IL FRONTE POPOLARE IN FRANCIA

Da Accademia delle Scienze dell'URSS, Storia Universale, Teti Editore, 1975, vol. IX, pp. 341-352.


Negli anni 1936-1939 il settore dominante nella vita politica francese fu la lotta contro il fa­scismo. Le masse popolari opposero una vittoriosa resistenza ai fascisti che operavano per la conquista del potere, e ottennero la creazione di un governo di fronte popolare. Benché questo governo fosse diretto anche dai riformisti, il fronte popolare in Francia, così come in Spagna, dimostrò quali risultati potevano ottenere le masse popolari quando univano le loro forze. Nello stesso tempo gli avvenimenti francesi dimostrarono che il consolidamento e la vittoria del fronte popolare erano impossibili senza una decisa rottura con gli elementi scissionisti e capitolardi.


LA CONCENTRAZIONE DEL CAPITALE
E LA CONDIZIONE DEI LAVORATORI


La crisi economica aveva assunto in Francia un carattere cronico. Solo nel 1936 si regi­strò una certa ripresa nell'industria, ma dalla metà del 1937 seguì una nuova recessione. L'oligarchia finanziaria e industriale approfit­tò della difficile situazione economica del pae­se per accelerare il processo di concentrazione della produzione e del capitale e rafforzare il potere dei grandi complessi monopolistici. Nell'industria pesante il "Comité des Forges" univa 250 aziende metallurgiche, sei delle quali concentravano nelle loro mani i tre quarti dell'intera produzione della ghisa e del­l'acciaio. Crebbe anche la potenza del gruppo Rothschild, dell'Unione centrale dei proprie­tari di miniere (Comité des Houillères), del­l'Unione delle aziende metallurgiche e mine­rarie, del Comitato centrale degli armatori francesi. La produzione del carbone era controllata da tre compagnie, l'industria chimica da cinque, quella automobilistica da tre, l'in­dustria elettrotecnica da una soltanto, l'indu­stria alimentare da tre. Aumentò notevolmen­te il potere finanziario delle banche, in parti­colare della Banca di Francia (Banque de France), il cui capitale, dal 1929 al 1935, rad­doppiò raggiungendo gli 80 miliardi di fran­chi.

Mentre in molti settori dell'industria il sala­rio era più basso del livello del 1929, si era invece intensificato il ritmo di lavoro. Il nu­mero dei disoccupati superava il milione e a essi si aggiungeva una massa molto nume­rosa di sottoccupati, cioè di lavoratori che lavoravano solo qualche giorno alla settimana e di conseguenza avevano un salario inferiore. Crebbero i prezzi, le tasse, e di conseguenza anche la inflazione. Il valore del franco cadde della metà dal 1929 al 1938, causando un forte aumento del costo della vita. In soli due anni, dal 1936 al 1938, i prezzi al mi­nuto salirono di un terzo. Le tasse dirette, dal 1935 al 1938, aumentarono del 20%; il 90% di tutte le imposte gravava sui lavo­ratori.

Lo sfruttamento intensificato delle masse lavo­ratrici, la militarizzazione dell'economia (nel 1937 le spese militari erano pari a circa il 30% del bilancio), la corsa agli armamenti moltiplicavano i profitti dell'oligarchia finan­ziaria. Dal 1934 al 1937 essi crebbero nel­l'industria estrattiva di due volte e mezzo, nel commercio di oltre due volte. Nell'agricoltura si contavano due milioni di contadini poveri e due milioni e mezzo di salariati agricoli. Soltanto nel 1934-1935 400.000 contadini caddero in rovina e le loro terre andarono a finire nelle mani dei grandi proprietari ter­rieri, che costituivano solo il 2% dei proprie­tari di terra, ma possedevano la metà dell'in­tera superficie coltivata.


L'INASPRIRSI DELLA REAZIONE


Alla ricerca di una soluzione della crisi econo­mica e preoccupato per l'acuirsi della lotta di classe, il grande capitale francese, sull'esem­pio della borghesia italiana e tedesca, comin­ciò a orientarsi sempre più verso il fascismo. Magnati del capitale quali Coty, de Wendel eccetera, grandi proprietari terrieri, la Chiesa cattolica cominciarono a finanziare apertamente le organizzazioni fasciste: le "Croci di fuo­co" (Croix de feu) a capo delle quali era il colonnello de La Rocque, l' " Action française", la "Solidarité française", la Federazione nazionale cattolica e le organizzazioni sportive e giovanili filofasciste. Nelle zone agricole l'attività sovversiva era svolta da organizzazioni fasciste come i comitati contadini e d'azione e il partito agrario.

