII Congresso del PC(b) dell'Urss, chiamato a valutare la situazione internazionale e i compiti spettanti al-l'Urss, non poteva in queste circostanze limitarsi semplicemente a ripetere le posizioni scaturite dal Congresso precedente.

Era già chiaro per il Congresso chi fossero gli aggressori: "Il Giappone tenta di giustificare le proprie azioni aggressive sostenendo di essere stato ingannato con il Trattato delle Nove Potenze. [...] L'Italia si è ricordata di essere stata danneggiata nella spartizione del bottino dopo la prima guerra imperialista e di doversi rifare quindi ai danni delle sfere di influenza di Inghilterra e Francia. La Germania [...] si è unita a Giappone e Italia, pretendendo l'ampliamento del proprio territorio in Europa e la restituzione delle colonie che le erano state sottratte dai vincitori della prima guerra imperialista. E' cominciato così a formarsi il blocco degli Stati aggressori. La questione di una nuova spartizione del mondo mediante la guerra è stata posta all'ordine del giorno".

Al contempo però il XVIII Congresso prese in considerazione le subdole intenzioni delle potenze occidentali di istigare la Germania e l'Unione Sovietica a scatenarsi l'una contro l'altra e di risultare esse, terzo che gode, i vincitori assoluti tra i due litiganti. Il Congresso ammonì pressantemente le potenze occidentali, sostenendo che avrebbero potuto pagare un prezzo amaro per tale gioco: "La politica di non intervento è in realtà un favore reso all'aggressore. [...] Si potrebbe supporre che i territori tedeschi della Cecoslovacchia siano stati concessi alla Germania come prezzo per l'impegno tedesco a intraprendere la guerra contro l'Urss. [...] Occorre tuttavia osservare che il grosso e pericoloso gioco politico iniziato dai sostenitori della politica di non intervento potrebbe finire per essi con un serio fiasco".

A partire da questa valutazione, tra i compiti spettanti alla politica estera sovietica venne indicato fra l'altro di: "Essere cauti e non dare la possibilità ai provocatori, abituati a lasciarsi togliere le castagne dal fuoco da terzi, di trascinare il nostro paese in un conflitto".

Il XVIII Congresso non si limitò però a mettere in guardia, ma offrì nuovamente la propria collaborazione a tutte le potenze interessate al mantenimento della pace. "La politica estera dell'Unione Sovietica si fonda [...] sulla posizione di quei paesi che per un motivo o per l'altro non sono interessati alla violazione della pace" [8].

Dopo l'annessione del resto della Cecoslovacchia si colsero avvisaglie, da parte dei governi delle potenze occidentali, della volontà di aprire trattative con l'Unione Sovietica, non da ultimo grazie all'insistenza sempre più pressante dei loro popoli. Dietro tale disposizione non si celava però altro che l'intento, contro il quale il Congresso aveva messo in guardia, di portare l'Unione Sovietica ad assumersi impegni vincolanti di un intervento militare contro la Germania, mentre loro, le potenze occidentali, si sarebbero tenute le mani libere.

Innumerevoli documenti comprovano tale atteggiamento e gran parte di essi è già stata pubblicata. Mi limiterò di seguito a presentarne solo qualcuno, che non è ancora abbastanza noto.

Lo storico sovietico VJ. Sipols cita, dal diario dell'allora ministro degli Interni statunitense, H. Ickes, la seguente valutazione riguardo alla posizione assunta dalla Gran Bretagna nel corso delle trattative con l'Unione Sovietica: "La Gran Bretagna sarebbe potuta giungere già da tempo a un accordo con l'Unione Sovietica, ma si è cullata nella speranza di spingere la Russia e la Germania l'una contro l'altra, salvando così la propria pelle" [9].

Di particolare interesse i rapporti forniti dell'ambasciatore polacco a Washington, conte Jerzy Potocki, al ministro degli Esteri di Varsavia, inerenti i colloqui avuti con l'ambasciatore statunitense a Parigi, William Bullit, che in quel momento si trovava a Washington. In un resoconto relativo a un colloquio avuto il 21 novembre del 1938, Potocki riporta in tal modo l'opinione di Bullit: "Il desiderio degli Stati democratici sarebbe che lì, in Oriente, si arrivasse a degli scontri bellici tra il Reich tedesco e la Russia. Poiché fino ad oggi non conosciamo il potenziale delle forze dell'Urss, potrebbe accadere che la Germania si allontani troppo dalle sue basi, condannandosi a una guerra lunga e di logoramento. Solo in quel momento gli Stati democratici, come ritiene Bullit, attaccherebbero la Germania, costringendola alla capitolazione" [10].

