La mobilitazione generale

Da La Nostra Lotta, ottobre 1943, n. 2. Testo ripreso dal volume I comunisti e l'insurrezione (1943-1945), di Pietro Secchia, Edizioni di Cultura Sociale, Roma, 1954, pp. 7-17.


  L'Italia ha dichiarato guerra alla Germania. È una guerra giusta, sacrosanta, necessaria. È la guerra di tutto il nostro popolo per la sua liberazione, per la sua salvezza, per il suo avvenire. È la guerra alla quale Hitler ci ha costretti con la sua brutale e vergognosa aggressione, è la guerra di difesa e di liberazione nazio­nale. È la guerra per cacciare dal nostro paese l'inva­sore, la guerra per l'annientamento del nazismo e del fascismo, per la conquista della pace, dell'indi­pendenza, della libertà. È la guerra di liberazione nazionale nel senso più largo e completo della parola, perché grazie ad essa noi non solo ci liberiamo dallo straniero, ma anche dal nemico interno: il fa­scismo. Con questa guerra gli italiani conquisteranno la libertà, getteranno le basi per la realizzazione di una democrazia popolare che abbatterà per sempre il potere politico dei ceti reazionari e imperialistici, respon­sabili della rovina del nostro paese.

   Ma la guerra la si fa combattendo e non con delle frasi. Quando la diana della guerra di liberazione suona, tutto il popolo deve correre alle armi. Ebbene, quest'ora è suonata per noi italiani. Oggi è l'ora di imbracciare il fucile e battersi contro i tedeschi ed i loro abietti alleati: i fascisti.

   Se ci trovassimo in territorio liberato, noi comunisti risponderemmo per primi all'ordine di mobilitazione generale, noi partiremmo volontari ad arruolarci, noi vorremmo far parte dei reparti di assalto contro i te­deschi ed i fascisti. Forse che il fatto che ci troviamo in territorio occupato dai tedeschi ci esime dal supremo dovere, quello di batterci con le armi in pugno contro i tedeschi ed i fascisti? Ci esime forse dal rispondere all'ordine di mobilitazione generale? Niente affatto. L'ordine di mobilitazione generale di tutti gli italiani vale e deve valere anche per noi, vale e deve valere per tutti gli italiani degni di questo nome che si tro­vano in territorio occupato dai tedeschi. Certamente, è più difficile realizzare la mobilitazione di tutto il popolo, effettuare «la leva di massa» in territorio occu­pato. Nella parte d'Italia già liberata, la mobilitazione, la leva in massa di tutti gli italiani si effettua con la regolare chiamata alle armi, col manifesto sui muri, con il suono delle campane a stormo. Ognuno si pre­senta al distretto, all'ufficio di reclutamento, al luogo di raduno, che è pubblico, aperto, legale. In territorio occupato dai tedeschi la mobilitazione generale, la leva di massa, non può certo avvenire in forma legale, ma deve effettuarsi ugualmente. Anche in tutta l'Italia centrale e settentrionale il popolo italiano deve sen­tirsi in guerra contro la Germania, deve considerarsi chiamato alle armi, deve rispondere all'ordine di mo­bilitazione. È compito nostro, è compito dei comunisti, è compito di tutti gli elementi più coscienti d'avanguardia di organizzare la mobilitazione, di effet­tuare la «chiamata alle armi» nel territorio occupato dai tedeschi. Come può essere organizzata la mo­bilitazione generale nel territorio occupato dai te­deschi?

   Innanzitutto, bisogna realizzare un largo reclutamen­to per la guerra combattuta vera e propria. Il numero più grande possibile di cittadini italiani, di patrioti, deve abbandonare la propria occupazione, la propria casa, il proprio paese, deve armarsi e raggiungere al più presto le formazioni dei partigiani combattenti. I comunisti con la classe operaia devono essere alla testa, all'avanguardia di queste truppe combattenti. I comunisti devono fornire a queste truppe combat­tenti i quadri, gli elementi migliori per eroismo e spi­rito di sacrificio. Tutto il partito deve considerarsi mobilitato a questo scopo [1].

   La mobilitazione generale delle nostre forze e delle forze popolari in territorio occupato si effettua con maggiore difficoltà, è vero, ma deve effettuarsi egual­mente Il nostro partito ha dato alcune migliaia di volontari per la guerra di Spagna, ma oggi per la nostra guerra di liberazione nazionale i volontari de­vono contarsi a decine di migliaia, il partito deve dare la parte migliore di se stesso.

