Felice Platone

Analisi del voto

Felice Platone, Panorama poli­tico della Repubblica, in Rinascita, maggio-giugno 1946. Testo ripreso da "Dalla Monarchia alla Repubblica", op.cit. pp.208-217. La nota introduttiva è di Enzo Santarelli.



Nel giugno del '46 Rinascita, fondata due anni prima da Togliatti, prendeva in esame i risultati del 2 giugno. Nel Saluto alla repubblica il direttore scriveva: «Nella lotta per la repubblica abbiamo quindi ritrovato l'Italia con tutti i suoi problemi non ancora risolti, con le sue classi abbienti conservatrici e paurose d'ogni trasforma­zione progressiva [...] e con le sue classi lavoratrici per più di un terzo del territorio nazionale ancora disorganizzate e disorientate». Tornava poi sui problemi di prospettiva politica in un altro scritto (Le elezioni alla Costituente e l'unità dei partiti operai) in cui analizzava in primo luogo la «posizione bifronte» del partito democratico cristiano («una tortuosità di cui vi sono pochi esempi nella nostra storia politica»). A Felice Platone era toccato il compito di offrire un Panorama politico della repubblica dopo la duplice consultazione del popolo italiano. Citava, fra l'al­tro, un articolo di Giuseppe Fuschini (in Politica sociale, 16 giugno 1946) in cui, da posizioni democratiche cristia­ne di sinistra, si denunciava il violento e massiccio «ostra­cismo» cui erano stati fatti segno molti cattolici «sol­tanto perché repubblicani». Lo scritto di Platone rispon­deva quindi, pur essendo apparso su un organo del PCI, ad una analisi comune a tutta la pubblicistica, ma che fu il solo a dare sistematicamente, con varie tabelle di confron­to, la dimostrazione che «degli otto milioni di voti raccolti dalla Democrazia cristiana, soltanto la quarta parte circa è andata alla repubblica».


  Ciò che innanzitutto attira lo sguardo nel panorama politico della repubblica italiana è il blocco di forze rap­presentato dalla Democrazia cristiana con i suoi otto mi­lioni di voti. Scesa in campo con un programma di riforme democratiche e un'affermazione di fede repubblicana (sia pure temperata dalla peregrina invenzione della «libertà di coscienza») e passata poi in gran parte nel campo della monarchia, essa è riuscita a conquistare il maggior nume­ro di seggi all'Assemblea Costituente, ma è stata battuta, col voto di una parte dei suoi stessi elettori e dei suoi stessi iscritti, sul terreno del referendum istituzionale. Ora, non c'è cavillo che possa intaccare il valore decisivo, il carattere pregiudiziale del referendum, poiché se mo­narchia o repubblica possono entrambe nutrire nel loro seno la democrazia e la reazione, nella concreta situazione italiana dell'anno di grazia 1946, lo sviluppo della demo­crazia non era possibile senza l'eliminazione preliminare dell'istituto monar­chico e di casa Savoia: i fatti tra il 10 e il 13 giugno lo hanno pienamente confermato. Della situazione di quei giorni e dei suoi strascichi la Democrazia cristiana non può respingere la responsabilità.

   La democrazia nasce con la repubblica: ecco perché nella valutazione dei risultati elettorali e nell'esame dello schieramento delle forze politiche non possiamo non tener conto della posizione dei diversi partiti di fronte al proble­ma istituzionale. Secondo un primo criterio sommario possiamo dunque raggruppare i partiti mettendo da un lato quelli nettamente repubblicani, dall'altro quelli agno­stici o dichiaratamente monarchici. La Democrazia cristia­na, divisa nella questione istituzionale e in altri problemi, occupa un posto a parte, una posizione contraddittoria a causa della sua composizione e delle interferenze del clero (che ne è stato il più attivo e battagliero agente elettorale) nella sua azione politica.

   Vediamo ora il quadro dei voti riportati dai vari partiti in tutta Italia, nelle elezioni per la Costituente (secondo i dati definitivi comunicati dal ministero degli interni):





  Ed ecco invece la ripartizione dei voti nel referendum: Repubblica: 12.717.923; Monarchia: 10.719.204

   Risulta da queste cifre che degli otto milioni di voti raccolti dalla Democrazia cristiana, soltanto la quarta par­te circa è andata alla repubblica, mentre i rimanenti tre quarti sono andati alla monarchia. Nel momento decisivo della lotta, il blocco di forze rappresentato dalla Democra­zia cristiana ha subito una frattura. Tuttavia, le cifre non devono far velo al giudizio: sarebbe un errore pensare che tutti i milioni di voti che gli elettori democristiani hanno dato alla monarchia siano l'espressione di un orien­tamento antidemocratico di una parte così cospicua del corpo elettorale. Un numero ingente di questi voti monar­chici è dovuto a ragioni extra-politiche, a pressioni di ca­rattere strettamente religioso.

