DISCORSI ALLA CONFERENZA STRAORDINARIA
DELL'ORGANIZZAZIONE DI PIETROGRADO DEL POSDR (bolscevico)

(16-20 Luglio 1917)

Testi pubblicati per la prima volta nel 1923 sul n. 7 della Krasnaia Ljetopisj (Cronaca Rossa).

Pietrogrado, 4 Luglio 1917. Dimostrazione di strada su Nevsky Prospekt appena dopo che le truppe del Governo Provvisorio ebbero aperto il fuoco con le mitragliatrici

Rapporto del CC sugli avvenimenti di luglio

(16 luglio)

Compagni!
Si accusa il nostro partito e specialmente il suo Comitato centrale di aver promosso e organizzato la dimostrazione del 3 e del 4 luglio per costringere il Comitato esecutivo centrale dei soviet a prendere il potere o, se questo avesse rifiutato, di prenderlo esso stesso.
Innanzitutto, devo confutare queste accuse. Il 3 luglio due rappresentanti di un reggimento di mitraglieri hanno fatto irruzione alla conferenza dei bolscevichi e annunciato che il 1° reggimento di mitraglieri era insorto. Voi ricorderete che noi avevamo dichiarato ai delegati che i membri del partito non potevano agire contro le decisioni del loro partito e che i rappresentanti del reggimento avevano protestato, affermando che sarebbero usciti dal partito piuttosto che andare contro le decisioni del reggimento.
Il Comitato centrale del nostro partito riteneva che, nelle attuali condizioni, un'azione degli operai e dei soldati a Pietrogrado fosse inopportuna. Perché era evidente che l'offensiva sferrata al fronte dal governo era un'avventura; che i soldati non sarebbero andati all'attacco senza sapere lo scopo; che nel caso in cui avessimo manifestato a Pietrogrado i nemici della rivoluzione avrebbero potuto far ricadere su di noi la responsabilità per il fallimento dell'offensiva al fronte.
Noi volevamo che la responsabilità per l'insuccesso dell'offensiva al fronte cadesse sui veri colpevoli di quell'avventura. Ma l'azione cominciò, i mitraglieri mandarono delegati nelle fabbriche. Alle sei ci trovammo dinanzi al fatto compiuto di un'immensa dimostrazione di massa di operai e di soldati. Alle cinque, alla seduta del Comitato esecutivo centrale dei soviet, io avevo dichiarato ufficialmente, a nome del Comitato centrale del partito e della conferenza, che avevamo deciso di non fare dimostrazioni. Accusarci, dopo questo, di aver organizzato l'azione, significa dire una menzogna degna di calunniatori impudenti. L'azione era divampata. Il partito aveva il diritto di lavarsene le mani e di mettersi in disparte? Sapendo che era possibile si verificassero complicazioni ancora più serie, non avevamo il diritto di lavarcene le mani; noi, come partito del Proletariato, dovevamo intervenire nella dimostrazione e darle un carattere pacifico e organizzato, senza porci l'obiettivo di prendere il potere con le armi.
Ricordo alcuni casi analoghi che ci offre la storia del nostro movimento operaio. Il 9 gennaio 1905, quando Gapon condusse le masse dallo zar, il partito non si rifiutò di marciare con le masse, pur sapendo che sarebbero andate a finire non si sa dove. Ora che il movimento non si svolgeva con le parole d'ordine di Gapon, ma con le nostre, ci era ancor meno possibile tenerci lontani.
Dovevamo intervenire come disciplinatori, come partito moderatore, per preservare il movimento da possibili complicazioni. I menscevichi e i socialisti-rivoluzionari pretendono di guidare il movimento operaio, ma non si presentano come persone capaci di dirigere la classe operaia. I loro attacchi contro i bolscevichi denotano che essi hanno un'incomprensione totale degli obblighi del partito della classe operaia. L'ultima dimostrazione degli operai, essi la giudicano da persone che hanno rotto con la classe operaia.
Nella notte, il Comitato centrale del nostro partito, il comitato di Pietroburgo e l'organizzazione militare decisero d'intervenire in quel movimento spontaneo di soldati e di operai. I menscevichi e i socialisti-rivoluzionari, vedendo che più di 400.000 soldati e operai ci seguivano, che a loro veniva a mancare il terreno sotto i piedi, dichiararono che l'azione degli operai e dei soldati era un'azione contro i soviet. Io affermo che la sera del 4 luglio, quando i bolscevichi vennero dichiarati traditori della rivoluzione, furono i menscevichi e i socialisti-rivoluzionari, a tradire la rivoluzione, spezzando il fronte unico della rivoluzione e concludendo un'alleanza con la controrivoluzione. Per infliggere un colpo ai bolscevichi hanno inflitto un colpo alla rivoluzione.