   In secondo luogo, noi comunisti non dobbiamo solo armarci e partire, ma dobbiamo anche fare il lavoro di reclutamento tra le masse popolari. Dobbiamo essere gli araldi che chiamano a raccolta, che reclutano, che organizzano, che inquadrano, che accompagnano e fanno pervenire sulle montagne, nelle località ove già esistono i partigiani, i nuovi combattenti reclutati. Noi non diamo la parola d'ordine a tutti gli operai di abbandonare in massa le officine, a tutti i contadini di abbandonare in massa le loro case. La guerra può essere combattuta solo se è alimentata, vivificata, aiutata da tutto il popolo; i combattenti devono tro­vare un aiuto continuo nella popolazione civile. Neces­sariamente perciò una parte della popolazione ed anche dei compagni deve restare nelle officine, deve continuare nelle proprie occupazioni. Ma quella parte di patrioti ed anche di compagni che restano nelle officine devono pur essi considerarsi mobilitati, devono considerarsi chiamati alle armi. Nella guerra di libe­razione del nostro paese non vi devono essere imbo­scati, non vi devono essere «esonerati». Coloro che non vanno alle armi, gli italiani che non vanno tra le truppe partigiane combattenti, i compagni che rimangono per disposizione del partito a lavorare nelle offi­cine, devono considerarsi dei combattenti nelle officine, dei combattenti del fronte interno, e devono fare di tutto per portare dei colpi, dei duri colpi contro il tedesco invasore e contro i traditori fascisti.

   In terzo luogo deve essere organizzato all'interno delle officine il sabotaggio di massa. Bisogna, in fab­brica, lavorare il meno possibile e il peggio possibile, specialmente in quelle produzioni di guerra che ser­vono ai tedeschi. Bisogna deteriorare, guastare gli strumenti di lavoro e le macchine, bisogna buttare granellini di sabbia nei motori e negli ingranaggi. I ferrovieri devono fare arrivare i treni in ritardo, non devono avere più alcuna cura della manutenzione del materiale, devono mettere fuori uso le locomotive, devono provocare con abili accorgimenti continue fer­mate dei convogli, devono ostacolare con ogni mezzo il trasporto di truppe tedesche e del loro materiale. Gli elettrici devono organizzare il più frequentemente possibile l'interruzione dell'energia elettrica per gli sta­bilimenti e per le ferrovie.

   Gli impiegati, i tecnici, devono anch'essi realizzare il più largo ostruzionismo con progetti, disegni e calcoli sbagliati.

   Gli agenti di P.S., i carabinieri, i podestà non de­vono fornire ai tedeschi ed ai fascisti le liste dei patrioti, degli ebrei, degli antifascisti Devono fare di tutto per mettere fuori strada i tedeschi, per dare ad essi false informazioni, per rendere loro difficile la vita, devono fare di tutto per nuocere ai tedeschi ed essere utili alla causa della liberazione d'Italia.

   I contadini non devono consegnare i cereali ed i prodotti agricoli agli ammassi, non devono vendere nulla ai tedeschi, devono nascondere i viveri e conser­varli per i partigiani e per la popolazione lavoratrice italiana. Devono aiutare in ogni modo i partigiani, dando loro ricovero, assistenza ed informazioni.

   Gli industriali veramente patrioti hanno il dovere di raccogliere fondi per la guerra di liberazione, de­vono soccorrere le famiglie dei patrioti combattenti, devono fornire coperte, vestiti, alimenti, medicinali, armi, munizioni e mezzi d'ogni genere necessari alla vita, alla sussistenza ed alla lotta dei patrioti combat­tenti, dei partigiani.

   Gli industriali devono organizzare la produzione clandestina di armi e munizioni, strumenti ottici, di segnalazione, di audizione e di trasmissione. Devono fabbricare e fornire ai partigiani riflettori, lampade elettriche, thermos, attrezzi e strumenti di lavoro, sci ed altro materiale necessario alla vita di montagna ed alla guerra.