   Anche la linea di condotta seguita nella campagna elet­torale dall'on. De Gasperi e dalla direzione del suo partito, in profondo contrasto con la deliberazione repubblicana del Congresso nazionale, non è stata soltanto un espedien­te elettorale escogitato per ammassare i voti di classi pa­rassitarie e conservatrici, né un compromesso con l'ala destra del partito (sarebbe bastato, in questo caso, lasciar­le la facoltà di valersi per conto suo della cosiddetta «li­bertà di coscienza»), ma un allineamento con l'Azione cattolica e con le gerarchie ecclesiastiche. Ufficialmente, l'Azione cattolica non era andata oltre la posizione della «libertà di coscienza»; l'Osservatore romano aveva a sua volta dichiarato illecito ogni tentativo di costringere gli elettori a votare per la monarchia in nome della religione; e il papa stesso, nel discorso pronunciato la vigilia delle elezioni, si era astenuto dal prendere posizione sul proble­ma istituzionale, e tutto ciò è pure significativo. Ma d'altra parte, i religiosi e le religiose, nei conventi, avevano rice­vuto la direttiva precisa di votare per la monarchia, e la maggioranza del clero ha esercitato sui fedeli irresisti­bili pressioni per portarli a considerare la repubblica come opera infernale e diabolica. Persino elementi responsabili della Democrazia cristiana, segnati a dito per il loro repubblicanismo, hanno dovuto protestare pubblicamente. Il fenomeno è preoccupante (soprattutto in un paese dove il regime concordatario mette i cattolici in quanto tali e il clero cattolico in una situazione di privilegio), perché questo monarchismo e questo agnosticismo - che in real­tà è poi, anch'esso, monarchismo della più bell'acqua - investe, oltre il problema istituzionale, il problema più vasto della lotta contro le tradizioni feudali e reazionarie, il problema dell'edificazione democratica. Quale atteggia­mento prenderanno di fronte alla questione agraria, alla riforma industriale, alla questione meridionale e agli altri problemi fondamentali della vita italiana coloro che hanno tentato di impedire al popolo di risolvere il primo pro­blema concreto che esso incontrava sul suo cammino verso la democrazia? Coloro che hanno tentato di impedire il primo colpo di piccone al castello delle tradizioni feudali e reazionarie che per un secolo hanno soffocato la vita democratica e reso vano, in fin dei conti, ogni progresso democratico? Che cosa significava questa «libertà di co­scienza» che, in pratica, doveva impedire l'eliminazione della monarchia, del centro di raccolta e di organizzazione delle forze reazionarie, feudali e - diciamolo pure - fasciste?

   Sta di fatto che il clero, in maggioranza, è rimasto qual era nel ventennio fascista, quando la spinta delle grandi masse lavoratrici verso le libertà democratiche non aveva modo di manifestarsi apertamente e di influire, co­me per il passato, sull'evoluzione del clero stesso il quale, per contro, subiva sempre più fortemente l'influenza delle classi parassitarie, cooperando nel proprio ambito al man­tenimento dell'ordine fascista. Inutile dire che in questi ultimi anni non c'è stato nel campo ecclesiastico nessun accenno di epurazione, e che anzi le gerarchie superiori hanno respinto senza discussione ogni tentativo di critica e revisione della passata condotta, difendendo ad oltranza tutto quel che era stato fatto e trincerandosi dietro la testimonianza di qualche enciclica o altra manifestazione verbale che ben poco aveva influito sull'attività quotidiana del clero. Si è cosi evitata non solo la critica, ma anche l'autocritica; si è abbandonata ogni possibilità di correg­gere gli errori e di modificare una mentalità non aliena dal terrorismo spirituale acquisita nel corso di un lungo periodo di terrore fisico e nettamente contrastante con ogni abito di democrazia.

