Kruscev a Belgrado
per riconciliarsi con Tito

Maggio 1955

Dalle note di Kurt Gossweiler datate 26 maggio 1955 (da "Contro il revisionismo - da Kruscev a Gorbaciov: saggi, diari e documenti", Zambon Editore, 2009, pp.210-215)


Arrivo della delegazione sovietica a Belgrado.
Discorso di Kruscev all'aeroporto:

"Caro compagno Tito! [...]
Ci rammarichiamo sinceramente di quanto è accaduto e con decisione spazziamo via i detriti accumulatisi in que­sto periodo. Tra i quali annoveriamo senza dubbio il ruo­lo provocatorio nei rapporti tra la Jugoslavia e l'Urss, svolto dagli oramai smascherati nemici del popolo Berija, Abakumov e altri. Abbiamo esaminato accuratamente i materiali, su cui poggiavano le pesanti accuse e offese ri­volte al tempo contro i dirigenti della Jugoslavia. I fatti di­mostrano che queste prove sono state fabbricate da nemici del popolo, ignobili agenti dell'imperialismo, che con l'inganno si erano insinuati tra le file del nostro Partito".


Nulla di più preciso è stato mai pubblicato circa quali do­cumenti fossero stati falsificati.

Sebbene l'affermazione che il movimento comunista mon­diale, con compagni così esperti del calibro di Stalin, Dimitrov, Togliatti, Thorez, ecc., fosse stato indotto, dalle fal­sificazioni di un gruppo di provocatori, a una valutazione totalmente distorta della situazione di un paese e che il movimento comunista, e il PCUS alla sua testa, avessero torto, mentre la ragione stesse dalla parte di Tito, sebbene un quadro di tal fatta abbia a tutti gli effetti dell'incredibi­le, molti hanno preso per vera questa sola affermazione basata sul nulla, che è bastata per vedere, da allora in poi, in Tito il "caro compagno", vittima di un'amara ingiusti­zia. E' qui che risiede in realtà una delle conseguenze più pericolose e dannose del culto della personalità!

Per i meno creduloni, però, rimangono dei fatti che nep­pure questa dichiarazione ha potuto cancellare, fatti che impediscono di considerare Tito come un vero comunista, degno di fiducia:


1. La prima delibera dell'Ufficio informazioni [Cominform, ndr] nel giugno del 1948 era stata preceduta da uno scambio epistolare tra il PCUS e gli altri partiti co­munisti da una parte e il Partito jugoslavo dall'altra, let­tere in cui i primi avevano avanzato delle critiche nei confronti di alcuni provvedimenti ed esternazioni dei compagni jugoslavi, proponendo una seduta dell'Uffi­cio informazioni per discutere delle divergenze d'opi­nione. Che questa rappresentazione dei fatti sia vera o meno, è una questione sulla quale neppure la più sofi­sticata falsificazione di Berija sarebbe stata in grado di ingannare i partiti coinvolti! Tito respinse però tali collo­qui, sostenendo che i compagni jugoslavi "non sarebbe­ro stati in condizione di parità di diritti".

2. La prima delibera dell'Ufficio informazioni nel giu­gno del 1948 esprime una critica assai moderata, pur se di principio, al Partito comunista jugoslavo. Tale critica era fondata su una documentazione assoluta­mente univoca e ancora oggi comprovabile, e ha di­mostrato che la dirigenza del Partito comunista jugo­slavo, fra l'altro, si distaccava dall'internazionalismo proletario per deviare verso il nazionalismo; che "i capi della Jugoslavia avevano iniziato a equiparare la politica estera dell'Urss a quella delle potenze impe­rialiste, adottando un atteggiamento nei confronti dell'Unione Sovietica simile a quello rivolto verso gli Stati borghesi": per prendere in considerazione solo l'accusa, della cui fondatezza Tito ha dato chiaramen­te la prova negli ultimi tempi (senza delibere del Cominform e provocazioni di Berija!).

3. Parimenti, non è frutto di fantasia, ma un fatto, che in Jugoslavia i cosiddetti comunisti "fedeli al Cominform" vennero perseguitati, esclusi dal Partito, impri­gionati e costretti a emigrare. E questo, non soltanto dopo la seconda risoluzione! Già in tempi precedenti alla prima risoluzione due membri del Comitato cen­trale, Zujovic ed Hebrang, erano stati allontanati dal Partito e fatti arrestare, proprio per ragioni del genere.

4. Fin da subito dopo la prima risoluzione la politica estera della Jugoslavia iniziò a orientarsi verso gli Sta­ti imperialisti, anche a prova di ciò esistono documen­ti autentici.

