DISCORSI AL SESTO CONGRESSO
DEL POSDR(B)

(Luglio-agosto 1917)

Testi pubblicati per la prima volta nel 1919 nel volume Atti del sesto congresso del POSDR(b), edizioni Kommunist.

I
Rapporto del Comitato centrale

(27 luglio)

Compagni!
Il rapporto del Comitato centrale abbraccia gli ultimi due mesi e mezzo di attività del Comitato centrale e cioè i mesi di maggio, giugno e la prima metà del mese di luglio. L'attività del Comitato centrale nel mese di maggio si è sviluppata in tre direzioni.
In primo luogo: è stata lanciata la parola d'ordine delle rielezioni dei soviet dei deputati degli operai e dei soldati. Il Comitato centrale partiva dal punto di vista che da noi la rivoluzione si sviluppava per via pacifica, che attraverso le rielezioni dei soviet dei deputati degli operai e dei soldati era possibile mutare la composizione dei soviet e, di conseguenza, anche la composizione del governo. Gli avversari ci hanno attribuito allora l'intenzione di prendere il potere. Questa è una calunnia. Noi non avevamo simili intenzioni. Noi dicevamo che da noi era aperta la possibilità di mutare il carattere dell'attività dei soviet secondo le aspirazioni delle larghe masse attraverso la rielezione dei soviet. Vedevamo chiaramente che bastava la maggioranza di un solo voto nei soviet dei deputati degli operai e dei soldati perché il potere seguisse un'altra strada. Perciò tutto il lavoro svolto nel mese di maggio veniva compiuto sotto l'insegna delle rielezioni. In definitiva noi conquistammo circa la metà dei posti spettanti alla frazione operaia del soviet e circa un quarto dei posti spettanti ai soldati.
In secondo luogo: l'agitazione contro la guerra. Sfruttammo la condanna a morte di F. Adler e organizzammo una serie di comizi di protesta contro la pena capitale e contro la guerra.
I soldati hanno accolto bene questa campagna.
II terzo aspetto dell'attività del Comitato centrale è costituito dalle elezioni amministrative, che si sono tenute nel mese di maggio. Il Comitato centrale, insieme al Comitato di Pietrogrado, impiegò tutte le sue forze per dare battaglia sia ai cadetti, forza fondamentale della controrivoluzione, che ai menscevichi e ai socialisti-rivoluzionari, che, volenti o nolenti, seguivano i cadetti. Su 800.000 votanti, a Pietrogrado noi raccogliemmo circa il 20% di tutti i voti e inoltre conquistammo completamente la Duma del quartiere Vyborg. I compagni soldati e marinai hanno reso un servizio particolare al partito.
Pertanto il mese di maggio è stato contrassegnato:
   1. dalle elezioni amministrative,
   2. dall'agitazione contro la guerra e
   3. dalle rielezioni del soviet dei deputati degli operai e dei soldati.