I fascisti ottenevano finanziamenti anche da appositi fondi governativi. Molti ministri (Doumergue, Laval, Flandin) erano collegati alle organizzazioni fasciste. Le squadre fasci­ste disponevano di molte armi, e le formazio­ni militarizzate delle"Croci di fuoco"aveva­no 150 aeroplani.

Il puntello della reazione fascista era costituito dai partiti politici del capitale finanziario. Un posto centrale fra essi avevano l'Unione repubblicana, capeggiata da de Wendel, l'Alleanza democratica, diretta da Flandin e Laniel, e il Centro repubblicano, presieduto da Tardieu. Questi tre partiti controllavano i principali giornali governativi, l'agenzia Havas e la radio. Agli inizi del 1934 i circoli reazionari insce­narono una violenta campagna contro il regi­me parlamentare. Sfruttando il malcontento delle masse popolari e le conseguenze della crisi e accusando i partiti governativi di es­sere incapaci di dirigere lo Stato, essi chiese­ro le dimissioni del governo, presieduto allora dal radicale Édouard Daladier, e l'instaurazio­ne di un regime"forte". Le notizie pubbli­cate in quel periodo dai giornali sulle truffe del grosso speculatore Stavisky, un controrivo­luzionario russo emigrato in Francia, nelle qua­li erano implicati centinaia di esponenti po­litici, diedero il pretesto ai reazionari per una aperta offensiva. Le organizzazioni fasciste co­minciarono a preparare la marcia sul parla­mento.


LA LOTTA ANTIFASCISTA NEL FEBBRAIO 1934


Il 6 febbraio 1934 oltre 20.000 fascisti ar­mati tentarono di occupare la Camera dei de­putati e altri edifici governativi a Parigi. Ma le masse popolari, guidate dal partito comu­nista, sbarrarono loro la strada: 25.000 la­voratori scesero immediatamente nelle vie del­la capitale per difendere la repubblica. Sotto la pressione delle masse, il governo Daladier diede ordine alla polizia di agire. I fascisti furono così dispersi e il putsch fu liquidato. Benché il governo avesse ottenuto dalla Camera dei deputati il voto di fiducia, esso fu spaventato dall'ampiezza del movimento popolare, e, cedendo alla pressione delle forze rea­zionarie, diede le dimissioni, venendo sostitui­to da un governo di "unità nazionale" presieduto da Doumergue e composto da elementi reazionari come Pétain e Laval.

In questa grave situazione il partito comu­nista rivolse agli operai e agli impiegati di Pa­rigi un appello per tenere, il 9 febbraio, una dimostrazione antifascista di massa. La mani­festazione ebbe un enorme successo. Le co­lonne dei lavoratori, scandendo le parole "Ab­basso il fascismo!", percorsero la città da piazza della Repubblica alla Gare de l'Est. Il partito comunista nel suo comunicato del 10 febbraio affermava: "Sotto la direzione del partito comunista i proletari di Parigi hanno dimostrato la loro volontà nelle strade di Pa­rigi. Migliaia di operai socialisti hanno par­tecipato a questa dimostrazione. La classe ope­raia unita ha dimostrato come essa sa lottare energicamente per sconfiggere il fascismo". Nel medesimo appello il partito comunista in­vitava la classe operaia a creare comitati di fronte unico e a partecipare allo sciopero generale indetto dalla Confederazione unitaria e dalla Confederazione generale del lavoro per il 12 febbraio.

Lo sciopero generale contro il fascismo e la guerra vide la partecipazione di quattro milioni e mezzo di persone. Esso era stato pre­parato e appoggiato da numerose manifesta­zioni, alle quali parteciparono su scala nazio­nale più di un milione di persone fra comu­nisti, socialisti, membri dei sindacati unitari e di quelli riformisti e cristiani.

Il 17 febbraio i lavoratori di Parigi organiz­zarono i funerali delle vittime degli scontri con i fascisti. Il governo Doumergue in ri­sposta fece organizzare contemporaneamente una parata dei reparti fascisti, protetti dalla polizia. Il fatto suscitò una nuova ondata di dimostrazioni popolari e di scontri con i fa­scisti.