In un'altra relazione di Potocki su un colloquio con Bullit del 16 gennaio del 1939, si legge: "Bullit rispose che gli Stati democratici avevano abbandonato una volta per tutte l'ipotesi di un intervento armato in difesa di un qualunque Stato che fosse caduto vittima dell'attacco tedesco" [11].

Al governo polacco veniva così dichiarato brutalmente e senza ombra di dubbi che sarebbe stato lasciato solo nel caso in cui la Germania nazista avesse deciso di aggredire la Polonia. Ma fu proprio la Polonia a fare tutto quanto in suo potere per evitare un'alleanza militare dell'Inghilterra e della Francia con l'Unione Sovietica, eliminando così l'unica possibilità per il mantenimento della pace e per la sua stessa esistenza. L'antisovietismo suicida e dettato dall'odio fu per il governo polacco del tempo più forte della preoccupazione per la sussistenza della nazione.

Nell'articolo già citato, anche Valentin Falin riporta alcuni esempi a comprova dell'insidiosità con cui vennero condotte le trattative da parte delle potenze occidentali. Mi limiterò a riferire le dichiarazioni dell'allora cancelliere dello Scacchiere britannico, Lord Simon, nella seduta di gabinetto del governo di Londra del 10 luglio 1939. Lord Simon dichiarò in merito allo scopo della condotta dei negoziati britannici: "Importante è che ci riserviamo mano libera per poter sostenere davanti alla Russia di non essere vincolati a coinvolgerci in un conflitto, perché non concordiamo sull'interpretazione dei fatti".

In proposito il commento calzante di Falin: "Ben peggio del doppio gioco. Londra era alla ricerca di un'opportunità per lasciare libero sfogo alle energie dell'aggressore senza correre pericoli per sé - ben al corrente del fatto che L'operazione (della Germania) contro la Polonia sarebbe potuta scattare entro la fine di agosto o i primi di settembre'. [...] I dirigenti britannici avevano bisogno di un teatro politico e non di una collaborazione militare con noi".

La conclusione di Falin è pure la stessa cui giunge Berežkov, quando dichiara: "Il 23 agosto l'Unione Sovietica non aveva altra scelta", aggiungendo però che tale affermazione riguardava "grosso modo" il periodo fino a metà settembre 1939, "ovvero l'arco di tempo in cui l'Unione Sovietica rimase neutrale" [12], e non il periodo successivo: con ciò Berežkov si pronuncia negli stessi termini della dichiarazione comune sovietico-polacca degli storici. Falin lascia intendere implicitamente che, anche per quanto concerne il tanto controverso e dibattuto accordo segreto aggiuntivo al trattato di non aggressione del 23 agosto 1939, l'Urss non aveva avuto altra scelta. Alla luce delle testimonianze documentali [13] e degli avvenimenti successivi non c'è alcun dubbio sull'esistenza di tale documento: la questione relativa ai documenti originali riveste pertanto un'importanza secondaria.

L'accordo aggiuntivo regolava la "delimitazione delle sfere di interesse" tra la Germania di Hitler e l'Unione Sovietica "nel caso di una riorganizzazione politico-territoriale" in Polonia e nell'area degli Stati baltici [14]. Traslato dal linguaggio della tradizionale politica di potenza dinastica e imperialista a quello della lotta del primo Stato socialista per la salvaguardia della propria esistenza, la portata dell'accordo aggiuntivo stava nel fatto che l'Unione Sovietica, dopo il fallimento di tutti gli sforzi intrapresi per imbrigliare, insieme a Inghilterra e Francia, l'aggressore in una camicia di forza e dopo l'arrogante rifiuto del governo polacco opposto alle offerte di aiuto da parte dell'Unione Sovietica, si era guadagnata un margine di tempo e spazio per prepararsi più adeguatamente ad un attacco solo rinviato. Nel corso dei negoziati infatti l'Urss strappò per sé un territorio polacco a est di Varsavia; e gli Stati baltici di Lettonia ed Estonia insieme alla Finlandia, in quanto rientranti nella sua "sfera di interesse", e tutto questo significò un blocco all'avanzata delle truppe tedesche molto prima del confine sovietico.

A mio modo di vedere non c'è alcun motivo per condannare la dirigenza sovietica per via di queste disposizioni contenute nell'accordo aggiuntivo, né a livello morale né di diritto internazionale. Al contrario, saremmo stati costretti a pesanti critiche contro l'Urss se, trascurando colpevolmente gli interessi della sicurezza dello Stato socialista, i dirigenti sovietici si fossero limitati a sottoscrivere soltanto il trattato di non aggressione, lasciando in pasto al fascismo tedesco tutta l'Europa orientale a ovest del proprio confine.