5. I processi che furono condotti nelle democrazie popo­lari non erano provocazioni di Berija, ma si fondava­no su fatti emersi in questi paesi. Le risultanze di tut­ti questi processi portarono allo stesso giudizio circa il ruolo di Tito. E' vero pure che la maggior parte di es­si venne in seguito ritenuta infondata. Ma ciò ha fat­to emergere una situazione piuttosto singolare: il pro­cesso Kostov in Bulgaria viene invalidato a posteriori, stessa sorte tocca al processo Rajk in Ungheria, quel­lo di Slanskij in Cecoslovacchia "solo nei limiti in cui si riferisce alla Jugoslavia". Del processo contro Xoxe in Albania è stata espressamente confermata la legit­timità. Per quanto riguarda i casi Rajk e Kostov, non risulta ancora oggi espresso in che cosa consistessero esatta­mente le presunte falsificazioni.

Per quanto attiene al processo Slanskij, è del tutto evi­dente, per chiunque se ne sia occupato, che è impossi­bile dichiararne invalida una parte senza ritenere l'in­tero processo frutto di falsificazione. Se, d'altro canto, se ne recupera solo una parte, si esprime con ciò che tutte le sue parti fossero corrette. È pertanto lampante che la dichiarazione di parziale invalidità abbia potuto aver luogo solo perché, dopo la riabilitazione di Tito da parte del PCUS, anche le restanti democrazie popolari erano tenute ad adeguarsi (ci soffermeremo in seguito sul motivo).

Il Partito albanese è stato il solo (!) a non compiere que­sto passo, perseverando nella sua posizione: Xoxe è stato condannato e giustiziato legittimamente, egli era dunque un agente di Tito, che voleva consegnare l'Al­bania nelle mani della Jugoslavia. D'accordo, ma o Tito è un "caro compagno", e allora non esistono agenti di Tito, neppure in Albania, op­pure esistevano agenti di Tito in Albania, ma allora Tito non è un "caro compagno". Dunque non si com­prende perché non dovessero esserci agenti di Tito anche in Bulgaria, in Ungheria, nella Cecoslovacchia e in Polonia.

6. Del resto, l'attività antisovietica di disgregazione da parte degli uomini di Tito si percepiva anche in Ger­mania e soprattutto in quella occidentale, nel Kpd [Partito comunista di Germania, ndr].

7. Non è un'invenzione di Berija, infine, che in Jugoslavia il "socialismo" vada edificato con il ricorso ai prestiti americani e che da anni la Jugoslavia sia un membro dell'imperialistico patto dei Balcani e che lo sia rimasta anche dopo la riconciliazione con l'Unione Sovietica e le democrazie popolari. La Jugoslavia è restata dall'al­tro lato della barricata, il nostro era ed è quello del Pat­to di Varsavia.


In passato, era scontato per ogni comunista che chi si coa­lizza con gli imperialisti contro l'Unione Sovietica non può essere un comunista. Oggi, invece, può accadere che qualcuno ci attacchi alle spalle e ammetta apertamente di voler annientare tutti i Partiti comunisti, come ha fatto Ti­to nel discorso di Pola, e che tuttavia i comunisti continui­no a considerarlo comunque un comunista!
Ma allora, come si spiega la dichiarazione di Kruscev a Belgrado?

L'unica spiegazione che potrebbe consentire di approva­re questo passo, e di ritenerlo addirittura un'astuta mos­sa da scacchi, sarebbe stata quella di sfruttare le difficol­tà interne ed esterne di Tito e il suo spacciarsi per comu­nista al fine di ricondurre la Jugoslavia, prendendolo in parola, nel campo socialista.
E, con lo scopo di sottrargli sul nascere qualsiasi possibili­tà di sfuggire, perfino addossandoci noi la colpa della rot­tura. In questo modo, si sarebbe potuto sostenere, sarebbe stata anche concessa alle forze sane del Partito jugoslavo una base per poter di nuovo apparire sulla scena.
Una tattica molto audace, fin troppo astuta.

Che in un primo momento riscosse un successo tanto sorprendente da spiegare il motivo per cui i compagni bulgari e ungheresi si lasciarono convincere e si mostra­rono disposti a non ostacolarne l'ulteriore affermazione, anzi a incoraggiarla con la delegittimazione dei processi. Ma poi, nell'ottobre del 1956, tutto si è svelato improvvi­samente:

con questa tattica non venne recuperata la libertà d'azio­ne delle forze internazionaliste all'interno del Partito ju­goslavo; nulla si è sentito in Jugoslavia a proposito di una riabilitazione degli "uomini del Cominform".
Tito non ne aveva del resto proprio bisogno, gli era infatti stato riaffermato che tutti coloro che lo avevano accusato avevano avuto torto.

Al contrario, tutte le forze titoiste, già rese innocue, venne­ro rinvigorite e riattivate! Non si era per questa via ripristi­nata né consolidata l'unità del campo socialista, piuttosto si era spianata la strada al nemico, per la penetrazione nel no­stro campo.

Un altro effetto della dichiarazione di Kruscev: anch'essa fu un colpo inferto all'autorità di Stalin, che, come tutti sa­pevano, aveva svolto un ruolo decisivo nella condanna di Tito. Una preparazione per i colpi futuri.