Dal rapporto di Togliatti al VII Congresso dell'Internazionale comunista (13-14 agosto 1935) riportiamo le parti 1 e 10. Il testo, tratto da: Palmiro Togliatti, Sul movimento operaio internazionale, Editori Riuniti, ottobre 1964, pp. 83-93 e 158-167, è riprodotto dal volumetto: Ercoli, La lotta contro la guerra, Bruxelles, Edizioni di coltura sociale, 1935.
Compagni!
I problemi della guerra e della lotta contro la guerra sono sempre stati al centro dell'attenzione dell'Internazionale comunista, al centro del lavoro dei nostri partiti. «Ricordatevi della guerra imperialista», - dice il primo appello che la nostra Internazionale ha lanciato ai lavoratori del mondo intero. Quest'appello alla lotta contro la guerra è stato ripetuto dal nostro V Congresso mondiale e rinnovato con particolar forza nel 1927 e negli anni seguenti, quando tutte le condizioni obbiettive per lo scatenamento di una nuova guerra imperialista erano giunte a maturazione e il mondo capitalistico incominciava a scivolare verso una nuova guerra mondiale. Da allora, abbiamo denunciato il pericolo di una nuova guerra come un pericolo imminente, abbiamo chiamato il proletariato e le grandi masse dei lavoratori a lottare contro questo pericolo e abbiamo appoggiato con tutte le nostre forze tutti i movimenti di massa che si sviluppavano sul terreno di una lotta effettiva contro la guerra imperialista.
In questo, come in tutti gli altri campi, le prospettive tracciate da noi in base a un'analisi marxista dei rapporti esistenti nel mondo capitalistico sono state confermate dagli avvenimenti. E chi oserebbe, oggi, mettere in dubbio che se lo scatenamento della guerra è stato ritardato, se l'attacco contro l'Unione Sovietica che alcune grandi potenze imperialiste preparavano per il 1930-1931 - non senza il benevolo appoggio di alcuni capi della socialdemocrazia internazionale - ha potuto essere evitato, lo si deve anche al fatto che noi abbiamo dato l'allarme e che una parte notevole della classe operaia ha ascoltato e seguito il nostro appello?
Il VI Congresso mondiale ha tracciato nel 1928 la linea generale della nostra lotta contro la guerra. Questa linea, che ha già subito la prova del fuoco, resta la nostra linea fondamentale. Ma nella situazione internazionale, dopo il VI Congresso e soprattutto negli ultimi anni, sono avvenuti dei cambiamenti profondi. In Estremo Oriente si è cominciato a far uso della forza armata per procedere a una nuova spartizione del mondo. I rapporti tra l'Unione Sovietica e il mondo capitalistico sono entrati in una nuova fase, grazie alla vittoria che il socialismo ha riportato qui, nel paese della dittatura del proletariato.
Nuove possibilità si aprono alla politica di pace della Unione Sovietica. Il legame tra la politica di pace dell'Unione Sovietica e la lotta degli operai e di tutti i lavoratori per la pace è oggi più evidente che mai. D'altra parte, il fascismo ha vinto in Germania e in parecchi altri paesi: e il pericolo di guerra si è tanto acuito che l'avanguardia comunista e la classe operaia non devono lasciar nulla d'intentato per raccogliere tutte le forze che possono essere mobilitate nella lotta contro i fomentatori di guerra e per la difesa della pace e dell'Unione Sovietica. È perciò necessario apportare delle modificazioni alla nostra tattica anche in questo campo, tenendo conto di tutti i cambiamenti sopravvenuti nella situazione internazionale e nei rapporti di forza.
Più di una volta, il compagno Lenin ci ha messo in guardia energicamente, ha richiamato con insistenza la nostra attenzione e l'attenzione di tutti gli operai rivoluzionari sulle difficoltà della lotta contro la guerra. «Non esiste la guerra in generale», ma esistono delle guerre concrete, il carattere delle quali è determinato dal periodo storico in cui si svolgono e dai rapporti di classe esistenti in tutto il mondo e in particolare nei paesi che conducono la guerra. Penso perciò che, nello studio dei problemi della guerra e della lotta contro la guerra, il compito del nostro congresso non consiste nel ripetere ciò che è stato detto e fatto dal VI Congresso mondiale, ma nello scoprire e analizzare con la massima cura tutti gli elementi nuovi che esistono oggi nella situazione internazionale e nei rapporti delle classi e degli Stati e che concorrono a determinare il carattere della guerra incombente e nel trarre da quest'analisi tutte le conseguenze che si impongono per determinare i nostri compiti e fissare le nostre prospettive.
I rapporti tra le grandi potenze capitalistiche non hanno mai avuto e non possono avere un carattere di stabilità. La stabilità non è consentita dalla legge stessa dello sviluppo ineguale del capitalismo.
Il compagno Stalin, nel suo discorso di chiusura alla VII sessione plenaria del Comitato esecutivo dell'IC, ha definito in modo completo le manifestazioni di questa legge. Egli ha detto: «Appunto perché i paesi arretrati accelerano il loro sviluppo e pervengono al livello dei paesi avanzati, appunto per questa ragione si inasprisce la lotta dei primi per oltrepassare gli altri, appunto perciò sorge la possibilità, per i primi, di sorpassare gli altri e di cacciarli dai mercati e con ciò si creano le premesse di conflitti armati, di un indebolimento del fronte mondiale del capitalismo e di una rottura di questo fronte ad opera dei proletari dei diversi paesi capitalistici»[1].