Nessuno meglio dell'allora primo ministro britannico seppe esprimere il significato strategico della "delimitazione delle sfere di interesse": in un discorso radiofonico del 1° ottobre del 1939, dunque dopo la stipulazione del "trattato di amicizia e delimitazione" tra Germania e Unione Sovietica, di cui ci occuperemo, Churchill affermò: "Che l'armata russa rimanga su questa linea è indispensabile per la sicurezza della Russia contro la minaccia tedesca. Ad ogni modo, le postazioni sono state stabilite ed è stato fissato il fronte orientale, un fronte che la Germania nazista non osa attaccare. Il signor von Ribbentrop è stato invitato a Mosca la scorsa settimana per essere informato e prendere nota del fatto che occorresse porre fine alle mire naziste sugli Stati baltici e sull'Ucraina" [15].

Churchill, l'inveterato nemico della potenza sovietica, diede così prova di una notevole perspicacia, di cui proprio mancano invece le retrospettive storiche fornite dai critici moderni del trattato di non aggressione.

Se si parla di giustizia nazionale e storica, la "delimitazione delle sfere di interesse" ha significato una restituzione, con riferimento all'annessione violenta avvenuta nel 1920 dell'area ucraina e bielorussa da parte della Polonia di Pilsudski: la linea di demarcazione del 1939 infatti coincideva pressappoco con la linea proposta dall'allora ministro degli Esteri britannico Curzon, in base a considerazioni etniche, durante i negoziati di pace del 1919, come confine orientale del risorto Stato polacco.

La condotta che la Polonia aveva assunto nel 1920 contro la Russia sovietica indebolita dal conflitto e dalla guerra civile viene descritta da Berežkov nel discorso poc'anzi citato: "Nel 1920 avvenne lo scontro tra la Polonia e la Russia sovietica, durante il quale l'esercito polacco arrivò fino a Kiev e in altri territori, occupando gran parte dell'Ucraina. La potenza sovietica era in quel periodo talmente debilitata che fu obbligata ad accettare le condizioni. C'era poi anche la minaccia dei "generali bianchi", soprattutto nelle zone meridionali, e nel 1921 fummo costretti a sottoscrivere il trattato di Riga, che spostò arbitrariamente il confine verso est, con l'annessione di gran parte dei territori bielorussi e ucraini alla Polonia. Occorre allora parlare, prima, di una spartizione dell'Ucraina e della Bielorussia, e solo dopo di una spartizione della Polonia, poiché questa linea, sancita nel primo e successivamente nel secondo protocollo del 1939, scorre all'incirca lungo la linea Curzon, ovvero proprio lungo il confine proposto dagli alleati e più tardi anche da Churchill, quando a Teheran suggerì che dopo la guerra sarebbe stato il caso di ripristinare la linea Curzon, magari con qualche ritocco" [16].

Per quanto riguarda gli Stati baltici, la "delimitazione delle sfere di interesse" permise anche qui di archiviare le conseguenze di atti di violenza storica, ovvero dell'intervento tedesco e degli alleati" nel 1918-1919, a seguito del quale la giovane potenza sovietica si vide strozzata negli Stati baltici.

La "delimitazione delle sfere di interesse" risultò non solo legittimata, ma imposta, anche da un punto di vista democratico e antifascista. L'accordo preservò infatti milioni di persone, che altrimenti sarebbero state consegnate nelle mani degli occupanti fascisti già nel 1939, per un periodo allora non determinabile in anticipo, e offrì la possibilità di costituire delle posizioni di partenza più favorevoli per un futuro conflitto contro la Germania fascista.

In particolare però la mossa decisa dall'Urss, oltre che giustificata, fu audace e rivoluzionaria, se parliamo da un punto di vista di classe, e fin dal 1939 questa fu per me la posizione determinante. Non solo l'Unione Sovietica, come si vedrà tra breve, ostacolò gli intrighi imperialisti, ma restrinse, oltre all'area di influenza del fascismo tedesco, quella imperialista, espandendo l'area del socialismo. L'Urss fece saltare con ciò il "cordone sanitario" che l'imperialismo aveva steso intorno allo Stato sovietico dal Baltico fino al Mar Nero e riguadagnò dal dominio imperialista tutti quei territori che le erano stati strappati con la forza dopo la Prima guerra mondiale dalle potenze che avevano sfruttato il momento di debolezza, in cui il giovane Stato sovietico era venuto a trovarsi.

Nell'accordo aggiuntivo si trova inoltre il seguente passo: "La questione se il mantenimento di uno Stato polacco indipendente rientri negli interessi di ambo le parti e come delinearne eventualmente i confini, può essere chiarita solo nel corso degli ulteriori sviluppi politici" [17].