LA FORMAZIONE DEL FRONTE UNICO
E DEL FRONTE POPOLARE


Le grandiose manifestazioni antifasciste del 9 e del 12 febbraio 1934 affrettarono la creazio­ne del fronte unico e del fronte popolare. Nel periodo maggio-giugno alle manifestazioni e ai comizi indetti dal partito comunista in segno di protesta contro l'arresto da parte dei fascisti tedeschi del dirigente comunista Ernst Thälmann, parteciparono anche le or­ganizzazioni di base del partito socialista. A un grande comizio svoltosi il 27 luglio nel Bois de Boulogne comunisti, socialisti, radi­cali di sinistra rivolsero al popolo un appello unitario alla lotta per la libertà e la demo­crazia.

Complessivamente, dal febbraio al giugno 1934 si svolsero 930 comizi e 22 dimostrazio­ni di strada per protestare contro l'offensiva fascista. Nel giugno 1934 a Ivry si riunì la conferenza nazionale del partito comunista. Dopo avere rilevato che il fascismo minacciava tutti gli strati della popolazione, la conferenza precisò che compito fondamentale del momen­to era la scelta non tra il comunismo e il fa­scismo, ma tra il fascismo e la democrazia borghese, la cui difesa doveva unire contro il fascismo larghi strati della popolazione: ope­rai, contadini, piccola borghesia cittadina. Il partito comunista decise di prendere iniziative per la conclusione di un accordo sull'uni­tà d'azione con il partito socialista. La deci­sione ebbe una vasta risonanza nel paese.

La direzione di destra del partito socialista, capeggiata da Blum e Faure, per non perdere l'appoggio nel proprio partito, fu costretta a dare il suo consenso ufficiale al fronte unico con i comunisti. Il 27 luglio 1934 venne fir­mato il patto d'unità d'azione per la lotta con­tro il fascismo e la minaccia della guerra imperialista. Il documento unitario affermava la necessità di sciogliere le organizzazioni fasci­ste, di lottare per la liberazione di Thälmann e degli altri prigionieri del fascismo.

Dopo la formazione del fronte unico dei co­munisti e dei socialisti, il partito comunista intensificò la lotta per un più largo fronte po­polare antifascista. Alla fine del maggio 1935 esso rivolse a tutti i partiti di sinistra la pro­posta di chiedere al governo lo scioglimento e il disarmo delle organizzazioni fasciste. Su ini­ziativa del gruppo parlamentare comunista si tenne una riunione dei gruppi parlamentari di sinistra con la partecipazione dei radicali, dei radical-socialisti, del Partito socialista re­pubblicano, del Partito socialista di Francia, del gruppo delle sinistre indipendenti. Nella riunione i comunisti proposero di creare un fronte popolare contro il fascismo e il peri­colo di guerra, contro la politica reazionaria delle "200 famiglie", in difesa dei diritti democratici e degli interessi dei lavoratori. Consapevoli dei sentimenti delle masse popo­lari, i partiti di sinistra si unirono nel fronte popolare, che nel maggio e nel giugno 1935 ottenne notevoli successi nelle elezioni muni­cipali.

Nel frattempo, con la protezione del governo Laval salito al potere nel giugno 1935, con­tinuarono le provocazioni fasciste. Il 14 lu­glio, anniversario della presa della Bastiglia, la reazione organizzò presso la tomba del "Milite ignoto" a Parigi, una parata di 3000 membri delle "Croci di fuoco". Le masse la­voratrici organizzarono nello stesso giorno in tutto il paese contromanifestazioni, a cui par­teciparono i sostenitori del fronte popolare. A Parigi 500.000 persone intervennero a una manifestazione nella piazza della Bastiglia sot­to le bandiere tricolori della repubblica e le bandiere rosse rivoluzionarie, al canto della "Marsigliese"e dell' "Internazionale". Ai convenuti parlò il fisico e premio Nobel Jean Perrin, che lesse il giuramento dei sostenitori del fronte popolare, ripetuto in coro dai pre­senti. Nel giuramento si affermava solenne­mente a nome di tutti i partiti e delle or­ganizzazioni democratiche, che il popolo fran­cese, animato dalla volontà di dare il pane ai lavoratori e la pace al mondo intero, avrebbe lottato per ottenere il disarmo e lo scio­glimento delle organizzazioni fasciste, per la difesa e lo sviluppo delle libertà democrati­che e per garantire la pace.