Il pericolo della crisi economica mondiale e della depressione di un genere speciale ci offre un esempio particolare di sviluppo ineguale e ci mostra le conseguenze di questa ineguaglianza di sviluppo del capitalismo in tutti i campi.
Con i trattati di Versailles e di Washington le potenze imperialiste dirigenti, uscite vittoriose dalla guerra mondiale, si vantavano di aver creato nei rapporti internazionali una stabilità di lunga durata e un ordine permanente, sia su scala europea che su scala mondiale. Ma le cose sono andate diversamente.
Il trattato di Versailles era fondato sui punti seguenti:
1. mantenimento dei paesi vinti, e in particolare della Germania, in uno stato di inferiorità politica e loro spoliazione da parte degli Stati vincitori;
2. accordo tra gli Stati vincitori per la spartizione del bottino di guerra, per la fissazione delle frontiere in Europa, per la ripartizione delle colonie e dei mandati coloniali, in modo da stabilire la propria egemonia in tutto il mondo;
3. preparazione del blocco economico e dell'intervento armato controrivoluzionario contro il paese della dittatura proletaria.
D'altra parte, il trattato di Washington fissava i rapporti di forza tra le grandi potenze marittime, particolarmente nello Oceano Pacifico, considerava l'immenso territorio della Cina come il campo dell'espansione immediata dei grandi pirati imperialisti e mirava a regolare la concorrenza accanita e le lotte per la conquista e per il saccheggio di questo territorio.
La maggior parte di questi trattati apparve subito inapplicabile. I piani di accerchiamento e di aggressione contro la repubblica dei soviet furono spezzati dalla lotta eroica degli operai e dei contadini sovietici, dalla vittoria che essi riportarono nella guerra civile, sotto la direzione di Lenin e di Stalin e con l'appoggio attivo del proletariato internazionale.
A noi importa però ora osservare che tra le potenze vittoriose stesse, le quali avevano imposto i trattati del dopoguerra, esistevano delle gravi contraddizioni: queste potenze erano rivali le une delle altre e, in ultima analisi, questa rivalità doveva far saltare tutto il sistema creato dai trattati del dopoguerra.
Col sopraggiungere della crisi, l'ineguaglianza dello sviluppo del capitalismo si accentua. Assistiamo a brusche rotture, a sbalzi repentini. I paesi nei quali più rapida era stata la ripresa e più grande la prosperità sono gettati per primi nella crisi e ne subiscono le manifestazioni più gravi. In altri paesi - come ad esempio in Francia durante quest'ultimo anno - il livello della produzione continua a scendere mentre la maggior parte del mondo capitalistico registra già un aumento. Si creano così dei nuovi squilibri politici, e lo sviluppo dei rapporti internazionali prende un carattere febbrile che nel corso della crisi si aggrava di anno in anno.
All'interno di ogni paese, le conseguenze della crisi e i metodi che le classi dirigenti adoperano per trovare una via di uscita alle loro difficoltà e scaricare il peso della crisi sulle spalle dei lavoratori conducono a un aumento dell'aggressività della borghesia imperialista e a una tensione sempre crescente nei rapporti internazionali. L'enorme aumento della disoccupazione, la riduzione dei salari, l'impoverimento dei contadini lavoratori, l'abbassamento del livello di vita di tutti i lavoratori, restringono all'estremo il mercato interno di ogni paese, spingono a un aggravamento della lotta per i mercati esteri e acutizzano oltre ogni misura la concorrenza sul mercato mondiale. D'altra parte la progressiva concentrazione dei capitali e dei monopoli - che è anch'essa, in tutti i paesi, accelerata dalla crisi - contribuisce ad accentuare l'aggressività imperialista della borghesia. In ogni paese, gli elementi più reazionari della borghesia si orientano verso la guerra. La guerra è considerata da questi elementi come il mezzo migliore e, a un certo momento, come l'unico mezzo per uscire dalle difficoltà create dalla crisi.
Alcuni mesi or sono, in un giornale svedese, si poteva leggere questa dichiarazione di una franchezza e di un cinismo senza precedenti: «La guerra oggi non è niente di diverso da quello che era prima. Essa aumenterà la domanda di navi, aumenterà i rischi dei trasporti e i prezzi delle merci; la speculazione avrà una ripresa... Al contrario se non si viene alla guerra, il mondo dovrà ancora aspettare a lungo un miglioramento naturale che è ancora molto lontano».
Questo cinismo, nel quale noi leggiamo la condanna irrevocabile di un regime che ripone le sue speranze nella distruzione, nella morte, nella guerra, è caratteristico dello stato di animo che la crisi ha creato nella borghesia.