Non vi è certo dubbio alcuno che la pretesa di determinare il destino di un altro Stato, in questo caso come in quello dell'accordo di Monaco, è comunque indifendibile dal punto di vista del diritto internazionale, che correttamente viene considerato violato da tale pretesa. Una constatazione di questo tipo non è però sufficiente per una valutazione politica del paragrafo citato dall'accordo aggiuntivo: all'uopo occorrerebbe conoscere infatti le circostanze che lo originarono. È ipotizzabile ad esempio che una delle due parti avesse voluto inserire nel documento un passo, il cui contenuto prevedesse che nessuna delle due parti sarebbe stata interessata al mantenimento di uno Stato polacco indipendente. In tal caso il passo riportato dell'accordo aggiuntivo avrebbe rappresentato un rifiuto della proposta di una spartizione definitiva della Polonia tra i due Stati, in una forma che nella situazione del tempo sarebbe stata l'unica possibile per raggiungere lo scopo principale del trattato. Sarebbe altamente auspicabile che i dettagli dei negoziati allora intercorsi venissero resi noti all'opinione pubblica.



5. L'"Accordo di amicizia e di frontiera" del 28 settembre 1939

Da molte parti si legge che l'ingresso dell'Armata Rossa nei territori polacchi a est della linea di demarcazione (il 17 settembre 1939) abbia significato una violazione della neutralità. Con tale azione l'Urss si sarebbe schierata dalla parte della Germania nella guerra di questa contro la Polonia. Se si osservano i fatti più attentamente, la valutazione mi appare alquanto semplicistica. Infatti, se si fosse tracciata la linea di demarcazione lungo la linea Curzon senza garantire militarmente [da parte sovietica, ndr] la propria "zona di interesse", in altri termini con la rinuncia allo schieramento dell'Armata Rossa a protezione dei territori recuperati della Bielorussia e dell'Ucraina occidentale, ciò non sarebbe valso come rispetto della neutralità, ma come un invito lanciato alla Wehrmacht a varcare la linea di demarcazione. Non riesco a considerare l'occupazione di queste aree, che appartenevano di diritto all'Unione Sovietica, come una rottura della neutralità, a una condizione però: che l'Armata Rossa non si fosse resa complice dello smembramento dello Stato polacco, ma che avesse occupato quei territori solo dopo il crollo effettivo, quindi senza strapparli al Governo polacco, ma preservandoli dall'aggressore fascista.

Per quanto concettualmente questa distinzione risulti semplice e chiara, complicata appariva la faccenda nel contesto reale del settembre del 1939.1 fascisti tedeschi, fin dal primo giorno dell'aggressione alla Polonia, avevano premuto sull'Urss, acciocché l'Armata Rossa facesse ingresso nelle aree polacche che appartenevano alla sua "sfera di interesse". La parte sovietica, però, per una simile azione attese fino a che le truppe tedesche non raggiunsero e in parte ampiamente oltrepassarono la linea di demarcazione, provocando il crollo di fatto dello Stato polacco. Non fu facile resistere alle pressioni tedesche e rimandare lo spostamento delle proprie truppe: di tale situazione sono testimonianza concludente i telegrammi intercorsi tra Berlino e Mosca. Di seguito riportiamo estratti di questo scambio di telegrammi [18].

Il 3 settembre 1939, il ministro degli Esteri tedesco Rib-bentrop spedisce a Schulenburg, ambasciatore tedesco a Mosca, il seguente telegramma: "Contiamo con certezza di sconfiggere in modo decisivo l'esercito polacco in alcune settimane. [...] Naturalmente siamo stati costretti, per ragioni militari, ad avanzare anche oltre, contro le forze armate polacche che in questo momento si trovano nei territori della Polonia appartenenti alla sfera di interesse russa. Prego discuterne il prima possibile con Molotov e accertare così se l'Unione Sovietica non ritenga necessario schierare truppe russe nella propria sfera di interesse e prendere possesso per parte sua di questi territori".

I tedeschi dunque insistevano perchè l'Urss ordinasse il prima possibile all'Armata Rossa di fare ingresso nei territori appartenenti alla propria sfera di interesse, rendendosi in tal modo loro complice nella guerra contro la Polonia. Questa la risposta di Molotov del 5 settembre: "Concordiamo sul fatto che al momento giusto sarà per noi indispensabile intraprendere delle operazioni concrete. Riteniamo però che questo momento non sia ancora arrivato".

II 9 settembre Ribbentrop incaricò ancora una volta l'ambasciatore tedesco a Mosca di incitare i sovietici a un pronto intervento: "Tutti i segnali lasciano più o meno supporre un disfacimento dell'esercito polacco. In queste circostanze ritengo della massima urgenza che Lei riapra i colloqui con Molotov in merito alle intenzioni militari del governo sovietico. [...] La prego pertanto di riprendere con Molotov il discorso su questo tema in modo appropriato [...]".