Alle dimostrazioni nelle altre città parteci­parono oltre due milioni di persone. Queste grandiose manifestazioni a favore della libertà testimoniavano lo sviluppo della coscienza po­litica del popolo francese e l'isolamento cre­scente della reazione e del fascismo.

Il movimento del fronte popolare fece falli­re i tentativi d'instaurare la dittatura fascista e preparò la vittoria delle forze democrati­che nelle elezioni del 1936.


IL GOVERNO DEL FRONTE POPOLARE


Dal 22 al 25 gennaio 1936 si svolse l'VIII congresso del Partito comunista di Francia. La relazione sui risultati della lotta contro la rea­zione e il fascismo e sui compiti ulteriori fu tenuta da Maurice Thorez. Egli sottolineò che il compito dell'ora presente era "l'unione della nazione francese contro i parassiti e i traditori" e lanciò la parola d'ordine che di­venne poi la parola d'ordine del fronte po­polare: "Evviva una Francia libera, forte e felice!".

Il 1° gennaio 1936 fu pubblicato il program­ma del fronte popolare, che rivendicava il di­sarmo e lo scioglimento delle organizzazioni fasciste, l'amnistia per i prigionieri politici, la lotta contro la disoccupazione e la crisi agraria, la riforma del sistema di tassazione dei redditi, la nazionalizzazione dell'industria bellica, il controllo sull'attività della Banca di Francia. In politica estera il programma chie­deva l'organizzazione della sicurezza collettiva e della collaborazione internazionale contro la aggressione fascista e la minaccia di una nuo­va guerra mondiale.

Il programma del fronte popolare fu ac­colto con entusiasmo dai lavoratori. Nel pae­se si estese la rete dei comitati unitari, nei quali i comunisti cooperavano con i sociali­sti, i radicali, i cattolici.

Il movimento per il fronte unico e per il fronte popolare contribuì all'unificazione della Confederazione generale del lavoro (riformi­sta) e della Confederazione unitaria del lavo­ro (rivoluzionaria), che i riformisti per lun­go tempo avevano rifiutato. Essendo sorti nei luoghi di lavoro decine di comitati unitari, la direzione della Confederazione generale del la­voro fu costretta a dare il proprio assenso alla unificazione. Nel marzo 1936 ebbe luogo a Tolosa il congresso unitario e venne creata un'unica Confederazione generale del lavoro: nel 1937 i suoi militanti erano 5 milioni.

Il 26 aprile e il 3 maggio 1936 si svolsero le elezioni per la Camera dei deputati. Il fronte popolare ottenne una brillante vittoria, conquistando 375 seggi su 610. I comunisti ebbero 72 seggi contro i 62 delle precedenti elezioni. La vittoria del fronte popolare eb­be una enorme importanza per la Francia e per l'intero movimento internazionale contro il fascismo e il pericolo di guerra.

In seguito alla vittoria del fronte popolare salì al potere, il 4 giugno 1936, un gover­no capeggiato da Leon Blum, leader del par­tito socialista. Nel ministero entrarono rappre­sentanti socialisti, radicalsocialisti, del Partito socialista repubblicano. Il partito comunista promise il suo appoggio al governo a patto che esso realizzasse il programma del fronte popolare.

Il governo Blum venne costituito nel mo­mento in cui una nuova ondata di scioperi si estendeva ai principali settori dell'industria. Nel periodo maggio-giugno parteciparono agli scioperi oltre 2 milioni di lavoratori. Gli scio­peranti chiedevano un aumento dei salari, la conclusione di contratti collettivi di lavoro, la introduzione della settimana lavorativa di 40 ore, le ferie pagate. In numerose località gli operai occuparono le fabbriche. Il partito co­munista appoggiò gli scioperanti e cercò di ottenere il soddisfacimento delle loro richie­ste. Maurice Thorez rilevava in quei giorni che la lotta della classe operaia francese ave­va assunto forme nuove: essa si svolgeva con uno spirito straordinario di disciplina e di or­dine; sui cancelli delle fabbriche, occupate da­gli operai, sulle facciate delle case, sulle cimi­niere, nei cantieri edili assieme alle bandiere tricolori sventolavano le bandiere rosse a di­mostrazione della nuova coscienza politica del­la classe operaia.