Mese di giugno. Le voci circa la preparazione di un'offensiva al fronte innervosivano i soldati. Comparve tutta una serie di ordini che riducevano a nulla i diritti dei soldati. Tutto questo elettrizzava le masse. Ogni voce si spargeva in un attimo per tutta Pietrogrado, provocava fermento fra gli operai e particolarmente fra i soldati. Le voci circa l'offensiva; gli ordini di Kerenski, con la Dichiarazione dei diritti del soldato; sfollamento degli elementi "superflui" da Pietrogrado, come dicevano gli organi di governo, per cui era chiara l'intenzione di allontanare da Pietrogrado gli elementi rivoluzionari; lo sfacelo economico che assumeva un carattere sempre più evidente, tutto questo innervosiva gli operai e i soldati. Assemblee venivano organizzate nelle fabbriche e diversi reggimenti e fabbriche non facevano che proporci di organizzare una dimostrazione. Il 5 giugno ci veniva proposto di organizzare un'azione dimostrativa. Ma il Comitato centrale decise di non intraprenderne nessuna per il momento e di convocare invece per il 7 un'assemblea di rappresentanti dei rioni, delle fabbriche, delle officine e dei reggimenti per decidere che cosa si dovesse fare. L'assemblea venne convocata e vi parteciparono circa 200 persone. Si chiarì che il fermento era particolarmente vivo fra i soldati. L'enorme maggioranza dei voti fu favorevole alla dimostrazione. Fu quindi posta la questione dello atteggiamento da prendere nel caso in cui il congresso dei soviet, che si apriva in quel periodo, si fosse pronunciato contro. L'enorme maggioranza dei compagni che espressero la loro opinione riteneva che nessuna forza avrebbe potuto arrestare l'azione. Dopo di ciò il Comitato centrale decise di assumersi il compito di organizzare una dimostrazione pacifica. Alla domanda posta dai soldati se si dovesse andare armati alla dimostrazione, il Comitato centrale rispose: andarvi non armati. I soldati però dissero che non era possibile manifestare disarmati, che le armi erano l'unica garanzia effettiva contro gli eccessi da parte dei borghesi, che essi avrebbero portato le armi esclusivamente per difesa personale.
Il 9 giugno il Comitato centrale, il Comitato di Pietrogrado e l'organizzazione militare tennero una riunione comune. Il Comitato centrale pose la questione se si dovesse rimandare l'azione, dato che il congresso dei soviet e tutti i partiti "socialisti" si erano pronunciati contro la nostra dimostrazione. Tutti risposero negativamente.
Alle ore 24 del 9 giugno il congresso dei soviet lanciò un appello nel quale, con tutto il peso della sua autorità, si scagliò contro di noi. Il Comitato centrale decise di non organizzare la dimostrazione per il 10 giugno e di rimandarla al 18 giugno, considerando che lo stesso congresso dei soviet aveva indetto per il 18 giugno una dimostrazione in cui le masse avrebbero potuto esprimere la loro volontà. Gli operai e i soldati accolsero con visibile malcontento questa decisione del Comitato centrale, ma la eseguirono. È caratteristico, compagni, che la mattina del 10 giugno, giornata in cui tutta una serie di oratori del congresso dei soviet parlò nelle fabbriche per "liquidare il tentativo di organizzare la dimostrazione", l'enorme maggioranza degli operai acconsentiva ad ascoltare soltanto gli oratori del nostro partito. Il Comitato centrale riuscì a calmare i soldati e gli operai. Questo fatto dimostrò la nostra forza organizzativa.