Tali pressioni indussero il governo sovietico a talune manovre diplomatiche. Dalla sua condotta di principio, si rese palese che l'Unione Sovietica si fosse imposta di astenersi da qualsiasi azione che avesse potuto cancellare in qualche modo il fatto incontestabile che la Germania di Hitler da sola aveva aggredito la Polonia, facendo crollare l'esercito e lo Stato polacco. Dall'altro canto il respiro concesso dal trattato di non aggressione era talmente prezioso e necessario che l'Unione Sovietica aveva estremo interesse a non offrire ai tedeschi alcun appiglio per mettere in dubbio il rispetto del trattato stesso da parte dei sovietici o qualche pretesto per accusarli in questo senso. A partire dal 9 settembre il governo sovietico intraprese pertanto, ed è realtà evidente a posteriori, certe manovre diplomatiche con un unico scopo: rimandare il più possibile il proprio intervento militare, senza comunque fornire ai tedeschi alcun pretesto per lanciare accuse nei suoi confronti.

L'ambasciatore tedesco informò Berlino della prima reazione del governo sovietico alla pressione di Ribbentrop del 9 settembre: "Molotov mi ha spiegato oggi, alle ore 15:00, che a giorni avrà luogo un'azione militare sovietica". Il giorno seguente peraltro Schulenburg telegrafò a Berlino: "Nel colloquio di oggi, avvenuto alle ore 16:00, Molotov ha circoscritto la dichiarazione di ieri, affermando che i rapidi e inaspettati successi militari tedeschi hanno colto completamente di sorpresa il governo sovietico. In base alle nostre prime comunicazioni l'Armata Rossa contava di disporre di alcune settimane, ora ridotte a pochi giorni. I militari sovietici si trovano pertanto in una situazione delicata, perché nelle condizioni attuali necessitano ancora di 2, 3 settimane per i preparativi. [...] Ho con insistenza sottolineato a Molotov l'importanza, nella situazione odierna, di un'azione immediata dell'Armata Rossa. Egli ha ripetuto che da parte loro si tenta tutto il possibile per accelerare i tempi. Ho avuto l'impressione che ieri Molotov abbia promesso più di quanto l'esercito sovietico sia in grado di realizzare. A questo punto Molotov ha parlato del lato politico della questione, spiegando che l'Unione Sovietica aveva intenzione di utilizzare l'avanzata ulteriore delle truppe tedesche come argomento per dichiarare che la Polonia si stava sgretolando e che pertanto l'Urss si trovava nella necessità di intervenire a favore degli ucraini e dei bielorussi minacciati dalla Germania".

Per "addolcire" questa motivazione senza dubbio possibile seriamente intesa, ma che andava ad offendere la controparte del trattato, Molotov aggiunse: "Con tali motivazioni risulterà giustificato davanti alle masse l'intervento sovietico, e verrà al contempo evitato che l'Urss appaia come un aggressore".

A questa dichiarazione Molotov aggiunse un'osservazione, il cui scopo, come ha dimostrato lo sviluppo dei fatti, era quello di dare una spiegazione dell'ulteriore ritardo di un'azione militare sovietica. Così Molotov: "Questa strada è stata sbarrata al governo sovietico da un messaggio pervenuto ieri dall'Ufficio informazioni tedesco in base al quale, secondo una dichiarazione del Generale di corpo d'armata Brauchitsch, non sarebbero state necessarie azioni belliche al confine orientale tedesco. Tale messaggio ha fatto supporre che di lì a poco sarebbe seguito un armistizio tra la Germania e la Polonia: e in questo caso l'Unione Sovietica non avrebbe potuto iniziare un 'nuovo conflitto'. Da parte mia dichiarai di non essere al corrente di questo messaggio, che appariva del tutto contrario ai fatti, e che avrei richiesto subito delle spiegazioni".

Dalla risposta di Ribbentrop, riportata da Schulenburg a Molotov il 13 settembre, traspare che Molotov aveva "frainteso" intenzionalmente le parole del Generale Brauchitsch. Così Ribbentrop per Molotov: "Fin d'ora prego però il signor Molotov di ammettere che la sua affermazione riguardo alla dichiarazione del Generale del corpo di armata Brauchitsch fosse fondata su un malinteso. Tale dichiarazione si riferiva esclusivamente all'esercizio regolare del potere esecutivo nei vecchi territori del Reich prima dell'inizio dell'azione tedesca contro la Polonia e non ha nulla a che vedere con una limitazione delle nostre operazioni militari verso oriente su quello che fino ad ora è stato territorio statale polacco. Non si può assolutamente parlare di un imminente armistizio con la Polonia".