   Le donne, le compagne in prima fila, devono lavo­rare per fabbricare e raccogliere calze, maglie e indu­menti di lana per i partigiani combattenti. Dobbiamo reclutare un buon numero di infermiere pronte a sop­portare i duri sacrifici della guerra partigiana. Le donne, le compagne possono e devono partecipare alla guerra di liberazione nazionale anche tra le stesse unità ope­rative, esse possono essere assai utili come elementi di collegamento, di informazione, di segnalazione.

   I professionisti, gli avvocati, i medici, gli ingegneri e gli intellettuali in genere possono essere elementi preziosi non solo al fronte tra le file dei combattenti, ma anche nelle città e nei villaggi, se essi metteranno le loro capacità e le loro energie al servizio della guerra dell'indipendenza nazionale e contro l'invasore te­desco. Anche nelle città i medici possono e devo­no curare clandestinamente i patrioti, raccogliere e fornire medicinali e materiale sanitario. Gli ingegneri possono essere di una estrema utilità tanto al fronte tra i partigiani combattenti, quanto nelle città; lo stesso dicasi dei tecnici, dei chimici, ecc.

   I giovani non solo devono formare i nuclei più eroici dei battaglioni d'assalto, degli arditi antitedeschi ed antifascisti, ma possono utilmente servire da avam­posti, da corrieri, da agenti di collegamento tra la città e la campagna, tra la popolazione civile ed i partigiani combattenti, tra le diverse unità partigiane della Guardia nazionale [2].

   La elencazione potrebbe continuare, ma ognuno può facilmente continuarla da sé. Ma tutte queste forze che possono essere utili, preziose, che sono indispen­sabili alla lotta contro i tedeschi ed i fascisti, si tratta di mobilitarle, di farle agire.

   Questo è il compito principale, urgente, preminente di ogni organizzazione comunista. L'attività per soste­nere, sviluppare, rafforzare la guerra di liberazione na­zionale, deve essere oggi la nostra attività principale. Questo è il compito essenziale del nostro partito oggi: effettuare la mobilitazione generale delle sue forze e delle forze popolari per la guerra di liberazione nazio­nale. Tutto il resto oggi cade in secondo ed in terzo piano. Tutte le attività del partito, agitazione e pro­paganda, organizzazione sindacale, ecc. devono con­fluire a questo scopo principale: la guerra contro i tedeschi ed i fascisti.

   Ogni organizzazione comunista deve stabilire ogni mese un piano di lavoro che comporti il reclutamento di un numero ragguardevole di compagni, di operai, di lavoratori, di intellettuali, per alimentare le file dei combattenti, dei partigiani, della Guardia nazionale; un piano di lavoro che comporti la riduzione sempre più forte della produzione nelle officine, che stabilisca un progressivo e sistematico sabotaggio di massa. Se, ad esempio, nella Fiat in questo mese si sono fabbri­cati 100 autocarri, bisogna proporsi di fabbricarne nel mese di novembre solo 50, solo 20: se alla Breda si sono fabbricati 20 carri armati, bisogna proporsi di fabbri­carne in novembre solo 5, e così via.

   Anni fa vi erano dei compagni che ritenevamo inutile, senza risultati la nostra propaganda, e ritenevano che invece di arrischiare lunghi anni di carcere per diffondere manifestini era meglio arrischiare venti anni di galera, ma per «fare qualcosa» ; e per «qualche cosa» intendevano dire che bisognava agire e lottare colle armi, col terrorismo. Ebbene, è venuta l'ora di fare qualcosa, è venuta l'ora, di agire, è venuta l'ora di condurre la lotta armata, è venuta l'ora del ter­rorismo. Alla fine di ogni giorno, ogni compagno, ogni lavo­ratore deve chiedersi: cosa ho fatto oggi contro i te­deschi ed i fascisti? Ogni organizzazione comunista, alla fine della settimana, alla fine di ogni mese, deve esaminare il suo piano di lavoro, deve fare il bilancio della propria attività: quanti elementi per i partigiani abbiamo reclutato? Quanto danno abbiamo arrecato alla produzione, di quanto essa è diminuita nella fab­brica X ed Y? Quanti aiuti in viveri, indumenti, me­dicinali, armi, denaro, abbiamo raccolto? Quanti colpi abbiamo inferto al nemico in questo periodo? E se il bilancio è magro, è povero, è deficiente, bisogna cor­rere ai ripari, bisogna intensificare la nostra attività, bisogna eliminare gli attriti, gli ingranaggi organiz­zativi che non funzionano, mettere ai posti di la­voro compagni più attivi, più capaci, più corag­giosi.