L'azione della classe operaia costrinse gli im­prenditori e il governo ad accogliere le richie­ste dei lavoratori. Il 7 giugno 1936 in una conferenza che si tenne nell'Hotel Matignon, i rappresentanti del governo, degli imprendi­tori e della Confederazione generale del lavo­ro sottoscrissero un accordo che aumentava il salario degli operai dal 7 al 15 % e riconosce­va ufficialmente l'attività sindacale nelle azien­de e la formazione dei consigli di azienda. Alcuni giorni dopo il parlamento approvò una legge sulle ferie pagate, sulla settimana lavo­rativa di 40 ore e sul regolamento per la conclusione dei contratti collettivi. Vennero anche attuate una riorganizzazione della Banca di Francia e una nazionalizzazione parziale del­l'industria bellica; nell'interesse dei contadini fu costituito un ufficio per regolare la vendita del grano; ai ceti medi furono concesse facilitazioni nel campo creditizio. Fu anche annunziato lo scioglimento delle organizzazio­ni fasciste.

Dopo aver adottate queste misure il governo Blum annunciò "un momento di respiro" nell'ulteriore attuazione del programma del fronte popolare. Non furono pertanto soddi­sfatte le richieste per la democratizzazione del sistema tributario (corrispondentemente alla parola d'ordine popolare: "I ricchi devono pa­gare"), per la concessione di crediti ai con­tadini e per la limitazione dei canoni d'af­fitto, per i sussidi alle famiglie numerose, per l'aumento delle pensioni eccetera. Inoltre non fu presa nessuna misura concreta per ridur­re la disoccupazione. L'oligarchia finanziaria frattanto cominciò a sabotare la realizzazione delle misure adottate; nonostante l'aumento del costo della vita non venne aumentato il salario degli operai, e l'applicazione della le­gislazione sociale incontrò sulla sua via conti­nui ostacoli.

Nel settembre 1936 e nel giugno 1937 il go­verno aveva operato due svalutazioni del franco, che causarono un rapido aumento dei prezzi. Esso preparò anche progetti di legge sull'aumento delle tariffe ferroviarie e posta­li, sull'aumento delle tasse, in particolare di quelle indirette.

In politica estera il governo tollerò l'aggres­sione del fascismo italo-tedesco contro il po­polo spagnolo e impedì la creazione di un sistema di sicurezza collettiva.

Il 21 giugno 1937 il governo Blum, rinun­ciando alla lotta contro la maggioranza rea­zionaria del Senato, diede le dimissioni. Si co­stituì così un governo capeggiato dal radica­le di destra Camille Chautemps. Un ruolo importante ebbe in questo governo il mini­stro delle finanze Georges Bonnet, legato attraverso la banca dei fratelli Lazard ai na­zisti tedeschi. In un primo tempo entrarono nel governo anche i rappresentanti del par­tito socialista e dell'ala sinistra dei radicali, tra cui Pierre Cot.


LA LOTTA DELLA REAZIONE CONTRO IL FRONTE POPOLARE


Nella seconda metà del 1937 il paese fu col­pito da una nuova crisi economica, che inve­stì dapprima l'industria pesante (metallurgi­ca, metalmeccanica, cantieristica ed edile) e poi si estese all'industria leggera e all'agri­coltura.

Il volume globale della produzione industria­le scese al 60% rispetto al livello del 1929. La produzione media mensile dell'acciaio, che nel 1929 era stata di 808.009 tonnellate, sce­se nel 1938 a 514.000 tonnellate, la produ­zione di carbon fossile da 4,5 milioni di tonnellate a 3,9 milioni.

Approfittando della congiuntura economica, i monopolisti tentarono di passare all'attacco per liquidare il fronte popolare e distruggere le conquiste sociali dei lavoratori. I proprietari delle fabbriche e delle officine sabotavano l'ammodernamento tecnico, le banche rifiu­tavano i loro capitali all'industria, preferendo favorire la loro "fuga" all'estero; la grossa borghesia si sottraeva sistematicamente al pa­gamento delle tasse. Queste macchinazioni fi­nanziarie fecero salire rapidamente il debito dello Stato. Disponendo delle posizioni chia­ve nella Banca di Francia, l'oligarchia finan­ziaria approfittò della concessione dei crediti a breve scadenza al governo per influenzare la sua politica interna ed estera.