Il congresso dei soviet, indicendo la dimostrazione del 18 giugno, dichiarò contemporaneamente che essa si sarebbe tenuta sotto l'insegna della libertà delle parole d'ordine. Evidentemente il congresso aveva deciso di dare battaglia al nostro partito. Noi accettammo la sfida e cominciammo a preparare le nostre forze per la dimostrazione imminente.
I compagni sanno come si è svolta la dimostrazione del 18 giugno. i giornali borghesi hanno detto che l'enorme maggioranza dei dimostranti seguiva le parole d'ordine lanciate dai bolscevichi. La parola d'ordine fondamentale fu: "Tutto il potere ai soviet!". Non meno di 400.000 persone parteciparono alla dimostrazione. Soltanto tre piccoli gruppi, il Bund, i cosacchi e i seguaci di Plekhanov, osarono lanciare la parola d'ordine: "Fiducia nel governo provvisorio!", ma anch'essi se ne pentirono, perché furono costretti a battere in ritirata.
Il congresso dei soviet si convinse allora che la forza e l'influenza del nostro partito erano grandi. Si formò in tutti la convinzione che la dimostrazione del 18 giugno, più imponente di quella del 21 aprile, non sarebbe stata senza conseguenze. Ed infatti non rimase senza conseguenze. La Riec che probabilmente si sarebbero verificati dei seri cambiamenti nella composizione del governo, perché la politica dei soviet non era approvata dalle masse.
Ma proprio in quel giorno cominciava al fronte l'offensiva delle nostre truppe, offensiva che prendeva una piega favorevole e in relazione ad essa cominciarono le manifestazioni dei "neri" sulla Prospettiva della Neva. Questa circostanza annullò la vittoria morale che i bolscevichi avevano ottenuto nella dimostrazione.
Furono anche annullati quei possibili risultati pratici di cui avevano parlato la Riec i rappresentanti ufficiali dei partiti al governo, del Partito socialista-rivoluzionario e di quello menscevico.
Il governo provvisorio restò al potere. L'offensiva vittoriosa, i successi parziali del governo provvisorio, tutta una serie di progetti sull'allontanamento delle truppe da Pietrogrado produssero il dovuto effetto sui soldati. Essi si persuasero, sulla base di questi fatti, che l'imperialismo passivo stava diventando imperialismo attivo; capirono che subentrava un'epoca in cui dovevano cadere nuove vittime.
Il fronte reagì a modo suo alla politica dell'imperialismo attivo.
Parecchi reggimenti, nonostante le proibizioni, sottoposero a votazione la questione se partecipare o no all'offensiva. Il comando supremo non capì che nella nuova situazione della Russia e per il fatto che gli scopi della guerra non erano chiari, era impossibile lanciare ciecamente le masse all'attacco. Accadde quel che noi avevamo previsto: l'offensiva si rivelò condannata al fallimento.
La fine di giugno e il principio di luglio trascorsero sotto l'insegna della politica dell'offensiva. Circolarono voci sul ripristino della pena di morte, sullo scioglimento di tutta una serie di reggimenti, sulle repressioni al fronte. Di là arrivarono delegati che parlarono degli arresti e delle repressioni avvenuti nei loro reparti. Le stesse notizie arrivavano dal reggimento dei granatieri e da quello dei mitraglieri. Tutto questo preparò il terreno a una nuova azione degli operai e dei soldati a Pietrogrado.