   Nel piano di lavoro delle nostre organizzazioni non deve essere trascurata nessuna officina, nessuna im­presa, nessun mestiere, nessuna condizione sociale. Tutto e tutti possono servire allo scopo. Ogni industria ed ogni professione può essere utile alla guerra di liberazione nazionale, e può essere dannosa ai tedeschi ed ai fascisti. Si tratta di saper mobilitare, coordinare, guidare tutte queste forze. Attualmente esistono ancora migliaia e migliaia di soldati divisi in tante unità, in formazioni diverse, rifugiatesi nelle montagne, con le quali noi non abbiamo ancora preso contatto, nelle quali noi non abbiamo ancora inviato dei nostri com­pagni per aiutarle, provvedere alle loro necessità, at­trezzarle alla lotta e guidarle nel combattimento contro i tedeschi ed i fascisti.

   È una grave deficienza questa che deve essere superata al più presto. È una vergogna per noi che esistano delle preziose forze combattenti facilmente trasformabili in truppe combattenti, e manchino invece i compagni per collegarci con esse, per rafforzarle, aiu­tarle, dirigerle. Nè si dica che mancano le forze, che non abbiamo quadri a sufficienza, che i compagni ca­paci sono pochi e assorbiti in altre attività.

   Ebbene, se i quadri sono pochi, sacrifichiamo piut­tosto qualche altra attività, riduciamo il nostro lavoro in altri settori, che oggi sono meno importanti, ma diamo i quadri migliori ed il numero più grande di compagni al lavoro militare.

   Il più gran numero di compagni, di mezzi, di da­naro di cui il partito dispone deve essere dedicato oggi all'attività militare, alla guerra di liberazione na­zionale. Ogni comunista deve sentirsi oggi un soldato, il più ardito, il più cosciente, il più disciplinato dei soldati. Il comunista deve oggi considerarsi un com­battente, che parte alle armi, che abbandona la pro­pria casa, la propria famiglia, la propria officina, disposto a tutto osare, a tutto sacrificare nella lotta per l'indipendenza e la libertà d'Italia.

   Oggi è il momento di agire. Il partito deve mobi­litare tutte le sue forze, tutte le sue energie. L'ora della mobilitazione generale è suonata. Vi devono essere solo degli attivi, non vi devono essere degli esonerati, non vi devono essere degli imboscati.

Note

[1]   Nel mese di ottobre 1943 il Partito comunista italiano prese l'iniziativa di costituire le brigate d'assalto Garibaldi. Non era intenzione di costituire delle unità di partito, ma delle unità modello (come difatti lo furono) sia per capacità organiz­zativa che per disciplina e combattività; delle unità aperte a tutti i patrioti qualunque fosse la loro fede politica e religiosa. Le prime riunioni per organizzare i distaccamenti ebbero luogo nelle abitazioni dei compagni Giovanni e Jole Morini a Milano in Viale Monza n. 23. Parteciparono a quelle prime riunioni i compagni Luigi Longo, Pietro Secchia, Umberto Massola, Antonio Roasio, Giancarlo Pajetta, Francesco Leone, Antonio Cicalini, Francesco Scotti, Antonio Carini (in seguito torturato ed assassinato dai fascisti) che costituirono in un primo periodo il comando generale.

[2]   A Milano nei giorni 8-9 settembre 1943 per iniziativa del P.C.I. e di altri partiti antifascisti erano sorte delle forma­zioni chiamate «Guardia nazionale», nelle quali accorrevano ad arruolarsi i lavoratori decisi a resistere all'invasore tedesco. Ma il generale Vittorio Ruggero, comandante il Corpo d'armata di Milano, non soltanto si rifiutò di consegnare le armi alla «Guardia nazionale», ma, entrato in trattative con i tedeschi, diede ordine alle unità dell'esercito da lui comandate di arren­dersi e consegnò agli hitleriani Milano, Como, Varese senza il minimo tentativo di resistenza. Molti di coloro che in quei giorni avevano fatto parte della «Guardia nazionale» si arruo­larono poi nelle formazioni partigiane e nelle brigate d'assalto Garibaldi. Così la denominazione di «Guardia nazionale» scomparve e la si ritrova soltanto nei giornali del settem­bre 1943.