Per non addentrarmi troppo nei dettagli, cesserò qui di continuare a riferire il significato dello scambio di telegrammi, riportando in conclusione solo che il 15 settembre i tedeschi presentarono ai sovietici il testo di un comunicato comune tedesco-sovietico, che si sarebbe dovuto pubblicare contemporaneamente all'inizio dell'azione militare sovietica e che mirava, di nuovo, a far apparire i due Stati come alleati militari. Ribbentrop motivò questa proposta con un energico rifiuto dell'originaria dichiarazione sovietica. Una motivazione del genere, sosteneva, "sarebbe difatti impossibile, perché contrasterebbe con le reali intenzioni tedesche, che miravano esclusivamente alla realizzazione dei noti interessi vitali della Germania, presentando in definitiva i due Stati come nemici agli occhi del mondo intero, a dispetto dell'intento già espresso da ambo le parti di instaurare delle relazioni amichevoli".

Irremovibile di fronte a tali dure pressioni, l'Unione Sovietica persistette nella propria spiegazione unilaterale del suo modo di procedere, il cui contenuto venne riferito a Berlino dall'ambasciatore tedesco: "La bozza che mi è stata letta contiene tre punti per noi inaccettabili. Di fronte alle mie obiezioni, Stalin, con grande disponibilità, ha modificato il testo, sicché la nota pare ormai per noi più accettabile". L'Urss fece dunque un passo avanti nella sua disponibilità al compromesso, accettando la richiesta del governo tedesco di un comunicato comune tedesco-sovietico, ma solo alcuni giorni dopo la pubblicazione della dichiarazione unilaterale sovietica.

Undici giorni dopo l'inizio dell'occupazione dei territori a Est della linea di demarcazione da parte dell'Armata Rossa, la Germania e l'Urss conclusero un nuovo accordo, passato alla storia come il "trattato di amicizia e di frontiera" del 28 settembre 1939.

La denominazione di "accordo di amicizia" viene utilizzata da alcuni a comprova del fatto che l'Unione Sovietica avesse realmente infranto la posizione di neutralità, schierandosi dalla parte della Germania. In effetti una tale denominazione per indicare un trattato tra l'Urss e la Germania di Hitler non poteva che urtare ogni comunista, sollevando l'interrogativo: era necessario spingersi fino a questo punto, non sarebbe bastato accontentarsi della definizione di "trattato di frontiera"? Vero è anche che per gli avversari dell'Unione Sovietica sarebbe molto più difficile sospettare della politica sovietica, se questo trattato fosse stato chiamato soltanto "di frontiera".

Non solo i comunisti, peraltro, ma tutte le persone imparziali dovrebbero valutare una cosa non per il suo nome o la sua confezione, ma per il contenuto. Se si segue questa linea, risulta chiaro che il trattato costituiva una prova di profonda sfiducia dell'Unione Sovietica nei confronti della Germania fascista e un inasprimento della preoccupazione riguardo a un futuro attacco tedesco. Qual'era del resto il contenuto dell'accordo?

Il punto focale consisteva nella fissazione definitiva della linea di demarcazione, che implicava un fatto abbastanza sensazionale: dopo l'accordo del 28 settembre anche la Lituania, che secondo l'accordo aggiuntivo del 23 agosto 1939 apparteneva ancora alla "sfera di interesse" tedesca, entrò a far parte di quella sovietica!

E questo nonostante che Hitler avesse poco prima ordinato alla Wehrmacht di occupare la Lituania! [19] L'Unione Sovietica era riuscita nel corso dei negoziati per il trattato di delimitazione a imporre con fermezza la richiesta di modificare a proprio vantaggio la linea di demarcazione nell'area del Baltico. Come compenso l'Urss acconsentì a far retrocedere la linea di demarcazione in territorio polacco dalla linea Pisa-Narew-Vistola-San, ovvero dal perimetro orientale di Varsavia, fino al fiume Bug, così da farla coincidere grosso modo con la linea Curzon.

La revisione dell'accordo del 23 agosto in relazione alla Lituania, ottenuta dall'Unione Sovietica, non palesa certo sentimenti amichevoli nei confronti della Germania, quanto semmai sfiducia e preoccupazione antiveggente. Ma allora, perché chiamare questo patto "accordo di amicizia"?