Nel campo dei rapporti economici il fatto più caratteristico della crisi è la contrazione degli scambi che non scompare ma al contrario si accentua negli anni della depressione. Questa contrazione del commercio mondiale è in gran parte il risultato delle barriere doganali che ogni Stato erige alle sue frontiere per proteggere il mercato interno ristretto e spossato. La crisi ha definitivamente sepolto il sistema del libero scambio. Ogni capitalista non ha più che uno scopo: vendere al prezzo più caro possibile ai lavoratori del suo paese impoveriti dalla crisi, e garantirsi un margine supplementare di profitto vendendo sui mercati esteri ai prezzi più bassi possibili al fine di poter spezzare la concorrenza dei suoi rivali.
I piani di organizzazione della produzione, sulla base della cosiddetta autarchia, non sono che una maschera menzognera dell'aggressività economica della borghesia di ogni paese. Il dumping diventa la regola di ogni grande paese capitalistico. Ciò conduce alla violazione di tutti i trattati commerciali esistenti, e la lotta per la conclusione di nuovi trattati si svolge in un'atmosfera di tensione e di vera e propria guerra economica. I piccoli paesi, se vogliono evitare il fallimento, sono costretti a subire le condizioni imposte dai più forti. I più grandi Stati capitalistici - l'Inghilterra e gli Stati Uniti - hanno ricorso per primi alla svalutazione della loro moneta per rafforzare le loro posizioni sul mercato mondiale e battere gli avversari. Un caos monetario, che si può soltanto paragonare a quello dei peggiori anni dell'immediato dopoguerra, toglie ogni stabilità ai rapporti economici internazionali, cambia la fisionomia tradizionale dei mercati, crea artificialmente nuove correnti di traffico, distrugge le posizioni più solide, provoca gli spostamenti più repentini. In questo modo si crea in tutto il mondo un vero stato di guerra economica, premessa e preparazione alla guerra combattuta con le armi.
Permettetemi, compagni, di arrestarmi un istante sullo esempio concreto dello sviluppo economico del Giappone che è, in questo campo, l'esempio più sintomatico. Il ritmo col quale il Giappone, in questi ultimi anni, ha realizzato la sua espansione commerciale non ha precedenti nella storia del commercio dei paesi capitalistici. Nella parte occidentale dell'Oceano Pacifico le posizioni del commercio giapponese si sono rafforzate in modo particolare. Le esportazioni giapponesi in queste regioni, che nel 1931 ammontavano a 367 milioni di yen, sono salite nel 1933 a 684 milioni di yen. Nello stesso periodo, le esportazioni degli Stati Uniti su questo stesso mercato sono discese da 341 a 262 milioni di dollari, e le esportazioni dell'Inghilterra da 30 a 24 milioni di sterline. Nelle Indie olandesi, tutti i concorrenti del Giappone sono stati battuti e il commercio giapponese ha preso il primo posto. Il mercato tessile dell'Indonesia è stato conquistato dai giapponesi a una velocità record. Le merci giapponesi sono rapidamente penetrate in tutti i mercati del prossimo Oriente, dai quali hanno cacciato le merci dell'Inghilterra, dell'Italia e degli altri paesi. In Cina, le importazioni giapponesi, che erano cadute in seguito al boicottaggio popolare nel periodo di ascesa della rivoluzione, hanno ricominciato a svilupparsi rapidamente in questi ultimi anni grazie all'appoggio del governo di Nanchino. Colpisce soprattutto l'aumento delle esportazioni giapponesi nell'America centrale e nell'America meridionale.
La parte che le colonie e i paesi soggetti hanno nelle esportazioni giapponesi è più grande che nelle esportazioni di qualsiasi altro paese. E la cosa più interessante è che, nelle esportazioni giapponesi, la parte delle colonie appartenenti ad altri paesi capitalistici è più grande che nelle esportazioni di tutti gli altri paesi capitalistici. Così il Giappone ha cacciato l'Inghilterra dalla posizione, che essa occupava da moltissimo tempo, di più forte esportatrice di tessuti in tutto il mondo.
Il Giappone, penetrando con il suo commercio nelle colonie e nelle sfere d'influenza degli altri paesi, provoca un aggravamento delle contraddizioni con tutti gli altri paesi imperialisti. La borghesia di questi paesi ricorre a provvedimenti speciali per difendere il suo mercato e quello delle sue colonie dalle merci giapponesi. A questi provvedimenti la borghesia giapponese risponde con l'intensificazione del suo dumping e con il contrabbando, e in questo modo si passa alla guerra economica dichiarata.
Questa formidabile espansione economica del Giappone possiamo vederla nella sua vera luce soltanto se consideriamo che il dumping giapponese è essenzialmente un fenomeno di classe, basato sul salario miserabile dell'operaio e della operaia del Giappone e sull'impoverimento inaudito delle masse contadine giapponesi. L'aggressività dell'imperialismo giapponese e la politica di provocazione alla guerra condotta dalla cricca militare che governa il Giappone hanno la loro base obbiettiva in una brutale politica di conquista, in una politica di classe fondata sulla miseria e sulla fame delle grandi masse popolari del paese.