   Per quanto riguarda la Democrazia cristiana in parti­colare, bisogna riconoscere che il diavolo è meno brutto di quel che si dice. Sono elementi positivi l'affermazione repubblicana del suo Congresso nazionale, l'esistenza di una forte corrente democratica nel suo seno, i sentimenti unitari dei lavoratori e le aspirazioni democratiche delle grandi masse democristiane, e, infine, cosa particolarmen­te importante, il fatto che la Democrazia cristiana colla­bora alla realizzazione di un programma politico concreto con le altre tendenze democratiche, senza rinchiudersi nel non possumus della pregiudiziale ideologica. L'avvenire della democrazia italiana dipende in gran parte dall'evolu­zione di queste forze ed ecco perché (e non soltanto per i milioni di voti raccolti) la Democrazia cristiana, come abbiamo detto, attira per prima la nostra attenzione nel panorama politico del nostro nuovo Stato. Più che un partito vero e proprio nel senso esatto della parola, essa è un blocco di forze che obbediscono a interessi economici e politici contrastanti se non addirittura opposti, e poiché il legame che le tiene unite è di natura ideologica e reli­giosa, non si può negare che esiste in essa una tendenza all'esclusivismo, per non dire al totalitarismo. In ciò è il pericolo, che potrebbe diventare assai grave per le libere istituzioni italiane se la corrente di destra dovesse preva­lere o accrescere ancora la sua influenza. Questo pericolo - si può constatarlo obiettivamente, senza preconcetto di parte - si manifesta in pratica, inizialmente, nell'anti­comunismo. Il mezzo per combatterlo è nella collabora­zione pratica, sul terreno di un concreto programma poli­tico. Questa collaborazione è la premessa indispensabile alla ricostruzione e alla rinascita d'Italia. E poiché la fede cattolica, la Chiesa, la piena libertà della religione, del culto, della propaganda e dell'attività religiosa trovano solenne garanzia nei programmi degli altri partiti demo­cratici, nessuna difficoltà insormontabile dovrebbe oppor­si al comune lavoro costruttivo nel campo politico, come esigono gli interessi nazionali.

   Il maggior elemento di stabilità, di ordine e di pro­gresso democratico nell'attuale situazione italiana è rap­presentato dalle forze che si sono raccolte attorno al par­tito socialista e al partito comunista, che hanno ottenuto, insieme, oltre nove milioni di voti, oltre un milione di voti in più di quelli ottenuti dalla Democrazia cristiana, circa il 40% di tutti i voti validi. Questi partiti hanno dato alla nascita della repubblica un contributo decisivo, ne hanno assicurata la vittoria con la loro politica unita­ria, democratica, nazionale e ne assicurano ora la difesa con la stessa politica. Non a caso coloro che hanno avver­sato la repubblica e non vogliono rassegnarsi alla crea­zione di uno Stato democratico mettono in opera tutti i mezzi e ricorrono a tutte le lusinghe e a tutte le insidie per portare la divisione fra questi due grandi partiti che hanno, uniti, un peso decisivo nella ricostruzione demo­cratica dell'Italia e invece, divisi, verrebbero un dopo l'al­tro respinti in secondo piano e cacciati in una posizione incomparabilmente più sfavorevole per la lotta che sono chiamati a sostenere. Ecco perché allo stato attuale delle cose si può prevedere che il partito comunista e il partito socialista, collaborando con gli altri partiti democratici, continueranno, come per il passato, la loro azione comune dalla quale dipende il nostro avvenire, anteponendo a ogni altra considerazione gli interessi del popolo italiano e della democrazia, cioè gli interessi della nazione. I nove milioni di cittadini italiani che si stringono fiduciosi attorno ai partiti socialista e comunista, sono la maggioranza dei lavoratori italiani, sono la parte più avanzata, più attiva e progressiva, e la più omogenea, della nazione. Essi veglieranno sulle conquiste ottenute attraverso lunghi anni di lotte e sacrifici e contribuiranno con tutte le loro capa­cità a consolidare e a sviluppare il nuovo Stato repub­blicano.