Il 5 luglio i menscevichi e i socialisti-rivoluzionari hanno proclamato lo stato d'assedio, hanno organizzato uno Stato maggiore e hanno trasmesso tutti i poteri alla cricca militare.
Così noi, che lottavamo per dare tutto il potere ai soviet, ci siamo trovati nella condizione dei avversari armati dei soviet.
La situazione era tale che le truppe bolsceviche potevano venirsi a trovare contro quelle dei soviet. Per noi, accettare battaglia in una situazione simile sarebbe stata una follia. Noi abbiamo detto ai dirigenti dei soviet: i cadetti se ne sono andati; fate blocco con gli operai e fate che il potere sia responsabile davanti ai soviet. Ma essi hanno preso un'iniziativa perfida, ci hanno lanciato contro i cosacchi, gli allievi ufficiali, i banditi e alcuni reggimenti provenienti dal fronte, dicendo loro che i bolscevichi erano contro i soviet. È naturale che, in tali condizioni, noi non potessimo accettare la battaglia a cui ci spingevano i menscevichi e i socialisti-rivoluzionari. Abbiamo deciso di ritirarci.
Il 5 luglio hanno avuto luogo le trattative con il Comitato esecutivo centrale dei soviet, rappresentato da Liber che ha posto le seguenti condizioni: noi, vale a dire i bolscevichi, dovevamo allontanare le autoblinda da Palazzo Kscesinski; i marinai avrebbero dovuto trasferirsi dalla fortezza di Pietro e Paolo a Kronstadt. Abbiamo accettato, a condizione che il Comitato esecutivo centrale dei soviet si incaricasse di proteggere le nostre organizzazioni di partito da una eventuale devastazione. Liber, a nome del Comitato esecutivo centrale, ha assicurato che le nostre condizioni sarebbero state osservate, che il Palazzo Kscesinski sarebbe rimasto a nostra disposizione finché non ci fosse stata data una sede stabile. Noi abbiamo mantenuto le nostre promesse. Le autoblinda sono state ritirate, i marinai di Kronstadt hanno accettato di tornare indietro, ma con le loro armi. Tuttavia il Comitato esecutivo centrale dei soviet non ha mantenuto neppure uno dei suoi impegni. Il 6 luglio il rappresentante militare dei socialisti-rivoluzionari, Kuzmin, ha trasmesso telefonicamente la richiesta di evacuare in tre quarti d'ora il Palazzo Kscesinski e la fortezza Pietro e Paolo; in caso contrario, minacciava di far intervenire le forze armate. Il Comitato centrale del nostro partito ha deciso che bisognava evitare con tutte le forze spargimenti di sangue e mi ha inviato alla fortezza di Pietro e Paolo, dove sono riuscito a persuadere i marinai di guarnigione a non accettare battaglia, poiché le cose si erano messe in modo che ci saremmo potuti trovare contro i soviet. In qualità di rappresentante del Comitato centrale esecutivo dei soviet, mi recai da Kuzmin insieme al menscevico Bogdanov.
Qui tutto era pronto per la battaglia: l'artiglieria, la cavalleria, la fanteria. Lo abbiamo esortato a non far uso della forza armata. Kuzmin era scontento che "i civili lo intralciassero sempre con la loro ingerenza" e ha accettato con riluttanza a sottomettersi alla richiesta del Comitato esecutivo centrale dei soviet. Per me era evidente che i militari socialisti-rivoluzionari volevano che scorresse il sangue, per dare "una lezione" agli operai, ai soldati, ai marinai. Noi abbiamo fatto saltare il loro perfido piano. Intanto, la controrivoluzione passava all'offensiva: devastazione della Pravda e del Trud, bastonature e assassinio dei nostri compagni, soppressione dei nostri giornali e così via.
Alla testa della controrivoluzione c'era il Comitato centrale del partito cadetto; lo seguivano lo Stato maggiore e varie personalità del comando dell'esercito, vale a dire i rappresentanti dì quella stessa borghesia che voleva condurre la guerra per ricavarne profìtti. La controrivoluzione diventava ogni giorno più forte. Ogni volta che ci rivolgevamo al Comitato esecutivo centrale dei soviet per avere chiarimenti, ci convincevamo che esso non era in grado di opporsi agli eccessi, che il potere non era nelle mani del Comitato esecutivo centrale, ma nelle mani della cricca militare-cadetta, che dava il tono alla controrivoluzione.