Lo sconvolgimento provocato dalla crisi nei rapporti economici tra i paesi imperialisti dominanti è dunque stato la causa immediata del crollo dei trattati del dopoguerra. Sotto la pressione dell'imperialismo inglese che, in un dato momento, aveva interesse alla ripresa economica e politica della Germania, la Francia è stata «persuasa» della necessità di rinunciare all'uso della forza per estorcere al popolo tedesco i miliardi delle riparazioni. Nel 1931, in piena crisi, gli ex alleati ritenevano però ancora possibile imporre alla Germania lo enorme fardello di due miliardi e mezzo di marchi all'anno per un periodo di sessantadue anni. Soltanto l'intervento degli Stati Uniti, spinti alla loro volta dalla crisi, ha avuto per risultato il crollo completo di questa parte del trattato di Versailles.
All'inizio del 1933, quando i fascisti giunsero al potere in Germania, il sistema di Versailles era già annientato per tre quarti. Gli atti, cosiddetti unilaterali, che hanno avuto come conseguenza l'ulteriore distruzione del sistema di Versailles, furono essi pure il risultato di una lotta sorda, ma accanita, tra le grandi potenze imperialiste. Basti ricordare il rifiuto del governo di Hitler di osservare gli obblighi derivanti dal piano Young, la reintroduzione del servizio militare obbligatorio in Germania, la ricostituzione di una nuova e potente armata tedesca, di terra, di mare e dell'aria.
Del sistema di Versailles non restano oggi in piedi altro che le frontiere europee del dopoguerra e la ripartizione delle colonie e dei mandati coloniali, vale a dire non resta in piedi se non ciò che può esser distrutto soltanto dalla forza delle armi, con i mezzi della violenza e della guerra. D'altra parte, non resta assolutamente più nulla del trattato di Washington. Le clausole di questi trattati, che concernevano i rapporti di forza tra le grandi potenze marittime, sono state denunciate e hanno ceduto il posto a una corsa sfrenata agli armamenti navali. Per quanto concerne la Cina, gli eserciti degli imperialisti giapponesi, che hanno invaso e occupato la Manciuria e la Cina del nord senza preoccuparsi delle proteste di Ginevra e dei pacifisti e che continuano ora la loro marcia verso l'occupazione di tutto il territorio cinese, hanno calpestato anche le ultime vestigia degli accordi di Washington.
Compagni, l'Internazionale comunista e i partiti comunisti dei paesi interessati sono stati all'avanguardia nella lotta contro i trattati di rapina del dopoguerra. Non abbiamo lacrime da versare sulla fine dell'odioso sistema di oppressione e di saccheggio istituito a Versailles. Il 13 maggio 1919, in un appello ai lavoratori di tutto il mondo, il Comitato esecutivo dell'Internazionale comunista, allora appena costituita, denunciava la pace di Versailles come una pace di brigantaggio. Questa condanna senza riserve è stata formulata da noi mentre i capi della socialdemocrazia internazionale apponevano la loro firma al trattato di Versailles e lo esaltavano come un'opera di giustizia, come l'inizio di una nuova era di collaborazione internazionale e di «organizzazione della pace in tutto il mondo».
Non abbiamo una parola da togliere alla nostra condanna del trattato di Versailles; ma, nel momento presente, il crollo e la fine del sistema di Versailles è uno dei principali elementi che caratterizzano la situazione e il nostro dovere è di guardare in faccia la situazione nuova che si presenta al proletariato di tutto il mondo e di determinare i nostri compiti e i compiti del proletariato in base a questa nuova situazione. Non tutti l'hanno ancora compreso: e in particolare non l'hanno compreso certi gruppi di pacifisti, per i quali la lotta contro il trattato di Versailles è qualche volta un pretesto per chiudere gli occhi davanti alla politica aggressiva, alla politica di guerra del nazionalsocialismo tedesco e per distogliere l'attenzione dei lavoratori dalla necessità di concentrare gli sforzi nella lotta contro i principali istigatori di una nuova guerra imperialista.
Noi, comunisti, siamo stati i soli a condurre in modo coerente la lotta per la distruzione del trattato di Versailles; ma abbiamo sempre condotto questa lotta come una lotta per le rivendicazioni sociali e nazionali delle masse e per la rivoluzione.
«La nostra lotta contro il sistema di Versailles affermava il nostro compagno Thaelmann nello storico comizio di Parigi del 31 ottobre 1932 - non ha niente di comune con le rivendicazioni imperialiste, con la propaganda nazionalista della borghesia tedesca e dei nazionalsocialisti. Noi vogliamo eliminare, ad un tempo, l'oppressione nazionale instaurata da Versailles e l'oppressione sociale dei lavoratori dovuta al sistema del profitto capitalistico. La nostra lotta contro Versailles è una lotta per il salario e per il pane, una lotta per la libertà, una lotta per il socialismo».
Compagni, noi abbiamo condotto la lotta per la distruzione dei trattati del dopoguerra come una lotta per la liberazione nazionale e sociale. Ciò che è avvenuto non ha niente di comune con gli scopi per i quali noi abbiamo lottato. I trattati del dopoguerra sono stati fatti a pezzi dalle rivalità accanite tra gli imperialisti. La situazione che ne è risultata è la vigilia di una nuova guerra mondiale con la quale l'imperialismo tedesco vuole imporre ai popoli una «pace» del genere di quella di cui i generali prussiani ci hanno dato un esempio a Brest-Litovsk. Dobbiamo prendere questa minaccia, che è oggi la più grave, come punto di partenza per fissare la nostra posizione nella lotta contro l'imperialismo e contro la guerra.