Passo agli avvenimenti del 3-5 luglio. I fatti ebbero inizio il 3 luglio alle 3 del pomeriggio nella sede del Comitato di Pietrogrado.

3 luglio, ore 3 del pomeriggio. Si svolgono i lavori della Conferenza di Pietrogrado del nostro partito. Si sta esaminando la questione più che innocua delle elezioni amministrative. Compaiono due rappresentanti di uno dei reggimenti della guarnigione, chiedono di prendere subito la parola e comunicano che il loro reggimento "ha deciso di passare all'azione questa sera", che "non possono sopportare oltre in silenzio che un reggimento dopo l'altro venga sciolto al fronte" e che "già hanno inviato propri delegati nelle fabbriche e nei reggimenti" per chiedere che questi si uniscano alla dimostrazione. Il compagno Volodarski, a nome della presidenza della conferenza, risponde che "il partito ha deciso di astenersi dall'azione e che i membri del partito di un reggimento non possono non tenere conto delle decisioni del partito".
Ore 4 del pomeriggio. Il Comitato di Pietrogrado, l'organizzazione militare e il Comitato centrale del partito, esaminata la questione, decidono di non procedere all'azione. Questa decisione viene approvata dalla conferenza e i partecipanti ad essa si recano nelle fabbriche e nei reggimenti per persuadere i compagni a non effettuare l'azione.
Ore 5 del pomeriggio, a Palazzo Tauride.
L'ufficio del Comitato esecutivo centrale dei soviet è riunito. Il compagno Stalin per incarico del Comitato centrale del partito informa l'Ufficio del Comitato esecutivo centrale di tutto l'accaduto e comunica inoltre la decisione dei bolscevichi di non procedere all'azione.
Ore 7 della sera, dinanzi alla sede del Comitato di Pietroburgo. Passano alcuni reggimenti con le bandiere. Recano la parola d'ordine "Tutto il potere ai soviet!". Fermandosi dinanzi alla sede del Comitato di Pietrogrado, chiedono ai membri della nostra organizzazione di dire qualcosa. Gli oratori, i bolscevichi Lascevic e Kuraiev, chiarendo con i loro discorsi l'attuale situazione politica, invitano ad astenersi dall'azione. Vengono accolti con grida di "abbasso!". I membri della nostra organizzazione propongono allora che i soldati eleggano una delegazione, espongano le proprie rivendicazioni al Comitato esecutivo centrale dei soviet e poi facciano ritorno al proprio reggimento.
I soldati rispondono lanciando un'assordante "Urrah!". La banda suona la Marsigliese... frattempo notizie sull'uscita dei cadetti dal governo volano per tutta Pietrogrado irritando gli operai. Dietro ai soldati compaiono colonne di operai. Recano parole d'ordine identiche a quelle dei soldati. Soldati e operai si dirigono verso Palazzo Tauride.
Ore 9 della sera. Sede del Comitato di Pietrogrado. In fila i delegati delle fabbriche. Tutti propongono alle organizzazioni del nostro partito di intervenire nella questione e di prendere nelle proprie mani la direzione della dimostrazione. Altrimenti "correrà il sangue". Si grida che è necessario eleggere delegazioni di fabbrica e di officina che si rechino a dichiarare la volontà dei dimostranti al Comitato esecutivo centrale dei soviet, in modo che le masse, udite poi le relazioni delle delegazioni, si sciolgano pacificamente. Ore 10 della notte, Palazzo Tauride. È riunita la sezione operaia soviet dei deputati degli operai e dei soldati di Pietrogrado. In seguito alle dichiarazioni degli operai, i quali riferiscono sull'inizio dell'azione, la maggioranza decide, al fine di evitare gli eccessi, di partecipare alla dimostrazione, per darle un carattere pacifico e organizzato. La minoranza che non approva questa decisione abbandona l'aula. La maggioranza elegge un comitato che deve eseguire la decisione testé presa.
Ore 11 della notte. Il Comitato centrale e il Comitato di Pietrogrado del nostro partito si trasferiscono a Palazzo Tauride, dove dalla sera hanno cominciato ad affluire i dimostranti. Arrivano i propagandisti dai rioni e i rappresentanti delle fabbriche. Si tiene una riunione fra i rappresentanti del Comitato centrale del nostro partito, il Comitato di Pietrogrado, l'organizzazione militare, il Comitato interzonale, l'Ufficio della sezione operaia del soviet di Pietrogrado. Dalle relazioni fatte dai rappresentanti dei distretti appariva chiaro che:
   1. sarebbe stato impossibile l'indomani trattenere gli operai e i soldati dall'effettuare la dimostrazione;
   2. i dimostranti sarebbero stati armati esclusivamente per difesa personale, per avere una garanzia effettiva contro i provocatori che potevano sparare dalla Prospettiva della Neva: "Non è tanto facile sparare su chi è armato".
L'assemblea prende la seguente decisione: nel momento in cui le masse rivoluzionarie degli operai e dei soldati manifestano con la parola d'ordine "Tutto il potere ai soviet!", il partito del proletariato non ha il diritto di disinteressarsi del movimento, di restare in disparte, non può abbandonare le masse agli arbitri del destino, deve stare assieme alle masse per dare al movimento spontaneo un carattere cosciente e organizzato. L'assemblea decide di proporre agli operai e ai soldati di eleggere delegati dei reggimenti e delle fabbriche e di portare attraverso loro al comitato esecutivo dei soviet le proprie rivendicazioni. Nello spirito di questa decisione viene steso un proclama che invita a una "dimostrazione pacifica e organizzata".
Ore 12 della notte. Davanti a Palazzo Tauride stanno più di 30.000 operai della fabbrica Putilov. Bandiere. La parola d'ordine è: "Tutto il potere ai soviet!". Si eleggono i delegati. I delegati portano al Comitato esecutivo le rivendicazioni degli operai della fabbrica Putilov. I soldati e gli operai che stazionano davanti a Palazzo Tauride cominciano a sfollare.