Possiamo affermare senza ombra di dubbio che la parte che insistè maggiormente al fine di integrare la definizione "trattato di delimitazione" con la parolina "amicizia" sia stata quella tedesca: il primo tentativo a riguardo, anche se vano, era già stato compiuto infatti in agosto. Negli appunti del direttore del Dipartimento giuridico del Ministero degli Esteri tedesco, Friedrich Gaus, il quale partecipò a Mosca alla stesura del trattato di non aggressione, si legge in merito: "Il signor von Ribbentrop aveva personalmente aggiunto al preambolo della bozza del trattato da me redatta un giro di frase piuttosto ampio riguardo a una configurazione amichevole delle relazioni tedesco-sovietiche. Tale giro di parole venne contestato dal signor Stalin, con l'osservazione che il governo sovietico, dopo essere stato per sei anni ricoperto di secchi di liquame dal governo nazionalsocialista, non avrebbe potuto ora sbattere in faccia all'opinione pubblica assicurazioni di amicizia tedesco-russa. Il passo in questione venne cancellato o modificato" [20].

Il 28 settembre l'Unione Sovietica si arrese alle pressioni tedesche, accettando di presentare il trattato di delimitazione tedesco sovietico come un accordo di amicizia. Spetta agli studiosi, che conoscono nel dettaglio lo sviluppo delle negoziazioni, stabilire se il prezzo pagato per raggiungere lo scopo prefissato sia stato troppo alto. Diverso è il caso, a mio parere, con le successive dichiarazioni antipolacche di Stalin e Molotov, riferite nella presa di posizione degli storici di parte sovietica e polacca. A prescindere dai motivi per cui furono rese, secondo i nostri criteri di giudizio attuali tali dichiarazioni rappresentano in effetti una deviazione dai principi leninisti riguardo alla politica estera e delle nazionalità. Non possiamo tuttavia giustificare quelle forze nazionaliste interne ed esterne all'Urss, che avanzano oggi la pretesa di invalidare il patto di non aggressione e tutti i trattati ad esso correlati, creando così il pretesto giuridico per impugnare anche l'appartenenza all'Urss di tutti quei territori nei quali, nel 1940, si era ristabilito il dominio sovietico [21].

In conclusione: invece di una fin troppo montata discussione sulla problematica intorno alla questione, da tempo ormai risolta, se ritenere o meno necessario e quindi legittimo il trattato di non aggressione nel contesto in cui vide la luce, ritengo molto più attuale e urgente che tutti i comunisti e antifascisti si impegnino a escogitare un metodo per affrontare e sventare i tentativi intrapresi dall'imperialismo per riaccaparrarsi parti dell'Urss e degli Stati della comunità socialista.

Michail Gorbacëv ha spalancato agli occhi dell'umanità una nuova prospettiva:

"Nel 2000 nel mondo non ci saranno più armi nucleari!", cui è seguita un'eco corale e dissonante degli imperialisti: "Nel 2000 nel mondo non ci saranno più né i comunisti né il socialismo!".

La minaccia per il mondo del socialismo è simile oggi a quella di 50 anni fa, dopo la data fatale del 1939. Da parte mia posso solo sperare e augurarmi che tutti coloro, che sono stati sfidati dagli imperialisti, sappiano trovare una risposta che non provochi in futuro per gli storici marxisti un rompicapo ancora più gravoso di quello costituito per noi oggi dalla risposta data dall'Urss nel 1939.


     NOTE

[1] Kurt Gossweiler, Wider den Revisionismus, pp. 167-191). Versione ampliata di una relazione tenuta dall'autore in occasione della conferenza scientifica, Terror-Demagogie-Aggression-Widerstand (Terrore-Demagogia-Aggressione-Resistenza), a Buchenwald, luogo nazionale della memoria (6/7 giugno 1989), pubblicata nel numero 6/1989 della BZG (raccolta di contributi sulla storia del movimento operaio), p. 791-805.

[2] Deutsche Volkszeitung/die Tat [giornale sovietico nella Germania dell'Est, ndr], 19-5-1989.

[3] V. Falin, Die Negation der Negation (La negazione della negazione), in Spiegel spezial. 100 Jahre Hitler, Amburgo, 1989, p. 120-121.

[4] Presidente di questa "Commissione del Congresso dei deputati del popolo dell'Urss per la valutazione politica e storica del trattato di non aggressione sovietico-tedesco del 1939" è stato Alexander Jakovlev, membro del Politbjuro e segretario del CC del PCUS. In un'intervista (Pravda [Organo di stampa del Partito comunista dell'Unione Sovietica, ndr], 18-8-1989) egli ha delineato la propria posizione in merito agli esiti cui erano giunti i lavori della commissione. Le valutazioni sul trattato di non aggressione insieme alle sue complesse implicazioni e conseguenze corrispondono in tutti i punti essenziali con quelle della commissione storica sovietico-polacca e con le opinioni citate di Berežkov e Falin.