I ministri cadevano come marionette. Si voleva sostituire il Comitato esecutivo centrale dei soviet con una conferenza straordinaria a Mosca, in cui i 280 membri del Comitato esecutivo centrale sarebbero annegati tra le centinaia di rappresentanti dichiarati della borghesia, come mosche nel latte. Il Comitato esecutivo centrale, spaventato dallo sviluppo del bolscevismo, concluse un'alleanza vergognosa con la controrivoluzione, e sottoscrisse le sue richieste: consegna dei bolscevichi, arresto della delegazione del Baltico, disarmo dei soldati e degli operai rivoluzionari. Tutto ciò venne combinato molto semplicemente: mediante sparatorie organizzate a scopo di provocazione, la cricca dei “difensori della patria” creò un pretesto per il disarmo e iniziò a realizzarlo. È ciò che successe, per esempio, con gli operai di Sestroretsk, che non avevano partecipato alla dimostrazione. Il primo sintomo di ogni controrivoluzione è il disarmo degli operai e dei soldati rivoluzionari. Per questo basso lavoro controrivoluzionario da noi ci si è serviti di Tsereteli e degli altri "ministri socialisti" del Comitato esecutivo centrale dei soviet. In ciò stava il pericolo. Il "governo della salvezza della rivoluzione" "rafforzava" la rivoluzione soffocando la rivoluzione stessa.
Il nostro compito era di raccogliere le forze, di consolidare le organizzazioni esistenti e di trattenere le masse da azioni premature. La controrivoluzione aveva interesse a provocarci subito alla battaglia, ma noi non dovevamo cadere nella provocazione, dovevamo dimostrare il massimo sangue freddo rivoluzionario. Questa è stata, in complesso, la linea tattica del Comitato centrale del nostro partito.
A proposito dell'infame calunnia lanciata contro i nostri dirigenti, secondo cui essi lavorerebbero al soldo dei tedeschi, il Comitato centrale del partito si attiene a questo punto vista: in tutti i paesi borghesi, i dirigenti rivoluzionari del proletariato sono stati oggetto di calunnie e accuse di tradimento. In Germania contro Liebknecht, in Russia contro Lenin.
Il Comitato centrale del partito non si meraviglia che i borghesi russi ricorrano a questo mezzo sperimentato di lotta contro "elementi indesiderabili". È necessario che gli operai dicano apertamente che essi ritengono i loro dirigenti irreprensibili, che solidarizzano con loro e si ritengono compartecipi delle loro azioni.
Gli operai stessi hanno chiesto al Comitato di Pietrogrado di stendere un progetto di protesta contro le calunnie lanciate contro i nostri dirigenti. Il Comitato di Pietrogrado ha compilato questa protesta e gli operai la riempiranno di firme. I nostri avversari, i menscevichi e i socialisti-rivoluzionari, hanno dimenticato che gli avvenimenti non sono determinati da singole persone, ma dalle forze sotterranee della rivoluzione e con ciò si sono messi dallo stesso punto di vista dell'Okhrana.
Voi sapete che la Pravda è stata soppressa dal 6 luglio; che alla tipografia del Trud sono stati apposti i sigilli e che la polizia segreta afferma che, con ogni probabilità, la tipografia verrà riaperta quando sarà terminata l'inchiesta. Nel periodo in cui il giornale non esce bisognerà pagare circa 30.000 rubli ai compositori e agli impiegati della Pravda e della tipografia.
Dopo gli avvenimenti del luglio, dopo quello che è accaduto in questo periodo, noi non possiamo più considerare socialisti i socialisti-rivoluzionari e i menscevichi. Gli operai adesso li chiamano social-carcerieri.
Dopo di ciò, parlare di unità con i social-carcerieri sarebbe un crimine. Bisogna lanciare un'altra parola d'ordine: unità con la loro ala sinistra, con gli internazionalisti che non hanno ancora perso completamente il senso dell'onore rivoluzionario e sono pronti a combattere la controrivoluzione.
Questa è la linea del Comitato centrale del partito.