4 luglio, durante la giornata. Sfilata degli operai e dei soldati. Bandiere. Parole d'ordine bolsceviche. Il corteo si dirige verso Palazzo Tauride. Il corteo è chiuso da migliaia di marinai di Kronstadt. Secondo la testimonianza di giornali borghesi (Birgiovka), dimostranti sono non meno di 400.000. Grande esultanza nelle strade. Gli abitanti accolgono i dimostranti con gioiosi "Urrah!". Gli eccessi cominciano nel pomeriggio. Le forze della reazione, annidate nei quartieri borghesi, turbano l'azione degli operai con criminali sparatorie effettuate a scopo di provocazione. Perfino la Birgevye Viedomosti osa negare che i primi a sparare sono stati gli avversari della dimostrazione. "Esattamente alle ore 2 del pomeriggio - scrive la Birgiovka (edizione serale del 4 luglio) - all'angolo tra la Via Sadovaia e la Prospettiva della Neva, mentre passavano i dimostranti armati e si era raccolto un notevole numero di spettatori che stavano tranquillamente a guardare, dal lato destro della Via Sadovaia si è udita un'assordante sparatoria, dopo di che è incominciato un nutrito fuoco di fucileria".
E chiaro che i dimostranti non hanno sparato per primi, che sono stati degli "ignoti" a sparare sui dimostranti e non viceversa.
Contemporaneamente, nelle diverse zone della parte borghese della città, le sparatorie continuavano. I provocatori non dormivano. Ciononostante i dimostranti non sono usciti dai limiti della necessaria autodifesa. È impossibile parlare di complotto o di insurrezione. Non si è osservato nessun caso di occupazione di istituzioni governative e pubbliche, nessun tentativo di effettuare una simile occupazione, sebbene i dimostranti, disponendo di ingenti forze in armi, avrebbero potuto occupare non soltanto singole istituzioni, ma tutta la città.
Ore 8 della sera, Palazzo Tauride. Riunioni del Comitato centrale, della organizzazione interrionale e di altre organizzazioni del nostro partito. Si prende la decisione seguente: l'azione deve cessare dopo che la volontà degli operai rivoluzionari e dei soldati si è manifestata. Secondo lo spirito di questa decisione viene steso il proclama: "La dimostrazione è terminata... La nostra parola d'ordine è: fermezza, sangue freddo, calma..." (vedi il proclama sul Listok Pravdy). proclama, consegnato alla Pravda, potè essere pubblicato il 5 luglio, perché durante la notte (dal 4 al 5 luglio) la sede della Pravda devastata dagli allievi ufficiali e dagli sbirri della polizia segreta.
Ore 10-11 della notte, Palazzo Tauride. Seduta del Comitato esecutivo centrale dei soviet. È in discussione la questione del potere. Dopo l'uscita dei cadetti dal governo, la situazione dei socialisti-rivoluzionari e dei menscevichi diventa particolarmente critica: essi "hanno bisogno" di fare blocco con la borghesia, ma non vi è più la possibilità di fare blocco, perché la borghesia non vuole più accordarsi con loro.
L'idea del blocco con i cadetti fallisce. In considerazione di ciò si pone apertamente la questione della presa del potere da parte dei soviet. Le voci circa uno sfondamento del nostro fronte da parte delle truppe tedesche, voci in verità non ancora controllate, suscitano però allarme. Circolano voci secondo le quali il giorno dopo sarebbe stato pubblicato un comunicato contenente delle infami calunnie contro il compagno Lenin.
Il Comitato esecutivo centrale dei soviet chiama i soldati del reggimento della Volinia a Palazzo Tauride per difendere il palazzo. Da chi? A quanto pare dai bolscevichi, che si sarebbero recati nel palazzo per "arrestare" il Comitato esecutivo e "conquistare il potere". Si parla così dei bolscevichi, che si sono battuti per rafforzare i soviet, affinché tutto il potere nel paese fosse affidato ai soviet!...
Ore 2-3 della notte. Il Comitato esecutivo centrale dei soviet non prende il potere. Esso affida ai ministri "socialisti" l'incarico di formare il nuovo governo, facendovi entrare dei borghesi, anche se a titolo individuale. Speciali pieni poteri vengono conferiti ai ministri per "lottare contro l'anarchia". La questione è chiara: il Comitato esecutivo centrale, posto dinanzi alla necessità di una rottura aperta con la borghesia, rottura che esso teme in modo particolare poiché finora ha attinto la sua forza in determinate "combinazioni" con la borghesia, risponde rompendo apertamente con gli operai e con i bolscevichi, per dirigere le proprie armi contro gli operai ed i soldati rivoluzionari, unendosi alla borghesia. Con ciò stesso si apre una campagna contro la rivoluzione. La rivoluzione è il bersaglio contro cui dirigono i loro colpi i socialisti-rivoluzionari e i menscevichi, con grande gioia dei controrivoluzionari...