Benché Chautemps avesse assicurato più volte di voler restar fedele al programma del fron­te popolare, il governo da lui diretto tradì di fatto il movimento antifascista e si piegò alle esigenze della parte più reazionaria dei monopoli francesi. I comunisti fecero più vol­te ai socialisti e ai radicali la proposta di passare ad azioni più concordate, allo scopo di costringere il governo a realizzare il pro­gramma del fronte popolare. In particolare i comunisti avanzarono le richieste della na­zionalizzazione delle aziende monopolistiche d'importanza nazionale, del controllo popolare sulle banche, le unioni industriali e le espor­tazioni di capitale; dell'attuazione di una ri­forma finanziaria democratica e dell'aumento delle tasse sul grande capitale per risanare le finanze francesi.

Queste proposte non trovarono però l'appog­gio dei dirigenti del partito socialista e dei radicali, che manifestavano una tendenza sem­pre più marcata a cedere di fronte alla pres­sione dei monopoli.

Chautemps approvò nel luglio 1937 un au­mento delle imposte indirette e una nuova sva­lutazione del franco, annullando in tal modo gli aumenti salariali conquistati nei primi me­si di esistenza del fronte popolare. In con­trasto con le richieste delle masse popolari, il governo rifiutò di condurre una lotta ener­gica contro i fascisti. Dopo la scoperta, nel 1936, della congiura dell'organizzazione segre­ta fascista dei "cagoulards", tutte le forze democratiche del paese, nel periodo ottobre-novembre 1937, chiesero la severa condanna dei colpevoli e un'azione decisa per stroncare l'attività fascista, ma il governo fece di tutto per mettere a tacere la cosa.

Nel dicembre 1937 si svolse il IX congres­so del partito comunista. Esso elaborò misure concrete per il consolidamento del fron­te popolare, e in tal senso affermò la neces­sità di creare comitati collettivi in tutte le aziende e località e di convocare un congres­so nazionale del fronte popolare per elegger­vi un comitato nazionale, autorevole organo di direzione, con il quale il governo sarebbe stato costretto a fare i conti nell'attuazione della politica interna ed estera. Il congresso affermò che l'estensione e il consolidamento del fronte popolare erano possibili solo sul­la base dell'ulteriore rafforzamento dell'uni­tà del proletariato francese e del passaggio dall'unità d'azione alla creazione di un uni­co partito della classe operaia francese: "Pen­sate - disse nel suo discorso Jacques Du-clos - quale forza avrà un partito unico, nel quale si uniscano fraternamente 450.000 comunisti e giovani comunisti, 300.000 so­cialisti e giovani socialisti. Pensate quale for­za sarà questo unico partito, con un gruppo parlamentare di 250 deputati". Tuttavia le trattative per la creazione di un partito uni­co della classe operaia francese furono ben presto interrotte per iniziativa della direzione del partito socialista.

I dissensi manifestatisi nel governo causaro­no, nel gennaio del 1938, una crisi governa­tiva. Le masse popolari avanzarono allora la richiesta di un governo composto da rappre­sentanti di tutti i principali partiti del fronte popolare, cioè dei radicali, dei socialisti e dei comunisti. All'indirizzo del presidente della repubblica giunsero oltre 80.000 telegram­mi e risoluzioni in cui si esprimeva questa volontà. Ma i capi radicali ignorarono la vo­lontà del popolo, e nel nuovo ministero Chautemps tutte le cariche ministeriali furono offer­te a esponenti della destra del fronte popo­lare.

Nel marzo del 1938 il governo Chautemps presentò di nuovo le dimissioni. Il nuovo go­verno, presieduto da Leon Blum, era for­mato da socialisti e da radicali. I comunisti non vi entrarono, perché gli esponenti socia­listi di destra avevano posto di proposito la condizione inaccettabile d'includere nel gover­no, assieme ai comunisti, anche i rappresen­tanti dell'estrema destra.