   Fra i rimanenti partiti democratici e repubblicani, oc­cupa il primo posto il Partito repubblicano italiano con il suo milione di voti. Il notevole successo riportato nelle elezioni acquista maggior rilievo per il fatto che il partito repubblicano, che in passato aveva un seguito soltanto in alcune regioni e in alcune province, è invece riuscito ad affermarsi in maggior o minor misura in tutte le regioni italiane ( tranne la Sardegna ). È augurabile che la sua par­tecipazione al governo, la sua nuova posizione nello schie­ramento politico italiano gli permettano di precisare attra­verso l'azione politica quotidiana il suo programma e di liberarsi di quel tanto di dottrinarismo utopistico che esso ha finora conservato attraverso tanti decenni di opposi­zione aprioristica. Nell'evolversi della situazione italiana è possibile che il partito repubblicano trovi la via per diventare un grande partito: il partito della borghesia e della media borghesia liberale e democratica. In questo caso esso adempirà a una funzione della quale non si può sottovalutare l'importanza. Non vediamo invece prospet­tive di sviluppo e neppure una funzione utile per il Partito d'azione e per la Concentrazione democratica repubblicana ove l'uno e l'altra non si fon­dano, com'è augurabile, con altri aggruppamenti affini. Infine, l'avvenire del Partito cristiano sociale dipenderà quasi esclusivamente dalla po­litica che seguirà la Democrazia cristiana: se in questa ultima dovessero prevalere o avere un'influenza eccessiva le correnti conservatrici, questo piccolo partito potrebbe ricevere un impulso considerevole.

   Rimangono, dall'altra parte, i blocchi e i partiti con­servatori o apertamente reazionari che hanno racimolato, tutti insieme, meno della sesta parte dei voti. Uno di que­sti raggruppamenti è già in via di disgregazione: la Demo­crazia del lavoro, che ha ancora un certo seguito fra gli intellettuali e gli strati medi del Mezzogiorno, si stacca dall'UDN, per ripassare nel campo repubblicano (e forse re­starvi); una parte dei liberali è propensa a collaborare attivamente con la repubblica, mentre la maggioranza del partito, ormai negata a ogni idea di progresso, si ferma su posizioni rigidamente conservatrici; il sedicente Blocco della libertà di Bergamini e Bencivenga si dibatte nella cocente sconfitta monarchica e rimugina impossibili rivin­cite; il separatismo siciliano volge al tramonto; e le altre liste regionali non rappresentano su scala nazionale una forza apprezzabile. Rimane il fenomeno dell'Uomo qua­lunque che, fra la ingiustificata maraviglia di molta gente, ha raccolto un po' più di un milione di voti. Questo partito o movimento o fronte o fascio o cos'altro sia, presumeva prima delle elezioni di essere il più forte dei partiti italiani. La previsione era basata, con grande acume politico, su questo calcolo: che l'Uomo qualunque, facendo del suo meglio per esprimere le aspirazioni e i sogni di coloro che rimpiangono i bei tempi fascisti, avrebbe ottenuto il consenso della maggioranza degli italiani. Il calcolo si è dimostrato fallace e il «fondatore» dell'Uomo qualun­que si è convertito al cattolicesimo, simile a quei principi di tempi lontani che si facevano frati o andavano a Canos­sa quando le cose volgevano al peggio, e ha preso in una sola volta tutti i sacramenti, tranne l'estrema unzione e gli ordini sacri (ma questi ultimi, perché no, in fin dei conti, col vento che spira in poppa alla DC?) ricevendo anche, dicono i giornali, una lettera del papa; tanto è vero che non finiremo mai coi tempi che corrono, di veder­ne delle belle! L'Uomo qualunque è il partito (o il fronte o il movimento o il fascio) che ha per programma di rifiu­tare ogni «secca­tura», cioè ogni contributo ai sacrifici indispensabili per la rinascita del paese: è il partito della dissoluzione nazionale. L'Uomo qualunque reclama dai paesi aggrediti dal fascismo un forte indennizzo per le delusioni subite, respingendo in caso contrario ogni tratta­to di pace, tanto più che con la pace verrebbe a mancare l'occupazione straniera, l'Italia riacquisterebbe la sua indi­pendenza e riuscirebbe piuttosto difficile trascinarla in una nuova guerra di tipo fascista, nell'eventualità che que­sta scoppiasse. In un'Italia indipendente e libera, avviata al lavoro di ricostruzione, recise le radici del fascismo, a misura che ci avvieremo verso la normalità, questo feno­meno qualunquista che, manovrato da forze senza scru­poli, può essere pericoloso in una situazione incerta e tesa, svanirà come i fantasmi nella notte al sorgere dell'alba.

   Questi partiti o gruppi di destra puntano tutti su una grande carta: su una eventuale prevalenza della destra de­mocristiana e sulla conseguente rottura della collabora­zione tra la Democrazia cristiana e gli altri partiti di mas­sa. Un rilievo sarebbe ancora da fare: il tramonto del vecchio liberalismo italiano. Ma per questa e altre considerazioni sarà bene esami­nare i dati delle elezioni in modo più particolareggiato, per regione o almeno per gruppi di regioni [...].