La fine dei sistemi di Versailles e di Washington significa la bancarotta del pacifismo borghese ipocrita, significa che l'instabilità nei rapporti internazionali è giunta al punto più alto, annuncia il passaggio all'uso della forza per regolare tutte le questioni acute, tutti i conflitti esistenti in tutte le parti del mondo e segna una svolta nella corsa vertiginosa agli armamenti. Una nuova guerra imperialista per la spartizione del mondo non soltanto è imminente, non soltanto viene preparata in tutti i particolari da ogni potenza imperialista, ma può scoppiare e sorprenderci da un giorno all'altro.
Compagni, eccomi alla fine del mio rapporto.
Nel 1907, al congresso di Stoccarda della Seconda Internazionale, veniva approvata una risoluzione sulla lotta contro la guerra e questa risoluzione era votata con un emendamento presentato da Lenin e da Rosa Luxemburg e formulato nel modo seguente:
«Nel caso in cui, ciò non ostante, la guerra scoppiasse, essi [i partiti socialisti] hanno il dovere di intervenire prontamente e di utilizzare con tutte le loro forze la crisi economica e politica creata dalla guerra per agitare gli strati popolari più profondi e affrettare la caduta del dominio dei capitalisti».
Noi, che siamo i continuatori di tutto ciò che vi era di marxista e di rivoluzionario nella vecchia Seconda Internazionale d'anteguerra, abbiamo introdotto il testo di questo emendamento nella risoluzione sulla lotta contro la guerra, che presentiamo al voto del VII Congresso dell'Internazionale comunista.
Bisogna tuttavia che sia ben chiara la differenza che passa tra la situazione nella quale ci troviamo oggi, nella quale si trova oggi il movimento operaio, e la situazione del movimento operaio al tempo del congresso di Stoccarda, quando questo emendamento fu votato. Basti dire che nel 1907, il riformismo e il centrismo erano già le forze dominanti nella vecchia Internazionale d'anteguerra, ciò che doveva condurre al fallimento del 4 agosto, quando i capi della socialdemocrazia si schierarono quasi senza eccezione per la difesa della patria borghese.
Un solo partito, il partito bolscevico, si sforzò di utilizzare la crisi economica e politica determinata dalla guerra per affrettare il crollo del dominio della classe capitalista, diede la parola d'ordine della trasformazione della guerra imperialista in guerra civile contro la borghesia e condusse una lotta coerente per la realizzazione di questa parola d'ordine. Noi seguiremo e inviteremo la classe operaia a seguire questa parola d'ordine e questo esempio del partito bolscevico.
Ma qual è la situazione odierna? Il piccolo partito bolscevico del 1914 è cresciuto, è divenuto il grande, il glorioso partito che è al potere nell'Unione Sovietica, il partito che è la sezione dirigente dell'Internazionale comunista. Grazie all'azione vittoriosa del partito bolscevico, del partito di Lenin e di Stalin, si è sviluppata e consolidata l'Unione delle repubbliche socialiste sovietiche, dove il socialismo ha vinto irrevocabilmente. L'Internazionale comunista ha oggi le sue sezioni in tutti i grandi paesi capitalistici e nella maggior parte dei paesi coloniali. Tra le sezioni dell'Internazionale comunista vi è il Partito comunista cinese, che è anch'esso al potere in un territorio abitato da 60 milioni di cinesi. Tutte le sezioni dell'Internazionale comunista si sono temprate in sedici anni di lotta contro la borghesia, contro la socialdemocrazia, contro l'opportunismo di destra e di «sinistra». Il VII Congresso ha dimostrato l'incomparabile saldezza ideologica della nostra Internazionale. In alcuni paesi, le nostre sezioni stanno già trasformandosi in veri grandi partiti di massa.
La dottrina di Lenin e di Stalin sulla lotta contro la guerra imperialista non soltanto è stata studiata a fondo in tutto il movimento comunista internazionale ma ha già trovato una applicazione pratica in alcuni casi, negli anni stessi del dopoguerra. Nel corso delle guerre che sono state combattute in questi anni, parecchi dei nostri partiti hanno subito la prova del fuoco e hanno resistito a questa prova. La lotta condotta dai nostri compagni francesi e tedeschi al tempo dell'occupazione della Ruhr, l'azione che il nostro eroico partito giapponese ha svolto durante l'invasione giapponese in Manciuria, al momento dell'attacco contro Sciangai, sono degli esempi che noi possiamo additare con fierezza alla classe operaia. Infine, il nostro partito cinese ha dimostrato la sua capacità non soltanto di lottare contro la guerra, ma di organizzare e condurre una guerra rivoluzionaria nelle condizioni più difficili.
Possiamo noi affermare, sulla base di questa esperienza, che se la guerra scoppiasse non vi sarebbero delle esitazioni, degli errori nelle nostre file? Sarebbe imprudente fare un'affermazione simile, perché sappiamo che, nel momento in cui scoppia la guerra, la borghesia tenta con tutte le forze di influire sulla classe operaia, e l'avanguardia comunista si trova di fronte alle maggiori difficoltà. Possiamo però affermare che, a differenza di quanto è avvenuto nel 1914, in tutti i paesi, non vi saranno alcuni uomini isolati, ma delle avanguardie solide e disciplinate le quali resteranno fedeli agli insegnamenti rivoluzionari del marxismo-leninismo e impegneranno tutte le loro forze per tradurli in pratica secondo l'esempio dei bolscevichi russi. È questo un primo fatto del quale la borghesia conoscerà presto l'importanza.