Il nuovo governo Blum non durò a lungo. Esso presentò alla Camera dei deputati un pro­getto di legge finanziaria, che prevedeva la attuazione parziale delle rivendicazioni del pro­gramma del fronte popolare: l'introduzione di una tassa straordinaria sul capitale, il con­trollo da parte della Banca di Francia sulle ope­razioni delle altre banche eccetera. Il proget­to di legge fu approvato dalla Camera dei deputati, ma fu respinto dal Senato. Allora il governo Blum, invece di fare appello alle masse per spezzare con il loro appoggio la resistenza della maggioranza reazionaria del Senato, diede le dimissioni, senza avere nem­meno chiesto la fiducia. In questo modo Blum e gli altri leaders socialisti di destra, rifiutan­do di chiamare le masse a una lotta decisa contro le manovre antipopolari dell'oligarchia finanziaria e sabotando le proposte dei co­munisti per il rafforzamento dell'unità della classe operaia e del fronte popolare, aprirono la strada all'attacco della reazione.


LA LIQUIDAZIONE DELLE CONQUISTE DEI LAVORATORI


Il 10 aprile 1938 Daladier formò un nuovo governo. Nella sua dichiarazione programmati­ca egli s'impegnò a restare fedele al program­ma del fronte popolare, ma di fatto condus­se una lotta contro di esso ignorando, a van­taggio dell'oligarchia finanziaria, gli interessi fondamentali della nazione.

Dopo avere ottenuto la maggioranza in par­lamento con i voti dei radical-socialisti e del­le destre (i socialisti si astennero), il gover­no Daladier sviluppò un vasto attacco contro le masse lavoratrici. Nel maggio 1938 venne pubblicata una prima serie di decreti eccezio­nali. Le tasse dirette e indirette, che pesa­vano principalmente sui lavoratori e sui ceti medi della popolazione, furono aumentate dell'8%, mentre furono diminuite le tasse sui profitti delle grandi aziende industriali e commerciali. Venne attuata negli interessi del­l'oligarchia finanziaria una nuova svalutazio­ne del franco, a seguito della quale il co­sto della vita aumentò del 4 % rispetto al 1936. Il 30 agosto 1938 il governo Daladier fece passare una legge che allungava il tem­po di lavoro in tutte le aziende. In questo modo venne liquidata la conquista fondamen­tale del fronte popolare: la settimana lavo­rativa di 40 ore. Nuovi decreti aumentarono le tariffe postali e telegrafiche, le imposte in­dirette sulle merci di largo consumo, l'impo­sta sul salario, mentre le tasse sul grande capitale venivano nuovamente diminuite. La riduzione delle spese statali, prevista da tali decreti, causò il licenziamento di una gran­de massa di dipendenti pubblici. Nell'ottobre del 1938 il congresso dei radicali e dei ra­dical-socialisti approvò una risoluzione, che accordava la fiducia al governo Daladier e proponeva la rottura con il fronte popolare. Dopo il congresso la direzione dei radicali si orientò sempre più verso il blocco con tutti i partiti borghesi di destra.

Il 30 novembre, sotto la direzione del par­tito comunista e della Confederazione generale del lavoro, si effettuò uno sciopero gene­rale di 24 ore per protesta contro i decreti eccezionali del governo Daladier. Allo sciopero parteciparono milioni di operai. Esso dimostrò che la classe operaia francese era pronta a lottare per conservare ed estendere le conqui­ste sociali, per attuare il programma del fron­te popolare, per una politica estera progres­sista. Ma il governo, facendo leva sulla po­sizione capitolarda dei socialisti di destra e dei radicali, dichiarò lo stato di emergenza nel paese, militarizzò i trasporti, e inasprì le re­pressioni contro gli operai d'avanguardia.

Allo scopo d'indebolire l'avanguardia rivolu­zionaria della classe operaia, la reazione sca­tenò una violenta campagna anticomunista. Le repressioni contro i comunisti si accompagna­rono alle violazioni dei principi della demo­crazia borghese. La reazione chiedeva aperta­mente lo scioglimento del parlamento e la limitazione della libertà di parola. Aderendo a queste richieste, il governo Daladier restrin­se al massimo la sfera di attività del parla­mento, per impedire ai comunisti e agli al­tri deputati di sinistra di smascherare la po­litica antipopolare dei gruppi dirigenti. Dal­l'aprile all'inizio di dicembre del 1938 il par­lamento tenne sedute per un complesso di sole 50 ore.

Le misure antipopolari del governo Daladier s'intrecciavano alla sua politica estera reazio­naria, tesa a impedire un sistema di sicurez­za collettiva in Europa e mirante a un avvi­cinamento con la Germania nazista. Con l'ap­poggio del governo s'intensificò l'attività dei gruppi fascisti, collegati ai fascisti tedeschi e a quelli italiani.