5 luglio. Sui giornali (particolarmente sul Givoìe Slovo) viene pubblicato il comunicato contenente infami calunnie contro il compagno Lenin. La Pravda non viene pubblicata, perché è stata devastata nella notte dal 4 al 5 luglio. Viene instaurata la dittatura dei ministri "socialisti", che vogliono far blocco con i cadetti. I menscevichi e i socialisti-rivoluzionari, che non volevano prendere il potere, questa volta lo prendono (per breve tempo), per reprimere i bolscevichi... Compaiono per le strade le unità provenienti dal fronte. Gli allievi ufficiali e le bande controrivoluzionarie saccheggiano, perquisiscono e insultano. La caccia a VI. Lenin e ai bolscevichi, aperta da Alexinski, da Pankratov e da Pereverzev, viene condotta a fondo dai controrivoluzionari. La controrivoluzione dilaga di ora in ora. Il comando militare è il centro della dittatura.
Gli sbirri della polizia segreta, gli allievi ufficiali e i cosacchi si abbandonano ad atti di violenza. Avvengono arresti e bastonature. L'aperta campagna del Comitato esecutivo centrale dei soviet contro gli operai e i soldati bolscevichi scatena le forze della controrivoluzione.
In risposta alle calunnie di Alexinski e soci il Comitato centrale del nostro partito pubblica un volantino dal titolo Sotto processo i calunniatori! pubblicato un proclama del Comitato centrale (che la Pravda, essendo stata devastata, non potè pubblicare) sulla fine dello sciopero e della dimostrazione. Colpisce l'assenza di qualsiasi proclama degli altri partiti "socialisti". I bolscevichi restano soli. Contro di loro si uniscono tacitamente tutti gli elementi che stanno alla loro destra, da Suvorin e Miliukov a Dan e Cernov.

6 luglio. I ponti sono alzati. Entra in scena il reparto misto del pacificatore Mazurenko. Per le strade le truppe reprimono i ribelli. Di fatto si ha lo stato d'assedio. I sospetti vengono arrestati e portati al comando. Si disarmano gli operai, i soldati, i marinai. Pietrogrado è consegnata in mano alla cricca militare. Nonostante il grande desiderio del governo dei ricchi di provocare la cosiddetta "battaglia", gli operai e i soldati non cadono nella provocazione, non accettano battaglia. La fortezza di Pietro e Paolo apre le porte a quelli che operano il disarmo.
La sede del Comitato di Pietroburgo viene occupata dal reparto misto. Persecuzioni e disarmo nei quartieri operai. L'idea di Tsereteli di disarmare gli operai e soldati, timidamente per la prima volta l'11 giugno, viene attuata ora. Gli operai, irritati, chiamano Tsereteli "il ministro del disarmo".
La tipografia Trud viene devastata. Si pubblica il Listok Pravdy. dell'operaio Volnov, che diffondeva il Listok... stampa borghese si accanisce facendo passare per fatti provati le infami calunnie lanciate contro il compagno V.I. Lenin e per di più nei suoi attacchi contro la rivoluzione non si limita più a colpire i bolscevichi, ma estende i suoi attacchi ai soviet, ai menscevichi, ai socialisti-rivoluzionari. Appare evidente che i socialisti-rivoluzionari e i menscevichi, tradendo i bolscevichi, hanno tradito se stessi, hanno tradito la rivoluzione, aizzando e scatenando le forze controrivoluzionarie. La campagna lanciata dalla dittatura controrivoluzionaria contro le libertà all'interno e al fronte si sviluppa a pieno ritmo. A giudicare dal fatto che la stampa dei cadetti e dei loro alleati, che ancor ieri tuonava contro la Russia rivoluzionaria, si è sentita improvvisamente soddisfatta, si può concludere che l'opera di repressione non si è compiuta senza la partecipazione a questa campagna del denaro dei capitalisti nostrani e di quelli alleati.