Ma la situazione stessa della borghesia, oggi, alla soglia del secondo ciclo di rivoluzione e di guerre, è profondamente diversa da quella del 1914. Allora, il potere delle classi dirigenti borghesi era ancora così solido che la borghesia poteva governare dappertutto con i metodi della democrazia parlamentare. Oggi, il mondo capitalistico è talmente scosso da decenni di crisi generale e da anni di crisi mondiale, che la più grande instabilità regna in tutti gli Stati capitalistici. La dittatura fascista, alla quale la borghesia ricorre per consolidare il suo potere, aggrava tutte le contraddizioni del capitalismo e acutizza all'estremo la lotta di classe in ogni paese. Oggi, mentre la guerra può scoppiare da un giorno all'altro, il malcontento delle masse contro il regime capitalistico diventa generale, si estende largamente alle classi medie, «l'idea dell'assalto matura nella coscienza delle masse», e l'esempio dell'URSS dà al socialismo un prestigio sempre maggiore, quale esso non aveva avuto mai. In Asia, in Africa, nell'America del sud già si sente il rombo della rivolta dei popoli coloniali.
Che cosa sarà la nuova guerra? Capi militari, scienziati e romanzieri hanno tentato di dipingerci gli orrori della guerra meccanizzata, della guerra chimica, della guerra batteriologica. Noi non possiamo prevedere nulla in questo campo, perché le scoperte più sensazionali sono tenute segrete e perché non possiamo immaginare a quale punto di barbarie arriveranno i capitalisti. Le «piccole» guerre svoltesi in questi ultimi anni nell'America del sud tra gli Stati vassalli dell'Inghilterra e degli Stati Uniti hanno dato, a questo proposito, un esempio spaventoso. Nel Paraguay, su un milione di abitanti, vi sono stati cinquantamila morti; nella Bolivia, su tre milioni e mezzo di abitanti, settantamila morti: cifre terribili in confronto alle perdite corrispondenti dei grandi Stati capitalistici durante l'ultima guerra. In questi piccoli paesi, si è dovuto porre fine alla guerra perché i suoi orrori erano così grandi che tutta la popolazione già insorgeva per mettervi fine. E si trattava soltanto di «piccole» guerre.
Non possiamo prevedere che cosa avverrà quando le armi più perfezionate saranno messe in azione su grande scala. Sappiamo soltanto che la prossima guerra sarà una guerra di tutto il paese, una guerra nella quale sparirà la differenza tra il fronte e l'interno, che essa sarà una guerra di distruzione di tutto ciò che rende possibile la vita di una nazione moderna e civile. La prossima guerra sarà una guerra contro gli operai, contro le donne, contro i fanciulli. Sarà una guerra di sterminio. Sarà una guerra fascista.
Nell'ultima guerra mondiale, passarono due o tre anni prima che si registrassero degli episodi di rivolta di massa dei soldati al fronte e della popolazione civile all'interno. Non se la prendano con noi, i signori borghesi, se questa volta il termine sarà molto più breve. Noi siamo certi di rendere un grande servizio a tutta l'umanità se cercheremo di abbreviarlo quanto più sarà possibile. L'esame più obbiettivo della situazione internazionale e del movimento delle masse e delle sue prospettive ci conduce inevitabilmente alla conclusione che l'inizio della guerra significherà questa volta in tutti i paesi capitalistici l'inizio di una crisi rivoluzionaria; durante questa crisi ci batteremo con tutte le forze alla testa delle masse per trasformare la guerra imperialista in guerra civile, ci batteremo per la rivoluzione e per la conquista del potere.
Ma questa prospettiva, compagni, non vuol dire che il compito che ci sta davanti sia facile.
«La vittoria della rivoluzione non viene mai da sola. Bisogna prepararla, bisogna conquistarla. E soltanto un forte partito operaio rivoluzionario può prepararla e conquistarla» [2].
Queste parole del capo del proletariato mondiale, del compagno Stalin, assumono un significato particolarmente profondo oggi che esaminiamo i nostri compiti in previsione di una nuova guerra mondiale.
Le difficoltà che incontriamo oggi nel nostro lavoro sono piccole cose in confronto a quelle che incontreremo quando dovremo condurre la battaglia contro la borghesia nelle condizioni di guerra.
«La guerra deve inevitabilmente risvegliare nelle masse i sentimenti più crudeli, che le strapperanno alla sonnolenza abituale. La tattica rivoluzionaria sarà impossibile se non corrisponderà a questi sentimenti aspri, crudeli».
Cosi scriveva Lenin nel 1915. Tutti i partiti rivoluzionari, salvo i bolscevichi, hanno fatto fallimento davanti al compito di dirigere le masse in un momento di estrema tensione di tutti i sentimenti e di tutti i rapporti di classe.