[5] V.I.Lenin, Rede in der Versammlung der Zellensekrätere der Moskauer Organisation der KPR(b) am 26. November 1920. (Discorso tenuto il 26 novembre 1920 all'assemblea dei segretari delle cellule dell'organizzazione moscovita del PCR(b). In Sämtliche Werke, (Opere), vol. XXV, Vienna-Berlino, 1930, p. 633 e segg.

[6] J. Stalin, Rechenschaftsbericht an den XVII. Parteitag über die Arbeit des ZK der KPdSU(B), (Rapporto al XVII Congresso sul lavoro del CC del PC(b) dell'Urss), 26-1-1934, Berlino 1949, p. 13-16.

[7] P. Togliatti (Ercoli), Die Vorbereitung des imperialistischen Krieges und die Aufgaben der Kommunistischen Internationale. (I preparativi della guerra imperialista e i compiti dell'Internazionale Comunista). 13/14-8-1935. In VII. Kongress der K.I. Referate und Resolutionen (VII Congresso dell'Internazionale Comunista. Relazioni e risoluzioni), Berlino 1975, p. 192, 212-213, 218.

[8] J. Stalin, Rechenschaftsbericht an den XV1I1. Parteitag über die Arbeit des ZK der KPdSU(B), (Rapporto al XVIII Congresso sul lavoro del CC del PC(b) dell'Urss), 10-3-1939, Berlino 1949, p. 8, 12, 15, 18.

[9] V.J. Sipols, Die Vorgeschichte des deutsch-sowjetischen Nichtangriffsvertrages, (Gli antefatti del trattato di non aggressione tedesco-sovietico), Colonia 1981, p. 288.

[10] Documentazioni polacche sugli antefatti del conflitto. Prima serie, pubblicata su richiesta del Ministero degli Esteri, Berlino 1940, n. 3, p. 9.

[11] Ibidem, p. 18.

[12] V. Falin, Die Negation der Negation (La negazione della negazione), op. cit., p. 120.

[13] Nella Izvestija moscovita [Notizie, quotidiano russo organo del Soviet supremo dell'Urss, ndr] del 23-9-1939 venne pubblicata una mappa che riportava, per citare il testo, "la linea di demarcazione stabilita dai governi della Germania e dell'Urss tra le truppe tedesche e sovietiche in Polonia", come fissata nell'accordo aggiuntivo del 23 agosto.

[14] Citazione dal testo dell'accordo aggiuntivo in W. Hofer, Die Entfesselung des Zweiten Weltkrieges. Eine Studie über die internationale Beziehungen im Sommer 1939. Mit Dokumenten, (Lo scatenamento del secondo conflitto mondiale. Uno studio delle relazioni internazionali nell'estate del 1939, corredato di documenti), Francoforte sul Meno e Amburgo 1967, p. 102-103.

[15] Citazione da Geschichtsfälscher. Aus Geheimdokumenten über die Vorgeschichte des 2. Weltkrieges, (I falsificatori della storia. Da documenti segreti sugli antefatti della Seconda guerra mondiale), Berlino 1953, p. 51.

[16] Deutsche Volkszeitung/die Tat, 19-5-1989.

[17] W. Hofer, Die Entfesselung, (Lo scatenamento), op cit., p. 103.

[18] Ibidem, p. 110-118.

[19] Cfr. A. Jakovlev nell'intervista alla Pravda del 18-8-1989: "Il 25 settembre 1939 Hitler sottoscrisse la direttiva n. 4 con cui ordinò di concentrare nella Prussia orientale le forze necessarie a una rapida occupazione della Lituania anche nel caso di una resistenza armata. E probabilmente l'operazione avrebbe avuto seguito se il 28 settembre del 1939 non fosse stato firmato tra Germania e Urss il trattato 'di amicizia e delimitazione' che correggeva le sfere di interesse".

[20] Citazione da Internationaler Gerichtshof Nürnberg. Der Prozeß gegen die Hauptkriegsverbrecher vor dem IMG, (Tribunale Internazionale di Norimberga. Processo contro i principali criminali di guerra davanti al Tribunale militare internazionale), Norimberga, 14 settembre 1945 - 1° ottobre 1946, vol. X, p. 353 e segg.

[21] A. Jakovlev in merito alle richieste di "ripristinare la situazione com'era prima del conflitto", invalidando il trattato di non aggressione "fin dal principio": "Un tale punto di vista equivarrebbe a dichiarare invalida la guerra. Non so però a questo punto dove mettere i milioni di persone che sono state sue vittime. [...] Trovare un nesso tra la situazione odierna delle tre Repubbliche (baltiche) e il trattato di non aggressione è un'argomentazione ancor più tirata per i capelli".