Come è finita la grande rivolta dei soldati francesi dopo la strage dello Chemin des Dames? Come sono finiti la disfatta e lo sbandamento dell'esercito italiano a Caporetto, nel 1917? La sconfitta della borghesia e perfino lo sbandamento dell'esercito borghese non sono ancora la vittoria della rivoluzione. I bolscevichi hanno saputo trasformare la sconfitta della borghesia, e lo sbandamento dell'esercito zarista in vittoria della rivoluzione soltanto perché erano legati alle masse dei soldati e del popolo, perché la loro linea politica esprimeva le più profonde aspirazioni di queste masse.
Soltanto i bolscevichi si sono mostrati capaci di adempiere il compito di dirigere le masse in un momento di tensione estrema di tutte le contraddizioni di classe.
E qui vorrei ritornare al punto dal quale sono partito. Nel secolo scorso, fino all'ultimo decennio di esso all'incirca, quando il movimento operaio era diretto da Marx e da Engels, la classe operaia dovette prendere posizione parecchie volte di fronte al problema della guerra, in un momento nel quale la borghesia, in una serie di paesi, aveva ancora una funzione progressiva, legata allo sviluppo della rivoluzione democratica. Marx ed Engels tennero conto di questo elemento nel determinare in ogni singolo caso il loro atteggiamento di fronte ad ogni guerra determinata.
Quando comincia il periodo dell'imperialismo, questa funzione progressiva della borghesia cessa, le guerre della borghesia cambiano carattere, divengono delle guerre imperialiste. Coloro che non hanno compreso questo passaggio e questa trasformazione hanno commesso gli errori e i delitti più gravi contro la classe operaia.
L'esistenza dell'Unione Sovietica è un elemento nuovo di importanza storica mondiale, che modifica radicalmente il carattere del periodo che noi attraversiamo. Tutta la nostra tattica in caso di guerra dovrà dunque essere determinata tenendo conto dell'esistenza di questo elemento. Già nelle tesi del VI Congresso mondiale dell'IC se ne era tenuto conto, affermando che in caso di guerra contro l'Unione Sovietica la parola d'ordine della fraternizzazione deve lasciare il posto alla parola d'ordine del passaggio all'Armata rossa. Le tesi del VI Congresso mondiale dicono inoltre che, in caso di guerra imperialista contro l'Unione Sovietica, «la tattica e la scelta dei mezzi di lotta sono determinate non soltanto dall'interesse della lotta di classe nel proprio paese, ma anche dall'interesse della guerra al fronte, trattandosi di una guerra di classe della borghesia contro lo Stato proletario» [3].
Nella risoluzione che proponiamo al voto del VII Congresso, precisiamo ancora di più questa direttiva affermando che in caso di guerra controrivoluzionaria contro l'Unione Sovietica i comunisti «devono invitare tutti i lavoratori a contribuire con tutti i mezzi e a qualunque costo alla vittoria dell'Armata rossa sugli eserciti imperialisti».
Credo che questa direttiva sia abbastanza chiara: essa corrisponde ai sentimenti di milioni di lavoratori. E se qualcuno ci domanda che cosa può significare questa direttiva e che cosa faremo nei diversi casi concreti di guerra, possiamo dare una sola risposta: in ogni caso agiremo come dei marxisti, come dei bolscevichi, e cioè cominceremo con l'apprezzare esattamente la situazione concreta, il carattere della guerra, i rapporti delle forze di classe in ogni momento determinato, le nostre forze e le forze dei nostri avversari, e sulla base della valutazione esatta della situazione fisseremo la nostra prospettiva immediata e la forma concreta della nostra azione. Non dimenticheremo mai che una delle principali qualità dei bolscevichi è quella di saper unire alla più grande fedeltà ai principi la più grande capacità di manovra e la più grande flessibilità.
Guardate i nostri compagni dell'Esercito rosso cinese! Messi in una situazione che sembrava senza uscita dall'attacco delle truppe reazionarie, essi hanno saputo abbandonare temporaneamente le province che non potevano più conservare, trasportare la lotta in altre regioni e conquistare così delle posizioni più estese e più solide di quelle che avevano prima. In questa marcia eroica di tremila chilometri compiuta dall'Esercito rosso cinese attraverso le regioni della Cina centrale è ammirevole non soltanto l'eroismo dei combattenti che l'hanno compiuta, ma la straordinaria maturità e flessibilità politica che hanno ispirato questa manovra. Soltanto un partito educato alla scuola del bolscevismo poteva concepire e dirigere una tale azione veramente leninista. Che tutti i nostri partiti, nel corso della guerra, sappiano dar prova della stessa capacità bolscevica. Che tutti i nostri partiti lavorino fin d'ora per conquistare questa capacità. È ponendosi da questo punto di vista che essi devono esaminare oggi le loro debolezze e fare la loro critica.
Vorrei domandare, per esempio, ai nostri compagni del Partito comunista di Germania: siete voi già abbastanza legati con la massa dei giovani lavoratori che il nazionalsocialismo vuole trasformare in carne da cannone? No. Voi non siete ancora abbastanza legati con questa massa di giovani, né con gli operai delle vostre officine di guerra, né con i contadini delle vostre campagne; voi non potete esser sicuri che allo scatenamento della guerra queste masse marceranno sulla via di Lieb-khecht e di Rosa, che voi additate loro. Vi occorrerà un lavoro molto grande e duro, veramente bolscevico, per strapparle all'influenza dello sciovinismo.
E vorrei dire ai nostri compagni spagnoli. Noi vi abbiamo applauditi perché sappiamo che i vostri militanti si sono battuti coraggiosamente sulle barricate. Ma forse voi avreste reso un servizio maggiore a tutti i partiti dell'Internazionale comunista e a questo congresso, voi che siete passati cosi recentemente nel fuoco della guerra civile, se aveste sottomesso a una critica severa la condotta delle vostre organizzazioni nei giorni dei combattimenti di strada. Voi sareste forse giunti alla conclusione che le vostre organizzazioni come tali non sono ancora state all'altezza degli insegnamenti di Marx e di Lenin sull'insurrezione, non hanno compreso che non si tratta soltanto di morire da eroi sulle barricate, ma di dirigere la battaglia di massa nel suo complesso, di non perdere mai l'iniziativa e di riuscire a strappare la direzione dalle mani degli elementi esitanti, che non possono non capitolare davanti alle prime difficoltà. Se voi aveste fatto questa critica severa della vostra azione durante la battaglia, avreste grandemente aiutato i compagni degli altri paesi a comprendere quanto è difficile il compito di trasformare la guerra imperialista in guerra civile contro la borghesia, quanto sono difficili i compiti che spettano ai partiti comunisti nel corso della guerra civile.
E anche ai nostri compagni del partito francese vorrei dire: con la vostra audace svolta tattica voi avete saputo alzare ben alta nel vostro paese la nostra bandiera. Ciò vi impegna profondamente non soltanto davanti a noi, ma davanti alle masse. La lotta di classe procede oltre: bisogna essere all'altezza dei compiti che la storia ci pone. In caso di guerra questi compiti saranno per voi i più difficili, i più complicati. Voi avete nelle vostre tradizioni rivoluzionarie l'esempio dei giacobini del 1793, dei Robespierre e dei Carnot, che seppero condurre al tempo stesso la guerra civile all'interno del paese e respingere l'attacco della reazione alle frontiere della Francia. Voi avete nelle vostre tradizioni rivoluzionarie la Comune di Parigi, che ha saputo alzare la bandiera della difesa del paese trasformandola in bandiera della difesa della rivoluzione. Ma sulla via tracciata dalla Comune noi non vogliamo più essere battuti, noi vogliamo vincere. Ci occorre perciò l'appoggio delle masse operaie, contadine e piccolo-borghesi che formano il popolo di Francia. Ci occorre una direzione di ferro, un partito veramente leninista e stalinista, che sia all'altezza di questo grande compito storico.
E vorrei dire a tutti i compagni di tutti i partiti qui rappresentati: la guerra sarà una cosa politica molto complicata, ma nello stesso tempo sarà una cosa molto semplice e molto concreta per quanto concerne le condizioni nelle quali noi dovremo lavorare e combattere. Il solo entusiasmo non sarà sufficiente. Assai probabilmente non vi saranno più risoluzioni e direttive scritte. Vi sarà l'officina, vi sarà la trincea, dove bisognerà saper decidere i problemi più difficili senza esitare, perché ogni esitazione ci costerebbe troppo cara. È dunque necessario che noi educhiamo fin d'ora tutti i nostri partiti, tutte le organizzazioni, tutti i quadri, tutti i membri del partito al più grande spirito di iniziativa e di responsabilità personale. E questo si può ottenere soltanto con la più vasta preparazione ideologica e col legame più stretto con le masse.
Noi siamo oggi un grande esercito che lotta per la pace. Fino a quando la nostra lotta per la pace potrà continuare e continuerà, noi non possiamo prevederlo, nessuno può prevederlo. Forse un anno, forse di più, forse qualche mese. Bisogna esser pronti in ogni momento.
Il nostro congresso ci ha tracciato una linea di azione leninista. Questa è già una prima garanzia di vittoria. Abbiamo una grande forza che ci guida, il partito bolscevico. Abbiamo un capo, il compagno Stalin, del quale sappiamo che ha sempre fissato nei momenti più difficili la linea che doveva condurre alla vittoria: il compagno Stalin che negli anni della guerra civile è stato inviato da Lenin su tutti i fronti dove la vittoria sembrava sfuggire ai lavoratori dell'Unione Sovietica. E dappertutto, da Perm a Tsaritsin, da Pietrogrado al fronte meridionale, egli ha ristabilito la situazione, ha battuto il nemico ed ha assicurato la vittoria.
Il partito mondiale dei bolscevichi e Stalin sono oggi la garanzia della nostra vittoria su scala mondiale! Serriamo le file, compagni, nella lotta contro la guerra imperialista, per la pace, per la difesa dell'Unione Sovietica!
In alto la bandiera dell'internazionalismo proletario, la bandiera di Marx, di Engels, di Lenin e di Stalin!
Viva il trionfo della rivoluzione e del socialismo in tutto il mondo!
Note
[1] Resoconto stenografico della VII sessione plenaria del Comitato esecutivo dell'IC, vol. II, p. 318 (ed. russa).
[2] Stalin, Questioni del leninismo, p. 548 (X ed. russa).
[3] La Internazionale comunista e la guerra, cit., p. 33.